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Autore: PiscesNoAphrodite    24/06/2020    1 recensioni
"La Dodicesima Casa non mi era mai sembrata così tetra – col suo perimetro regolare e incastonata come un diamante tra le pareti verticali del monte – benché non la ricordassi come un luogo ridente, se non per la presenza dei fiori i quali però aulivano, anch'essi, di un sentore di morte."
***
In un ipotetico post-Ade Misty è riuscito a conquistare le Sacre Vestigia di Libra, a dispetto di trascorsi poco brillanti; ma è possibile che nel raggiungimento di uno status ambito ed elevato non risieda la felicità? Dove cercarla, dunque? In bilico tra la vita e la morte? In gesta eroiche o in qualcosa di più ordinario?
(Narrazione a punti di vista alternati)
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Apollo, Lizard Misty, Perseus Algol, Pisces Aphrodite
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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I prati d'asfodelo, capitolo VII

 

 

XVII

 

Realizzai d'essere in grado di ammirare qualcuno senza provare invidia, e questo avvenne non in virtù dalle sagge osservazioni di Sileno, sebbene le sue parole avessero facoltà di aprirmi gli occhi ed erano illuminanti come uno spiraglio di luce nelle tenebre.

Mi ero lasciato l'audace creatura indietro, avventurandomi nella quiete che avevo contemplato dalla stanza riservatami in quella residenza; aggirando le genti che popolavano il luogo, compresa la servitù e lo stuolo di guardie alle quali avevo riservato un'occhiata con cui mi ero premurato di ribadire il mio status privilegiato. Ruolo privilegiato? Forse, a loro avviso, ma non ne ero ancora del tutto convinto.

Il dio del Sole si crogiolava nella tranquillità di quei boschi e sapevo amasse circondarsi di bellezza. In un primo momento lo avevo odiato per poi riscoprirmi devoto, e affascinato da tanto splendore, non aveva niente a che vedere con l'incarnazione di Athena. Apollo simboleggiava la forza e la grazia al tempo stesso... Era blasfemo il solo pensarlo, ma non negavo l'evidenza nascondendomi dietro la facciata dell'ipocrisia. Rifuggivo la falsità e in questo mi distinguevo con orgoglio da mio fratello.

Febo era un arciere e un atleta straordinario, sembrava dare sfoggio di abilità solo per compiacermi e bearsi del mio sguardo estasiato. Ci eravamo confrontati in una prova di tiro con l'arco, dopodiché ci fermammo a riposare ai piedi di un albero secolare, nei pressi di un rigagnolo d'acqua limpida.

Disteso sull'erba, e incurante di una radice che mi pungolava la schiena, continuai a guardarlo con la coda dell'occhio. Apollo sedeva accanto a me e ricambiai il suo sorriso. Ne stavo conquistando la fiducia pur essendo semplicemente me stesso? Sembrava strano e doveva essere senz'altro a causa del mio aspetto...

“Alzati.” Col volto incupito dall'ombra delle nuvole - che aveva mitigato il calore del sole - mi indusse a smetterla di rimuginare.

Mi sollevai, non avevo avuto l'accortezza di stendermi sul mantello e gli indumenti si erano appiccicati addosso. L'umidità del terreno si era infiltrata attraverso il tessuto. Erano inezie a cui solitamente badavo, per eccesso di zelo sostenevano alcuni. Sedetti accanto a lui e mi cinse un braccio intorno alle spalle facendo aderire il mio corpo al suo. Quel mostrarsi così confidente quasi mi indisponeva.

“L'idillio non si protrarrà a lungo” disse, ponendomi un fiore rosso sangue tra i capelli.

Rammentai all'improvviso ciò che aveva affermato in merito alla sorte. Il destino è svincolato dalla volontà degli dèi, Apollo stesso aveva sperimentato quanto fosse inclemente nel momento in cui gli aveva strappato dalle braccia il suo giovane amato: Giacinto. Mi riscossi dai pensieri nell'attimo in cui percepii quel profumo... ma fu una reminiscenza che scacciai dalla mente con tutte le mie forze. Mi scostai da lui, tremante, ravviando un ciuffo ribelle di frangia che si era insinuato in mezzo agli occhi.

“Hai parlato di fedeltà ad Athena” proferì il dio in tono stentoreo, e aumentò il distacco dalla mia persona alzandosi in piedi. “Ma le semplici promesse necessitano di essere avallate dai fatti.”

“Pensate che le mie siano solo parole vuote?” domandai, ergendomi sulle gambe malferme, intento a raggiungere l'entità suprema per ottenere la sua attenzione. “Avevate detto di reputarmi sincero. Vi state rimangiando tutto?” Strinsi i pugni.

Febo si fermò - girandosi - quindi mi rivolse di nuovo la parola: “No.” I suoi occhi vitrei mi trafissero come spuntoni acuminati, provai una sorta di dolore fisico e in risposta abbassai lo sguardo.

“E, con i fatti, intendo: la dimostrazione che la tua non è stata una defezione volontaria. Io conosco la verità ma, ti avverto, potrei anche negarla in presenza di Athena, e la responsabilità ricadrebbe in pieno su di te. Non si farebbero remore a infierire nemmeno dinanzi al tuo volto angelico" esortò con autorevolezza.

“Conosco le regole del Santuario, sono molto rigide” confermai nel tentativo di dissimulare l'angoscia alimentata da quell'affermazione subdola. Afferrai una ciocca di capelli rigirandola tra le dita, espirando lentamente l'aria che avevo dapprima trattenuto a fatica nei polmoni, e scorsi con orrore una riga di sporco sotto un'unghia.

“Sai cosa potrebbe accadere?” Febo sospirò inarcando un sopracciglio, questa volta con un'espressione che avrei definito intelligibile. “Ti infliggerebbero un castigo peggiore della morte.”

Mi parve di cogliere un vago e sinistro compiacimento in quelle parole. “Peggiore della morte!?” replicai stringendomi nelle spalle.
Non è possibile, loro sono i buoni.

“Sì. E, tu, cosa definiresti più terribile della morte?”

Ci pensai su e dopo un po' risposi: “L'umiliazione...”

Febo mi sfiorò la fronte. Non riuscivo più a tenere gli occhi aperti e abbassai le palpebre sopraffatto dal torpore; mi si ottenebrò la mente e al risveglio provai la sensazione di annaspare in un mare di densa foschia che si diradò poco a poco.

 

Scorsi con nitidezza le caratteristiche di un luogo non dissimile a un'aula di tribunale. Ma quando mi riscossi dall'ottundimento riconobbi la Sala delle Udienze del Tredicesimo Tempio: vi stanziavo sotto gli occhi di tutti e affiancato da un paio di guardie. Vidi Athena e il Sommo – che in quell'occasione indossava la maschera blu cobalto insieme ai soliti paramenti . C'erano i Santi, ma anche subalterni, gli inservienti, e le genti del Santuario... Non ricordavo la sala fosse tanto grande da contenere una folla così imponente stipata tra le colonne e a ridosso delle pareti.

Che vantaggio pensi ti avrebbe portato disertare il Grande Tempio, e schierarti col nemico?” tuonò il Sommo Sacerdote. Accuse taglienti come il gelo che si stava insinuando nelle ossa.

Non replicai, non avevo scusanti, e anche se ne avessi avute non mi avrebbero creduto. Guardai i miei interlocutori: Athena non si pronunciò ma il suo bel viso era sfigurato da una smorfia di disapprovazione congiunta a dolore ed ebbi l'impressione di veder luccicare una lacrima tra le sue ciglia; ero certo che, nonostante tutto, mi amasse ancora allo stesso modo in cui amava gli altri Santi. Ma avevano stabilito che avessi tradito la sua fiducia e sul mio capo pendevano gravi accuse impossibili da confutare. Nemmeno mio fratello si era trattenuto dal contenere l'indignazione e mi aveva schiaffeggiato prima di consegnarmi alle guardie. No. Aphrodite non poteva avermi fatto questo, mi ero detto, ma poi rammentai che, sì, lui era così integerrimo da non cedere ad alcun tipo di favoritismo. Osservavo i volti trasfigurati dal ghigno contorto del disprezzo e della riprovazione; e quelli imperturbabili di coloro che mi erano stati amici e, ora, giustamente, mi voltavano le spalle. Nessuna traccia di compassione... solo risentimento e, forse, brama di vendetta.

Athena impugnò lo scettro aureo di Nike, elevandolo, per poi inclinarlo verso di me. D'un tratto ne avvertii il cosmo, non un'aura amorevole ma una scarica di furente energia che mi fece vacillare privandomi con dolore dalle Sacre Vestigia. Le figure intorno a me divennero sfocate, doveva essere a causa delle lacrime salitemi agli occhi che si riversarono incontenibili lungo il viso al primo battito di ciglia. Incapace di pensare, chinai il capo nel vano tentativo di celare la mia condizione, mi sentivo come se fossi stato denudato sebbene indossassi ancora le vesti ordinarie.

Una spinta mi fece rovinare ai piedi dei due scranni dorati, provai a rialzarmi ma fui costretto, con una picca puntata al costato, a permanere in ginocchio. In quel momento udii la voce del Sommo vibrare attraverso la maschera. La solita calma imperturbabile, irritante.

La morte sarebbe troppa grazia per chi si macchia di nefandezze quali il tradimento, ma soprattutto troppa indulgenza per chi, come te, si fregia di vanagloria ed è traviato dal peccato di superbia; da uno smisurato e inguaribile orgoglio" ammonì. “Non abbiamo concordato la pena capitale per i tuoi reati ma, in alternativa, languirai nel profondo di una segreta senza mai più vedere la luce del sole e delle stelle.”

 

Uno schiocco di dita mi destò dall'incubo, dalla visione, che racchiudeva in sé un barlume di vivido e terrificante realismo. Stavo tremando e aver riaperto gli occhi su quell'angolo pacifico di mondo non fu sufficiente a rassicurarmi.
In realtà non ci sono buoni o cattivi ma solo servi e padroni; comuni mortali al servizio degli dèi. Siamo predestinati, pedine, schiavi...
Affondai le unghie nel palmo della mano con risentimento.

“Credi che tutto questo sia ingiusto?” Mi interrogò, prendendomi il volto sudato tra le mani.

“No” constatai razionale, reprimendo l'impeto di collera e disillusione che mi aveva colto. “Avrebbero tutte le ragioni per accanirsi contro un traditore... ma credo che potrei morire dalla vergogna.” Gli confidai, nonostante il tremito delle labbra m'impedisse di esprimermi al meglio.

“Athena è pur sempre una dèa e non è possibile disattendere agli oneri che la fedeltà nei suoi confronti impone. Quello che hai visto potrebbe verificarsi se non riuscirai a chiarire la tua posizione.” Avvicinò le labbra alla mia fronte lambendola con un bacio, come farebbe un padre per consolare il proprio figlio. “Ti troverai nelle condizioni di dover provare la tua devozione.”

Ebbi l'istinto di sottrarmi alle lusinghe e indietreggiai, atterrito: “Ma io non volevo abbandonare il Santuario, non l'ho fatto di mia sponte!”

“E, davvero, pensi darebbero credito alla versione di un Santo che reputano debole e vanesio? Alle sole parole?” Mi sollevò il mento con la punta di un dito e poi lo ritrasse. “Che rilevanza possono avere le affermazioni di un mortale, se nemmeno gli dèi possono contrastare i disegni del fato. Tuttavia a dispetto dell'opinione fallace che si sono fatti al Santuario, io ti considero nobile, Santo di Libra, e possiedi il senso dell'onore.”

Abbassai gli occhi e poi rialzai la testa ritrovandomi solo. Febo si era dileguato inoltrandosi nel dedalo della foresta, avevo udito il fruscio delle fronde accompagnare i passi che calpestavano rami e foglie di quercia sparsi a terra. Forse voleva esortarmi a riflettere ma ero scosso e avevo la mente obnubilata, impossibilitato a ripercorrere con la logica gli avvenimenti e, tanto meno, a cogliere appieno il senso della sua ultima affermazione la quale mi inorgogliva. Lui sembrava giudicarmi in tutt'altro modo rispetto agli altri.

Inalai l'odore di muschio trasportato dalla brezza che s'infiltrava tra i capelli e scrutai l'orizzonte, distratto dal gorgoglio delle acque. Mossi alcuni passi e, dopo aver raggiunto il ruscello, mi chinai per raccogliere un poco d'acqua nel cavo delle mani, la lasciai fluire tra le dita e bagnai il viso per schiarirmi le idee. Il fiore appuntato tra i capelli cadde nel rigagnolo e fu trascinato via dalla corrente.

Mi auguravo che gli elogi di mio padre fossero dettati dalla sincerità, ma sapevo di non dover cedere all'adulazione perché le blandizie avrebbero potuto celare un qualche inganno finalizzato a farmi finire stritolato tra le spire del serpente. Eppure volevo confidare nella sua lealtà, lo desideravo con tutto il cuore... serviva a rafforzare la mia autostima benché, spesso, dessi a vedere il contrario. Morsi il labbro inferiore fino a farne sgorgare il sangue che colò da un lato.

... Ero stato un bambino la cui unica aspirazione era quella di correre spensierato per i campi di lavanda.

Adesso, invece, anelavo considerazione e notorietà universale ma nelle mani ritrovavo solo i cocci dei miei sogni infranti. Il mio bell'aspetto era una maschera, a detta di alcuni, dietro la quale celavo inconsistenza. Un fallimento.

 

***

 

XVIII

 

“Non amo essere estromesso quando si tratta di intraprendere una missione importante” esordì Seiya ignorando la mia presenza apertamente. Quella sicumera mi strappò un sorriso compassionevole, il suo atteggiamento era sempre così puerile, a dispetto dei trascorsi che l'avevano portato a essere ciò che in realtà era.

“Ho già deciso chi dovrà accompagnarmi, Santo di Pegasus.” La fanciulla si voltò nell'atto esplicito di riguadagnare il seggio e, senz'altro, il gesto era premeditato ad hoc per ribadire la propria autorità davanti a quel presuntuoso.

“Il tuo fratellino ha combinato proprio un bel pasticcio ma... già sapevo che non avrebbe concluso niente di buono neanche in veste di Santo di Libra” replicò il Santo di Bronzo. La sua risposta accrebbe la mia insofferenza ma, d'altro canto, ne comprendevo la perplessità e la preoccupazione.

“Possiamo fare a meno delle tue polemiche.” Lo guardai dritto negli occhi. “Tu avresti qualche suggerimento per risolvere questo pasticcio?”

Seiya soppesò il proprio elmo nelle mani e rimase in silenzio. Supponevo che nemmeno lui avesse la verità in tasca né sapesse come affrontare il problema se non, come sua abitudine, avvalendosi della forza. Ma la forza e l'impulsività che lo contraddistinguevano non sarebbero servite, anzi, avevo sentore – conoscendo mio padre – che sarebbero state controproducenti.

“Il Santo di Libra ha agito in modo corretto se, come crediamo, è stato costretto a scegliere di assecondare il dio.”

“Conoscendo il soggetto, penso di no. Non credo che Misty sia capace di compiere un gesto di disinteressato altruismo. Secondo me non gli importa nulla di Athena e del Santuario ma ha ceduto alle false promesse di vostro padre e, naturalmente, ambisce privilegi che qui non potrà mai ottenere” insinuò Seiya grattandosi il capo.

“Può darsi” affermai. “Ma dovremo accertarlo e, in tal caso, prendere provvedimenti. Non è così, milady?” Mi girai verso la dèa facendo volteggiare il mantello. L'espressione inebetita di Seiya mi divertiva un sacco, certo, non si aspettava una simile replica da parte mia, era più probabile pensasse che avrei difeso Misty a spada tratta.

“Sì, esattamente. È come dici tu, Pisces” confermò la fanciulla dopo essersi seduta sullo scranno e un bagliore percorse lo scettro di Nike riflettendosi sul volto pallido.

Seiya ricollocò l'elmo sulla zazzera scarmigliata: “Non condivido la vostra decisione, milady. Non riesco a concepire una missione che non mi veda al vostro fianco.”

“Lo so, Pegasus, ma cerca di capire. Questa, in realtà, è una semplice delegazione in cui non si prevedono risvolti bellicosi” sospirò Saori.

“Così sembrerebbe ma il nemico è astuto. Io non mi fido.”

“Per una volta devi fidarti.” Lo redarguì, perentoria.

Rivedevo la dèa imporsi e non la donna, sebbene non si trattasse di due entità distinte. Seiya di Pegasus fu costretto a cedere ma sottolineò la propria lealtà con una vigorosa stretta di mano che mi sorprese e, finalmente, si congedò lasciandomi solo con Athena. Per una volta la sua testardaggine non prevalse, e tuttavia provai tenerezza per quel sentimento innegabile emerso nel contendere con la dèa: così tenero e romantico, una blanda reminiscenza dell'amor cortese.

La dèa mi raggiunse sulla passatoia scarlatta, si soffermò al centro dell'aula e colpì, dolcemente, con l'estremità dello scettro, il pavimento. La superficie di marmo ondeggiò generando cerchi concentrici, passando allo stato liquido. Athena mi tese la mano e io la presi nella mia, quindi allungò un passo per calpestare lo specchio d'acqua...

 

 

 

Avevamo oltrepassato il varco dimensionale e, giunti nel cuore della residenza di Apollo a Delfi, ritrovai un ambiente familiare. Un dolce arpeggio echeggiava nella volta, ricavata dal legno di cedro, del Tempio ma la melodia s'interruppe nel momento in cui i presenti appurarono la nostra presenza. E fu come se la malia, che permeava quel luogo, si spezzasse alla stregua del risveglio nel bel mezzo di un sogno.

Athena si spinse verso il centro della sala - lo scettro in pugno - ma con l'atteggiamento dimesso e appropriato a un intruso consapevole di essere fuori posto. Era avvolta da una blanda aura di cosmo accentuata dal lucore che s'infiltrava tra le colonne del peristilio. La situazione mi metteva a disagio, ero guardingo. Non mi soffermai a contemplare la magnificenza del luogo come avevo fatto in passato e la mia attenzione fu catturata dal quadretto che si stagliava innanzi a noi.

Misty occupava il posto d'onore accanto al dio: col busto inclinato, il gomito puntellato sul bracciolo del seggio e la testa appoggiata sulla mano; una gamba dondolava accavallata sull'altra. Aveva la fronte cinta di lauro ed era vestito con una semplice tunica corta e pantaloni bianchi, simili all'uniforme abituale indossata al Santuario; i capelli sparsi, sciolti fino alla vita, incorniciavano l'incarnato di ragazzo efebico dagli occhi di cielo. Si raddrizzò, ricomponendosi, e assunse quello che per lui doveva essere un contegno autorevole ma in realtà era solo il piglio di un adolescente arrogante. Sondai in quegli occhi vitrei ma erano come specchi in cui rimbalzava l'immagine riflessa. Freddi e impenetrabili.

È passato dall'altra parte, la convivenza con Febo lo ha irretito definitivamente, avrei dovuto aspettarmelo.

Presi un respiro, quasi temendo che qualcuno potesse captare quei pensieri nel silenzio di tomba calato al momento della nostra comparsa, e che si protrasse per un tempo indefinito. Rivolsi ancora l'attenzione a mio fratello: rifulgeva offuscando il candore delle statue e delle colonne di marmo. Pagliuzze d'oro si riflettevano sulla criniera fulva, corrugò le sopracciglia e abbassò lo sguardo sulle mani quasi strette a pugno. Poi, come volesse stemperare la tensione, afferrò il calice deposto sulla mensola accanto a sé e ingollò quello che pensai fosse del vino dopo aver scorto l'alone purpureo che gli aveva dipinto le labbra. Non sembrava felice di vederci. Quell'atteggiamento mi aveva persuaso che fosse stato vittima di plagio o, forse, nella più favorevole delle ipotesi, manteneva un distacco emotivo al solo fine di assecondare il dio, e sapevo si fosse adoperato di compiacerlo sin dall'inizio. Non avrei potuto biasimarlo per questo.

“Giungete in questo luogo sacro senza preavviso, ciononostante non ignoro il motivo della vostra visita.” Febo prese la parola, deponendo la cetra che tratteneva in mano, e dopo indugiò soppesando con lo sguardo la mia persona.

“Presumo Athena voglia reclamare ciò che le spetta ma, parimenti, immagino lei sappia che i suoi Santi hanno facoltà di avvalersi del libero arbitrio. Dunque...” Allungò una mano verso mio fratello e gli lambì una guancia pallida col dorso delle dita. Misty fece come per annuire, in silenzio, sebbene non capissi a cosa stesse annuendo.

“Divino Apollo, non reclamo ciò che voi asserite mi spetti - come un capriccio - ma lo faccio perché il Santo di Libra è deputato all'onere di porsi a custodia del Settimo Tempio e non può svolgere il suo compito stando seduto al vostro fianco.”

Se ci fosse stato il ronzino alato avrebbe dovuto tenere a bada i bollenti spiriti per non mandare tutto all'aria. Conoscevo Febo ed ero certo avrebbe apprezzato i modi di milady. La fanciulla si mostrò infatti determinata, ma nel contempo abile nell'uso della diplomazia.

Il dio abbandonò lo scranno e ci venne incontro fermandosi a breve distanza, sembrava snobbare la sua controparte divina e, nonostante il nostro legame, provai un moto di avversione in risposta a tanta impudenza.

“Preferivo invitarti di persona anziché incontrarti in una situazione spiacevole come questa” affermò facendomi trasecolare.

“In verità ho guardato nello specchio invano.” Lo puntai fisso negli occhi mentre, sullo sfondo, Misty si mosse per porre le mani sui braccioli del seggio e li afferrò facendo sbiancare le nocche.

Febo non replicò alla mia provocazione ma accennò un sorriso, la sua pacatezza era disarmante e m'inquietava; portai una mano alla gola ma non potevo rimuovere la gorgiera dall'armatura d'oro.

Athena sembrò riscuotersi, dopo aver osservato la scena in silenzio, e si accigliò: “Santo di Libra, ti facilito il compito ordinandoti di fare ritorno al Santuario.”

Misty sgranò gli occhi. La dèa lo stava esentando da ogni responsabilità esponendosi a una possibile ritorsione da parte di Febo? In altre circostanze avrei definito un passo falso la decisione, probabilmente da lei ponderata e pianificata. D'altronde non poteva permettersi scelte avventate, ma questa opzione mi spaventava. Era una svolta imprevista e pericolosa.

“Non è detto che lui voglia ritornare” sibilò una voce melodiosa quanto subdola. Tra le colonne sbucò il muso caprino di uno dei satiri che stava allietando la corte del dio scuotendo cimbali ritorti, e doveva trattarsi proprio della creatura di cui aveva parlato Algol di Perseus. L'essere che con le lusinghe aveva traviato mio fratello. Serrai il pugno, la rabbia mi salì in corpo e gli avrei piantato una rosa bianca nel cuore se solo avessi potuto reagire.

“Allora commetterebbe reato d'insubordinazione con tutte le conseguenze che esso comporta. E sarebbe riportato indietro, ugualmente, e con la forza” replicò Athena, costernata. Vidi mio fratello impallidire e io dovevo essere sbiancato parimenti perché non mi aspettavo una simile conclusione. La dèa della Giustizia stabilì quale sarebbe stata la sentenza; Misty non poteva tirarsi indietro e doveva seguirci al Santuario con tutti i rischi che il suo gesto implicava. Se Apollo si fosse impuntato la posta in gioco poteva essere la Terra stessa. Ne ero consapevole e la dèa doveva aver concluso fosse un pericolo che valeva la pena di correre per ristabilire la propria autorevolezza dinanzi a un suo pari. Una decisione che sottintendeva l'amor proprio di milady, rievocando gli spettri del passato, e mi sconvolgeva. Era quello il vero volto di Athena? Un volto all'apparenza spietato ma in verità equo, perché chi è posto ai vertici ha il diritto e il dovere di prendere una posizione che sia chiara e determinante, altresì amministrare la Giustizia per quanto scomoda.

Apollo scostò il mantello da parte, si voltò, e guadagnò nuovamente il posto eminente sullo scranno. Accarezzò la lunga chioma di mio fratello avvolgendo un ricciolo dorato tra le dita, l'accostò alle narici per poi rilasciarlo. Dopodiché si raddrizzò ed esordì: “Athena è debole e l'insana predilezione per i mortali non fa che rafforzarne la debolezza.” Scoccò uno sguardo – che pareva d'intesa – a Misty e, a quel punto, temetti di avere le traveggole. Che i due fossero davvero in combutta!?

“Qual è la tua scelta?” Gli domandò.

Misty si alzò in piedi senza parlare e, come se stesse recitando una parte, scese le scale di pietra che innalzavano lo scranno dal pavimento. Si avvicinò con lentezza a noi ma il suo volto – che ravvisai delicato e puro – non tradiva alcuna emozione. Guardò Athena con occhi vacui e inespressivi, sbatté le ciglia, poi ci diede le spalle; allargò le braccia nell'atto di farci da scudo e indietreggiò di un passo guardando in direzione di nostro padre.

Fu in quel momento che il dio dichiarò: “Hai scelto, dunque. Ora mostra la tua devozione ad Athena perché anche qui vigono delle regole e non si abbandona il regno senza il mio consenso.” Parole subdole come l'essere che le aveva pronunciate. “Se riuscirai a proteggerli, la Terra sarà salva allo stesso modo. Oppure perirete insieme.”

 

 

 
   
 
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