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Autore: _Malila_Pevensie    25/06/2020    0 recensioni
Prima storia della serie "Le Saghe di Finian"
Il mondo di Finian non conosce giustizia da quasi cento anni, fin dall'istante in cui la tirannia della Regina Mirea ha avuto inizio.
Freya non l'ha mai vissuta in modo diretto, protetta dalla quiete delle Foreste di Confine in cui sua madre l'ha cresciuta. Le è stato fatto l'immenso dono della libertà e lei non ha mai pensato di lasciare il luogo che l'ha vista diventare ciò che è.
Aran, Principe alla corte di Errania, non ha mai visto in Mirea null'altro che la propria salvatrice. La sorte gli ha concesso ogni ricchezza e privilegio, ma gli ha lasciato anche un fardello d'immense bugie in cui non sa di star affondando sempre più.
La verità, celata dietro quelle esistenze che sembrano destinate a ripetersi sempre uguali a loro stesse, si rivelerà presto in tutta la sua schiacciante realtà.
Il loro destino, racchiuso in una Profezia antica di un secolo e ultimo lascito dei draghi, si presenterà proprio nell'instante in cui le loro vite entreranno inaspettatamente in collisione.
Il Tempo del Silenzio è giunto alla fine e il momento di scegliere si fa sempre più vicino.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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CAPITOLO 15
-CONFESSIONI, PARTE PRIMA: INCUBO-


Senza che quasi se ne accorgessero, l'estate virò rapidamente verso l'autunno, portando con sé nuovi profumi e colori e una certa dose di freddo precoce. Le foglie di alberi e piante erano variegate di ogni tonalità di rosso, giallo e arancione; pian piano, iniziarono a cadere copiose sull'erba dei giardini e sulle campagne circostanti, tappezzando tutto e attutendo il rumore degli stivali sulle viottole sterrate.
Freya non era più riuscita a tranquillizzarsi del tutto, dopo quella sera. In cuor suo continuava a credere che prima o poi qualcosa sarebbe successo, ma non mostrava i suoi timori e si concentrava su altro. Aveva continuato a indagare sui suoi genitori, cercando di capire se le fosse sfuggito qualcosa come le suggeriva l'istinto, ma in quello non era per nulla progredita. La sua conoscenza, però, continuava a crescere: aveva cominciato a frequentare le lezioni che il maestro Athal teneva per Aran, perché pian piano aveva capito quanto fosse importante comprendere a un livello più profondo il mondo che la circondava; trovava il suo modo di illustrare i vari argomenti estremamente affascinante. Per quella ragione, quando Aran le aveva spiegato che Darragh non seguiva le stesse lezioni poiché aveva voluto avere un precettore un pò meno stravagante, non era riuscita a comprenderne il motivo. Athal aveva il grande dono di far apparire interessante anche il più soporifero dei concetti. In ogni caso, Aran non sembrava dispiacersi dell'assenza di Darragh.
Non c'era voluto molto a Freya per intuire che i due fratelli non si parlavano praticamente più. La conferma le era stata data dalla tensione che vibrava fra loro quando erano nella stessa stanza, oltre che dalle frecciatine che si lanciavano le sole volte che si rivolgevano l'uno all'altro. Alle domande della giovane, Aran aveva risposto che, poco prima del ballo, avevano avuto una discussione piuttosto pesante; anche se non aveva voluto dirle quale ne fosse stato l'oggetto, sospettava riguardasse anche lei.
Oltre agli studi, poi, i due giovani trascorrevano ore ed ore in Biblioteca; era il luogo più tranquillo del palazzo, dove potevano parlare di ogni cosa passasse loro per la testa senza timore. Curiosi di scoprire dove fossero andate a finire le mappe degli altri Regni, avevano iniziato a esplorare sezioni della grande torre oscure perfino ad Aran. Era uno strano passatempo, ma rispolverare scritti che nessuno leggeva da tempo li portava ad avere sempre nuovi argomenti di discussione.
Eppure, nonostante la relativa calma, le sue visioni avevano ripreso a presentarsi durante la notte. Striscianti e avvolte in quella solita aura di terrore, la costringevano a svegliarsi con le lacrime agli occhi e la fronte imperlata di sudore, circondata dal buio totale. Quando accadeva richiudeva gli occhi solo per sentire la voce dello Spirito Guida ripeterle la stessa identica cosa che le aveva detto dopo la visita alla tomba di suo padre: Presto arriverrà il momento in cui dovrai scegliere. Era semplicemente un altro enigma fra tutti quelli che avevano costellato la sua esistenza.
Anche Aran pareva stranamente stanco, ma Freya decise di non fare domande quando intuì che il ragazzo non se la sentiva ancora di parlarne. La fiducia fra di loro, sempre più profonda, era indiscutibile; per quella ragione la giovane capiva che ci sarebbero sempre state cose che avrebbero richiesto più di tempo per essere rivelate, o che forse Aran non le avrebbe detto mai. Non l'avrebbe mai giudicato per questo, tanto più che la questione valeva per ambo le parti.
Molte volte Freya aveva pensato di cercare sollievo raccontando ad Aran delle visioni che la tormentavano, di quella voce che le parlava da sempre nel sonno. Le parole che si erano scambiati quella sera dopo il ballo la incoraggiavano a farlo, così come quel legame che andava rafforzandosi giorno dopo giorno. Sapeva però che parlare di quello che la perseguitava l'avrebbe costretta a confessare che nelle sue vene scorreva quel potere misterioso con cui lei lottava da tutta la vita; temeva che Aran ne sarebbe rimasto terrorizzato. Per quella ragione, alla fine, non aveva fatto altro che rimuginarci nei momenti di solitudine, nascosta nella propria camera o in qualche anfratto del giardino.


Fu in una notte di pioggia scrosciante che il cambiamento che Freya percepiva in arrivo si abbatté su di loro.
Fino a quel momento, per la prima volta dopo molto tempo, il sonno della giovane era stato stranamente tranquillo e privo di sogni; forse, era stato l'allenamento di quel pomeriggio,  protrattosi più a lungo del solito fino a quando aveva cominciato a piovere a catinelle e un vento gelido e tagliente aveva iniziato a graffiar loro la pelle. Quella sera era crollata sfinita nel suo letto, senza nemmeno cenare.
All'improvviso, qualcosa che non aveva mai visto prima di allora le esplose dietro le palpebre. Non avrebbe saputo dire se si trattasse di una nuova visione o semplicemente di un incubo, ma vi rimase intrappolata, senza alcuna possibilità di scampo.

Era sola, nel mezzo di una piana avvolta di foschia, e intorno a lei c'era solo morte.
Un'onda nera stava lentamente travolgendo ogni cosa, uccidendo ogni essere vivente al suo passaggio. Membri delle razze più disparate stavano perdendo la vita in quella mattanza: elfi, protetti da armature lucide e incise di runíar; centauri, imponenti e ritti sulle zampe posteriori; adamantini, armati delle loro lance dalle lunghe lame; perfino eteree, la cui pelle diafana riluceva nell'oscurità. Sembrava di essere in un altro mondo, un mondo in cui il cielo non esisteva più e ogni speranza era scomparsa.
Le urla le riempirono le orecchie, atroci, angoscianti, e anche lei gridò, alzando le mani di fronte a sé come se quel semplice gesto potesse fermare quella marea mortale. Si ritrovò a pregare perché il potere che fino a quel momento aveva soffocato si manifestasse, come se sapesse che grazie ad esso ci sarebbe riuscita. Ma nulla scaturì dalle sue mani, che rimasero inerti, lasciandola impotente di fronte al massacro. Un dolore sordo le ghermì l'anima, mentre le lacrime le inondavano le guance, salate e amare, come la consapevolezza di aver fallito.
Il mare nero avanzava inesorabile verso di lei e quando arrivò a lambirle i piedi un bruciore lancinante le mozzò il fiato. Gridò ancora, mentre la marea saliva e inghiottiva pian piano ogni pollice di lei. Profonde ferite iniziarono ad aprirsi sulla sua pelle indifesa, tagli slabbrati e sanguinanti che ben presto vennero invasi dal liquido misterioso, e il dolore fu tale che credette sarebbe morta così, prima che la sostanza arrivasse a soffocarla.
Eppure, non accadde. Sentì ogni piccola parte di sé che veniva bruciata e lacerata, fino all'ultimo istante, quando infine venne sommersa. Il buio l'avvolse, terrificante e ineluttabile, ma nemmeno allora il dolore cessò. Continuò a consumarla, straziante, mentre una voce incorporea sussurrava: "Salvali... Tu puoi. Salvali".

La ragazza balzò a sedere, tenendosi il corpo fra le braccia. "Era un sogno, solo un sogno" cercò di ripetersi più e più volte, ma non servì a nulla.
Quel dolore, per qualche assurda e inspiegabile ragione, non se n'era andato con il risveglio, anzi: perdurava, mozzandole il fiato in rantoli affaticati. Era come se quella disgustosa poltiglia nera la stesse ancora facendo a brandelli; come se la sua stessa anima stesse per lacerarsi irreparabilmente da un momento all'altro.
Si guardò attorno, spaventata, il cuore che picchiava contro la cassa toracica. La sua mente era troppo annebbiata per permetterle di capire cosa stesse accadendo. Molte volte il dolore dei suoi incubi ricorrenti le era sembrato tanto reale da farle male, ma mai quanto quella notte. Si alzò e la testà le girò con tanta violenza che barcollò e dovette appoggiarsi al letto per un lungo momento; solo quando credette di potercela fare si mosse. Si diresse alla finestra, al cui vetro si appoggiò con entrambe le mani e la fronte, ansante, alla disperata ricerca di un pò di sollievo. Guardò fuori, quasi credesse di ritrovare nella realtà lo stesso scenario macabro dell'incubo, ma  l'unica cosa ad avere vita oltre il vetro era la tempesta che danzava nel vento.
Proprio in quell'istante, una nuova scarica di dolore la trafisse e le ginocchia le cedettero di schianto. Nemmeno si accorse dell'impatto con il suolo: restò lì, a terra, dondolandosi come una bambina e mordendosi la lingua per impedirsi di urlare, riuscendo solo a pregare con tutte le proprie forze che finisse presto. Per un tempo indefinito non potè far altro che quello. Poi, lentamente, il dolore scemò e Freya riacquistò lucidità. Non poteva restare chiusa lì dentro, si disse. Sarebbe impazzita. Doveva camminare, allontanarsi da quella stanza, impedirsi di ricadere fra le braccia del sonno. Se l'avesse fatto, forse lo Spirito Guida sarebbe arrivato ad alleviare la sua sofferenza, ma la paura che l'incubo si ripresentasse non appena lei avesse chiuso gli occhi fu più forte.
Si recò al baule e vi frugò dentro finché non trovò uno dei mantelli più comodi che possedesse. Lo indossò in fretta, sopra la veste bianca che utilizzava per dormire, e senza sapere bene dove sarebbe andata prese la porta e uscì. Voleva solo mettere quanta più distanza possibile fra sé e quei sogni tremendi che continuavano a perseguitarla.

֍ ֍ ֍

Tremava. Tremava tanto violentemente che gli sembrava di non avere più alcun controllo sui propri muscoli. Aran imprecò con tanta veemenza che, in altre condizioni, si sarebbe spaventato di sé stesso. Non gli capitava mai di utilizzare certi termini, ma non gli era mai nemmeno successo quello che stava vivendo in quel momento.
Fece qualche altro passo lungo il corridoio, poi fu costretto ad appoggiarsi con tutto il proprio peso contro il muro di pietra gelida, stremato dal dolore che l'aveva aggredito al suo risveglio. Le gambe stavano per cedergli, di nuovo. Chiuse gli occhi e in un attimo, le immagini e la paura di quello che aveva visto durante il sonno tornarono ad attanagliarlo.
Era abituato agl'incubi, erano stati una costante della sua infanzia e non lo avevano mai abbandonato nemmeno quand'era cresciuto. Eppure, questo era qualcosa di diverso, qualcosa di terrificante e inspiegabile, che l'aveva lasciato paralizzato e inerme. Strinse i pugni, come se quel semplice gesto potesse bastare a ridargli forza, poi si scostò dal muro e procedette in direzione della sua meta. La Biblioteca gli era sembrato il luogo ideale in cui rifugiarsi e aspettare che la notte passasse; non aveva la minima intenzione di riaddormentarsi e avere un libro fra le mani l'avrebbe certamente aiutato.
Vi giunse con non poca fatica. Era frustrante sentirsi tanto debole, ma avrebbe certamente avuto tutto il tempo per autocomiserarsi l'indomani mattina; adesso doveva solo pensare a calmarsi. Sarebbe potuto restare al piano terra, data la poca fiducia che aveva nelle proprie gambe in quel momento. Ma lì, in quello spazio aperto disseminato di tavoli, panche e scaffali, in qualche modo non si sentiva al sicuro. Stava diventando paranoico, si disse. Senza curarsi della propria stanchezza, iniziò a salire.
Non sapeva bene dove si sarebbe fermato, almeno fino a che non arrivò nel posto che era diventato suo e di Freya. Era lì che ogni giorno si fermavano a leggere e commentare i libri che trovavano mentre cercavano le mappe scomparse. Si avvicinò alla panca che erano soliti occupare durante quelle ore e rimase estremamente sorpreso nell'intravedere una figura familiare, accovacciata appena dietro di essa: Freya era lì, seduta a terra a gambe incrociate, con un grande libro di botanica appoggiato su di esse come fossero un leggìo.
Non appena colse il rumore dei suoi passi alzò lo sguardo, spaventata, ma sembrò rilassarsi non appena comprese che era lui. In un istante tutta la paura che Aran aveva avuto di quell'incubo si tramutò in preoccupazione: la giovane non sembrava stare meglio di lui. Era ancor più pallida del solito, cosa che non faceva altro che accentuare le profonde occhiaie violacee che aveva sotto agli occhi e i suoi capelli erano sciolti e scarmigliati; tremava leggermente, proprio come lui. Non l'aveva mai vista in quello stato.
Com'era prevedibile che facesse, Freya si alzò e cercò di ricomporsi. Posò il volume sulla panca e gli si avvicinò, ostentando più sicurezza di quanta dovesse averne. «Aran» mormorò, l'aria di essere preoccupata quanto lui lo era per lei. «Cosa ci fai qui?»
Il ragazzo raggiunse lo scaffale più vicino e prese un libro a caso, che risultò essere Fauna terrestre e marina del Regno di Riagàn. Non sapeva se avrebbe avuto il coraggio di dirle la verità. Se l'avesse fatto, avrebbe inevitabilmente dovuto rivelarle il suo più grande segreto. Si fidava di lei, immensamente, ma era qualcosa di cui aveva timore perfino lui; non sapeva come Freya avrebbe potuto reagire.
«Non riuscivo a dormire» rispose infine, cercando di risultare convincente. «Tu?»
Freya non sembrò persuasa, però rispose a propria volta: «Stessa cosa.»
Entrambi sapevano che l'altro stava mentendo, ma si limitarono a sedersi vicini nel cantuccio che un attimo prima era stato solo di Freya e a cominciare a leggere in perfetto silenzio.

֍ ֎ ֍

Per lungo tempo, nessuno dei due trovò il coraggio di parlare. La quiete della Biblioteca li avvolgeva come una coperta e ora che erano lì, insieme, la paura sembrava solo un ricordo lontano.
Completamente immersi nei loro pensieri, più che nella lettura, quasi non si accorsero di essersi avvicinati al punto di essersi infine appoggiati l'uno all'altra, come se fosse la cosa più naturale del mondo. A poco a poco, avevano anche smesso di tremare.  Si accorsero di quanto fossero vicini solo quando entrambi alzarono lo sguardo e trovarono gli occhi dell'altro ad appena una spanna di distanza dai propri. Per un attimo rimasero così, immobili, senza riuscire a dire o fare nulla; quell'unica occhiata bastò a cancellare ogni dubbio.
«Freya, io...»
«Aran...»
Non poterono trattenersi dal ridere quando, dopo quel lungo silenzio, le parole uscirono loro di bocca nello stesso preciso istante.
Freya alzò il capo verso la sommità della torre e si lasciò sfuggire un sospiro, prima di riportare la propria attenzione su di lui. Non poteva più nascondere la verità, almeno non ad Aran; non dopo ciò che era accaduto quella notte.
Aran, dal canto suo, sembrava avere qualcosa di altrettanto importante da dire, ma decise di lasciar  la parola a lei. «Prima tu» disse, fissandola attentamente.
Freya scosse il capo. «In queste settimane hai sopportato tutte le mie ansie e le mie paranoie, mi hai sempre ascoltata. Adesso tocca a me fare lo stesso per te» rispose, ruotando leggermente il busto verso di lui per guardarlo meglio.
Il ragazzo esitò ancora per un istante. Non aveva mai rivelato ad anima viva quello che stava per dire a Freya. Più la guardava, però, e meno paura di dar voce a quel suo strano segreto sentiva. Così, iniziò a parlare, senza più remore. «Ti capita mai di fare incubi terribili?» le domandò.
Freya annuì, lasciandosi sfuggire un sorriso triste. «Sì, mi capita. Molto più spesso di quanto vorrei» rispose e il suo sguardo si perse in lontananza, uno sguardo che ad Aran parve pieno di cose mai dette.
«I miei incubi mi accompagnano da tutta la vita. Sono lì, in qualche angolo della mia mente, pronti ad aggredirmi non appena chiudo gli occhi, da che ho memoria» proseguì, appoggiando la testa allo scaffale che aveva alle spalle.
Non poteva ancora immaginare quanto Freya comprendesse il suo tormento, ma già il fatto di aver finalmente deciso di confessare lo stava alleggerendo di un peso enorme. Le parole gli salirono alle labbra come un fiume in piena impossibile da arginare; le lasciò uscire senza timore, sapendo che la persona che aveva di fronte in quel momento era l'unica a cui avrebbe mai potuto affidarle. Lo sapeva perché Freya lo osservava con quei suoi occhi chiari e attenti e in essi non v'era alcuna traccia di giudizio; lo sapeva perché quello che le aveva detto la sera del ballo su ciò che li legava era quanto di più sincero avesse mai pensato.
«Conosco molto bene gl'incubi e la paura che ne deriva, ma quello che è successo questa notte non ha nulla a che vedere con quello a cui sono oramai abituato» disse. «È stato... Straziante.»
Il ricordo di quello che aveva provato ritornò ad invaderlo con prepotenza, mozzandogli il fiato in gola con tanta violenza che dovette raddrizzare la schiena per poter continuare a respirare. Si stava comportando in modo del tutto irrazionale, lo sapeva bene, ma ciò che era accaduto era talmente inspiegabile che non aveva più alcun controllo sulle proprie reazioni.
«Non avevo mai fatto un incubo tanto vivido, Freya. Non posso biasimarti se penserai che io sia un folle, perché anch'io ho il serio dubbio di star impazzendo. Ma non mento quando ti dico che il dolore che ho provato era terribilmente reale. Ho lottato con tutte le mie forze per svegliarmi e quando ci sono riuscito non è cambiato nulla: era ancora lì» mormorò, assorto.
Freya non poté fare a meno di sgranare gli occhi. Il racconto di Aran iniziava ad assomigliare fin troppo a quello che avrebbe potuto uscire di bocca a lei. Aspettò ancora un attimo prima di parlare, ma oramai credeva di sapere come sarebbe proseguita la storia. I suoi timori vennero confermati poco dopo.
Aran si voltò interamente verso di lei per poterla guardare bene in viso e disse: «Quello che ho visto non aveva alcun senso. Ero nel mezzo di questa... piana, vasta, sconfinata. Intorno a me c'era una foschia spessa e inquietante e udivo solo grida raccapriccianti. Centinaia e centinaia di persone stavano morendo soffocate da questa agghiacciante marea nera e...» la voce gli morì in gola.
Fu Freya a continuare per lui. «E per quanto tu lo volessi non potevi fare nulla per salvarle. La marea nera saliva e saliva, inghiottiva ogni cosa... E quando è arrivata fino a te e ti ha sommerso hai sentito il dolore più lancinante che tu abbia mai provato in vita tua» sussurrò, mentre un brivido le correva rapido lungo la schiena. «È stato come se la tua pelle si stesse squarciando e allo stesso tempo sciogliendo sulle tue stesse ossa.»
Aran impallidì, sconcertato. «Come... Come fai a sapere tutto questo?» le chiese.
La giovane, altrettanto sconvolta, rispose semplicemente: «Perché ho sognato esattamente la stessa cosa.»
Il silenzio calò su di loro, carico di mille domande inespresse. Se per i due ragazzi l'incubo era già stato abbastanza inquietante di per sé, adesso la faccenda si faceva ancora più torbida. Com'era possibile che due persone ben distinte sognassero esattamente la stessa cosa nello stesso identico momento?
Non appena riuscì nuovamente a ragionare con sufficiente lucidità, Aran le domandò ancora: «Hai visto e provato esattamente ciò che ho visto e provato io?»
Freya, riscuotendosi a propria volta, annuì, decisa. «Tutto ciò che hai descritto avrei potuto tranquillamente descriverlo anch'io. La piana, la marea nera, le persone che morivano a centinaia...  Il dolore. Mi sono svegliata di soprassalto e stavo male fisicamente, come se tutto fosse accaduto nella realtà e non solo nella mia testa» ribatté. «Per questo sono corsa fin qui.»
«Avevi paura di riaddormentarti» asserì Aran.
Di nuovo, Freya annuì. Ancora più del solito si sentiva perfettamente compresa da lui, cosa che riuscì almeno in parte a placare la sua inquietudine. Era più che evidente che, in quel momento, capire cosa fosse successo andasse al di là delle loro facoltà. Quella prima condivisione diede però loro la spinta per tirare fuori i segreti che pian piano li stavano consumando e che, fino a quel momento, era sembrato impossibile poter confidare a qualcuno.
Freya posò una mano sul ginocchio di Aran e disse, tentando di sorridere: «Se ti può consolare, io so cosa significhi essere perseguitati da incubi incomprensibili. Certo, questo è stato di gran lunga il peggiore, ma non il più misterioso.»
Questa volta fu Aran a mettersi all'ascolto.
«C'è questo sogno, anche se non so se si possa definirlo tale, che mi appare fin da quando sono piccola e non sono mai riuscita a decifrare» esordì la giovane. E poi, lo fece: raccontò ad Aran del pilastro, di come in certi periodi della sua vita quella visione si presentasse identica a sé stessa per molte notti di seguito.
Gli occhi del ragazzo la seguirono per tutto il tempo, attenti ma senza alcuna traccia dello spavento che Freya si sarebbe immaginata. Insomma, stava pur sempre parlando di strane figure incappucciate che l'attaccavano con la magia. La sua reazione, quando Freya ebbe terminato, fu altrettanto inaspettata.
L'espressione di Aran si fece pensosa, mentre si alzava in piedi dandole le spalle. Il libro che aveva scelto dallo scaffale, fino a quel momento rimasto abbandonato sulle sue gambe, cadde a terra con un tonfo che rimbombò per tutta la grande torre; fece poi qualche passo in avanti, prima di tornare a voltarsi verso di lei.
«Allora quello di stanotte non è l'unico incubo che abbiamo in comune» disse infine.
Come poco prima era stato per Aran, Freya non fece nulla per nascondere lo stupore. In due rapide falcate gli fu davanti e gli domandò: «Stai dicendo quello che penso?»
Aran le rivolse un sorriso incredulo. «Sì» rispose. «Tutto ciò che hai descritto, all'infuori della figura misteriosa, è quello che vedo nei miei sogni, Freya. Ogni cosa, dal pilastro, alla landa desolata che appare poi, a quell'energia misteriosa che ti ferisce. Lo vedo in quasi tutti i miei sogni.» Quasi fosse un riflesso incondizionato la prese per le mani, avvicinandosi leggermente a lei.
Freya glielo lasciò fare, senza staccare mai lo sguardo dal suo viso. «Com'è possibile?» gli domandò infine. «Fino a qualche mese fa vivevamo a miglia e miglia di distanza l'uno dall'altra, le nostre vite non si erano mai incrociate. Com'è possibile che per tutto questo tempo io e te abbiamo visto esattamente la stessa cosa?»
«Non ne ho la minima idea» ribatté lui.
Rimasero così, occhi negli occhi, uno di fronte all'altra. In quell'istante in cui il tempo pareva essersi fermato si resero conto che, arrivati a quel punto, la scelta migliore era senza dubbio la totale trasparenza. Erano finalmente decisi a lasciare che l'altro vedesse fino in fondo quel lato di loro stessi che avevano cercato con tutte le forze di tenere nascosto, ma non ebbero il  tempo di aggiungere nient'altro. La loro conversazione fu improvvisamente interrotta da una voce gelida e ben conosciuta.
«Ah, quale magnifica sensazione essere giovani e al di sopra di qualunque regola.»
I due ragazzi si voltarono di scatto in direzione della scala. Lì, avvolto nei suoi consueti abiti scuri, c'era Gorman. Aveva le mani intrecciate dietro la schiena e un'espressione tutt'altro che accondiscendente in viso. Nulla di cui stupirsi dato che avevano chiaramente infranto il divieto di gironzolare per il castello nelle ore notturne.
«Sareste così gentili da spiegare il motivo della vostra presenza qui?» intimò l'uomo, sempre più irritato.
Per un istante Aran e Freya ammutolirono, senza sapere bene come tirarsi fuori da quella situazione scomoda. Poi, con sorpresa di entrambi, fu la giovane a prendere la parola. «Ci dispiace immensamente per aver infranto il coprifuoco, Signor Consigliere» esordì con estrema educazione. «Entrambi faticavamo a prendere sonno e ci siamo ritrovati casualmente qui. Abbiamo pensato che potesse essere utile portarci avanti con alcune letture inerenti ai nostri studi.»
Gorman parve preso alla sprovvista dalla calma con cui Freya stava rispondendo, anche se non sembrò del tutto persuaso della sua sincerità. Assottigliò gli occhi, come per leggerle in viso la traccia di una qualche menzogna, ma lei rimase impassibile nonostante la sgradevole sensazione che le suscitava quell'uomo. Il suo sguardo si posò infine sui libri sparsi lì accanto; fu alla vista di questi ultimi che parve convincersi.
«Bene. Non crediate però che la vostra uscita di questa notte non verrà riferita alla Regina. Ci saranno delle conseguenze» asserì, forse credendo a quella spiegazione, ma non abbandonando la sua inflessibilità.
Freya s'inchinò leggermente, ribattendo: «Comprendiamo perfettamente.»
Gorman la fissò per un attimo, indagatore. I due ragazzi ebbero la netta sensazione che, da quel momento in poi, li avrebbe tenuti d'occhio con ancor più attenzione.
«Ora tornate alle vostre stanze, alla svelta. Se domattina non sarete più che pronti ad assolvere i vostri compiti quotidiani la vostra posizione si aggraverà ulteriormente» ordinò, perentorio. Poi, si voltò e iniziò a scendere la scalinata, lasciando loro intendere perfettamente che non avevano nessun'altra scelta se non fare come lui aveva detto.
Aran e Freya si scambiarono uno sguardo d'intesa, accompagnato da un sospiro di sollievo. L'importanza di quello che si erano confessati e dovevano ancora confessarsi aleggiava fra di loro, lo sentivano chiaramente. Per il momento, però, era fuori discussione riprendere la loro conversazione. Senza una parola, seguirono Gorman lungo la scala.
Avrebbero dovuto attendere un luogo e un momento più adatti.

   
 
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