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Autore: Valerie    23/06/2020    5 recensioni
Forse abbiamo fatto tutti esperienza di quell'appuntamento che proprio non aspettavamo, ma che ci ha in qualche modo scombussolato l'esistenza.
La persona meno probabile del mondo ci ha chiesto di uscire, e noi gli abbiamo inspiegabilmente detto di sì, giustificandoci con: almeno mi distraggo un po' dai casini della vita. E alla fine i casini sono iniziati proprio da lì.
Non volevate niente e vi siete ritrovati con tanto fra le mani.
Magari da tanto...siete finiti nuovamente con niente.
Un po' come me.
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Dal carattere autobiografico, questo monologo introspettivo tocca temi romantici e nostalgici.
Spero di dare voce a più di qualche anima che si aggira da queste parti.
Buona lettura!
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Ricordo di te
 
 
 
Me lo ricordo, sai?
Il giorno in cui mi hai chiesto di uscire. Me lo ricordo bene.
Avevo postato un meme del Movimento 5 Litri e tu me lo hai inoltrato dicendomi che mi avresti volentieri accompagnato a prendere una sbronza coi fiocchi.
Ci conosciamo dai tempi dell’oratorio, sei sempre stato il “fratellino di coso”.
Mi ricordo di averti detto che, nella sera in cui avevi proposto di andare a bere qualcosa, avevo una cena con i colleghi di lavoro, ma che se fosse saltata ti avrei certamente fatto sapere.
Non era vero, non avevo una cena di lavoro. Un ragazzo mi aveva chiesto di uscire, e io ero indecisa se accettare o meno.
Non lo so perché non ti dissi la verità, forse mi sembrava brutto farti sentire una ruota di scorta.
Fatto sta che l’uscita con quel tipo fu terribile e io chiamai la mia migliore amica per riprendermi dallo stato di semi-shock!
Fatalmente, scegliemmo l’osteria che io amo e che tu frequenti sempre.
Me ne stavo lì, davanti a quel bicchiere di vino bianco, a raccontare alla mia amica quanto fosse successo, quando ad un certo punto sei entrato tu!
“Cavolo avevo detto ad … che gli avrei fatto sapere!” un lampo a ciel sereno, avevo proprio dimenticato di scriverti.
Ci siamo salutati tranquillamente. Io non ho accennato neanche una parola di scuse e tu sembravi più sereno che mai. Ero convinta fosse tutto ok.
I giorni sono passati, io ero indaffaratissima fra lavoro ed università. Il pensiero a te non è più tornato, fino a che un giorno mi scrivesti di nuovo un messaggio.
Stessa tattica: mi facesti abboccare con la scusa della sbronza, all’insegna di quel vino bianco che a me piace tanto.
Quella volta accettai.
Ma chi ci pensava a te? Il piccolo …
Che poi piccolo non sei più, alto quasi il doppio di me.
Mi dissi che una bella bevuta in compagnia, in quel marasma da stress universitario e lavorativo, non sarebbe stata per nulla male.
“Con chi esci?” mi chiese mia madre quella sera.
“Con un amico” è stata la mia sincera risposta.
Questo eri davvero, un amico, con cui avevo anche un po’ perso quel vecchio rapporto.
Crescendo ci siamo allontanati, ognuno si è fidanzato e il resto è venuto da sé.
La mattina mi avevi mandato un messaggio tenendoci a precisare che avevi prenotato un tavolo in osteria, “perché sia mai che non troviamo posto”.
La sera mi sei venuto a prendere a casa. Era novembre, faceva freddo, e tu sei uscito senza giacchetto.
Camminavamo fianco a fianco sul marciapiede e ti stringevi nelle spalle per via dei brividi.
Nel momento in cui siamo entrati in osteria mi sono sentita assalire dalla terribile sensazione che, una volta seduti, non avremmo più saputo cosa dirci.
Ma presentimento fu più sbagliato.
Abbiamo chiacchierato amabilmente fino a tarda sera, quando ormai l’osteria stava per chiudere.
Mi hai fatto raccontare del mio lavoro e sorridendo hai notato che, mentre lo facevo, mi brillavano gli occhi e me l’hai detto.
Mi hai riaccompagnata a casa e poi siamo rimasti a messaggiare fino alle 3, incuranti del fatto che la mattina dopo avremmo dovuto entrambi lavorare.
Non sapevo spiegarmi il perché, ma rimasi con una strana e alquanto piacevole sensazione addosso per tutto il giorno successivo, tanto che ne dovetti parlare con qualcuno.
“Sai Lu” avevo detto alla mia migliore amica “Peccato che fisicamente non sia il mio tipo, perché per il resto mi piace tanto”.
Da quel benedetto giorno non mi hai lasciata un attimo, volevi vedermi quasi tutti i giorni, mi scrivevi tutti i giorni, tanto che dovetti frenare un po’ il tuo entusiasmo.
Ricordo che mi portasti al cinema perché ero convinta fosse uscito Frozen II, invece avevo sbagliato data. Allora ripiegammo su Maleficent.
Ricordo che il fine settimana successivo mi sei venuto a prendere a casa, mi hai fatta uscire e mi hai detto “Ti porto a bere il Gewürztraminer. La volta scorsa ti sei lasciata scappare che ti piace”.
Io non ricordavo neanche di averlo detto!
Abbiamo fatto impressione quella sera, ce ne siamo scolati una bottiglia a testa.
Ti raccontai che ero uscita con un tipo ultimamente. L’espressione che ti vidi fare fu impagabile: strabuzzasti gli occhi e non riuscisti a trattenere un “Ma come?” del tutto stupito.
Riuscii a spiegarti che si trattava di una cosa antecedente tutto quello, mentre io appresi che tu avevi già detto ai tuoi amici che noi ci stavamo frequentando, quando nella mia testa non era ancora chiaro niente.
L’indomani mattina abbiamo fatto una fatica immensa a svegliarci. Tu attaccavi alle 9.30 e io alle 11.30 avevo un corso di formazione.
Non capii un tubo di quel corso, ma ricordo bene la trepidante attesa, l’emozione, perché alla fine mi saresti venuto a prendere per andare a mangiare il sushi a pranzo.
Inspiegabilmente mi sentivo felice e le persone intorno a me se n’erano accorte.
Un pomeriggio ti incontrai in un bar, io ero con un’amica e tu con un collega. Mi ricordo la tua faccia, l’espressione impacciata, le guance arrossate e la tua improvvisa incapacità di continuare a parlare.
Mi ricordo quando una sera, tornando tardi da lavoro, mi hai scritto “Sto passando a salutarti” e io non ci credevo. Tu mi hai mandato una foto del cancello di casa mia e hai aggiunto “Infilati un paio di scarpe ed esci”.
Indossavo il pigiama con gli unicorni, ero spettinata e struccata. Te lo feci notare e, una volta tornato a casa, in un messaggio, mi hai scritto “Non sai che fatica ho fatto a stare buono”.
Volavo, mi sentivo leggera come una piuma.
Poi mi ricordo quell’ultima sera.
Siamo usciti, come tante altre volte mi sei passato a prendere con la macchina, siamo stati in un locale qualche ora e poi siamo andati via.
Eravamo stati fuori dalla nostra città e, mentre rientravamo, hai tirato fuori la storia di quella sera in cui ti diedi buca.
Non ti era affatto passato di mente, così come io avevo pensato.
“Anzi, mi hai fatto diventare più tignoso” mi hai detto, tenendo una mano sul volante, mentre l’altro braccio era piegato e poggiato al finestrino.
Chi mai avrebbe posato anche solo l’ombra di un pensiero su di te? Eppure…sei stato come una sorta di Epifania, una manifestazione improvvisa di qualcosa che hai sempre visto, ma mai in quella luce nuova.
Ci siamo fermati sul lungomare, hai parcheggiato e con una scusa banalissima hai iniziato a prendermi in giro e a farmi il solletico. Ci siamo ritrovati abbracciati. Mi cingevi la vita, tenendomi sulle tue gambe.
Io ricordo che mi sentivo esplodere tanto ero felice.
Ricordo che ad un certo punto, finta offesa, mi sono girata dalla parte opposta alla tua, con le braccia incrociate al petto.
Ricordo che ti sei avvicinato, mi hai abbracciata, mi hai tirata a te e hai poggiato le tue labbra nell’incavo del mio collo.
Siamo stati così un tempo lunghissimo.
Non osasti neanche baciarmi. Eri assorto in qualcosa, lo percepivo, ma non riuscivo a capire in cosa.
Mi ricordo che il giorno dopo era l’8 dicembre. Mi sono svegliata con il tuo odore addosso.
Ricordo di aver pianto, quella mattina, dalla commozione.
Ricordo di aver pianto, la stessa sera, perché eri improvvisamente sparito.
Faceva così male la tua inspiegabile assenza, che per diverso tempo non ebbi neanche il coraggio di scriverti.
Piano racimolai la forza necessaria e ti affrontai, continuavi a dirmi che non era cambiato niente, quando era palesemente falso.
Misi insieme quei piccoli segnali che, nel corso delle cose, avevo ignorato.
Eri solo da meno di un anno, forse ti serviva ancora altro tempo e non te ne eri reso conto.
Non sei mai stato bugiardo, ma capii che impegnarti nuovamente ti stava spaventando e allora ti lasciai andare via.
Abbiamo provato un’altra strada, ma essere realmente amici non ci riesce poi granché.
Sono passati mesi ormai, eppure, ancora mi pungono gli occhi se ripenso a tutto questo.
Raramente capita che ci incrociamo e sovente accade che mi si annodi lo stomaco di rimando.
Chissà come sarebbe andata se…
Un verso del Vangelo recita “Beati i miti, perché erediteranno la terra”.
Ci credo sai? Ci credo davvero.
I miti, quelli che non combattono, perché l’eredità è già loro. Non se la devono guadagnare.
È così che penso l’Amore, quello nato per me.
Odio forzare le cose, l’ho fatto per tanto tempo, avvelenando la mia e altrui esistenza.
In questi casi non serve proprio a niente.
È stata una piacevole parentesi la nostra. Nulla più.

 
 
 
 
Note dell’autrice:
Sta volta credo di non riuscire a dire molto. Non so cosa sia riuscita a passare attraverso le parole di questa shot, ma mi sto rendendo conto che, più che raccontare di altri, ho bisogno di raccontare di me negli ultimi tempi.
Il nome della persona a cui mi rivolgo è volutamente non inserito. Non mi andava di usare uno pseudonimo.
Grazie a chi vorrà leggere e a chi commenterà.
Vi abbraccio tutti,
_Val_
   
 
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