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Autore: Meli_mao    23/06/2020    8 recensioni
"La amava. In modo gentile, ermetico e personale, indispettito dalla potenza di un sentimento che aveva sempre disprezzato e impotente di fronte ad un forza che andava ben oltre a quella bruta da lui conosciuta.
Eppure, nonostante gli anni fossero passati e davanti a lui ora ci fosse una donna dalle curve accennate e dai modi educati, Sesshomaru non si sbilanciava".
Una storia romantica, introspettiva, delicata che porta alla luce i sentimenti contrastanti di Sesshomaru e Rin dopo vari anni dal finale del manga.
Storia partecipante al contest "Il Citazionista 3" indetto da SherylHolmes sul forum di EFP.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaede, Rin, Sesshoumaru | Coppie: Rin/Sesshoumaru
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Storia partecipante al Contest “Il Citazionista 3” di SherylHolmes sul sito di EFP.
Citazione scelta: I used to consider you my soulmate in this life.

 

A Musashi sta piovendo


Con le ginocchia sbucciate e le piccole e graziose mani sporche di terra, Rin raccoglieva erbe medicinali al chiarore della Luna, mentre Jinenji poco lontano sussurrava melodie tristi, intonandole al cielo plumbeo sopra di loro. Goccioline gonfie ricadevano placide a ritmo alternato, schiantandosi sul terreno e sui loro corpi con un rumore sordo e ripetitivo.
Il villaggio soccombeva al sonno lentamente, lasciando le case illuminate solo dalla flebile luce delle lucciole e dal riverbero delle stelle appena visibili sull’acqua placida del piccolo fiume.
Quando Rin si sollevò raddrizzando la schiena, la piccola cesta di vimini accanto a lei straripava di inebriante profumo di menta e ginepro mentre il mezzo demone stava raggiungendola con ciuffi di verbena umidi fra le mani.
Il sorriso che si aprì sul viso della mora era stanco e soddisfatto. Si asciugò la fronte con un lembo dello yukata e porse il tutto all’altro, restando ad osservarlo mentre si allontanava con andatura lenta e cadenzata. Si sistemò la sottile cintura di cotone in vita, stringendosi all’altezza del seno il tessuto leggero, rabbrividendo appena per la frescura serale che si scontrava col suo sudore caldo, mentre una goccia di pioggia le ricadeva sul naso facendola starnutire.
Fu solo a quel punto che lo vide: Sesshomaru stava ritto e silenzioso sulla riva del fiume, gli occhi d’ambra fissi su di lei con un sorriso beffardo ad ammorbidirgli i lineamenti.
Lo raggiunse senza fretta, studiando la sua espressione man mano si avvicinava. La mano di lui saettò rapida per aiutarla a saltare il piccolo terrapieno, mentre assottigliava lo sguardo al tenue ringraziamento sussurrato dalla ragazza.
La pioggia stava resuscitando la calura afosa della giornata appena passata, ma il demone sembrava immune ad ogni percezione terrena.
“Mi aspettavate da tanto?” chiese lei infine, sfiorando la sua figura con un’occhiata rapida.
Lui attese attimi infiniti prima di emettere un misero diniego, invitandola ad avviarsi verso casa insieme.
Se c’era una cosa che Rin aveva imparato in tutti quegli anni era quanto si può raccontare con un rigoroso silenzio. Si incamminarono l’uno accanto all’altra sul selciato ghiaioso, uniti da un misto di sentimenti e ansie che avevano nature diverse, ma si intrecciavano nello stesso modo.
Sesshomaru si era ammorbidito nei gesti, restandole accanto al cambiare delle stagioni, riscaldandola nelle notti d’inverno dopo una cena sobria quando il fuoco del piccolo camino creava giochi di luce sulla pelle, e mantenendo una decorosa distanza quando la calura estiva soffiava sui loro corpi alzandone la temperatura. La amava. In modo gentile, ermetico e personale, indispettito dalla potenza di un sentimento che aveva sempre disprezzato e impotente di fronte ad un forza che andava ben oltre a quella bruta da lui conosciuta.
Eppure, nonostante gli anni fossero passati e davanti a lui ora ci fosse una donna dalle curve accennate e dai modi educati, Sesshomaru non si sbilanciava.
Arrivava a Musashi in periodi diversi ma costanti. Tutti gli umani avevano imparato a non curarsi più di lui, mercenario solitario. La vecchia Kaede gli riservava dei pasti caldi e ogni volta insisteva affinché restasse a dormire al riparo, come se potesse temere per lui. La verità era che vedeva lo sguardo di Rin ogni volta la lasciava per la notte senza la promessa di tornare all’alba, e le si stringeva il cuore. Con l’età aveva perso stabilità nelle gambe, ma le si erano acuiti i sensi e i sentimenti e nonostante si fosse conservata vergine sapeva ben riconoscere l’amore quando lo incontrava.
Vedeva in Rin la nipote che non aveva mai avuto e si era presa a cuore la sua educazione per tutto quel tempo, restando ferrea e orgogliosa. Eppure capitolava silenziosamente ogni volta che il Demone superiore arrivava al villaggio, come un sole d’Agosto in Dicembre, strappando la ragazza dalla loro routine e allontanandola dai suoi studi.
Rin dal canto suo era un piccolo chiodo attratto da un magnete: non poteva opporsi alla sua natura. Osservava Sesshomaru dietro le ciglia lunghe e folte, beandosi dei suoi movimenti armoniosi, della sua camminata leggera, della sua pelliccia profumata. Le notti la sorprendevano con gli occhi sbarrati e i battiti accelerati quando captava un profumo che le ricordava lui. Si lavava con cura i capelli, pettinandoli ripetutamente, fissando un piccolo kanzashi abbinato al kimono che lui le aveva regalato alla precedente visita, e attendeva.
Era Kaede a redarguirla con severità, affinché lasciasse stare tutti quei profumi.
“Sesshomaru segue il suo fiuto… il tuo odore, così non farai altro che stordirlo”.
Poi si addolciva, cedendo di fronte al sorriso felice di quella marmocchia cresciuta troppo in fretta che lei temeva di perdere.
E come altre volte, Sesshomaru era arrivato al villaggio scivolando nel fitto del bosco dove iniziava il lungo sentiero che dal pozzo Mangia-Ossa portava a quel gruppo di case scolorite.
Aveva seguito la scia di Rin fino ad un baracca isolata, in mezzo all’odore agrodolce di sangue e neonato, infastidito dalle urla di donna che increspavano l’aria.
L’aveva trovata con le mani insanguinate, i capelli raccolti malamente, la fronte imperlata di sudore e la soddisfazione negli occhi. Sentiva il suo cuore battere agitato e percepì un mancamento non appena lei scorse la sua figura alta e maestosa.
Un ragazzo asciutto e senza barba la stava aiutando con meticoloso interesse, arretrando tremante alla vista del demone. Un sentimento nuovo aveva invaso Sesshomaru in quel momento. Era rimasto volutamente qualche attimo nella penombra prima di mostrarsi, ad osservare quell’uomo insignificante che affiancava la ragazza con desiderio e ammirazione.
La sua aurea demoniaca l’aveva spinto a loro, gli occhi stretti e fissi, inflessibile e glaciale come sempre.
Ma dentro il fuoco divampava in lui come una cascata dopo un terribile acquazzone.
“Padron Sesshomaru, siete tornato!”
Fu solo allora che osservò meglio Rin lasciando cadere l’interesse per quell’altra presenza.
L’impeto dell’emozione l’aveva spinta da lui con euforia, in uno slancio che l’avrebbe portata contro il suo petto se quel giovane uomo non l’avesse trattenuta per un braccio.
“Siete tutta sporca di sangue, Rin-san” e lei aveva ceduto, osservandosi le mani e gli abiti incrostati e malconci, con un sorriso storto e intristito.
Il demone aveva sollevato un sopracciglio infastidito. Avrebbe voluto dirle che era abituato al sangue, che uccideva mostri di varia natura, e che l’avrebbe sporcata di più l’odore di uno sconosciuto sulla sua pelle che non quello di un neonato, ma stette rigido e immobile, osservandoli dall’alto della sua statura e imponenza, mal celando un astio evidente.
Rin si rabbuiò, pensando di essere la causa di un disgusto insensato, trattenendo le lacrime e abbassando lo sguardo per resistere.
Il ragazzo accanto a lei la affiancò con improvvisa spavalderia. Aveva accennato un inchino formale a quel demone spaventoso che tuttavia il villaggio osannava come protettore, seppur con molte remore. Aveva sentito racconti su di lui, sulle sue gesta, sul suo disprezzo verso gli umani, e ogni volta osservava il modo gentile con cui si accompagnava a Rin e non se ne capacitava. Aveva lavorato sodo in quegli anni per essere un degno assistente della ragazza, favorendo la vecchia Kaede che ormai con la vecchiaia avanzava a fatica sorretta dal suo bastone. Eppure lei non gli dedicava altro che frasi cortesi e gesti cordiali, richiamando alla memoria i periodi di libertà dell’infanzia e i momenti di spensieratezza che quel demone le dava. Era un umano come tanti altri, con due genitori modesti e quattro fratelli, ma era sulla buona strada per mantenersi indipendente e ben presto avrebbe voluto una propria famiglia ad aspettarlo a casa la sera. Si chiamava Keiji, era alto e moro, con occhi rotondi e sopracciglia folte, una barba incipiente che tagliava accuratamente e gambe storte. Ma aveva due braccia forti e la voce rauca che lo facevano sembrare più grande, un sorriso bianco e la determinazione di un uomo maturo.
“Rin” la voce bassa e cupa di Sesshomaru vibrò nell’aria “Ti accompagno al fiume se ti fa piacere”.
Lei esplose in un sorriso sincero, annuendo entusiasta, incamminandosi dopo di lui, lasciando indietro Keiji con un inchino veloce e un arrivederci distratto.
E così il demone cane l’aveva aspettata, seduto sulla riva al tramonto mentre lei si piegava in acqua per lavare i vestiti e raccontava del parto a cui aveva assistito. I suoi capelli scuri sfioravano la corrente come petali in autunno, scivolando regolarmente ad ogni movimento. Le mani le si arrossarono per il freddo e il demone provò l’impulso di afferrarle e stringerle nelle proprie, beandosi delle sue dita sottili e del suo profumo di pulito.
Osservava il cielo, mentre lei commentava il grigiore delle nubi in cui la Luna si faceva largo con parsimoniosa tenacia.
“Presto pioverà” aveva accennato sovrappensiero, senza che lei aggiungesse altro.
Ed alla fine era rimasto ad aspettarla quando Jinenji l’aveva richiamata per quel lavoro serale. Percepiva ancora l’odore fastidioso di quell’umano nelle vicinanze, ormai riconoscibile fra molti, ma si rilassava al pensiero che non aveva nessuna traccia su Rin.
Quando afferrò la sua mano per aiutarla a raggiungerlo Sesshomaru aveva sentito un’improvvisa calura. Non si scompose, restando con la mano salda in quella di lei e gli occhi freddi contornati di sicurezza. Eppure il braccio e il petto vibrarono di emozioni nuove.
Rin non se ne curò, scivolando accanto a lui con naturalezza come se fosse la sola cosa che avrebbe fatto per il resto della vita.
Fu a quel punto che si accorse che stavano seguendo un sentiero diverso, verso il bosco. Probabilmente non se ne sarebbe preoccupata troppo in circostanze normali, ma in quel momento era attanagliata dall’ansia. Camminava lenta, ripesando alle parole di Keiji di pochi giorni prima, che si erano attecchite alla sua mente come muschio su gli alberi.


Si era quasi spaventata quando il ragazzo l’aveva guardata estraniato, durante una mattina di sole e afa con un cielo a macchie bianche sopra di loro. Le aveva preso una mano sorprendendola e il contatto con lui le era parso terribilmente freddo ed estraneo. Eppure si era lasciata cullare dal sorriso emozionato del ragazzo che le porgeva una piccola perla adagiandola sul palmo della sua mano. Aveva osservato il pallore del gioiello riflesso sul volto di lui e aveva aperto le labbra in un “Oh” di sorpresa misto spavento. Mentre continuava a trattenerle la mano, Keiji parlò con voce alta e stridula, ripetendo un discorso formale ed elaborato che si era studiato a memoria.
Le chiedeva la mano, ufficialmente, davanti ad alcuni testimoni occasionali. Rin era stata scossa da un tremore improvviso che aveva avuto la forza di far scivolare il gioiello per terra e di restituirle il braccio. Aveva sussultato, inchinandosi e prolungandosi in scuse ripetute, senza riuscire ad alzare lo sguardo di nuovo, lasciando la perla nel terriccio fra di loro.
Avrebbe avuto bisogno di tempo per pensarci, era solo riuscita a dire, mentre il viso sottile e serio di Sesshomaru le riempiva gli occhi umidi. Fu allora che Keiji le si era avvicinato e sottovoce le aveva detto quella frase tremenda:
“Se lo fate per quel mostro, Rin-san, dovete sapere che in questi anni lui ha avuto molte amanti e voi sarete solo una di loro. Io vi offro una vita felice di fedeltà”.
Rin era scappata via senza aggiungere altro, col cuore agitato e la tristezza sulle spalle come un macigno.


Fu a quello che pensò mentre gli alberi diventavano più fitti e gli animali notturni uscivano a caccia attorno a loro ululando richiami sconosciuti.
L’immagine di padron Sesshomaru con un altra donna la torturava nell’anima, sorprendendola nelle giornate in cui si assopiva durante una pausa dal lavoro e durante le notti in cui la pioggia batteva sul tetto non facendole prendere sonno.
In certi sogni il volto della sconosciuta si faceva più chiaro e dettagliato, in altri era il suo, in altri ancora restava sfuocato e ne sentiva solo i sospiri di piacere. Ma in ogni caso si svegliava di soprassalto, il sudore sul corpo e le unghie conficcate nei palmi delle mani. Era Kaede a tranquillizzarla, facendole una tisana e restando in silenzio accanto a lei, senza farle domande, persa nelle memorie della sua stessa gioventù.
Si riscosse dal torpore dei ricordi quando lui si fermò all’improvviso, spostandosi appena affinché lei vedesse quella radura verdeggiante circondata da alberi bassi e fiori schiusi verso il cielo cupo dove la Luna faceva capolino a mala pena, inondando il paesaggio con luce fioca. Le lucciole volavano attorno a loro senza una meta precisa, e una cascata si buttava monotona in una piccola piscina naturale di rocce chiare; del fumo saliva verso il cielo, come un sospiro di drago dormiente.
Rin corse verso il bordo, accarezzando l’acqua calda e rilassando i pensieri inebriandosi del calore sulle dita.
“Un sorgente termale” emise felice, cercando di trattenersi dal scivolare in acqua subito.
Percepiva il demone dietro di lei e lo tenne d’occhio finché non si appoggiò ad un tronco d’albero, rilassandosi nella sua stessa pelliccia. Lei azzardò
un sorriso infantile, sfilandosi le maniche della veste e lasciando le spalle nude. Strinse l’obi all’altezza del seno nel momento in cui le sue gambe si immersero in acqua. E poco dopo era appena visibile la sua sagoma circondava dal fumo bianco.
Sesshomaru la osservava compiaciuto, studiandone i lineamenti con curiosità. Erano passati anni da quando aveva ceduto al desiderio della carne, tanto da non rammentare più la lussuria che si dovrebbe provare di fronte a un corpo femminile. La solitudine aveva stretto attorno a lui una corazza invisibile, soffocandone i sentimenti con un moto lento ma efficace. Si sentiva un gelo dentro che gli incrinava le ossa e che restava costante anche in pieno Sole, a cui aveva tentato di opporsi finché non se ne era fatto l’abitudine. Solo quando quel cucciolo d’uomo aveva invaso le sue giornate il ghiaccio del suo cuore aveva cominciato a creparsi e mentre la guardava lo sentiva sciogliesi senza sosta.
Era bella e completamente al riparo dalla vanità della giovinezza. Portava i capelli lunghi che si muovevano sinuosi attorno a lei come un’aureola, una frangia sogli occhi, incollata alla fronte umida. I seni erano piccoli e sodi con capezzoli tondi e scuri, seminascosti dallo yukata trasparente immerso nell’acqua; le guance arrossate; le labbra piene ed aperte.
Gli dava le spalle, osservando i fiori galleggianti attorno a lei smossi dalla leggera corrente della cascata. Tutto di lei lo attirava, contravvenendo ad ogni pensiero. La vecchia Kaede l’aveva rimproverato, in una delle sua visite, rammentandogli che la vita di Rin non avrebbe potuto ruotare attorno al suo egoismo per sempre. La verità, che persino Sesshomaru si ostinava a negare, era che non era la giovane donna a ruotare attorno a lui, ma il contrario.
L’intera esistenza del grande demone cane negli ultimi anni aveva avuto come fine ultimo l’andare da lei, tornare in quella casa pitturata di azzurro con il tetto di paglia, il pavimento di legno ed il futon in un angolo. Non c’erano giorni di ricerca e battaglia che passasse senza pensare a lei, come una spina conficcata nel fianco che ad ogni movimento crea fastidio.
Trovava sollievo solo quando vedeva il suo sorriso, i suoi occhi grandi e scuri e il suo profumo di ginepro.
Era un tormento eterno e implacabile. Un tormento che lo teneva vivo nella speranza di ritrovarla di nuovo lì, un po' più alta e un po' più donna, ad aspettarlo. Si era abituato all’attesa estenuante, alla ricerca costante, al richiamo sussurrato da lontano che lei gli lanciava con la mente nei momenti di malinconia e che lui sentiva, forte e chiaro, a cui però non riusciva a rispondere.
Ogni principio a cui si era appellato per tanti anni scricchiolava rumoroso di fronte a lei.
Solo per caso riuscì a sentire un sussurro trasportato dal vento, mentre lei si immobilizzava in tensione.
“Voi avete compagnia durante i vostri viaggi?”
“Compagnia? Spiegati Rin” gli uscì come un ordine gentile, tanto da spingerla a voltarsi.
“Keiji mi ha detto una cosa, tempo fa...” la supplica nel cuore e nella voce “Dice che voi avete avuto molte amanti in questi anni”.
Sesshomaru non era uno da perdersi in giustificazioni, eppure quel nome lo infastidì a tal punto da piegare il suo umore abbastanza per una frase corta e irreprensibile:
“Keiji non sa nulla di me”.
Nel dirlo si era messo in piedi, lasciando il suo giaciglio per avvicinarsi a lei. Le aveva intimato di uscire, avvolgendola con la pelliccia per tenerla al caldo, rallentando lievemente lo sguardo sulla sua nudità velata dal cotone bagnato.
Il suo istinto l’avrebbe spinto a incamminarsi per tornare, ma il respiro accelerato e gli occhi umidi che lo scrutavano tristi lo fecero desistere.
“Rin...” cominciò fissandola dall’alto “Non ho avuto amanti all’incirca da quanto incontrai te”.
Lo aveva detto con noncuranza, scaldandosi il cuore sotto l’improvviso lampo di gioia che aveva attraversato il viso di lei.
“C’è altro che vuoi chiedermi?” le si avvicinò di qualche passo, fingendo di sistemarle meglio il pelo attorno alle spalle, anelando nel mentre il brivido
che l’avrebbe colpito al solo sfiorarle la pelle.
“Keiji mi ha fatto la proposta”
Neppure lei riuscì a spiegarsi il perché glielo stava dicendo così. Da quando era accaduto si era immaginata diverse volte il momento in cui avrebbe potuto confidarsi con lui, addormentandosi con il pensiero divertente di un Sesshomaru geloso. Ma ora le era uscita quella affermazione senza rifletterci. Le mani di lui scivolarono lontano e se prima aveva intravisto uno spiraglio di luce fra loro, ora quella barriera scura era tornata infrangibile.
Lui si voltò, trattenendo la rabbia dietro alla maschera di disinteresse, ma il contatto bollente della mano di Rin sul braccio lo trattenne.
“Quanti anni hai? È giunta l’ora che tu ti trovi un compagno”
Sapeva che quella frase in altre circostanze non avrebbe avuto peso, ma per Rin fu come una sberla in pieno viso.
Si diede della sciocca, ricordandosi che il principe dei demoni le aveva mostrato attenzione in quegli anni per affetto paterno, legato a lei da un qualche
legame sconosciuto che non aveva significato a parole. L’amore doveva essere per lui ben altra cosa.
Aprì le labbra per rispondere ma la voce le venne meno. Si strinse nelle spalle, nuda sotto lo sguardo glaciale che lui le stava rivolgendo.
E poi lo disse, e il mondo si aprì sotto i suoi piedi come una bottiglia privata del suo tappo:
“Ho sempre pensato che sareste stato voi il mio compagno”
Alzare lo sguardo su di lui sarebbe stato troppo, ma nonostante i brividi febbrili dell’incertezza restò immobile percependo in lui uno stupore nuovo.
Se c’era una cosa che Sesshomaru non si sarebbe mai aspettato da quella bambina era una dichiarazione così aperta e sincera da confonderlo.
Piegò la testa di lato, tornando di fronte a lei, sfiorandole il viso con le dita e toccando la sua guancia con il palmo della mano, gli artigli docili sopra la sua pelle fresca.
“Vieni qui” le disse sottovoce, vedendola ubbidire e farsi avanti di un passo. Sudava freddo, mentre il respiro di lui si faceva vicino e le solleticava le ciglia. Quando lei sollevò lo sguardo i segni rossi e la mezzaluna della fronte di lui erano a pochi centimetri, con gli occhi ambrati brillanti nella notte.
Fu un bacio casto, ad occhi aperti, di pochi secondi. Ma per loro fu come un incontro predestinato dalla notte dei tempi che avrebbe avuto conseguenze infinite. Era un amore delicato e nuovo per entrambi, di quelli freschi e puri della prima adolescenza.
“Non potrei immaginarmi nessuno al vostro posto, padron Sesshomaru” le parole sussurrate passarono dalle labbra di lei a quelle di lui ancora vicine, in una confusione di respiri che la fecero sembrare una frase immaginata.
Non ci sarebbe stato bisogno di altro perché tutto il resto per loro era superfluo. Si godevano l’uno il contatto dell’altra, senza riuscire ad allontanarsi né a scontrasi di nuovo, restando immobili a pochi centimetri, sfiorandosi con attenzione e passione.
“Non ho bisogno di nessun pegno o promessa. Resterò qui ad aspettarvi ogni volta che tornate… per sempre…” le piccole mani salirono insicure lungo il petto di lui, accarezzando il kimono raffinato.
Era stretta a lui da una complicità inviolabile, nella quale si sentiva protetta. E avrebbe dato tutto per restare così.
Era sicura che l’avrebbe amato in ogni parte della sua breve vita. Avrebbe continuato ad amarlo anche quando la sua pelle avrebbe cominciato ad appassire e sempre per amore l’avrebbe lasciato andare incontro al suo destino negli anni, quando lei non avrebbe più potuto seguirlo.
La paura della vecchiaia la coglieva quando osservava Kaede e solo perché rivedeva Sesshomaru sempre più giovane e potente nonostante il trascorrere del tempo.
Ma per lui, che aveva atteso di poterla toccare in quel modo, che aveva percepito il suo profumo cambiare e che aveva visto la sua esile figura farsi fiera e morbida, lo trascorrere del tempo aveva un altro significato.
L’aveva portata da lui così come poteva toccarla ora, così come avrebbe voluto toccarla per il resto della vita.
Si era abituato a pensare che Rin sarebbe stata colei che avrebbe riempito il vuoto delle sue giornate, la solitudine della sua anima, e che l’avrebbe fatto fino al suo ultimo respiro. Non gli importava dover attraversare altri duecento anni senza di lei, purché il ricordo del suo sorriso e della sua pelle d’oca sotto le sue mani sarebbero stati li ad accompagnarlo.
Sarebbe stata l’unica, la sola, la donna che lui avrebbe amato completamente perché era stata colei in grado di toccare la sua anima.
Quando le loro labbra si toccarono di nuovo entrambi erano pronti, mentre si lasciavano cullare da una pioggia fine e insistente che cominciava a cantare sulle foglie degli alberi e rimbalzava nella sorgente termale.
Le loro mani si cercavano con nuovo vigore e sicurezza, stringendosi sul corpo dell’altro con desiderio crescente.
Si amarono bagnandosi del sudore ghiacciato sulla pelle, della pioggia dolce, del vapore caldo. Si amarono innumerevoli volte, sempre come fosse la
prima. Si amarono scoprendosi centimetro dopo centimetro fin nelle viscere sconvolte dal desiderio.
Si sarebbero amati così per molti anni, senza passare mai un giorno di pioggia senza desiderarsi e cercarsi, come quella prima volta.
Erano due anime solitarie destinate fra loro, che avevano avuto la fortuna di scontrarsi e perseverare nell’attesa senza arrendersi.


Molto tempo dopo, quando il chiacchierio delle gemelle aveva messo a soqquadro la loro vita e il villaggio le cresceva con affetto sincero, Rin avrebbe trascorso le giornate ad osservare il cielo.
Ne scorgeva le nubi grige e gonfie e indirizzava le bambine verso casa, soffermandosi a baciarle sulla fronte mentre Kohaku le distraeva con racconti di battaglie fantastiche.
“A Musashi sta piovendo” sussurrava allora al vento, sicura che lui l’avrebbe sentita ovunque fosse e si incamminava nel bosco verso la sorgente. Lì si amavano di nuovo, mentre lui riscopriva i cambiamenti del tempo in lei, amandola senza riuscire a dirlo ma pensandolo così intensamente che era sicuro lei lo sentisse.
Lei rideva sulle sue labbra e “Il tempo passa” gli diceva scherzando, spostandogli i capelli argento dalla fronte.
“Ma continuerà a piovere per sempre” le rispondeva lui serio ogni volta. E così era.Tornavano indietro tenendosi per mano quando il cielo si riapriva sopra di loro. Incontravano le bambine sulla strada e, diretti insieme verso quella casa dal tetto di paglia con le pareti scolorite, il pavimento di legno e il futon in un angolo, osservavano il sole riaffacciarsi nelle loro vite.
Anime gemelle li chiamavano. Rin preferiva pensare che fossero un’unica anima che abitava due corpi diversi e si era ricongiunta in quel tempo. E così si sarebbe ricongiunta sempre al suono della pioggia d’estate sopra Musashi.

 

Nota d’Autore:
A Musashi sta piovendo è stata una fanfiction partorita con molta molta fatica e coronata di molte piccole modifiche dopo ogni rilettura.
Prima di tutto perché è stata davvero dura la scelta fra le citazioni proposte dal contest. Erano tutte bellissime, poetiche e si prestavano a Sesshomaru e Rin in varie versioni. Alla fine ho scelto la più romantica, per renderli davvero uniti come li vorrei vedere io e che spero sia passata in tutta la storia in modo evidente.
Per quanto riguarda il fandom scelto, la paura del seguito si fa largo in me, temendo in una delusione atroce, ma finché posso ancora sperarci eccomi qua.
Il titolo è un citazione anch’esso, anche se modificata. Chi non conosce la celebre frase “Aureliano, a Macondo sta piovendo” del colonnello Gerineldo Marquez al colonnello Aureliano Buendìa? Beh, nel caso sappiate che quel libro è poesia pura e G.G.Marquèz un genio. Detto questo… spero di aver trasmesso anche a voi qualcosa, pure fosse una distrazione di dieci minuti dalla routine giornaliera. Ovviamente, in attesa dell’esito del contest, qualsiasi commento di critica e apprezzamento è ben accetto.
A presto

Meli_mao

 

 

 

   
 
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