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Autore: Sheep01    23/06/2020    2 recensioni
[IT, Reddie]
Eddie aveva sempre considerato affascinanti le macchine d'epoca, ma non disdegnava mai un secondo sguardo a quelle autovetture un po' datate, di qualche decennio. Gli ricordavano, in qualche modo, gli anni della sua infanzia. Per qualche strana ragione non riusciva mai a rammentare con chiarezza gli anni passati a Derry, ma la Station Wagon color sabbia che possedeva sua madre, quando ancora abitavano in quella sinistra cittadina del Maine, la ricordava eccome.
Per quel motivo, adesso era fermo ad osservare quella Ford Sierra, color rosso sbiadito, parcheggiata sul ciglio della strada. Non doveva stare poi così a cuore al suo proprietario considerata l'usura della scocca e il disordine che regnava sovrano, al suo interno.
Eppure, in una certa misura, quel disordine gli sembrò improvvisamente familiare. E il ricordo di Derry tornò a far capolino nella sua memoria in un assolato pomeriggio californiano.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Parte due

 

Los Angeles, California, 2001

 

Qualcuno avrebbe dovuto avvisare Eddie sul clima della California. Non che non avesse fatto le sue ricerche il giorno in cui la sua superiore gli aveva comunicato che lo avrebbe spedito a Los Angeles, per un seminario formativo di lavoro, al quale non poteva rifiutare di partecipare.

Lavorava per una compagnia di New York da qualche mese, e ancora non era riuscito a godersi il nuovo appartamento in affitto o a disfare gli scatoloni che aveva impacchettato direttamente dal campus universitario.

Fortuna o merito, Eddie non aveva mai voluto indagare sulle congiunzioni astrali che gli avevano permesso di trovare lavoro come giovane consulente finanziario, fresco fresco di laurea.

Si era guadagnano un'indipendenza del tutto inaspettata nel giro di poche settimane. Solo l'idea di dover tornare a vivere con sua madre dopo la laurea, con la speranza di trovare un lavoro sufficiente a mantenerlo, era stato motivo di ansia ancor più di quello dell'idea di dover discutere la sua tesi.

Quando, dopo i primi due colloqui, la compagnia a cui l'università lo aveva indirizzato, gli aveva telefonato per comunicargli che avrebbe cominciato a lavorare per loro la settimana successiva, era quasi svenuto dalla gioia. Aveva dovuto lottare con se stesso per non correre al pronto soccorso, lamentando l'avvento di qualche rara malattia.

Sonia non l'aveva presa bene come avrebbe dovuto. Non gli aveva detto di essere fiera di lui. Si era limitata ad allarmarlo con gli scenari peggiori, nel caso avesse fallito con questo suo patetico tentativo di indipendenza. Una città grande e pericolosa come New York, che lo avrebbe distrutto alla prima difficoltà finanziaria, con i suoi affitti stellari; per non parlare di quanto fosse pericoloso aggirarsi per le strade della grande mela, senza incappare in qualche personaggio debosciato, pronto a scaricarti addosso i proiettili della sua pistola.

La trattativa era stata lunga ed estenuante, ma Eddie era riuscito a sfangarla solo quando le aveva presentato la prima sostanziosa busta paga.

Eddie amava New York, la nevrotica, caotica, multietnica New York, si era sempre chiesto a che servisse viaggiare per il mondo quando il mondo intero sembrava affollarsi già nella città dove aveva deciso di vivere. Ma l'inaspettata proposta di un viaggio a Los Angeles gli aveva scatenato addosso un'emozione strana ed euforica.

Il primo vero viaggio lontano da casa. Forse la prima volta che si spingeva tanto lontano, dall'altra parte degli Stati Uniti, niente meno.

Per quello aveva fatto le sue ricerche, sì. Sapeva che in primavera il clima californiano era molto diverso da quello di New York, che avrebbe fatto più caldo. Ma così caldo, Eddie non lo avrebbe immaginato mai.

 

Era appena emerso da una lunga mattinata di corsi sui rischi finanziari e ancora indossava quel completo elegante da perfetto newyorkese in carriera. Un buon completo: blu scuro, di sartoria, impacchettato appositamente per l'occasione. Se qualcuno gli avesse detto che sarebbero bastati un paio di jeans e una t-shirt, come la maggior parte dei corsisti che aveva incontrato durante la giornata, avrebbe evitato di fare la figura del coglione rileccato e probabilmente avrebbe sopportato meglio la botta di caldo non prevista.

Una volta libero dagli impegni aveva deciso di concedersi una passeggiata per le vie della città, senza tornare subito in albergo. Si era allentato la cravatta, slacciandosi i primi bottoni della camicia, cercando di assorbire un po' di quella vitamina D che il suo medico si assicurava di fargli assumere con degli integratori. Si era sfilato la giacca e soffermato di fronte alla vetrina che prometteva sensazionali gusti di gelato. E improvvisamente aveva realizzato che un gelato era ciò di cui aveva bisogno, che nessuno si sarebbe preoccupato di vietarglielo, per una volta tanto.

Perciò adesso camminava lungo uno di quegli enormi marciapiedi della città, gustando il suo gelato senza lattosio (a Los Angeles sembravano propensi alle alternative salutari), godendosi il resto della giornata, libero da impegni.

 

Fu in quell'occasione che Eddie vide una Ford Sierra dell'82, parcheggiata di fronte a un negozio di articoli musicali. Color rosso sbiadito, consumato dal sole.

Non era un'automobile particolarmente bella o ricercata, datata e in pessime condizioni, senza ombra di dubbio. Si era fermato a sbirciare dentro l'abitacolo, le condizioni dei finestrini non meno disastrose dell'igiene e il caos che regnavano al suo interno. Eppure c'era qualcosa in quell'auto che aveva inspiegabilmente catturato la sua attenzione. Che lo aveva riportato indietro di anni. A Derry, la città in cui era nato e cresciuto, per la maggior parte della sua infanzia.

Non ricordava molto degli anni trascorsi a Derry. A volte non ricordava affatto Derry. Un vuoto di memoria talmente incomprensibile che quando il pensiero veniva catapultato in quel periodo, per qualche assurdo motivo, Eddie si soffermava a chiedersi come mai continuasse sistematicamente a dimenticarsene.

Che a questo giro la memoria fosse stata riportata a galla da una vecchia automobile in pessimo stato, era ancora più indecifrabile.

Infastidito dalla polvere accumulata sul finestrino del retro, se non fosse stato per il disagio di insozzarsi le dita, sarebbe stato tentato di allungare la mano e scrivere a caratteri cubitali un ammonimento per il proprietario.

Lavami!

Una richiesta di aiuto da parte di quella povera macchina che quel disgraziato non avrebbe potuto fare a meno di notare.

«Posso sentire da qui la disperazione di quel cono gelato.»

Una voce alle sue spalle lo fece trasalire e il gelato, che già si stava mestamente sciogliendo lungo la sua mano, a sgocciolare sul marciapiede, accanto alle sue scarpe lucide, gli scappò di mano rovinando al suolo con un suono appiccicoso.

«Merda!», imprecò nemmeno troppo velatamente, agitando la mano per sbarazzarsi delle gocce di crema rimaste intrappolate fra le sue dita. Dovette combattere con se stesso per non portarsele alle labbra e ripulirle con un metodo tutt'altro che igienico.

«Fantastico, guarda che cazzo mi hai fatto fare!», sbottò, un po' per lo spavento di essere stato sorpreso durante una riflessione profonda, un po' perché realmente infastidito di aver sprecato a quella maniera una merenda più che meritata.

«Io? Guarda che hai fatto tutto da solo», una risata mal trattenuta nella voce dell'uomo lo spronò ad alzare su di lui uno sguardo furente.

«Se non avessi deciso di sorprendermi alle spalle e rischiare di farmi venire un maledetto infarto!»

Lo accusò prima ancora di prendersi del tempo per esaminare chi si trovasse di fronte: un uomo alto, dalle spalle massicce, il viso aperto e canzonatorio. Indossava un paio di occhiali dalla montatura importante e la peggior combinazione di vestiti su cui avesse mai posato lo sguardo. Che diavolo di problema avevano i californiani con quelle maledette camicie floreali?

«Stai per avere un infarto?» gli chiese, inarcando un sopracciglio, un po' perplesso.

«No, non credo», gli rispose, vagamente preso in contropiede dalla domanda e da un'improvvisa sensazione di déjà-vu, «ma questo non ti dà il diritto di sbucare alle spalle della gente in questo modo».

«È una nuova legge della California di cui non sono a conoscenza, agente?»

«Agente?»

«Non so, mi parli di diritti e sei vestito in questo modo», lo squadrò in modo esplicito, «o sei un agente dell'FBI in libera uscita oppure sei uno di quei fighetti di New York».

Centro.

Eddie si sentì inondare di imbarazzo.

«Ci ho preso, vero? Sei di New York», l'uomo sembrò talmente soddisfatto della sua intuizione che Eddie cominciò a fumare di rabbia.

«Ma levati di mezzo...» tronfiò a mezza bocca, deciso a mettere fine a quella sgradevole conversazione.

«Lo farei anche, ma si dà il caso che quella sia la mia macchina e che tu ti ci sia piazzato proprio di fronte.»

Eddie si voltò allarmato, rendendosi conto di essere praticamente a pochi centimetri dalla portiera. La macchina di quell'uomo che era stato sorpreso a sbirciare.

«Oh, io... sì, bè... al d-diavolo...» si scostò con un passo malfermo, improvvisando un ridicolo balletto con lo sconosciuto per capire da che parte rifarsi per scansarlo.

«Richie! Ehi, Richie!» un ragazzo era appena uscito dal negozio di articoli musicali con un sacchetto fra le mani, attirando l'attenzione dello sconosciuto. Eddie sgattaiolò di lato, finalmente fuori dalla sua ombra.

«Hai dimenticato i tuoi CD sul bancone. Li hai pagati e te li sei dimenticati, che testa che hai.»

«Che vuoi farci, sono un uomo generoso: pago e non riscatto la merce», risero entrambi ma Eddie si trovò a scrutare lo sconosciuto dai vestiti sgargianti con occhi diversi.

Richie.

Il nome aveva fatto scattare un nuovo campanello d'allarme. Ad alimentare di nuovo quella straordinaria sensazione di déjà vu. Accesa da quella Ford Sierra dell'82 e poi spronata dall'irriverenza di quel...

«Richie...» mormorò, lasciando che quella parola gli carezzasse la lingua, attivando le ultime sinapsi.

L'uomo si volse nella sua direzione, fra le mani una busta con i CD che gli erano appena stati restituiti.

«Sì? È il mio nome, ma attento a non sciuparlo...» gli rispose, ma nel suo tono c'era adesso qualcosa di incerto.

«Richie... Tozier. Sei Richie Tozier?» domandò Eddie, mentre l'immagine di un ragazzino poco più che tredicenne si sovrapponeva a quella dell'uomo che aveva di fronte.

«Eddie... ?» anche i suoi occhi che sembravano avidamente cercare qualcosa, dietro le lenti dei suoi occhiali, «Eddie Spaghetti!»

«Kaspbrak, il mio cognome è Kaspbrak!»

La protesta però non fu che un altro di quei riflessi incondizionati, il soprannome più familiare di quanto riuscisse ad ammettere.

«Eddie Kaspbrak, ma certo! Sarà un secolo che non ci vediamo, ma sei rimasto tale e quale, come ho fatto a non riconoscerti?», esclamò Richie, in un eccesso di entusiasmo. Aveva abbandonato quell'aria canzonatoria, a un terzo testimone sarebbe sembrato assolutamente estatico dell'incontro, «Non sei cresciuto di mezzo centimetro».

«Ma vaffanculo», lo apostrofò Eddie e poi si morse la lingua, affatto sicuro che rivedere dopo anni un vecchio amico di infanzia gli permettesse di recuperare tanto facilmente certe dinamiche infantili.

Ma Richie aveva cominciato a ridere e gli era andato incontro per un abbraccio che a Eddie sembrò di attendere da una vita intera.

Richie era enorme. Molto più di quanto ricordasse. Non che rammentasse molto degli anni della loro infanzia, ma abbastanza da ricevere quella confortante sensazione di ritorno a casa.

Il suo odore poi. Era sempre lo stesso? Come faceva a ricordare così bene il suo odore?

«Che diamine ci fai a Los Angeles? Chiaramente sei appena arrivato, non esiste che tu sia agghindato in questa maniera e viva da queste parti, senza essere stato brutalizzato da chiunque.»

Eddie si scostò frettolosamente, impacciato.

«Sono qui per lavoro. Una settimana di convegni formativi», gli spiegò senza entrare nello specifico. Confuso dalla sua presenza, non riusciva a smettere di guardarlo, per poi scostare lo sguardo, a disagio, e passarsi la giacca da una mano all'altra.

«Dio, il piccolo Eddie è cresciuto. Lavoro, convegni formativi, un vestito da pinguino... dove sono finiti i pantaloncini corti e il marsupio?»

«Chiaramente non più articoli per un adulto», ribatté vagamente infastidito.

«Non per un adulto di New York, ma qui...» fece cenno a un uomo di straordinaria stazza, che stava passando loro accanto: sfoggiava un paio di imbarazzanti shorts azzurri e un marsupio a tracolla sulle spalle.

Eddie si passò una mano sul viso, camuffando un sorriso con un verso seccato.

«Bè, chiaramente non più articoli per me.»

«Aw, che peccato, me le ricordo ancora quelle tue gambette secche.»

Eddie gli scoccò un'occhiata di fuoco.

«Tu invece non sei cambiato per niente. Stesso gusto per i vestiti ripescati a casaccio dall'armadio e battute di pessimo gusto, Boccaccia.»

«Te lo ricordi ancora! Sapevo che prima o poi qualcuno mi avrebbe ricordato da dove diavolo arrivasse il mio nome d'arte.»

Eddie gli rivolse uno sguardo perplesso. Boccaccia era stato il nomignolo con cui lo avevano sempre chiamato dacché si conoscevano. Eppure gli parve di averlo ricordato davvero solo in quell'istante.

Si passò una mano fra i capelli.

«Non te lo ricordavi?» gli chiese, cercando la sua approvazione, una sorta di riconoscimento.

Richie scosse la testa. «Non proprio», gli confessò perdendo quel sorriso un po' sghembo, «Non te la prendere a male, amico ma devo essere sincero con te: fino a dieci minuti fa non ricordavo nemmeno di averti mai...»

«Conosciuto», concluse per lui la frase.

Ci fu uno scambio di sguardi che dissero a Eddie più di quanto avrebbero potuto fare le parole. Era successo qualcosa a Derry, qualcosa di grosso. Qualcosa che, per qualche motivo, aveva portato loro a dimenticare.

A dimenticarsi l'uno dell'altro, a dimenticare... come si chiamava quel ragazzo con la balbuzie? Wallace? William. Bill. E gli altri. Diversi... altri.

«Per quanto resterai a Los Angeles?», una domanda che permise a Eddie di tornare al presente, più che concentrarsi su quel passato nebuloso.

«Una settimana».

«Un'intera settimana nella città delle celebrità», disse Richie con un mezzo inchino, «senti, se mai avessi del tempo libero...»

«Non ho mai impegni la sera», rispose così rapidamente che non ebbe il tempo di riflettere su quanto potesse sembrare patetico, «voglio dire...»

Richie sbuffò una risata. «È okay Spaghetti, stavo proprio per chiederti se ti andasse di uscire a bere qualcosa, una sera di queste. Rivangare i bei tempi andati, aggiornarci sulle nostre straordinarie esistenze da uomini adulti e responsabili, eccetera eccetera eccetera...»

«Richie e responsabilità nella stessa frase non si può proprio sentire.»

«Ouch, come osa, signor Kaspbrak».

Eddie scosse la testa e recuperò il proprio cellulare.

«Dammi il tuo numero», gli chiese con aria pratica.

«Autoritario...» commentò Richie con un sorriso impressionato. Poi cominciò a dettarglielo.

 

Si diedero appuntamento quella sera stessa.

Un locale che Richie sembrava conoscere piuttosto bene, data la confidenza che mostrava con il personale.

«Ogni tanto mi esibisco qui, con alcuni pezzi di stand-up comedy, sai...» gli aveva risolto il dubbio dopo l'ennesima manifestazione d'apprezzamento da parte di un gruppetto di ragazzi seduti al bancone.

Gli raccontò di come, una volta trasferito in California con i suoi genitori, avesse frequentato l'università per un intero semestre prima di trasferirsi a Los Angeles e darsi al teatro. Di aver ottenuto un lavoro per una radio locale che gli permetteva almeno un paio d'ore al giorno in totale libertà di parola, mentre il resto della settimana si destreggiava fra esibizioni sui palchi di alcuni locali e provini che, per il momento, non gli avevano portato grossi successi; eccetto quella volta che era riuscito a ottenere un ruolo come guest star in una sit-com che gli aveva permesso di pagare l'affitto del suo monolocale di periferia per almeno cinque mesi in un'unica soluzione. Una vita piuttosto frenetica, piuttosto disordinata. Una vita che non avrebbe visto diversa per un tipo come Richie.

Non gli sembrava particolarmente felice, però. O quantomeno, non soddisfatto come si aspettava che fosse.

«È che quella dello spettacolo è una via tortuosa da intraprendere, sai? Spesso non basta il talento, ci vogliono le botte di culo. O dare via il... culo, se capisci che intendo.»

Eddie si era ritrovato ad alzare gli occhi al cielo e poi ad annuire come se ci potesse davvero capire qualcosa. La sua vita si era svolta con una linearità così banale che quasi si vergognava di dovergliela raccontare. Aveva ottenuto una sottospecie di indipendenza che non avrebbe scambiato con niente altro al mondo, ma non riusciva a dirsi del tutto soddisfatto di quello che aveva ottenuto. Non ancora almeno. Liberarsi delle sue paure e delle sue ipocondrie era la priorità, ma la strada era ancora piuttosto lunga. Non riusciva a vederne la fine.

Aveva sempre vissuto con quell'assurda sensazione che gli mancasse qualcosa di fondamentale. Un tassello che aveva smarrito in qualche luogo oscuro.

E solo parlando con Richie, lentamente si era reso conto che quel tassello doveva essere rimasto intrappolato nelle pieghe del tempo. In quel passato che, per qualche ragione, ancora non riusciva del tutto a mettere a fuoco.

Aveva ricordato con Richie della loro infanzia a Derry, delle estati alla cava, ai barren. Erano riusciti a dare un nome a tutti i ragazzini che avevano frequentato durante quegli anni. Erano persino riusciti a riportare alla memoria anche alcuni degli episodi più stupidi che li avevano visti protagonisti, durante quegli anni. Eppure la sensazione che ci fosse ancora qualcosa nascosto dietro i ricordi della fitta vegetazione dei barren, restava. La cosa cominciava a diventare frustrante. Oltre che spaventosa, per certi versi.

Ma stare con Richie gli piaceva. Aveva dimenticato come si sentisse a suo agio in sua presenza.

Dopo i primi strani, imbarazzanti scambi di battute ormai riuscivano a chiacchierare come se non si fossero separati mai. Ritrovando dinamiche che, realizzava solo in quel momento, gli erano mancate come l'aria. Amici come Richie, come Bill, come Mike, Ben, Beverly e Stan, non li aveva ritrovati mai più. E questo era un fatto. Patetico, ma un fatto. Era convinto di riuscire a esprimere sempre la parte migliore di sé, in compagnia dei suoi amici.

«Chissà che fine hanno fatto tutti gli altri...», domandò Richie, sorseggiando quello che restava del suo bourbon. Un alcolico sofisticato per un ragazzo che Eddie ricordava ancora sporco di gelato al cioccolato e che sfidava gli altri a mangiare insetti.

«Se non ricordo male Mike viveva ancora a Derry, quando mia madre ed io ci siamo trasferiti.»

«Sonia! Come ho fatto a dimenticare la mia signora Kappa del cuore.»
«Non cominciare, Richie.»

«Non posso cominciare un bel niente, se in realtà non ho mai smesso di amarla, inconsciamente, per tutti questi anni.»

Eddie alzò gli occhi al cielo, decidendosi a recuperare la sua birra per un sorso rapido, nelle speranza che Richie abbandonasse quella stupidissima linea di condotta, se non gli avesse dato corda.

«Come sta? Chiede ancora di me?», evidentemente ci voleva ben altro per fermarlo.

«Come no? Ogni mattina. Mi chiama apposta per chiedermi come sta quel caro ragazzo dei Tozier.»

«Lo sapevo», rispose con occhi sognanti, fingendo di asciugarsi una lacrima, «questo significa che sei riuscito ad abbandonare il nido materno? A spiccare il volo?»

La domanda era più seria di quanto Richie volesse far trasparire. Si chiese quando e quante volte avessero già affrontato un argomento simile, in passato.

«Da quando ho iniziato l'università. Non è stato facile», si rigirò fra le mani il boccale di birra, lanciandogli uno sguardo intimidito. Ma Richie sembrava così soddisfatto della risposta che l'imbarazzo dell'argomento sfumò via molto rapidamente. Un'altra di quelle sensazioni famigliari. Cominciavano a essere diverse, tanto che prese a sentirsi a disagio per qualcosa che era certo di non ricordare ancora a dovere.

«Quindi ora vivi a New York? Un appartamento a Manhattan nell'Upper East Side?»

«Certo che no, ho dimora fissa all'Hotel Hilton a Midtown», gli lanciò addosso una nocciolina, «vivo in un appartamento a Brooklyn, per il momento».

«Ah! Per il momento. Conti di fare i big money nella finanza, mh?»

«Come se tu non ti fossi già preparato il discorso per gli Oscar».

Richie lo guardò impressionato, prima di portarsi una mano al cuore: «non so che diavolo vi siate fumati all'Academy per aver preso questa decisione di merda, ma ora che Richie Tozier ha ricevuto un Oscar dovrete convivere con il fatto che lo rinfaccerò a chiunque per il resto dei vostri giorni. Peace.»

Eddie, si ritrovò a ridacchiare: «Questo discorso fa schifo.»

«L'alternativa è quella di non presentarsi a ritirare l'Oscar ma chiedere a un Muppet di farlo per me. Momenti di altissima televisione.»

«Marlon Brando manda un nativo americano, Richie Tozier un Muppet. Memorabile.»

Richie annuì, finendo tutto d'un fiato il suo drink.

«E ci vivi tutto solo a New York? Coinquilini?», tamburellò le dita sulla superficie del tavolo, «... fidanzate?»

Eddie rialzò lo sguardo, intercettando quello di Richie. Non sembrava voler alludere a niente di specifico ma la domanda ebbe il potere di scatenargli un brivido lungo la schiena.

«Uhm... no. Vivo da solo», rispose stringato, in un modo nell'altro non era sicuro di voler davvero approfondire l'argomento. Nè dover spiegare a Richie che razza di disastro fosse la sua situazione sentimentale. Sapeva per certo di essere ancora esageratamente confuso a riguardo.

«Già, è più pratico, vero?», si sentì rispondere, in modo rumoroso e gioviale, come se Richie, intuendo i suoi pensieri cupi, avesse voluto spazzarli via con un'affermazione del tutto fuori registro, «ho avuto una quantità di coinquilini immonda da quando mi sono trasferito a Los Angeles, quando uno di loro ha fritto il mio lettore CD nel forno a microonde, mi sono detto: Richard, forse è il caso che trovi un posto dove friggerteli da solo i tuoi lettori CD. E quindi... mi sono trovato un monolocale. Piccolo e stipato di roba, ma non è che ci passi poi così tanto tempo in casa, quindi.»

Eddie sorrise appena, e se l'immaginò fin troppo nitidamente Richie nel suo monolocale, pieno di libri, dischi e scatoloni non ancora del tutto sistemati. Ricordava la sua camera da letto a Derry, il caos regnava sovrano. Eppure anche quello era così da Richie. Anche quello era Richie. Come lo era quella Ford Sierra con la quale gli aveva promesso di riaccompagnarlo in albergo, più tardi.

 

«Non posso crederci che tu abbia ancora questa macchina», si ritrovò a dirgli un paio di ore dopo, seduto a bordo del sedile del passeggero. Erano le undici passate e Eddie aveva a malincuore dovuto chiedere a Richie di rimandare a un altro giorno il resto delle conversazioni. La mattina successiva avrebbe dovuto affrontare un'altra sessione di corsi sulla finanza e non poteva permettersi di arrivarci con la mente ottenebrata dall'alcool o peggio, dalla mancanza di sonno.

Anche l'auto aveva l'odore di Richie. Odore di sigarette e di un'economica acqua di colonia.

Aveva dovuto scansare un paio di scarpe e dei giornali a terra, prima di potersi sedere comodamente.

«Potrei anche permettermene una nuova, a dire il vero, ma non sono sicuro di volermi sbarazzare ancora di questa anziana signora. Non mi ha mai lasciato a piedi...» disse con un sorriso sulle labbra.

«Ci scarrozzavi ovunque in giro, a Mike e me. Sei stato il primo ad avere la macchina», rammentò Eddie. Man mano che le ore passavano, i ricordi sembravano tornare sempre più rapidamente, sempre più chiari. C'era sempre qualcosa che gli sfuggiva. Qualcosa che, se si intestardiva a forzare la mano, lo ricacciava indietro con violenza.

«Già... me lo ricordo. E ricordo anche che dovevo sempre parcheggiare all'angolo per impedire che tua madre ti vedesse salirci. Non ti avrebbe mai permesso di farlo.»

«Puoi scommetterci la tua camicia a fiori. Mi avrebbe rinchiuso in camera fino alla maggiore età, se solo avesse saputo.»

Richie scoppiò a ridere, parcheggiando la macchina a pochi isolati dall'hotel in cui soggiornava Eddie.

«Per non parlare di quello che avrebbe fatto se solo avesse saputo che al ballo di fine anno non ci sei andato mai.»

Eddie sgranò gli occhi.

«Cristo Santo, me l'ero scordata la serata del ballo di fine anno.»

«Sì, fino a ieri ero convinto di essere rimasto a casa a guardare qualche filmaccio horror in seconda serata e ingozzarmi di patatine al formaggio. Invece ero fuori a scarrozzare i miei amici, con un sacco di lattine di birra nel bagagliaio.»

Eddie si ritrovò ad annuire: «Non credo nemmeno di averla assaggiata quella birra.»

«Sei sempre stato morigerato, mio caro Spaghetti, ma ci siamo divertiti lo stesso. Abbiamo insultato Derry e poi è stata la sera in cui vi ho detto che...»

«... te ne saresti andato alla fine dell'estate», concluse Eddie per lui. Anche questo cominciava ad accadere un po' troppo spesso. Le parole di un Richie diciottenne che gli riecheggiavano nelle orecchie, in un'eco lontana ma limpida. Rammentò tutto d'un tratto il terremoto che quella notizia aveva portato nella sua vita. Ne provò dolore fisico, come una ferita ancora aperta che veniva improvvisamente stuzzicata.

I ricordi cominciarono ad affastellarsi uno sopra l'altro, a srotolarsi in modo confuso e sbalorditivo. L'attacco di panico, Richie e Mike che cercavano di tranquillizzarlo, Richie che lo riaccompagnava a casa.

Un bacio.

Persino Richie si era zittito, le mani ancora posate sul volante che ora sembravano aggrapparcisi come per non precipitare in qualche turbine oscuro.

Si volse a guardarlo e si rese conto che Richie lo stava fissando. Non gli ci volle molto per capire che un simile flusso di ricordi doveva aver colpito anche a lui. Gli occhi sgranati dietro le lenti di quei suoi grossi occhiali che cercavano una spiegazione, una risposta, una confessione.

Come aveva potuto dimenticarlo? Lo aveva rimosso anche Richie? Nessuno sarebbe stato tanto bravo da nasconderlo per tutta la serata. Sarebbe emerso dall'imbarazzo latente, da qualcosa che Eddie non aveva davvero colto in quelle due ultime spensierate ore.

Sapeva di voler bene a Richie, di avergliene sempre voluto. Aveva ricostruito mentalmente il legame che avevano intrecciato, durante tutto il corso della serata. Ma adesso ricordava cos'era quella sensazione a cui non era riuscito a dare un nome. Adesso ricordava di essere stato, in una qualche misura, innamorato di lui. Di aver sofferto il distacco, come un doloroso strappo, il giorno in cui Richie se n'era andato da Derry. E di averne subito le conseguenze per giorni e giorni... di non essere mai riuscito a spiegarsi perché Richie non avesse mai più cercato di contattarlo, dopo.

Per un istante gli sembrò che Richie fosse sul punto di dire qualcosa, e improvvisamente ebbe il terrore di quello che avrebbe potuto uscirgli dalle labbra. Una scusa? Una patetica scusa? Oppure si stava solo immaginando tutto quanto e Richie non ricordava un accidenti di niente delle ultime settimane a Derry? Non ebbe la forza di indagare quale delle due soluzioni l'avrebbe abbattuto con più ferocia.

«Grazie per il passaggio, Richie, ma ora devo proprio andare», si sentì rispondere, come se la tua testa e le sua labbra avessero preso direzioni diverse. Come se il suo corpo avesse deciso di risparmiargli un'umiliazione o l'ennesima sofferenza.

Vide Richie ritrarsi, divenire piccolo, minuscolo, per quanto fosse possibile per un uomo della sua stazza.

«Nessun problema, Eddie», lo sentì ribattere mentre Eddie apriva la portiera e scendeva dall'auto senza quasi avere la forza di guardarlo di nuovo.

«Ci sentiamo, presto d'accordo? Buonanotte Richie», disse, indugiando con un piede sulla strada e l'altro sul marciapiede.

«'notte Eds...».

Senza voltarsi indietro Eddie aveva preso a camminare verso l'hotel. Il cuore che batteva così forte che quasi non riusciva a sentire il rumore dei propri passi sull'asfalto.

 

Seguire i corsi, il giorno successivo non fu affatto semplice. La sua capacità di concentrazione andava a farsi benedire ogni cinque minuti, ogniqualvolta il pensiero tornava inevitabilmente alla serata precedente. A Richie.

Non era nemmeno riuscito a chiudere occhio, quella notte, al pensiero che forse non avrebbe dovuto scappare a quella maniera. Indagare se anche per lui i ricordi erano tornati alla stesso modo.

Era vero, dopo la sua partenza Richie non si era fatto più sentire, ma non era forse anche vero che il giorno in cui lui e sua madre se ne erano andati per sempre da Derry, i ricordi di quel posto erano diventati nebulosi nel giro di pochissimo tempo? Si era ripromesso di sentire Mike, una volta che avesse messo piede nella casa nuova, ma poteva dire di averlo contattato davvero?

Più ci pensava, più gli sembrava pazzesco. Più cercava di rammentare l'esatto momento in cui aveva cominciato a dimenticare, più quel velo nebuloso di ricordi ancora gelosamente custoditi là dietro, lo intimava di starsene alla larga.

Doveva essere successo qualcosa a Derry. Aveva sentito parlare di memoria selettiva, di amnesie repentine a seguito di un fatto traumatico. Ma possibile che questa cosa avesse coinvolto tutti gli amici che aveva avuto nell'arco dell'infanzia? Forse avrebbe potuto chiedere a sua madre. Gli sembrò una pessima idea l'istante successivo in cui aveva formulato il pensiero.

Forse avrebbe solo dovuto parlare con Richie.

Forse avrebbe dovuto farlo già la sera precedente, invece di abbandonarlo senza alcuna spiegazione.

Vigliacco. Era stato un vigliacco.

Che importava se Richie non si sentiva più a quella maniera nei suoi confronti? Che quello che era successo fra loro fosse un ricordo che doveva starsene relegato a quelle straordinarie settimane estive della loro adolescenza? Non aveva bisogno di una riconferma di quegli stessi sentimenti. Già l'aver compreso dove stava il segreto della sua confusione nei confronti del sesso, delle donne, gli sembrava un passo avanti piuttosto consistente.

Era stato innamorato di Richie. E poteva dire con una certa sicurezza che non avesse niente a che fare con la sperimentazione, con la solitudine. Era sempre... stato innamorato di Richie. Ma era anche il suo migliore amico. Uno dei migliori che avesse mai avuto. E il pensiero gli dava una sensazione di conforto. Non era quello l'importante? Più di ogni altra cosa? L'aver ritrovato Richie. A prescindere da tutto.

Perciò, quella stessa sera, una volta precipitato fuori dalla sessione di corsi pomeridiani, dei quali non aveva capito un accidenti di niente, Eddie aveva recuperato il suo cellulare e chiamato Richie.

«Eddie, ciao...» gli rispose questi con voce incerta, dall'altro capo della cornetta. Come non si aspettasse una telefonata simile, dopo la brusca conclusione della serata precedente.

Eddie cercò di non farsi intimidire dal suo tono. Non aveva alcuna intenzione, questa volta, di scappare.

«Ehi, Richie. Mi chiedevo se fossi libero questa sera.»

Una pausa un po' più lunga del previsto che per un istante gli fece pensare il peggio.

«Per te sempre, mio caro Eds», un sorriso; poteva sentire il sorriso, nella sua voce, ora. E il sollievo nel proprio cuore.

«Non chiamarmi Eds, lo sai che lo odio», lo rimproverò bonariamente. Un'altra delle cose che aveva dimenticato.

«D'accordo, Spaghetti. Preferisci vederci da qualche parte o... ? Ho noleggiato un dvd e stavo decidendo se ordinarmi una pizza ma...»

«Una pizza. Sì, mi andrebbe una pizza», gli rispose, «mandami un messaggio con il tuo indirizzo di casa.»

«Autoritario», rispose Richie. E come la volta precedente, cedette alla sua richiesta.

 

L'appartamento di Richie era esattamente come Eddie se l'era immaginato: piccolo, senza stile e stipato di roba. Quello che non aveva previsto però, era la cura con cui sembrava aver riposto su vari scaffali una quantità inverosimile di libri, dvd, dischi in vinile e CD. Non ammassati senza una vaga collocazione logica, ma ordinatamente disposti secondo categorie precise.

Richie lo aveva accolto sulla porta di casa con un paio di bermuda rosa acceso e una consunta maglietta di Whitney Houston che doveva aver visto giorni migliori.

«Benvenuto... in mia dimora...», esordì, con un inchino, un pessimo accento dell'Europa dell'est e un vago accenno a canini vampireschi.

«Non ho mai visto un vampiro con i segni dell'abbronzatura, ma potresti lanciare una moda», gli rispose con una battuta, per nascondere l'agitazione.

Appena sceso dal taxi che lo aveva accompagnato lì era sicuro di essere in procinto di vomitare, tanta era la nausea per l'ansia. Ma ora che ce lo aveva di fronte, la tensione sembrava essere lentamente scemata.

«Perché la concezione che avete dei vampiri è del tutto retrograda e fondata su leggende metropolitane.»

Eddie scosse la testa e si infilò le mani nelle tasche dei pantaloni, per poi sfilarle di nuovo e intrecciare le braccia al petto, come non sapesse che farsene di quelle due appendici inutili.

«Non scherzavi quando dicevi che il monolocale era piccolo», commentò, guardandosi attorno.

«È più pratico da tenere in ordine. Mangiare, dormire e lavorare senza doversi nemmeno spostare. Avesse avuto il cesso accanto al divano sarebbe stato l'appartamento dei sogni.»

«Sei disgustoso, Richie...» disse, trattenendo però a malapena una risata.

«Modestamente», sorrise, «Prendi qualcosa da bere? Non ho molto in casa ma possiamo ordinare delle birre, assieme alla pizza», lo guardò andare dritto al frigorifero e tirare fuori un paio di lattine di Coca Cola, «queste vanno bene? Ricordo male o avevi un sacco di allergie, da ragazzino?»

«Molte delle quali del tutto fasulle...» lo corresse, andandogli incontro. La cucina era minuscola come tutto il resto. E il tavolo accanto ai fornelli era così piccolo da essere occupato quasi del tutto dal laptop di Richie. Era ancora acceso e Eddie immaginò che lo stesse usando poco prima che arrivasse. Gli aveva detto di lavorare spesso ai pezzi che presentava ai suoi spettacoli di stand-up. Si chiese che tipo di comicità dovesse aspettarsi da uno come Richie. Irriverente e piena di imitazioni poco politically correct, su questo poteva contarci.

«Oh, giusto...» lo sentì dire, versando la bibita in un bicchiere pulito, «quindi suppongo non avrai più nemmeno con te quel tuo ''polmoncino'' per l'asma».

Il polmoncino, da quanto tempo Eddie non sentiva più chiamare a quella maniera il suo vecchio inalatore?

Alzò lo sguardo su Richie.

«Ci avevi fatto l'abbonamento alla farmacia dei Keene. Oddio, te lo ricordi il signor Keene? Quel vecchio bavoso. Se ci ripenso adesso sono sicuro che gli piacessero i ragazzini a quello schifoso», si rese conto che Richie continuava a parlare. A parlare per impedirsi di pensare. A parlare per impedire a Eddie di capire che diavolo gli passasse per la testa.

Un tratto di Richie che non aveva dimenticato. E che gli dimostrava quanto dovesse essere nervoso.

E se Richie era nervoso... era perché...

Probabilmente aveva ricordato anche lui quello che era successo la sera del ballo di fine anno.

E se aveva ricordato ma non aveva rifiutato di vederlo e non aveva imbastito scuse per non invitarlo a casa sua...

Questo gli diede una spinta di inaspettato coraggio.

«Richie», cercò di interromperlo durante un colorito monologo che raccontava le sue recenti disavventure farmaceutiche con un tizio di Los Angeles. «Possiamo parlare un momento?»

Richie posò sul tavolo i bicchieri colmi di Coca Cola con uno sguardo un po' confuso.

«Non stiamo già... parlando?»

Eddie sospirò con forza.

«Intendo dire... possiamo parlare di quello che è successo ieri sera?»

«Che cosa è successo... ieri sera?»

Si umettò le labbra, innervosito. Richie non sembrava propenso a rendergliela semplice.

«Ti prego, Richie. Non dirmi che non te ne sei ricordato anche tu», disse, guardandolo direttamente in viso. Le gambe un po' gli tremavano e la sensazione di nausea che aveva represso non appena sceso dal taxi era tornata, «a quello che è successo la sera che ci hai detto che tu e la tua famiglia vi sareste trasferiti in California, a quello che è successo quando mi hai riaccompagnato a casa. A quello che è successo i giorni successivi», concluse, per evitare di lasciare spazio a dubbi. Non voleva arrivare ad essere più esplicito di così, non era sicuro di poterci riuscire senza sprofondare d'imbarazzo o umiliazione se solo si fosse sbagliato sulla memoria di Richie.

Ma quando lo vide stringersi nelle spalle e arretrare fino a colpire con la schiena il bancone della cucina, come non si aspettasse di trovarci una barriera lì, tornando a farsi piccolo, minuscolo, come aveva fatto la sera precedente, Eddie ebbe la conferma che anche lui ricordava. Come si sentisse a riguardo però, era ancora troppo difficile fa capire.

«Eddie, perdonami», disse e le sue scuse arrivarono inaspettate e vagamente allarmanti, «non so come abbia potuto dimenticarlo per così tanto tempo. Ti giuro che... non so che è successo.»

E finalmente capì che quello che Richie cercava di nascondere era un latente, mostruoso senso di colpa. Come se fosse stato l'unico ad aver dimenticato, per tutti quegli anni.

«Ti giuro che mi ero ripromesso di chiamarti. Di scriverti. Non so come mai non l'abbia fatto. È che quando me ne sono andato da Derry è come se... non ci avessi mai vissuto. La città, i miei amici... persino tu, siete spariti inspiegabilmente dalla mia memoria per tutti questi anni.»

La sua spiegazione più familiare di quanto gli piacesse ammettere.

«Io... mi dispiace Eddie, mi dispiace davvero...»

«No...», lo interruppe Eddie, andandogli incontro di nuovo, ma non si fermò quando lo vide irrigidirsi, «Richie, non sono venuto qui per fartene una colpa... la cosa assurda è che non ricordavo nulla nemmeno io. Che... non me ne sono ricordato fino a ieri sera», lo guardò dritto negli occhi. Come aveva potuto dimenticare qualcuno che gli risultava così familiare? I suoi occhi, così rassicuranti, la sua presenza così confortante.

«Com'è possibile?» lo sentì pronunciare a mezza voce.

Eddie scosse la testa: «Non lo so. Ho sempre pensato di non aver avuto un'infanzia che valesse la pena ricordare.»

Guardò Richie annuire, concordando sulla stessa identica considerazione.

«Devi aver pensato di essere stato sedotto e abbandonato...» commentò Richie, il tono che cercava disperatamente di essere leggero ma che tradiva una fortissima emozione.

«In realtà ero convinto tu avessi cercato di spezzarmi il cuore, Boccaccia.»

Non gli era decisamente uscita stupida come si aspettava. Si chiede solo in seguito come avrebbe potuto uscirgli ironica, quando in parte era vero che il silenzio di Richie in California gli aveva spezzato il cuore.

Ma fu solo quando il sorriso forzato di Richie si spense e le sue spalle presero a tremare di un'emozione tutt'altro che felice che si rese conto di avergli appena sganciato addosso un micidiale knock down.

A Eddie furono sufficienti due passi per raggiungerlo e avvolgerlo in un abbraccio impetuoso che non riusciva nemmeno a raccoglierlo tutto, tanto era grosso. Ma non fu certo un dettaglio simile a impedirgli di stringerlo con forza, per fargli capire quanto gli fosse mancato e di quanto poco lo incolpasse per ciò che era successo.

Si rasserenò solo quando le braccia di Richie gli furono attorno e il suo calore lo avvolse in modo così totalizzante che tutti i pezzi del puzzle finalmente sembrarono tornare al loro posto.

E quando sollevò la testa per poterlo guardare negli occhi e raggiunse le sue labbra per poterle baciare ancora... e ancora, seppe di essere davvero tornato a casa.

 

Eddie non aveva mai pensato al sesso come qualcosa di particolarmente divertente. Le poche, disastrose relazioni che aveva intrapreso durante gli anni del college avevano saldato questa sua convinzione, tanto da portarlo a credere che ci fosse qualcosa che non andava in lui. Se solo si fosse soffermato più a lungo a pensare che non c'era proprio niente di sbagliato o immorale a non sentirsi particolarmente attratto dalle donne e avesse fatto più attenzione ai segnali contrari che gli dava la sua coscienza, forse si sarebbe risparmiato un sacco di domande, a riguardo. Avrebbe scacciato con violenta rapidità tutti quegli anni di dissennati pregiudizi che gli avevano spinto in gola a forza quanto potesse essere sbagliata l'omosessualità.

Andare a letto con Richie gli aveva di colpo spalancato le porte della conoscenza. Il sesso poteva essere divertente, e piacevole. E assolutamente annichilente. Solo un paio di ore con Richie gli avevano insegnato più di se stesso di quanto non aveva mai saputo fare la vita in venticinque anni.

Aveva dimenticato cosa si provasse a baciare Richie, a toccare Richie.

Era sempre stato Richie a risvegliarlo da quel suo stato di incoscienza sessuale.

Dio solo sapeva se avrebbe trovato attraenti altri uomini, quando Richie gli sembrava tutto ciò di cui avesse sempre e solo avuto bisogno.

Forse c'era un nome specifico per quel tipo di sentimento. Ne aveva già individuato l'origine, in realtà, quando aveva ammesso con se stesso di essere stato innamorato di lui - come un ragazzo di diciassette anni può esserlo della sua prima cotta - ma non voleva azzardarsi troppo a pensarci, per il timore di insozzare quella parola, ora che tutte le sue attenzioni erano rivolte al corpo nudo di Richie al suo fianco. E tutto ciò che anelava al momento era averlo addosso, di nuovo. Di sentire il suo peso addosso, di sentire il suo odore addosso. Di permettere alle sue mani di accarezzarlo come nessuno aveva fatto mai. La sua bocca accoglierlo così come nessun uomo, aveva fatto mai.

«Perché mi guardi in quel modo, Spaghetti?», gli chiese lui all'improvviso, voltandosi nella sua direzione. Allungò un braccio per attirarlo a sé. Il suo corpo ancora così dolorosamente caldo, umido di sudore.

Eddie non era sicuro di poterlo gestire ancora a lungo, senza sentirsi sopraffatto in modo irreversibile.

«Mi fa strano vederti senza occhiali», imbastì una scusa, la prima che gli venne in mente. Anche se in parte era vero: raramente aveva visto Richie senza occhiali. Il più delle volte succedeva perché si stavano baciando. Ma aveva sempre gli occhi chiusi, quando lo facevano.

«Sarebbe un po' strano tenerli addosso mentre ti scopo.»

«Richie, ma che cazzo...» si trovò ad alzare gli occhi al cielo e arrossire senza averlo preventivato.

«Cosa?», lo sentì ridere. Era patetico sentirsi sciogliere al suono della sua stupida risata? Due ore e si era trasformato in un pappamolla da romanticismo ottocentesco, «ho avuto il tuo cazzo in bocca fino a cinque minuti fa e arrossisci alla parola: scopare?»

«Beep Beep, Richie», si allungo per tirare quei quattro peli che gli erano cresciuti sul petto, soddisfatto nel sentirlo trasalire. «Sei un coglione. Preferivo quando non riuscivi nemmeno a guardarmi in faccia per la vergogna.»

«Crudele questa, Kaspbrak», lo apostrofò, allungandosi giusto per posargli un bacio sulla testa, «è che vederti nudo ha sbloccato il livello successivo: quello poetico.»

«In effetti è un talento questo, hai mai pensato di darti alle tragedie Shakesperiane? Fottere o non fottere, questo è il problema.».

Richie rise di nuovo: «dovresti scriverli tu i testi dei miei spettacoli. Avevo dimenticato il tuo umorismo.»

Eddie si sentì stringere il cuore a quella constatazione.

Quante cose Richie aveva dimenticato di lui?

Quante invece a lui ne sarebbero tornate in mente di Richie, se solo si fosse concesso di frequentarlo sufficientemente a lungo?

Il pensiero che da lì a meno di una settimana avrebbe dovuto tornare a New York gli diede una fitta di malessere improvviso. Si strinse addosso a Richie con più forza.

«Ehi, tutto bene, Eds?»

«Smettila di chiamarmi così...» protestò in modo poco convincente, il viso affondato nel calore del suo petto. Richie era morbido, oltre che immenso. Aveva come la sensazione che avrebbe potuto perdersi nel suo abbraccio, per sempre. «Non sono mai stato meglio in vita mia», si ritrovò a confessare.

«Allora è servito davvero a qualcosa tutto l'allenamento che ho fatto in questi anni.»

Eddie alzò la testa, vagamente contrariato. La sua straordinaria capacità di smorzare il momento, affatto mutata nel corso degli anni.

«Oh, certo, parlami di tutti gli uomini che hai avuto, Tozier.»

«Dai, Spaghetti, non intendevo in quel modo.»

Eddie si scostò appena, posando un gomito sullo stomaco di Richie, per sorreggersi la testa e guardarlo, finalmente da una posizione privilegiata.

«Ma io lo voglio sapere davvero», gli chiese, adesso curioso. Non era certo tanto ingenuo da pensare di essere stato il primo uomo che si fosse mai portato a letto. Anche solo per il modo in cui si era comportato con lui. Come lo aveva guidato, come si era preoccupato di farlo stare bene.

«Sei serio?», la domanda arrivò un po' incerta, come se Richie stesse cercando di rivelare un qualche tipo di inganno. Ma Eddie si limitò ad annuire, l'espressione che non tradiva nessun tipo di stupida gelosia retroattiva, solo sincera curiosità.

«Bè, non così tanti come forse immagini», gli rispose, passandogli una mano dietro la schiena, in una lenta, rassicurante carezza, «che tu ci creda o meno, non riesco ancora a sbandierare in giro di essere gay.»

Eddie non faticava a credergli. Lui stesso, ora che aveva chiarito in modo piuttosto evidente i dubbi sulle proprie preferenze, era sicuro che il percorso a renderlo pubblico sarebbe stato piuttosto lungo. A partire dal terrore di doverne parlare a sua madre. Dio, sua madre. Non voleva pensare a sua madre.

«Ho avuto anche una fidanzata, un paio di anni fa, sai?» annuì in accompagnamento, invogliato dall'espressione sorpresa di Eddie, «Sandy. Le ero veramente affezionato. Tanto da aver scambiato la nostra affinità per qualcosa di più. Forse era solo un modo come un altro per cercare di provare qualcosa a me stesso. Ma... la natura prima o poi ti si rivolta contro e ti riporta alla realtà in modo anche piuttosto brusco. Sarebbe stata la donna della mia vita, se solo avesse avuto il pisello.»

Eddie gli sganciò una sberla sul petto.

«Ahia, ma è vero!», rise Richie, ma si era capito, dal modo in cui aveva raccontato di quella storia, dell'impatto che aveva avuto su di lui, «la prima volta che sono stato con un uomo ho dovuto ubriacarmi per superare la paura di quello che stavo facendo. Poi... è andata decisamente meglio. Sono felice che per te non sia stato lo stesso».

«Per forza, avevi solo della Coca Cola in casa», dichiarò Eddie con finto disappunto.

Lo vide sgranare gli occhi e poi scoppiare a ridere.

«Eds ne ha sganciata una buona, signori e signori!»

Eddie si unì alla sua risata, sebbene avrebbe voluto dirgli che nessun alcolico lo avrebbe ottenebrato tanto quanto la sua sola presenza. Di quanto Richie e solo Richie fosse sufficiente a dargli coraggio.

«Mi sei mancato così tanto...» non riuscì a trattenersi dal dirgli. Gli era mancato davvero il modo in cui lo faceva sentire. Il modo in cui lo faceva ridere.

«Mi sei mancato anche tu», la voce di Richie solo un quieto sussurro. Come sempre in difficoltà a esprimere a voce i suoi sentimenti, «pensi... insomma, pensi che dovremmo cercare di rintracciare anche gli altri, ora che ci siamo ritrovati?»

«I Perdenti?»

Richie annuì. «Hai detto che Mike era ancora a Derry, quando ti sei trasferito. Credi sia così assurdo pensare che abiti ancora lì? Non faceva che blaterare della sua fattoria, delle sue responsabilità nei confronti dell'impresa di famiglia...»

«Può darsi. Non ne sarei così sorpreso.»

«Dovremmo cominciare da lui.»

«Certo.»

«Cercare il suo numero con una rapida ricerca su internet, sono sicuro che gli elenchi telefonici di Derry non abbiano poi così tanti Hanlon, dopotutto.»

«Mh, mh...»

«Dovremmo proprio cercarlo.»

Eddie sorrise al buonumore che traspariva alla sola idea di riunire il gruppo, al suo tempestivo entusiasmo. «Pensi che potremmo cominciare la ricerca domani?»

«Bè, sì certo, Eds, perché?»

«Perché adesso voglio che mi baci.»

«Autoritario», disse Richie. Si issò appena per unire le labbra alle sue e mettere a tacere, per il momento, qualsiasi programma per il futuro.

 

I due giorni successivi trascorsero più velocemente di quanto Eddie avrebbe desiderato. La mattina e parte del pomeriggio frequentando i barbosi corsi di finanza; le sue serate, le sue notti, dedicate a Richie.

Durante la pausa pranzo si isolava da qualche parte per poter ascoltare il programma radiofonico a cui Richie lavorava, la stupida illusione, la parvenza di essere in sua compagnia. Era divertente, più di quanto volesse ammettere. E la sue sue conoscenze musicali sconfinate. Ora si spiegava il perché di tutti quei dischi nel suo appartamento. Della maniacale cura con cui erano sistemati sugli scaffali. Una passione che avrebbe dovuto intuire anche dalla spropositata quantità di magliette di cantanti o gruppi musicali che aveva nell'armadio. La prima notte, a casa sua, aveva dormito con una maglietta deforme dei Bon Jovi. Un reperto storico di qualche concerto a cui Richie aveva assistito verso la fine degli anni novanta. Un concerto al quale l'avrebbe accompagnato volentieri, se solo si fossero tenuti in contatto, gli anni della loro brusca, inspiegabile separazione. Quante delle cose che Richie gli raccontava avrebbe voluto affrontare in sua compagnia. Si poteva provare malinconia per qualcosa che non avevi vissuto?

Eddie provava malinconia per tutte le cose che non aveva potuto fare con Richie. La speranza di poterle fare in futuro. Una volta capito come fare per cancellare tutti i chilometri che lo separavano da lui.

 

La penultima sera, prima del suo rientro a New York, Richie gli aveva detto di avere una sorpresa per lui. E sorpreso lo fu davvero quando, una volta accompagnato al tavolo che aveva prenotato per la serata (nello stesso locale in cui si erano ritrovati la prima sera), lo vide sparire con una scusa qualunque e poi ricomparire sul palco. Sentirlo esibirsi dal vivo con uno di quei pezzi comici che probabilmente scriveva la notte, su quel suo laptop adornato di adesivi colorati. Una volta, svegliandosi nel bel mezzo della notte, sdraiato su quel divano letto scomodo e deformato, Eddie si era ritrovato a sbirciarlo, seduto al tavolo della cucina mentre le sue dita si muovevano rapide sulla tastiera. Il suo volto, illuminato dalla luce artificiale dello schermo del computer. Si era sempre chiesto di che temi trattassero i suoi spettacoli, ma niente lo aveva davvero preparato alla messa in scena.

Richie era divertente, estremamente divertente nelle sue descrizioni che raccontavano le disavventure di un giovane uomo di provincia alle prese con la follia californiana. Ma alcuni degli sketch che aveva selezionato per il finale che raccontavano di fidanzate fittizie e avventure sessuali declinate al femminile, non erano esattamente in linea con l'idea che Eddie si era fatto di lui.

Gli sembrava di assistere allo spettacolo di qualcuno che gestisce un dialogo con il freno a mano tirato. Dopo ciò che aveva visto di lui, quello che sapeva di lui, il clown che si esibiva sul palco sembrava solo una maschera per schermare, ancora una volta, al mondo, quello che Richie era davvero. Un potenziale frenato dalla paura di dimostrare chi desiderava davvero di essere. Il patetico tentativo di forzare la mano per rendersi più appetibile a un mondo omologato.

Eddie era consapevole di essere ingiusto. Sapeva che il mondo non era ancora pronto a quel tipo di comicità, che Richie stesso ancora non era pronto a donare la parte più vera di sé alle persone. Di darla in pasto a chi non avrebbe saputo che farsene.

Applaudì come tutti gli altri alla fine dello spettacolo, però, ululò il suo nome come tutti gli altri, felice del suo successo, fiero della sua intraprendenza, indeciso se parlargliene mai.

Lo baciò con più foga quella sera, di ritorno al suo appartamento, lo supplicò di non trattarlo con i guanti. Lo implorò di non risparmiargli nulla di ciò che poteva dargli. E Richie fece del suo meglio per accontentarlo, regalandogli tutto quello che sul palco non aveva avuto modo di esprimere.

Dimostrando a Eddie e solo a Eddie il suo coraggio.

 

L'ultima sera a Los Angeles fu anche quella più quieta.

L'atmosfera era simile a quella che precede una gara, si ritrovò a pensare Eddie, che di gare, all'università, ne aveva affrontate diverse sui campi di atletica. La quiete prima della tempesta. La necessità di risparmiare le energie, in previsione di una competizione difficile.

La separazione sarebbe stata difficile. Dirsi addio, sarebbe stato difficile.

Richie gli aveva tenuto la mano per tutta la sera, anche mentre spingeva quella sua Ford Sierra lungo la costa, per portarlo ad assistere allo spettacolo della luna piena sull'oceano.

Gli teneva la mano ora che se ne stavano seduti sulla sabbia, avvolti attorno a una coperta, ad osservare le onde che si infrangevano oscure e pacifiche sulla riva della spiaggia deserta. Poco distanti alcuni ragazzi stavano facendo baccano attorno a un falò. Ma le loro voci erano così distanti da non essere fastidiose.

Eddie pensò che sarebbe stato disposto a restare lì per tutta la vita, in silenzio ad osservare le onde, se solo avesse avuto la possibilità di restare per sempre accanto a Richie.

Un pensiero tanto sdolcinato che quasi si sorprese di averlo formulato lui stesso. Lui che di romanticismo non ci aveva mai capito nulla, che non ci aveva mai creduto davvero.

Richie che era in grado di farlo scattare come una molla per una battuta mal piazzata, ma che riusciva a renderlo morbido, come creta, nelle sue mani.

«Ricordami a che ora hai il volo domani...» Era la quinta volta che Richie gli faceva quella domanda.

«Nel primo pomeriggio. E no, non potrai accompagnarmi all'aeroporto perché a quell'ora sarai in onda alla radio.»

«Chi ti dice che non abbia già telefonato per chiedere una sostituzione, per domani?»

«Non sarai così stupido, perché mi sembra di essere stato piuttosto esplicito su quello che i miei piedi faranno al tuo culo se solo vedrò anche solo la tua ombra, all'aeroporto, domani.»

«Non dovevi metterla in questi termini, Spaghetti. Sai che adoro le cose che fai al mio culo...»

Gli diede un pugno sulla spalla, strappandogli un singhiozzo indignato.

Aveva dovuto praticamente implorarlo di non accompagnarlo in aeroporto. Non era sicuro di poter reggere lo stress emotivo di un ultimo saluto, proprio lì, al confine della loro separazione.

«Ti telefonerò non appena sarò atterrato a New York.»

«Mentre io sognerò il giorno in cui potrò nuovamente ricongiungermi al mio dolce Spaghetti», gli si strinse addosso in modo volutamente, esageratamente goffo.

«Stai scherzando, spero, ero sicuro fosse chiaro che questa settimana ti ho sfruttato solo per il sesso», lo provocò, cercando di slegarsi dalla sua morsa con alcuni movimenti esagitati.

«Direi di no, ci ho investito parecchio in questa storia.»

«Sì? Tipo quanto?»

«Ho già cominciato a risparmiare per il soldi del biglietto per venire a trovarti a New York.»

«Che cosa?»

«Non tutti hanno un lavoro che regala biglietti aerei e una settimana pagata in alberghi di lusso che puoi permetterti di non frequentare, perché così sfrontato da occupare il divano letto di un aspirante comico squattrinato.»

Eddie si volse a guardarlo.

«No, sul serio, Richie...»

«Sul serio, cosa?»

«Sul serio hai intenzione di venire a New York?»

Richie tornò vagamente serio tutto a un tratto.

«Ti sembra così... assurdo? Cos'è, hai una vita segreta che desideri tenermi nascosta? Se è così facciamola fuori subito Spaghetti, perché non sono sicuro di essere in grado di fare la ruota di scorta.»

Eddie scosse la testa e gli diede un pizzicotto al fianco, sotto la coperta.

«Non riesco a gestirne una, di vita, figuriamoci due...», gli sorrise, «mi piacerebbe molto se venissi a New York, Richie.»

«Quando. Non se. Quando.»

«Autoritario», gli concesse con un mezzo sorriso, cercando di non alimentare la speranza di qualcosa che non era che ancora un embrione, nella sua testa.

Permettimi di rivederlo di nuovo.

Promettimi che questa non sarà l'ultima volta.

Gli unici due desideri che si concesse di esprimere quell'ultima sera.

 

Quando Eddie salì sull'aereo il giorno successivo, aveva salutato Richie per telefono un'ultima volta. Aveva infilato il cellulare nella tasca del suo bagaglio a mano e si era sistemato nel posto accanto al finestrino. A dare un'ultima occhiata al cielo di quella città che gli aveva restituito una cosa tanto preziosa.

Si chiese che cosa sarebbe successo se non fosse mai volato in quella città. Se non avesse deciso di concedersi uno stupido gelato, superando di fatto la sua ritrosia per le sue intolleranze alimentari, se Richie non avesse parcheggiato quella sua sgangherata Ford Sierra proprio fuori da quel negozio di articoli musicali, attirando la sua attenzione.

Si chiese che sarebbe successo se non avesse affrontato con coraggio quei ricordi che lo avevano catapultato a quando la vita sembrava più semplice. Se non fosse tornato da Richie, parlandogli dei suoi sentimenti.

Una concatenazione di eventi che, per quanto assurdi, non potevano essere del tutto casuali. Che probabilmente avevano messo in moto qualcosa che, forse, gli avrebbe permesso di fare un altro passo avanti in quella sua vita incasinata. Che gli avrebbe permesso di affrontarla con ancora più coraggio. Quello stesso coraggio che sembrava tornare con più forza, ogni volta che era circondato da quegli amici che aveva disgraziatamente dimenticato.

Ma non poteva certo immaginare che Derry, dodici anni prima, aveva previsto un finale diverso per quella storia. Che non avrebbe concesso tanto facilmente una simile redenzione a chi l'aveva tradita, umiliata, sconfitta.

Più alto ti concedi di volare, più disastrosa sarà la caduta.

 

Quando Eddie scese dall'aereo, la mente un po' annebbiata dalla stanchezza e da quello stupido bicchiere di champagne che si era concesso in volo, fu subito certo di dover telefonare a qualcuno. Cercò di recuperare il telefono che aveva sistemato nel suo bagaglio a mano, senza trovarlo. La cerniera del suo zaino era aperta.

«Cazzo», imprecò, indeciso se credere di averlo perso o che qualche stronzo glielo avesse rubato.

Si tastò nelle tasche dei pantaloni, tirando un sospiro di sollievo, quando si rese conto che il portafoglio, quantomeno era ancora lì.

Rimase per qualche istante a contemplare il flusso di persone in aeroporto, fermo di fronte il portone degli arrivi. Il presentimento di aver dimenticato qualcosa di fondamentale, quell'assurda sensazione tipica dei sogni particolarmente intensi che ti spinge a rincorrerne i ricordi, senza riuscire ad afferrarli mentre svaniscono inesorabilmente, uno alla volta. Questo però non riusciva a spiegarla quell'improvvisa voragine nello stomaco, quel vuoto nel cuore. E un intenso, inspiegabile desiderio di pianto. La sensazione di panico crescente che arrivò quasi a mozzargli il fiato.

Ma dopotutto, oltre che al clima della California, nessuno lo aveva preparato allo stupido Jet Lag che si portava dietro un simile viaggio.

La California... che improvvisamente immaginava di non aver apprezzato particolarmente. Tutto il giorno chiuso in una stupida sala convegni. E le sere passate a... ripassare appunti?

Una scocciatura aver perso quello stupido cellulare.

Come avrebbe fatto ad avvisare...

… sua madre?

Considerò di consultare il suo medico per una rapida visita. Forse aveva accantonato con troppa leggerezza le sue prescrizioni per gli attacchi di panico. Riprese a camminare verso l'uscita, solo quando fu certo di essere in grado di camminare, senza impedimenti. Stanco, confuso, infastidito. Se possibile quel viaggio avrebbe alimentato alcune delle sue peggiori ipocondrie. La prossima volta avrebbe preso più precauzioni.

Si spinse fuori dall'aeroporto, sul marciapiede, verso il parcheggio dei taxi, il rumore del suo trolley a cancellare gli ultimi ricordi di quella sua breve, fastidiosa fuga da New York.

 

Fine seconda parte.

 

Nota: Già... mi sono lasciata prendere la mano, ma purtroppo non c'è alcun errore su come ho deciso di concludere il capitolo. Ho sempre voluto andare a parare qui. La storia, dopotutto, è partita dall'idea di permettere a Richie ed Eddie di ricongiungersi un'altra volta, prima del fatale, terribile epilogo a Derry. Di dare loro un briciolo di felicità. So di non averla resa meno straziante, in questo modo. Ma la prossima parte sarà l'ultima e spero di farmi perdonare con un finale un po' meno avvilente.

Alla prossima.

  
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