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Autore: Stella Dark Star    24/06/2020    1 recensioni
Con la nascita del piccolo Akira, la vita di Dazai e Chuuya è finalmente perfetta!!! Adesso sono diventati ufficialmente una famiglia e loro sembrano aver preso con gran serenità il nuovo ruolo di veri genitori! L'unica cosa strana è che Chuuya si ritrova spesso a ripensare a vecchi episodi del passato...la notte in cui ha perso la verginità con Dazai quasi per gioco oppure la notte tragica in cui Dazai se n'è andato dalla Port Mafia lasciandolo nella disperazione. Questi sbalzi d'umore preoccupano Dazai e lo fanno sentire responsabile. Forse è il caso di chiedere un parere alla Dottoressa Yosano, che continua a visitare Chuuya anche dopo il parto?
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Atsushi Nakajima, Chuuya Nakahara, Nuovo personaggio, Osamu Dazai, Ryuunosuke Akutagawa
Note: Lemon, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'SHIN+SOUKOKU SAGA'
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Dazai x Chuuya:
Fino all’ultimo respiro
 
La lingua di Dazai era così calda… E così vivace… Poteva sentire il sapore vanigliato e caramellato del whisky che lui aveva bevuto poc’anzi. Un sapore che non aveva percepito quando aveva provato a berlo dal bicchiere ma che, per qualche motivo, era particolarmente marcato su quella lingua che lo stava torturando dolcemente. Il respiro cominciava a mancargli, ma non gli importava. Che fosse solo per il bacio? O anche per la fragranza prepotente del profumo che lui aveva addosso? Doveva essere un’ottima marca! Non ci aveva quasi fatto caso prima, ma adesso la sentiva molto bene innalzarsi dal suo collo ed entrargli nelle narici. E poi c’era un terzo fattore di cui doveva tenere conto. Quella sera aveva bevuto almeno tre tipi diversi di alcolici, sotto consiglio di quell’idiota ricoperto di bende, ed ora probabilmente era stordito a causa di tale miscuglio. Va bene che essendo membri della Port Mafia gli era concesso bere nonostante avessero solo sedici anni, però… Sapeva già che sarebbe stata una pessima idea, eppure quella sera non aveva saputo dire di no quando Dazai lo aveva invitato a bere qualcosa al Lupin, pur sapendo che glielo aveva chiesto solo perché Ango e Oda non erano disponibili. Insomma, aveva fatto da tappabuchi e basta! Non sapeva nemmeno perché aveva accettato, in verità. Perché glielo aveva chiesto gentilmente (incredibile ma vero!)? Perché per una volta non lo aveva preso in giro? O perché aveva visto un’occasione per stare da solo con lui al di fuori del lavoro e senza avere tra i piedi i suoi noiosi amici di bevute? Desiderava così tanto prendere il posto di quei due da essersi lasciato convincere tanto facilmente? Rispondere a quest’ultima domanda equivaleva ad ammettere di provare dei sentimenti per lui e questo era inammissibile. Anche se… La lingua di Dazai si sciolse dalla sua e uscì piano dalla sua bocca. Si rese conto di avere disperatamente bisogno di respirare, gli girava la testa e la vista era leggermente sfocata. E allora perché riusciva a vedere il suo volto così bello, le sue labbra così invitanti, il suo sguardo così seducente? L’alcol gli aveva proprio dato alla testa per arrivare a pensare cose del genere su Dazai!
“Chuuya…” La voce dolce come mai prima, le labbra rosse e umide come fragole appena colte.
Si sentiva ardere dal desiderio, l’intero corpo bruciava come fosse stato una fornace. Per di più, una fornace che Dazai stava attizzando sfregando l’inguine contro il suo. Non avrebbe potuto impedire l’erezione nemmeno se avesse voluto.
“Anf anf…Dazai…” Fremeva dalla voglia di chiedergli di più, ma sarebbe morto piuttosto di farlo. Non poteva immaginare che quella parola, quel nome, quelle sillabe valessero più di mille preghiere.
Un sorriso appena accennato ingentilì le labbra di Dazai, il suo sguardo parve illuminarsi. O forse era solo lucido per l’effetto dell’alcol! Ad ogni modo, qualunque cosa fosse successa tra di loro quella notte, avevano pronta una giustificazione. Andava bene, no?
Vide Dazai togliersi la giacca nera del completo e gettarla con noncuranza sul pavimento, poi aprì la patta dei pantaloni e abbassò un poco i boxer per liberare la virilità eretta e pulsante. Si erano solo baciati ed era già ridotto così… Suo malgrado, Chuuya si sentì orgoglioso dell’effetto che aveva avuto su di lui! Questo pensiero gli diede un moto di coraggio, si tirò su e con gesto veloce si liberò di scarpe e pantaloni, sotto lo sguardo meravigliato di lui.
“Non ti facevo così audace!”
Chuuya sfoggiò un sorriso malizioso. “Stanotte comando io, Dazai di merda!” Gli gettò le braccia al collo  e lo trascinò giù con sé sul morbido materasso che aveva esplicitamente richiesto come regalo di benvenuto quando era entrato nella Port Mafia. Se n’era occupata la signora Kouyou personalmente. Quella donna sembrava divertirsi ad interpretare il ruolo della madre e lui di certo non si lasciava sfuggire le occasioni per accontentarla, fin che ne traeva vantaggio! Ancora gioiva per la bellissima moto che aveva ricevuto in regalo solo per aver portato a termine una missione particolarmente difficile! Tanto per dirne una… (LOL)
Vista l’evoluzione della serata, Dazai non fece complimenti ad avventurarsi con la mano nelle zone basse di lui. Diede giusto una toccatina al suo xxx per bagnarsi la mano del liquido prespermatico, quindi la direzionò altrove, percorse la curva della natica  e raggiunse la zona anale. La bagnò un po’ con i polpastrelli e lentamente fece entrare il dito medio. Quel piccolo bastardo glielo strinse come se volesse staccarglielo, ma non aveva importanza, non si sarebbe fermato per niente al mondo. Più andava a fondo  e più l’interno di Chuuya era caldo e bagnato. Accidenti, non vedeva l’ora di penetrarlo…
“Ugh…”
Chuuya gli aveva morso un labbro. Aprì gli occhi e incontrò il suo sguardo indemoniato. Gli era capitato qualche volta di vederlo ubriaco, ed era stato solo uno spettacolo imbarazzante. Ma quello che aveva davanti ora era una persona completamente diversa, un animale in calore, una belva affamata. Probabilmente la mattina seguente sarebbe tornato il nanetto odioso di sempre, quindi doveva approfittarne il più possibile adesso!
Si sollevò un poco, dando il peso su di un gomito, prese in mano il proprio xxx e lo infilò lentamente dentro al…be’, quello!
“MALED-” Chuuya strinse i denti, per un momento gli mancò il fiato. Che dolore tremendo. Di certo era perché Dazai non lo aveva dilatato abbastanza.  Lo aveva fatto apposta, vero? Vedendo il suo sguardo soddisfatto trovò subito la risposta.
“Me la pagherai cara, fottuto bastardo!”
Dazai ridacchiò. “Certo, certo!” Indietreggiò leggermente e poi inarcò i fianchi in avanti per penetrarlo fino in fondo.
“AAAAHH!” Questo non era solo dolore, era un piacere immenso. Sentiva il bisogno di gridare, di gemere, di assecondare il movimento dei suoi fianchi…insomma, di farsi scopare a morte. E al diavolo l’orgoglio! Quella notte era tutta per loro e potevano viverla pienamente e senza regole.
“Chuuuyaaaa amoooooreee! Siamo tornaaaatiiii!”
La voce cantilenante gli urtò i timpani, riportandolo al presente. Si rese conto che del fumo si stava innalzando davanti ai suoi occhi. Abbassò lo sguardo sulla padella.
“Cazz-!”
Spense subito il fornello e con la paletta andò a constatare eventuali danni. Con delicatezza, sollevò lateralmente uno dei cordon bleu. L’impanatura era diventata marroncina, ma niente di preoccupante. In compenso la parte superiore era bella dorata. Fiuuu, il pranzo era salvo (!)
Si portò le mani dietro la schiena per slacciare il grembiule, quando in cucina entrò Dazai col loro amato figlioletto in braccio.
“Che profumooooo!!! Ho una fame pazzesca!”
Mama!” Il piccolo, nel vedere Chuuya agitò le gambette tutto contento e sfoggiò un rosso sorriso sdentato.
Dazai si avvicinò a Chuuya e si sporse per sfioragli le labbra con un bacio, quindi consegnò il pacchetto d’amore nelle sue braccia.
Chuuya stampò un bacio sulla fronte del piccolo. “Bentornato, amore mio. E’ stata bella la passeggiata con papa?”
Papa, papa!” Rispose lui, battendo felice le manine.
Non potendo ottenere di più da un bimbo di cinque mesi, ovviamente fu Dazai a fare rapporto.
“Ho cercato di tenere la carrozzina all’ombra il più possibile, per evitare che il sole di fine estate gli desse fastidio agli occhi. Lui è stato tranquillo e beato a giocare col suo coniglietto di peluche!” Sollevò lo sguardo, soffermandosi su un pensiero. “Lo ha succhiato come una caramella per tutto il tempo. Forse dovremmo chiedere a Kyouka di regalargliene uno nuovo…” Qualche istante ed ecco che i suoi occhi si illuminarono. “Ah e poi abbiamo incontrato tre stagiste in pausa pranzo!”
“Eeeh?” Lo sguardo di Chuuya si fece cupo. Quella parte della storia avrebbe preferito non saperla.
“Erano così carine! Dapprima hanno sorriso solo a me, ma poi quando hanno visto Akira si sono perse in gridolini di gioia! Ahhh una vera delizia per l’udito!” Si passò una mano nei capelli impomatati, con la riga laterale che ormai portava sempre, e aggiunse: “Non ci sono dubbi da chi nostro figlio abbia preso il suo fascino! Porta ancora il pannolino e già riesce a far impazzire le donne!”
Il piccolo, forse vedendolo in quell’atteggiamento buffo, si mise a ridere. Una risata innocente e cristallina. Chuuya invece aveva i nervi sul punto di saltare.
“Sei davvero un povero imbecille.” Sentenza emessa, fine del processo. Sperava con tutto il cuore che suo figlio diventasse una persona migliore, più seria, meno infantile e soprattutto che non fosse un playboy incallito come suo padre!!!
Con le dita gli mosse i capelli spettinati, sicuramente a causa delle coccole ricevute dalle tre galline prima nominate. La testolina tonda aveva gli stessi colori di una nespola giapponese, sulla sommità i capelli creavano una chiazza castana che poi di diramava e si assottigliava fino a perdersi nella chioma rosso fuoco. Quando erano soli lo chiamava affettuosamente ‘testolina di nespola’! Un nomignolo buffo che nessuno doveva sapere. Per tutti lui era solo Akira, il piccolo che aveva illuminato le loro vite di gioia, proprio come diceva il nome.
“Ahhh bene, ora vado a cambiarmi e darmi una rinfrescata!” Concluse Dazai, stiracchiandosi.
“Mh. Nel frattempo io do il latte ad Akira e dopo pranziamo.” Fece un cenno col capo in direzione di una terrina blu che era sul ripiano della credenza. “L’insalata è da condire, ci pensi tu?”
Dazai si puntò il pollice contro e strizzò l’occhio: “Lascia fare al tuo affascinante maritino!” Per fortuna se ne andò subito dopo averlo detto, altrimenti si sarebbe preso una pentola in testa!
Tenendo il piccolino ben saldo contro il fianco, Chuuya usò la mano libera per recuperare il biberon che era in caldo dentro un apposito apparecchio, e lo agitò varie volte mentre si incamminava nel salone per raggiungere il sofa. Quel coso giallo era un pugno in un occhio. Prima o poi avrebbe trovato il modo di buttarlo e prenderne uno più adatto all’ambiente raffinato, composto per lo più di opere d’arte e oggetti antichi europei. Si sistemò il bimbo in grembo, curandosi di sostenergli bene la schiena e la testolina, e poi avvicinò la tettarella del biberon alla sua boccuccia. Akira aprì subito la bocca come se volesse divorarla, la strinse fra le labbra e cominciò a succhiare. Era un bambino dolcissimo. In genere era calmo e silenzioso, però gli piaceva ridere quando era contento o quando vedeva il suo papà fare il buffone! Al momento non dava segni di aver preso il nervosismo di Chuuya, anche se quando piangeva strillava come un ossesso stringendo i pugnetti  e agitandoli come se volesse picchiare qualcuno! Mentre beveva il suo latte arricchito da biscotti nutrienti sciolti, il suo sguardo vagava per il salone con apparente interesse. Chissà, forse aveva ereditato dalla mamma il gusto per le cose belle? I suoi occhioni color nocciola e la sua espressione seria erano praticamente identici a quelli del papà (nei rari momenti in cui non era impegnato a fare l’idiota seriale, ovviamente!), però la forma del viso e il nasino erano indubbiamente quelli della mamma. In qualche modo aveva preso il meglio di entrambi.
Chuuya era molto più sereno da quando stava vivendo le gioie della maternità. Portare una creatura in grembo per nove mesi gli aveva donato un bagaglio di vita dal valore inestimabile. E adesso che poteva accudirlo e cullarlo giorno e notte, aveva raggiunto la vetta più alta della felicità. Be’, non che tutto fosse rose e fiori! C’erano giorni in cui faticava a tenere gli occhi aperti durante il lavoro, quando capitava che la notte Akira piangesse perché aveva male al pancino o alle gengive su cui stavano spuntando i primi dentini. E poi anche lui, come la maggior parte delle madri, aveva dato un taglio drastico ai capelli. Dopo tanti anni impiegati a farli crescere fino alle caviglie, per questione di praticità li aveva tagliati fino a poco sotto le spalle e, quando era a casa a cucinare o ad accudire il piccolo, li teneva legati in una bassa coda, mentre i riccioli più corti gli incorniciavano il viso. Insomma, si era adattato alla nuova condizione senza perdere eleganza. L’unico rimpianto che aveva era quello di aver atteso così tanto a fare un figlio. Per quanto lui e Dazai fossero felici, non dimenticavano di avere superato i quarant’anni, esattamente come erano consapevoli del fatto che quando Akira si sarebbe laureato loro avrebbero avuto i capelli completamente grigi o addirittura bianchi. Non che il pensiero creasse loro problemi, anzi questo faceva sì che ogni istante fosse prezioso.
Una volta svuotato il biberon, Akira sputò la tettarella con un’espressione così crucciata che Chuuya non riuscì a trattenersi dal ridere. Già, ogni istante era davvero prezioso.
*
 
L’autunno era arrivato. Di giorno in giorno le foglie cadevano sempre più numerose, decorando le strade di rosso e marrone, e le persone cominciavano ad indossare delle giacche per proteggersi dall’abbassamento delle temperature, soprattutto la sera. Ma questo cambiamento di certo non interessava a due adolescenti in piena tempesta ormonale! I corpi avvinghiati di Dazai e Chuuya erano umidi e luccicanti di sudore, e questo spiegava il perché le coperte si trovavano ammassate sul fondo del letto nonostante la stagione. Quella piacevole fatica li stava prosciugando delle energie, entrambi avevano le gote arrossate e gli occhi lucidi, il respiro così caldo e affannato che quasi si poteva vedere.
Le mani di Chuuya stringevano con forza i lembi del vaporoso cuscino, le labbra serrate nel disperato tentativo di trattenere i gemiti, le gambe incrociate attorno al bacino del suo partner che lo stava possedendo con forza. E poi il piacere esplose.
“Dazai… AAAAAH!!!”
Dazai strinse i denti e strizzò gli occhi come se fosse stato colto da forte dolore, invece era l’esatto contrario. Sentì la sacca svuotarsi e il seme schizzare fuori per rigettarsi nel corpo di Chuuya. Un istante ancora e finalmente lasciò andare il respiro, il suo volto si rilassò, il corpo cedette alla fatica e si abbandonò su quello di Chuuya. Il suo sguardo sembrava essersi svuotato proprio come il suo scroto. Chiuse gli occhi.
Chuuya, sfinito a sua volta, rilassò le gambe stendendole, ma non mancò di usare un ultimo briciolo di forze per accarezzare i capelli di lui. Le dita sottili si mossero lentamente in quella chioma folta e ribelle, madida di caldo sudore. Cos’altro poteva fare per lui? Oda era morto da pochi giorni. Com’era presumibile, Dazai era rimasto fortemente segnato dalla sua morte e non dava segni di ripresa. Anche se lui gli era vicino e cercava di dargli supporto, sia a parole sia donandosi fisicamente ogni notte, non riusciva ancora a trovare un passaggio per arrivare al suo cuore. E questo lo feriva. Erano passati più di due anni dalla loro prima volta, da quella notte che doveva essere un’eccezione, un divertimento senza impegno, e che invece poi era continuato, diventando sempre più serio mese dopo mese. Potevano definirsi una coppia? Non avevano mai affrontato l’argomento… Agli occhi di tutti loro due erano come cane e gatto, sempre a litigare, a offendersi e picchiarsi, salvo poi diventare il temibile duo Soukoku quando si trattava di portare a termine una missione. Quello che accadeva di notte, fra le lenzuola di uno o dell’altro, era una cosa che sapevano solo loro due. Ma nonostante questo rapporto dalle molteplici facce come un dado, Chuuya aveva continuato a coltivare una profonda gelosia nei confronti di quell’uomo che Dazai adorava apertamente. Perfino ora che non c’era più non era in grado di seppellire quel sentimento negativo, vedendo quanto Dazai soffriva. Se invece di Oda fosse stato lui a perdere la vita, Dazai avrebbe reagito allo stesso modo? Si odiò per essersi posto questa domanda. Per non pensarci decise di infrangere il silenzio che pesava sulla stanza come un macigno.
“Hai bisogno di fare una pazzia per riprenderti.”
Nessuna reazione.
“Perché non prendiamo il jet privato del Boss e andiamo a Las Vegas a giocare d’azzardo coi soldi della Port Mafia?” Rise tra sé. “Credo che verrebbe lui in persona a strangolarci!”
Nessuna reazione.
Magari qualcos’altro… “Mmh… Ah ci sono! Potremmo adottare Akutagawa! Sono sicuro che quel moccioso impazzirebbe dalla gioia. Pff! Che sempliciotto assurdo!”
“Siamo troppo giovani per fare una domanda di adozione. E poi lui ha solo due anni in meno di noi, sarebbe comunque impossibile.”
Aveva parlato, ok, però la sua voce era così roca e spenta da sembrare quella di uno zombie. Era inquietante.
Chuuya ridacchiò per nascondere un certo disagio. “Dazai…stavo scherzando!” Non si aspettava che di punto in bianco scoppiasse in una risata, però nemmeno che desse una risposta così seria. Anche se avrebbe preferito morire sotto tortura piuttosto di ammetterlo, la verità era che gli mancava il Dazai idiota che lo faceva incazzare ogni volta che apriva bocca per dire una marea di fesserie. Gli mancava… Gli mancava davvero. In un impulso incontrollabile sporse le labbra e gli stampò un bacio sulla fronte. Subito si vergognò di un gesto tanto sdolcinato.
“Il Boss ha detto che domani vuole parlarci. Credo che ci assegnerà una nuova missione.” Sospirò. “Alla fine non cambia niente.”
Inaspettatamente ci fu una reazione. Il corpo di Dazai si irrigidì contro il suo, poi si sollevò e lo guardò dritto negli occhi. Il suo sguardo tremava di rabbia. “E’ proprio questo il problema, Chuuya. Non cambia MAI niente.” Si spostò da lui e scivolò sul materasso fino a raggiungere il bordo. Mise i piedi a terra e si chinò su se stesso, come chiudendosi a riccio, le braccia attorno al busto.
“Aveva ragione Odasaku. Non è giusto che continuino a morire persone innocenti. Ho dovuto perdere lui per capirlo.” Fece una pausa e poi aggiunse: “Devo andarmene da qui.”
Tu-tum.
Chuuya si sollevò a sedere, gli occhi sbarrati sulla schiena di Dazai.
“Co... Cosa stai dicendo?”
“Lascio la Port Mafia. Per sempre.”
“E’…uno scherzo? Vero? Tu non puoi…”
“Posso eccome!” Aveva parlato con voce leggermente stridula. Deglutì. “Non c’è niente che mi trattenga.”
Ora Chuuya sentiva chiaramente il proprio cuore battere all’impazzata nel petto. Faceva male. Si ritrovò in ginocchio prima di rendersene conto. “Niente??? Non ti permetto di dirlo! Noi…”
Dazai lo interruppe, voltando la testa di scatto. “NOI?” Aveva una luce sinistra negli occhi. “Da quando siamo diventati un NOI, Chuuya? Se vuoi che io ti dia retta, parla chiaramente.”
“N-noi… Noi…” La voce gli tremava troppo, non riusciva a parlare.
Dazai incalzò. “Dammi un motivo per restare, Chuuya.”
Quelle parole, quello sguardo… Era solo un’impressione o lo stava supplicando?
Doveva dirglielo. ADESSO.
“Noi… Noi… Dazai io ti… Ti…” Avanti. Un ultimo sforzo. “Dazai io ti… Aaaaarghh!!!” Batté il pugno sul materasso con tanta forza da lasciarvi la sagoma. Non ce la faceva. Quella maledetta parola non voleva uscirgli dalla bocca.
Dazai volse il capo, si coprì gli occhi per impedire alle lacrime di uscire. Era tutto finito. Una risata amara gli uscì dalla bocca. “Lo sapevo!”
Allungò il braccio per recuperare i boxer e i pantaloni abbandonati sul pavimento e li infilò. Si rimise in piedi per sistemare il tutto, ma quando fece un passo per andarsene…
“Dazai. Anf… Se esci da quella porta, ti odierò a morte. Anf…” Il tono tagliente come una lama.
Dazai questa volta non si voltò. Strinse il pugno e rispose semplicemente. “Forse è meglio così. Per entrambi.” Sciolse il pugno e si sforzò di raggiungere la maniglia della porta con le dita. La mano gli tremava così tanto che temette di non riuscirci, invece, in qualche modo, l’afferrò e aprì. Almeno i piedi presero a muoversi senza porre resistenza, attraversarono il salone e lo portarono fuori dall’appartamento. La pesante porta d’ingresso si chiuse alle sue spalle con un rumore metallico.
Chuuya ormai aveva il respiro così affannato che credette gli sarebbero esplosi i polmoni, esattamente come gli occhi spalancati sembravano volergli uscire dalle orbite. Eppure trovò le forze di sollevare il capo e gridare.
“DAZAAAAAIIIIIIIIII!!!!!” E finalmente arrivarono le lacrime e i singhiozzi.
Dazai si svegliò udendo il rumore del pianto. Aprì gli occhi nel buio della stanza e allungò pigramente la mano alla ricerca dell’interruttore della lampada. Qualche tentativo a vuoto e poi una fioca luce gialla lo illuminò senza ferirgli gli occhi. Sbatté le palpebre solo per svegliarsi bene. Rimase sorpreso nel rendersi conto che Chuuya era rannicchiato al suo fianco, la fronte premuta contro il suo braccio, il calore bagnato delle lacrime sulla pelle. Stava avendo un incubo? Cercò di muoversi per cambiare posizione e destarlo, ma il minimo movimento fece scattare Chuuya, il quale si aggrappò saldamente al suo braccio.
“No! Non andartene, ti prego! Non andartene!” La voce distorta dal pianto.
Stava ancora dormendo…
“Chuuya, sono qui. Non vado da nessuna parte.” Cercò di usare un tono caldo e rassicurante, visto che non riusciva a svegliarlo almeno voleva tentare di tranquillizzarlo.
“Hic… Io… Io ti amo, Dazai. Hic… Ti amooo… Non lasciarmi. Non lasciare la Port Mafia.”
All’improvviso fu tutto chiaro. Anche troppo. Chuuya stava sognando quella notte di tanti anni fa…
Dazai si sentì come se gli avessero gettato addosso un secchio di acqua gelida. Perché… Perché dopo tutto quel tempo Chuuya faceva un sogno così? I sensi di colpa lo artigliarono al cuore come una belva assetata di sangue. Perché… Perché dopo tutto quel tempo… Con un movimento repentino riuscì a girarsi sul fianco, così da poter avvolgere Chuuya in un abbraccio. Il corpo magro e delicato era freddo come la pietra a contrasto col calore del suo petto nudo. Sperò che bastasse a scaldarlo.
Gli parlò all’orecchio. “Anch’io ti amo, Chuuya.” Strinse i denti. Il disprezzo che provava per se stesso in quel momento era incalcolabile. Lo strinse più forte a sé. “Perdonami per il male che ti ho fatto.”
Quella notte così lontana, eppure così vivida nelle loro menti, tornava a tormentarli. Se solo Chuuya quella volta fosse riuscito a dire quella parola… Dazai non desiderava altro che sentirla. Un ‘ti amo’ era tutto ciò di cui aveva bisogno per restare alla Port Mafia, per restare con Chuuya. Ma così non era stato. Credendo che tra loro quel sentimento non sarebbe mai davvero sbocciato, aveva scelto la fuga, aveva scelto di andarsene. E come se non bastasse, per far sì che Chuuya lo odiasse con tutta l’anima, aveva piazzato una bomba sotto la sua auto. A quel tempo gli era parsa un’ottima idea, credeva che così Chuuya lo avrebbe dimenticato in fretta. Anche se sapeva che lui non sarebbe mai riuscito a dimenticare Chuuya. Infine, quella notte, la signora Kouyou era entrata nel suo appartamento perché disturbata da strani rumori e lo aveva trovato in uno stato pietoso, nudo, col volto tumefatto dal pianto, una bottiglia di Petrus in mano e, attorno a lui, i resti di un mobile da salotto colpito con violenza.
*
 
Come una famiglia allargata, quale effettivamente erano, i coniugi Dazai-Nakahara non mancavano mai di fare visita a quelli che loro vedevano ancora come i mocciosi di cui anni fa si erano presi cura come dei figli. In poche parole…cena a casa Akutagawa-Nakajima!!!
Dopo aver gustato del buon sushi preparato in casa, le fazioni si erano divise. La prima era composta dalle ‘donne’ che si erano premurate di sparecchiare la tavola (solitamente di forma quadrata, ma aperta per accogliere tutti gli invitati) e sistemare la cucina, ed ora erano piacevolmente perse in chiacchiere casalinghe come consuetudine.
Hana, seduta sulla propria sedia, si stava spupazzando il piccolo Akira con gioia, strusciandosi contro la sua bella testolina e intrecciando le dita fra le sue graziose manine. Lo adorava con ogni fibra di sé!
“Awwwwwwh!!! Voglio sposarlo!!! So già che non amerò mai nessuno come amo lui!!!” Ad una risatina allegra in risposta, il suo cuore straripò, gli occhi le si riempirono di luce.
Obaa-san, posso?” Chiese speranzosa, rivolgendosi a Chuuya.
Appoggiato di spalle contro la credenza e con le braccia incrociate al petto, si poteva dire che quella sera Chuuya era un vero incanto. Aveva legato i capelli in uno chignon e indossava un tailleur grigio fumo su una camicia morbida in seta dal colletto composto di una fascetta legata a fiocco. A completare l’opera, le scarpe nere col tacco che indossava sempre fuori casa e dalle quali non aveva nessuna intenzione di separarsi. Più il tempo passava e più era difficile dire se fosse un uomo o una donna, cosa che lo rendeva ancora più irresistibile di quanto non fosse già!
Accennò un sorriso sbieco: “Per me va bene! Ma per essere legale dovrai avere la pazienza di aspettare diciannove anni e sette mesi!”
L’espressione di Hana mutò completamente e divenne come una maschera tragica del teatro. “Coooosa? Così tanto? Avrò…trentotto anni!!! Sarò una vecchia!!!”
Sdonk!
Il pugno di Atsushi si premette sulla testa della figlia, mentre da tutto il suo corpo si emanava un’aura alquanto negativa. “Se vuoi arrivare viva a quell’età ti consiglio di chiudere la bocca.” Disse tra i denti, sibilando come un serpente!
[Nota: Nakajima Atsushi. Maschio. Madre di due figli e compagno di vita di Akutagawa. 38 anni.]
“Ch…chiedo perdono, okaa-san.” Quell’errore le era costato caro!
Ancora una volta Akira scoppiò in un’allegra risata, nel vedere i due comportarsi in quel modo buffo. Come dargli torto? I suoi familiari erano uno spasso totale!
Passando alla seconda fazione, cioè quella degli uomini che si erano spostati in salotto…
Seduto a terra, gambe incrociate e naso in aria rivolto al grande schermo della tv, Riku stava maneggiando freneticamente il controller della PS. Il videogioco era una nuovissima versione di Tekken, per cui i combattimenti erano così realistici da richiedere tutto il suo impegno. Comunque a vederlo così, con il ciuffo bianco che gli cadeva continuamente sopra un occhio, costringendolo a muovere la testa per spostarlo, e la lingua mezza fuori all’angolo della bocca, c’era di che sorridere!
“Non scherzare con me! Io faccio parte della Port Mafia, bastardo!” Ringhiò contro il suo avversario.
“Riku, modera il linguaggio. O ti senti già così grande da poter parlare in questo modo?” Lo riprese suo padre. In fondo Riku aveva solo quindici anni e non era il caso che dicesse certe parole. Scosse il capo, lasciando perdere, e si accomodò meglio sul grande sofa, le gambe accavallate e un bicchiere di whisky in mano.
“Sto cercando di tenerlo sulla retta via, ma non oso immaginare come parlerà quando diventerà un sottoposto di Chuuya!”
Dazai, seduto accanto a lui, ridacchiò. “Pensa  a come mi sento io sapendo che Chuuya parla così ogni giorno in presenza di nostro figlio!” Si sporse verso il tavolino in vetro, su cui era una scatola di frutta autunnale glassata che avevano portato per il dopocena. Il dito dapprima incerto si fermò sopra un dattero, quindi lo prese fra pollice ed indice, se lo portò alla bocca e non mancò di succhiarsi velocemente i polpastrelli. Quindi si adagiò nuovamente fra lo schienale e il bracciolo, sospirando.
Akutagawa notò il repentino cambio d’umore. “Qualcosa non va?” Posò il bicchiere e andò a sua volta a prendere un frutto dalla scatola, ovviamente un piccolo e gustoso fico, il suo preferito.
“Ehm….” Dazai si lisciò all’indietro i capelli impomatati, incerto se parlare o meno, ma poi alzò le spalle in segno di resa. “Niente di grave, in realtà. Sono solo un po’ preoccupato per alcuni atteggiamenti di Chuuya.”
Akutagawa, mentre masticava lentamente il fico, gli lanciò uno sguardo interrogativo.
“So che negli ultimi mesi sembra tranquillo e stranamente innocuo, però…come posso dire? L’altra notte mi sono svegliato sentendolo piangere nel sonno. L’ho subito abbracciato, credendo si trattasse di un incubo, invece poi quando ha detto alcune frasi ho capito che stava sognando una certa cosa avvenuta in passato. E…ecco…non vorrei che fosse un segnale di stress o altro.”
“Sta continuando a farsi visitare da Yosano, giusto? Potresti chiederle di andare più a fondo e verificare anche il suo stato psicologico, se questo può tranquillizzarti. A mio parere non c’è da preoccuparsi, vedo che anche sul lavoro è attento e lucido come sempre.” Riprese il bicchiere e se lo portò alle labbra per bagnarle col whisky.
Dazai gli fece un cenno col capo, accennando un sorriso. “Spero che sia come dici tu. Ma per sicurezza ne parlerò con Yosano.”
“Parlare di cosa?”
La voce di Chuuya attirò l’attenzione dei due.
Una volta raggiunto il sofa, si sedette sulle ginocchia del marito, sotto un tacito invito di lui. Dazai gli cinse il girovita con un braccio. Certe volte quei due sembravano un Boss con la propria donna… Il che non era una brutta vista!
“Niente! Mi stavo chiedendo…quando rivedrai Yosano?”
“Il prossimo mercoledì. Ma credo che presto non ne avrò più bisogno. Capisco che abbia voluto seguirmi durante la gravidanza, e di questo le sono grato, ma ora non ne vedo più il motivo. Io sto bene!” Gli fece l’occhiolino.
Ed ecco che giunse un nuovo grido di battaglia da parte di Riku: “Ti ammazzo, pezzo di merda!”
Prima che Akutagawa potesse aprire bocca, Chuuya lo anticipò con un entusiastico: “Sì! Fagli vedere chi sei, Riku! Fai a pezzi quel figlio di puttana!” Il tutto con tanto di braccio sollevato e il pugno chiuso. Riku si voltò di scatto e guardò sua nonna con totale ammirazione, gli occhi che brillavano.
Sia Dazai che Akutagawa si portarono una mano alla fronte, rassegnati. Indubbiamente non c’era modo di salvarlo dall’influenza negativa di quell’uomo!
*
 
Yosano si tolse gli occhiali da lettura e li appoggiò sul ripiano del lungo tavolo in acciaio del laboratorio. Lasciò un sospiro, prima di accennare un sorriso. “Ahhh mi sembra di essere tornata indietro nel tempo! Akutagawa mi aveva posto le stesse domande riguardo Atsushi quando era in attesa di Hana!”
Davanti a lei, Dazai sembrava un cagnolino in attesa che il padrone gli desse il biscottino da sgranocchiare, gli occhioni tondi e lucidi, l’espressione implorante, praticamente gli mancavano solo le orecchie abbassate sulla testa ed era fatta!
Si portò le mani ai fianchi. “Bene, ti darò la stessa risposta che gli diedi allora.” Si sporse in avanti e scandì bene la parola. “O-R-M-O-N-I.”
Dazai sbatté le palpebre, perplesso. “Ormoni?”
“Ah-an! Devi metterti in testa che il corpo di Chuuya è cambiato. Non solo ora possiede il potere di generare la vita, ma ha affrontato anche una gravidanza! Però non è una cosa che si può vedere ad occhio nudo, come le ecografie che ti ho mostrato durante la gravidanza, poiché era ovvio che nel suo ventre ci fossero una placenta e un cordone ombelicale per creare un ambiente favorevole al bambino. Adesso la cosa interessante è ciò che NON si vede. Gli ormoni sono ancora presenti e il loro livello si alza e abbassa nell’arco del mese come succede a qualunque donna. Questo porta a sbalzi d’umore immotivati, eccessi di gioia, crisi di pianto e quant’altro. Perciò non hai nulla di cui preoccuparti.”
Se fino a quel momento Dazai era rimasto zitto e immobile ad ascoltare la spiegazione, adesso finalmente poté liberarsi della tensione attraverso un gran sospiro, si portò una mano al petto e addirittura scivolò giù sulle ginocchia come se fosse privo di forze.
Ridacchiò. “Temevo fosse colpa mia!”
“Idiota! Ti fai troppo problemi! Devi solo tenere conto del fatto che adesso Chuuya è più femminile. Invece di concentrarti sugli sbalzi d’umore, dovresti pensare ai lati positivi! Credo tu abbia notato che ci sono giorni in cui è più ‘voglioso’. Questo perché il suo organismo lo spinge all’accoppiamento, nonostante per concepire sia obbligato ad evocare Arahabaki.” Arricciò le labbra e sollevò lo sguardo inseguendo un pensiero. “Ora che mi viene in mente, l’unica cosa strana è che i suoi capezzoli siano diventati estremamente sensibili dopo il parto, ma non credo sia un gran problema.”
“Ugh…”
Nel sentire quel lamento abbassò lo sguardo su Dazai, ancora in ginocchio a terra e col capo chino.
“Che c’è?”
“Uh uh! Ma davvero?” Quella risatina e quel tono di voce non promettevano nulla di buono…
“AH! Oh no, mi aveva detto di non dirtelo!” Yosano si portò le mani alle labbra come se potesse servire a zittirle, ma ormai era tardi.
Dazai risollevò lentamente la testa, mettendo così in mostra un sorriso malizioso più che mai e gli occhi che brillavano di una luce quasi folle. “Grazieeeeeee!!! Mi hai dato un’informazione preziosissima!!!”
E all’improvviso…si gettò su Yosano, abbracciandole le gambe come un folletto scemo!
“Gyaaaaaahhhh!! Lasciami!!!”
Detto fatto, Dazai scattò in piedi e si volatilizzò dal laboratorio. Attraversò di corsa il corridoio e quando giunse nell’ampio spazio aperto dell’ufficio, senza fermare la corsa, lasciò detto un frettoloso: “Io esco prima! Non ditelo a Kunikida!” E via!
I suoi colleghi rimasero a fissare la porta per qualche istante. Avevano l’aria di chi ha assistito al passaggio di un uragano. E poi la porta si aprì di nuovo…
“Kyouka, quasi dimenticavo! Posso chiederti di regalare un altro coniglietto ad Akira? Quello di adesso lo sta letteralmente consumando!”
“Sì, certo.”
A rispondere non era stata una ragazzina coi codini e con un cellulare appeso al collo, bensì una donna di trentaquattro anni col viso leggermente truccato, i capelli acconciati in stile tradizionale e un kimono blu notte che le permetteva di muoversi liberamente, di scivolare fra le ombre, di saltare dal tetto di un edificio ad un altro senza essere minimamente notata nemmeno in pieno giorno. Pur avendo conservato la sua inquietante serietà, era un fatto noto che adorasse i bambini e non mancava mai di fare loro dei regali affettuosi. Era stato così per Hana e Riku, ora era il turno di Akira!
“Grazie, piccola!”
“Non chiamarmi in quel modo, razza di…” Ormai Dazai era sparito. Ecco, una cosa che col tempo era cambiata forse era questa, crescendo il suo carattere si era fatto più severo e intollerante ai nomignoli e agli scherzi di quell’uomo.
*
 
Non avendo mai voluto prendere un’auto, perché secondo lui “per andare in ufficio è più comoda la metro e in caso di necessità c’è l’auto di Chuuya”, dovette appunto affidarsi alla metropolitana per tornare a casa. Per la prima volta gli parve che il viaggio non finisse mai, tanto aveva fretta di arrivare. Quando finalmente giunse alla sede della Port Mafia, aprì la porta vetrata buttandocisi quasi di peso! Divenne raggiante quando, allungando lo sguardo, vide Chuuya e Riku parlare di fronte all’ingresso che dava al parcheggio coperto.
“Chuuuuuyaaa!!!”
Vedendo quell’imbecille correre a perdifiato e con un’espressione fin troppo felice sulla faccia, la loro reazione di pura sorpresa era assolutamente giustificata!
“Fiuu, non sono più in forma come una volta!” Si chinò appoggiando le mani sulle ginocchia per riprendere fiato. “Riku, posso prendere in prestito tua nonna?”
“Ehi, non sono mica un oggetto!!!” Interferì Chuuya, sbraitando nel suo solito modo isterico.
Al contrario, Riku rispose educatamente: “Sì, ojii-san! Otou-san tornerà a momenti da un appuntamento, lo aspetto qui!”
Dazai gli fece una carezza sulla testa. “Bravo piccolo!” Per fortuna il suo nipotino accettava di buon grado quelle manifestazioni di affetto, al contrario di altri soggetti…
Afferrò Chuuya per un braccio e lo trascinò in tutta fretta verso gli ascensori, senza curarsi delle sue proteste, del tipo “Non tirarmi, pezzo d’idiota! Ho i tacchi! Mi fai cadere, deficiente!!!” e via dicendo…
Riku fece giusto in tempo a vedere le porte dell’ascensore chiudersi (e le grida di Chuuya svanire di conseguenza!), che dalla porta del parcheggio coperto arrivò suo padre.
Akutagawa sbirciò attorno, prima di chiedere: “Riku, sei da solo? E Chuuya?”
Lui puntò il dito verso gli ascensori. “Ojii-san è arrivato all’improvviso e se l’è portato via.”
…momento di silenzio…
“Quell’uomo non cresce proprio mai.” Scosse il capo con rassegnazione, ormai sapeva che non c’erano speranze di miglioramento. Tanto valeva lasciar perdere. “Prima di andare dal Boss a fare rapporto, ti va di andare alla sala bar? Ho sentito che questa settimana sta andando forte il frappé al cioccolato.” Strizzò l’occhio.
Una cosa che Riku adorava, oltre ai combattimenti, era il cioccolato. Non appena sentì quella parola, i suoi occhioni viola e oro brillarono come pietre preziose. “Se proprio insisti!”
Akutagawa ridacchiò, per quanto suo figlio si mostrasse maturo e serio nel lavoro, era pur sempre un ragazzino delle medie pieno di vitalità che sapeva regalare sinceri sorrisi. Come sua madre Atsushi!
Mentre si incamminavano alla suddetta sala, ogni singola persona che incrociavano li seguiva con lo sguardo. A ben vedere! Padre e figlio avevano uno stile agli antipodi, più che una generazione sembrava avessero un secolo di differenza! Anche se Akutagawa aveva abbandonato il fazzoletto al collo e la camicia a balze, sostituendoli con un comodo e pratico dolcevita bianco, il cappotto restava comunque un capo di foggia mooolto datata, in più adesso che aveva i capelli lunghi e teneva due ciocche sul davanti che gli ricadevano sul petto, l’effetto antico era assicurato. Riku invece incarnava la giovinezza e uno spirito ribelle col suo giubbino bianco in jeans, un paio di jeans neri e gli anfibi. E la buffa ciocca di capelli bianchi che gli ricadeva sul viso gli dava un tocco infantile!
 
[Spostiamoci nell’ascensore assieme ai due piccioncini…]
 
Appena messo piede all’interno, Dazai spinse Chuuya contro la parete della cabina e allungò le mani sulla sua camicia per sbottonarla, così, senza alcun riguardo.
Chuuya tentò di fermarlo, inutilmente. “Ti sei bevuto il cervello? Cos-?” Volse la testa di scatto verso l’angolo in alto a destra della cabina. Il suo sguardo tremò. “I-idiota! Lo sai che c’è una videocamera!”
In quel momento Dazai terminò di armeggiare coi bottoni e aprì la camicia per denudare bene il petto della sua mogliettina isterica!
“Ti ho detto di piant-ah!”
Cosa diamine stava facendo??? Veramente gli stava massaggiando i capezzoli??? Lì??? In ascensore??? Davanti alla videocamera che stava trasmettendo in diretta alla sala di controllo del palazzo???
“No… Fermat- No! Aaaaah!” Niente, non riusciva a fermarlo. Il piacere che provava a quella stimolazione era troppo forte e lo privava delle energie necessarie a ribellarsi. Inoltre Dazai lo stava fissando con uno sguardo da predatore affamato e lui sapeva che in quei momenti non c’era modo di farlo ragionare. Sentendo il sangue concentrarsi sulle gote e avendo già il respiro affannato per il piacere, tentò di coprirsi con la mano, ma Dazai gliela scostò con un colpo di testa e gli si avvicinò così tanto che i loro nasi si sfiorarono.
“Sei un…anf…cretino! Smettil-gh!”
La tortura si stava svolgendo con ritmo frenetico, le dita di Dazai alternavano movimenti circolari a pressioni dirette, prima coi pollici e poi con gli indici. Insomma, lo stava facendo impazzire. In aggiunta, insinuò una gamba fra le sue e sollevò leggermente la coscia per strusciarla contro le sue parti intime. Si deliziò particolarmente nel sentire la sua erezione.
Gli parlò all’orecchio: “Yosano ha detto il vero! Uh uh! Sei stato bravo a tenermelo nascosto fino adesso!”
Chuuya spalancò gli occhi. Dunque era stata lei!
“Quella stronza! Non ha mai sentito parlare del segreto professionale? Anche se è una donna, la prossima volta che la vedo le piazzo un pugno in piena facc-AH!” Niente, non riusciva più neanche a parlare in quello stato. C’era solo una cosa che poteva aiutarlo.
Dling!
Dazai si interruppe all’istante. “Oh, siamo arrivati al nostro piano.”
Sfinito, Chuuya non si mosse, anzi per stare in piedi dovette appoggiarsi alla gamba di lui e superare l’imbarazzo di una simile posizione. Ma Dazai sapeva come prendersi cura di sua moglie e con gesto cavalleresco lo prese fra le braccia e lo issò elegantemente come una fosse stato una principessa.
Uscendo dall’ascensore, chiese: “Akira è con Kouyou, giusto?”
“Mh. Da quando ho ripreso col lavoro è quasi sempre lei ad occuparsene, lo sai.” Incredibilmente era diventato docile e si stava facendo trasportare senza dimenarsi, la testa appoggiata alla sua con un pizzico di tenerezza. Tutto sommato non gli dispiaceva essere strapazzato un po’ e poi cullato da quello scemo di suo marito.
Giunti di fronte all’appartamento, Chuuya si occupò di digitare il codice sulla testiera, al quale seguì un suono metallico ad indicare che la porta era aperta. Ma Dazai non si mosse.
“Perché non entri?”
Sulle labbra di Dazai ora vi era un sorriso nostalgico. “Mi è venuta in mente una cosa. L’ultima volta che ti ho portato in braccio così è stato la nostra prima notte di nozze, ricordi?”
“Oh, è vero…”
“Sono passati tanti anni, ma ti amo come allora.”
Chuuya si sentì avvampare, abbassò il viso. “Ti-ti sembrano cose da dire così all’improvviso?”
“Ah ah! Hai ragione!” Sospirò dalle narici, il sorriso si accentuò. “Mi fai una promessa, Chuuya?”
Lui lo sbirciò con la coda dell’occhio. “Quale?”
“Prometti che continueremo ad amarci così fino al nostro ultimo respiro.”
Altro che imbarazzo, ora gli veniva da piangere! Ma come gli venivano certe frasi? Eppure rialzò il viso ed incontrò il suo sguardo magnetico e carico di sentimento.
“Sì. Sono certo che sarà così.”
E allora Dazai lo baciò con passione, mentre Chuuya gli portò le braccia al collo per attirarlo a sé.
Al contrario di quanto avvenne durante la famosa notte di nozze! Quella volta infatti…
…Dazai aprì la porta dandole una ginocchiata  e si beccò un rimprovero!
“Se lo fai ancora ti rompo una gamba, imbecille.” Disse Chuuya stizzito.
“Non ho fatto niente! Io non ho la tua forza!” Fece un movimento un po’ azzardato, sbilanciandosi contro la parete, ma solo per premere l’interruttore della luce gol gomito.
“Diamo inizio alla nostra notte di nozze!”
Non riuscì a fare un passo che Chuuya lo bloccò: “Togliti le scarpe, non voglio che mi sporchi il pavimento.”
“Aaaah…certo, amore mio!” Il segreto era mantenere i nervi saldi, anche se la tentazione di lasciarlo e farlo cadere dritto a terra era forte!
Per il loro matrimonio, i due avevano scelto un abbigliamento ‘total white’, rispettivamente, un completo elegante dal taglio morbido su cui spiccava un fermacravatte in oro, per Dazai, e una camicia femminile molto morbida dal collo arricciato a sacco, pantaloni eleganti e mocassini con fibbia in oro, per Chuuya. Ovviamente anche lui non mancò di sfilarsi le scarpe e farle tranquillamente cadere, anche se di fatto non stava camminando sul pavimento!
“Bene, ora possiamo andare in camera da letto!” Dazai era il ritratto della felicità e non nascondeva un certo entusiasmo al pensiero che a breve avrebbe posseduto Chuuya come sua moglie e non più come suo amante. Ancora gongolava per essere riuscito ad ottenere dal Governo un certificato di matrimonio valido (con l’aiuto del Boss Mori e del Presidente Fukuzawa), nonostante in Giappone non fosse legale per due uomini sposarsi.
Ad aprire la porta, questa volta ci pensò Chuuya, giusto per evitare che Dazai facesse un’altra cavolata, costringendolo così a diventare vedovo all’istante. Dettagli…(!)
I loro occhi si spalancarono per la sorpresa nel vedere come la stanza era stata preparata per loro. La luce tenue e gialla di una abat-jour dava un effetto rilassante e intimo, su un comodino vi erano una bottiglia di champagne e due calici, e sul letto era stato disegnato un cuore di petali di rose rosse.
“Secondo te di chi è stata l’idea?” Chiese Dazai, ammiccando.
“Veramente vorrei sapere come è possibile che qualcuno sia entrato qui se io e te siamo gli unici a conoscere il codice di accesso.” Gli lanciò una tale occhiata accusatoria che Dazai cominciò a sudare freddo.
“Eh eh… No, sai… Ho pensato che… Magari per le emergenze, Akutagawa e Atsushi potevano saperlo! Hanno avuto da poco la bambina e…” Si bloccò da solo, puntò lo sguardo al letto e lo raggiunse velocemente. Almeno fu particolarmente gentile nel posare Chuuya sul materasso.
“Facciamoci un goccio.” Disse Chuuya, allungando la mano per afferrare la bottiglia di champagne, ma Dazai gliela trattenne.
“Prima devi fare quella cosa.”
Il cuore di Chuuya mancò un battito, sapeva bene a cosa si riferiva.
“Ma… Adesso? Prima non è meglio bere qualcosa e…”
“No. Voglio che tu lo faccia subito.” Il tono non era molto severo, però il suo sguardo profondo e intenso non ammetteva repliche.
Chuuya abbassò lo sguardo. “V-va bene…”
“E voglio che tu dica il mio nome.”
“L’ho già fatto durante la cerimonia!!!”
“Lo so! Ed è stato bellissimo! Detto da te ha un suono così dolce!” Rispose Dazai, sorridendo. Quindi proseguì: “E ora devi dire anche l’altra cosa. Sinceramente e guardandomi negli occhi.”
“A-anche quello te l’ho già detto diverse volte in passato…”
Dazai agitò la mano in segno di diniego e puntualizzò: “Solo quando ti costringevo mentre facevamo sesso. Quindi non conta.”
Chuuya era così agitato! Com’era possibile sentirsi in quel modo solo a causa di poche parole? Avrebbe preferito una missione, una di quelle altamente pericolose che il Boss si divertiva ad affidargli solo per il gusto di vedere se sarebbe tornato vivo. Qualunque cosa sarebbe stata meglio di QUELLO che stava per dire!!!
Dazai lo squadrò con fare sospetto, per poi far scivolare la mano sulla sua gamba e salire lentamente fino al cavallo dei pantaloni. Con tocco esperto prese a massaggiare il lieve rigonfiamento accanto alla patta…
“E adesso cosa fai?” Starnazzò Chuuya.
“Ti aiuto a trovare il coraggio! Se è di questo che hai bisogno per parlare, allora io…”
Lui scosse il capo. “No. Smettila. Lo dirò.” Sarebbe stato orribile rovinare tutto in quel modo. Era una cosa troppo importante.
La mano di Dazai si fermò subito, indugiò solo un istante prima di spostarsi e andare a posarsi sul materasso. La sua destra, invece, si sollevò fino a raggiungere la rosa fresca che Chuuya aveva fra i capelli. Con cura la tolse dall’elastico e andò a riporla sul comodino, accanto ai calici, quindi tornò a sfiorare i capelli e con un dito sfilò anche l’elastico. Semplici gesti che aveva donato a Chuuya un’immediata tranquillità, il suo sguardo rivolto al viso di Dazai, i suoi sensi concentrati sul leggero tocco della sua mano… E poi quella stessa mano gli accarezzò la guancia col dorso, il dito indice gli disegnò la forma delle labbra, in quel momento arrossate per la concentrazione di sangue. Un segnale di eccitazione. Anche i suoi occhi chiari ora erano mossi da un luccichio di desiderio. Era incredibilmente sensuale.
Chuuya prese la mano di lui fra le proprie e l’avvicinò di più alle labbra per stamparvi un bacio. Ora si sentiva pronto per dire quelle parole che aveva sempre celato nel cuore e non era mai riuscito a far uscire dalle labbra (tranne le volte in cui era sotto l’effetto dell’orgasmo! LOL)
Il suo sguardo naufragò in quello di lui, la voce gli uscì fievole e dolce.
“Ti amo, Osamu.”
Fece vibrare la ‘s’ in un modo che solo lui era in grado, un suono che anche durante la cerimonia era stato in grado di raggiungere il cuore di Dazai. E ora che quel nome era stato pronunciato assieme alle altre parole, sentì che la catena del loro legame, quella che avevano costruito dal loro primo incontro e che per un periodo aveva rischiato di spezzarsi, ora finalmente era integra e li avvolgeva saldamente. Si ripromise di fare tutto ciò che poteva per mettervi anche un lucchetto e assicurarsi di restare con Chuuya per tutta la vita.
  
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