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Autore: Emmastory    25/06/2020    4 recensioni
Muovendosi lentamente, anche ad Eltaria il tempo ha continuato a scorrere, dettando legge nella selva, al villaggio e nelle vite dei suoi abitanti. Il freddo inverno ha fatto visita a sua volta, e solo pochi giorni dopo un lieto evento che cambierà le loro vite per sempre, in modi che solo il futuro potrà rivelare, la giovane fata Kaleia e Christopher, suo amato protettore, si preparano ad affrontare mano nella mano il resto della loro esistenza insieme, costellata per loro fortuna di visi amici in una comunità fiorente. Ad ogni modo, luci e ombre si impegnano in una lotta costante, mentre eventi inaspettati attendono un'occasione, sperando di poter dar vita, voce e volto al vero e proprio rovescio di una sempre aurea medaglia. Si può riscrivere il proprio destino? Cosa accadrà? Addentratevi di nuovo nella foresta, camminate assieme ai protagonisti e seguiteli in un nuovo viaggio fatto di novità, cambiamenti, e coraggiose scelte.
(Seguito di: Luce e ombra: Il Giardino segreto di Eltaria
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Luce e ombra'
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Luce-e-ombra-IV-mod
 
 
 
Capitolo VI
 
Venti su Eltaria 
 
Era già mattina, ed ero sveglia da poco, ma per una volta avevo aperto gli occhi rivolgendoli verso qualcosa di diverso dal soffitto. Rigirandomi fra le coperte, infatti, cercai quasi per istinto la mano di Christopher, che svegliato dai miei continui movimenti, non esitò a stringerla. “Buongiorno, fatina.” Fu il suo classico saluto mattutino, ormai parte di una sorta di rituale non poi così antico, capace però di farmi ridere ogni volta. Sorridendo, mi limitai a rafforzare la presa sulla sua mano e ad accoccolarmi a lui per un abbraccio che non mi vidi negato, e poco dopo, il silenzio fra di noi si ruppe come vetro. “Come stai?” una domanda semplice e fatta di due parole, certo, ma che come la vita e quelle di mia madre mi avevano insegnato, che poteva essere formulata con o senza il proprio cuore. Memore di quei preziosi insegnamenti, tendevo a rispondere sempre, anche per correttezza, ma al contrario di me, Sky non era poi così loquace. Chiudendomi nel silenzio, mi rifiutavo di ammetterlo se non parlando proprio con Christopher, ma ora che erano passati altri tre giorni, non avevo più problemi a confessare di pensare a lei molto spesso, forse anche più di quanto volessi. La notte era trascorsa benissimo, lenta e senza incidenti o incubi di sorta, ed era vero, ma nonostante questo, le poche righe del libro di magia dei Powell continuavano a tornarmi in mente, e così mia sorella. Che sarebbe successo? Avrebbe mai superato il dolore derivante dalla rottura con Noah? Si sarebbero mai perdonati a vicenda? Sarebbero mai riusciti a riavvicinarsi? E cosa più importante, lei sarebbe mai riuscita ad amare di nuovo? Non lo sapevo, ma il solo dubbio mi dilaniava, ed era inutile nascondere che ogni notte pregassi perché ogni cosa andasse per il meglio. Mi rivolgevo a qualcuno più in alto di me, a Dio e alla Dea che tante volte avevo sentito nominare da Aster e dalle sue sorelle ninfe o da Marisa, e ogni volta, nel silenzio della notte o del giorno, il momento era ininfluente, mi sembrava di non ricevere risposta. Distratta, non proferii più parola, e notando lo stato in cui versavo, il mio amato fu costretto a ripetersi. “Kaleia, ti ho chiesto come stai. Sicura che vada tutto bene?” ritentò, guardandomi negli occhi con il solito fare preoccupato che il suo carattere unito alla sua professione sembrava avergli trasmesso. “Come? S-Sì. Ero... ero distratta, scusa.” Replicai a fatica, finendo per balbettare e facendomi pena da sola. Mi conoscevo, sapevo che quella sorta di abitudine era come radicata in me, ma era possibile che si presentasse sempre nei momenti meno opportuni? Scuotendo la testa, mi liberai in fretta da quel pensiero, poi rincontrai i suoi occhi. Verdi, del colore della speranza e del mio elemento, alle volte unico porto sicuro quando naufragavo nel mare delle mie insicurezze. “L’ho notato, e noto anche che è una bugia. Non balbetti quando sei tranquilla, e perfino Cosmo sembra averti scoperta.” Commentò in risposta, serio ma non certo arrabbiato, e anzi, soltanto in apprensione per me. “Cosmo?” gli feci eco, confusa. Per tutta risposta, il cane posò le zampe sul letto, e pur senza salirci, tentò di sporgersi quanto bastava per leccarmi la guancia. “Proprio io.” Sembrò dire, con un orecchio dritto e l’altro più floscio e cadente, caratteristica che avevo scoperto in lui sin dal suo arrivo in casa. “Chris, sai che ha una sua cuccia in salotto.” Mi lamentai, felice di vederlo ma ancora stanca e innervosita dal sonno. “Sì, cara, ma se non l’avessi lasciato entrare avrebbe mugolato per tutta la notte, e non volevo svegliarti.” Rispose lui, riuscendo per l’ennesima volta a trovare il modo di giustificarsi. Non che ne avesse davvero bisogno, ovvio, tranne quando c’era da spiegare le ragioni nascoste dietro azioni di quel genere. “Allora va bene.” Gli dissi infatti, stringendomi lievemente a lui e tornando a sorridere. “Avevi un buon motivo, e lui se la cava perché...” provai a dire, sentendo però quella frase morirmi in gola. Incuriosito, Christopher ridacchiò sotto baffi immaginari, poi parlò. “Perché?” non potè fare a meno di chiedere, desideroso di scoprire la verità. Colta alla sprovvista, non seppi cosa dire, e alzando le mani in segno di resa, dichiarai quella metaforica sconfitta. Rimasti interdetti, lui e Cosmo non fecero che guardarmi, e senza volerlo, scoppiai a ridere. “Insomma, non c’è un perché, ma guardalo, è così carino!” mi decisi a rispondere poco dopo, fra un’infantile risata e l’altra. “E io non lo sono?” azzardò allora Christopher, immensamente divertito. A giudicare dal tono che usò nel parlarmi, potei giurare che fosse anche leggermente geloso, ma all’improvviso ricordai che fingere emozioni realmente non provate era un suo, anzi un nostro, modo di scherzare, e contagiata, risi ancora. “No, Chris, non lo sei.” Gli dissi, portando avanti quella farsa con dolcezza e maestria insieme. Più confuso di prima, lui mi lanciò un’occhiata interrogativa, e non riuscendo a non sorridere, lo baciai. “Sei bellissimo, che è perfino meglio.” Confessai poco dopo, innamorata come sempre. In completo accordo con i miei sentimenti, il mio cuore accelerò i suoi battiti, e non appena ci staccammo, scelsi finalmente di tornare alla realtà. A richiamarmi fu proprio Cosmo, che mi sfiorò un ginocchio con la zampa perché allertato da qualcosa che inizialmente non vidi. Non sapendo cosa pensare, ipotizzai fosse stato il ticchettio di un ramo contro la finestra, il fruscio di qualche foglia o il canto di un uccello la cui melodia non era riuscito a interpretare, ma poi capii. Vicine al nostro letto, le lanterne dei nostri bambini brillavano di nuovo, segno che pur non potendo ancora parlare, piangere o lamentarsi, si stavano agitando, ed erano affamati. “Grazie, bello.” Dissi appena, incatenando gli occhi ai suoi per regalargli una carezza. Lasciandomi fare, mi leccò ancora la mano, e ormai in piedi, scaldai in fretta ben due biberon. Per fortuna non ci misi troppo, e al mio ritorno, Darius e Delia erano ancora al sicuro nelle loro lanterne, mentre Cosmo, sempre più incuriosito con ogni attimo che passava, ora stava seduto su due zampe, seguendo con gli occhi e la testa ogni movimento di quei piccoli contenitori di luce, mossi dal vento. Voltandomi verso la finestra, la scoprii chiusa, e stringendomi nelle spalle, decisi di non badarci. Forse era stata una coincidenza, forse no, ma il benessere dei piccoli era l’unica cosa a contare. Come ogni volta, diedi loro solo poche gocce di latte versandole in quel così protettivo giaciglio, trattenendo a stento un sorriso quando Darius, il più piccolo fra i due, tentò di sfiorarmi le dita con la sua luce. Ridacchiando, lo avvertii farmi il solletico, e richiudendo quella sorta di lumino con una catenina dorata, mi allontanai di qualche passo. Solo pochi attimi più tardi, fu il turno di Delia, e con movenze simili a quelle di un automa, ma non per questo prive di dolcezza, ripetei ognuno di quei passaggi. Tranquilla, la piccola quasi non si mosse, salvo poi luccicare insistentemente, contenta delle attenzioni ricevute. Affatto contento di venir ignorato, Cosmo si intromise uggiolando, e accarezzandogli piano la testa, lo convinsi a sedersi. Ancora una volta, il mio lavoro con i piccoli era finito, e osservandoli un’ultima volta prima di lasciarli di nuovo dormire, mi resi conto della velocità con cui il tempo stava passando. Ora avevano dieci giorni, erano ancora sfere di luce bisognose di cure e attenzioni, e attendevo, anzi, sognavo il giorno in cui li avresti visti trasformarsi in veri neonati, così da stringerli davvero fra le braccia e scoprire i loro elementi. Era strano a dirsi, e lo sapevo bene, ma se fra noi due io ero l’unico essere magico nella nostra coppia, Christopher era fermamente convinto che i nostri figli sarebbero stati bellissimi, con o senza poteri e affinità per la magia. Non sapevamo se avrebbero ereditato il mio amore per la natura, il mio elemento o la mia condizione di ibrido, anche se date le loro origini, le probabilità che accadessero erano più che alte. Mettendo da parte quei pensieri, mi concentrai sul presente, e vestendomi dopo una doccia calda e rilassante nonostante la stagione, mi ripromisi di chiedere consiglio ad Isla. Al contrario di me, era madre da molto più tempo di me e lo era stata per ben due volte, e chi meglio di lei avrebbe potuto aiutarmi? Nessuno, o almeno così credevo. Ovvio era che le ninfe e la cara Marisa non andassero certo trascurate, ma c’era da dire che negli ultimi tempi avevo avuto la strana sensazione di risultare noiosa e invadente, ragion per cui sentivo che era arrivata l’ora di cambiare strategia. Sempre in silenzio, annuii a me stessa, e pochi minuti dopo, seduta in salotto con un libro fra le mani, notai qualcosa. Non più lo sguardo del mio Arylu fisso su di me, né quella di Willow al mio fianco che sonnecchiava agitando le zampe come se sognasse di inseguire qualche topo, ma bensì una sorta di luccichio oltre la finestra, seguita da un’inspiegabile folata di vento. Spinta dalla curiosità, mi alzai in piedi, e con le mani sul cornicione, la sentii ancora. Decisa, chiusi gli occhi per indagare, e fu allora che la rividi. Nel mezzo del buio su cui ero concentrata, una lieve scia color argento, che stando alle mie ormai costanti ricerche, poteva appartenere a una sola creatura magica. Colta dall’emozione, portai subito una mano al cuore, scoprendo nel farlo a quale velocità stesse battendo, e quando pur respirando non riuscii a calmarmi, mi preparai a precipitarmi fuori. “Chris!” chiamai, quasi urlando per farmi sentire data la distanza che ci separava. “Chris, è arrivata!” insistetti, notando che nonostante lo scorrere dei secondi, non mi raggiungeva. “Kia, aspetta, di che stai parlando? Chi è arrivato?” chiese, rispondendo alle mie urla dal centro del corridoio, mentre ancora tentava di abbottonarsi a dovere la camicia. “Sky, custode, Sky! Mia sorella! Ti rendi conto di quello che significa? Specialmente adesso?” replicai, felice come una bambina. Incerto sul da farsi, Christopher non si mosse, e non riuscendo più ad aspettare, mi ritrovai letteralmente a trascinarlo fuori di casa. “Non perdere tempo e seguimi, vedrai cosa intendo.” Lo incitai, aprendo in fretta la porta di casa e iniziando a correre nonostante lo vedessi fare fatica e arrancarmi accanto. Più veloce di entrambi, il nostro Arylu ci precedette, e giunto in strada prima di noi, prese ad abbaiare e ululare come un ossesso. Seguendolo, non dissi più nulla, perdendo del tutto il respiro quando vidi Aster e una delle carrozze di erba e foglie che sapevo fosse capace di creare. Tranquilla, restava seduta in silenzio e con un sorriso sulle labbra, mentre a Carlos, che teneva salde le redini del mio amico unicorno Xavros, sembrava essere toccato il compito di cocchiere. “Ciao, Kaleia! A quanto pare il villaggio si espanderà ancora, visto?” disse, guardandomi come se fossi ammattita, quasi come se quella sorta di strana processione fosse la cosa più normale del mondo. Forse lo era, almeno nel nostro, ma poco importava, ci avrei pensato più tardi. In quel momento, per me il tempo sembrava essersi fermato, così come tutto ciò che vedevo, e l’unica cosa a contare davvero era l’arrivo, o meglio il ritorno di mia sorella nella mia vita, giunta peraltro come un fulmine a ciel sereno, o per meglio dire, come i venti su Eltaria.  




Buon pomeriggio, cari lettori. Torno a scrivere questa storia e ad aggiornarla con un nuovo capitolo soltanto oggi dopo circa un mese d'assenza, ma come vi avevo anticipato, la colpa non è stata mia, e i motivi del ritardo, se così vogliamo chiamarlo, non sono certo dipesi da me. Spero che il capitolo vi sia piaciuto, così come il ritorno in scena della cara Sky, e grazie ad ognuno di voi per tutto il supporto che mi mostrate. Ci rivedremo nel prossimo capitolo, nonostante ancora non sappia quando riuscirò a pubblicarlo,


Emmastory :)
   
 
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