Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: AdelaideMiacara    25/06/2020    0 recensioni
Questa storia è la dimostrazione che non sempre tutto va secondo i nostri piani, nonostante la precisione a regola d'arte, l'organizzazione, c'è sempre un 1% di probabilità che tutto vada in fumo, è la dimostrazione che giocare con il fuoco ci fa scottare. Ma questa storia è anche rivincita, crescita personale attraverso la comprensione delle sfumature: quando non sappiamo come cambiare una situazione, ciò che ci può aiutare è cambiare punto di vista.
Il nero costituisce l'assenza dei colori e definisce il punto di partenza della nostra storia, al momento inesistente, che prenderà forma durante la lettura con la nascita dei colori, per terminare con il bianco: l'unione di tutti.
Non ci resta che affrontare questo viaggio. E si prega di allacciare le cinture.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

"I signori Wilson, Davis e consorti sono desiderati in presidenza".

Dagli altoparlanti posti in ogni corridoio della scuola risuona la voce metallica di un ragazzo che non riconosco, fermando il tempo alla Goldsmiths mentre tutti gli studenti ci mandano occhiatine furtive.

"Sì, sì, scusi prof... i fratelli Davis, Amie e Jay in presidenza, avete capito"

Si corregge qualche istante dopo la voce, immediatamente sento un vuoto allo stomaco mentre mi giro a guardare Amie, confusa quanto me. A causa della mia visita giornaliera dovrò purtroppo rinunciare a seguire la lezione di Matematica, ma me ne farò una ragione. Ci incamminiamo insieme verso la presidenza, dove proprio davanti la porta d'entrata troviamo già Harry e Jay ad aspettarci, quest'ultimo con aria funebre.

«Prima volta?» domanda Amie sbadigliando, Harry ride di sottecchi. Lui annuisce tentando di nascondere il suo nervosismo dietro un sorrisetto, ma ormai questo ragazzo non ha più segreti per me: riesco a leggere le sue emozioni senza alcun problema, anche le più impercettibili sfumature.

«Il preside è uno dei nostri, tranquillo. Sai quante volte ci siamo stati qui dentro?» tenta di rassicurarlo Harry, mentre la porta si apre e sbuca fuori la testa della professoressa Greater che ci invita ad entrare. Si va in scena.

Il preside, seduto dietro la sua scrivania in legno massiccio con le braccia conserte, si lascia scappare uno sbuffo alla nostra vista, dopodiché si strofina una mano sopra gli occhi mentre noi ci avventiamo su di lui per salutarlo calorosamente come un amico di vecchia data. Mentre i ragazzi si accomodano sulle poltroncine disposte dal lato vuoto della scrivania, mi avvicino alla macchinetta del caffè, facendo cenno al professore.

«Sì, grazie, Davis» risponde lui, cercando di mantenere un tono professionale davanti a un Jay evidentemente confuso e preso alla sprovvista. In effetti è una situazione abbastanza strana vista da fuori, ma una volta entrati nella nostra comitiva ci si deve fare l'abitudine.

Porgo il caffè caldo al professore e aspetto che sia pronto il mio, appoggiandomi al vecchio tavolino che sorregge la macchinetta, mentre il preside inizia a parlare.

«Allora ragazzi, voglio essere chiaro con voi. In questi anni vi ho coperto molte volte, in alcuni casi non avrei dovuto nemmeno chiudere un occhio, ma la vostra simpatia mi ha sempre convinto a proteggervi come dei figli» inizia, mettendo da parte alcune carte e guardando negli occhi ciascuno di noi. «Purtroppo stavolta non posso fare finta di niente. Un comportamento del genere non è accettato alla Goldsmiths University, e credo che questa sia stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso».

Prendo il mio caffè e mi siedo accanto ai miei amici, allarmata dalla piega che sta prendendo il discorso.

«Mi scusi, non seguo il filo del discorso... che significa tutto questo?» interviene Amie, iniziando a sfregare nervosamente le mani sotto la scrivania.

«Significa che ho i video delle telecamere di sicurezza e testimoni che vi hanno visto rientrare nel college in piena notte» annuncia severo. Dopodiché gira il suo laptop verso di noi e fa partire un filmato dove si vede chiaramente che io e Jay usciamo, seguiti qualche minuto dopo da Harry e Amie. Sto per avere un mancamento. Sento la pressione sanguigna abbassarsi gradualmente, mentre tutto quello che riesco a fare è soltanto girare la testa a rallentatore per guardare negli occhi mio fratello, che mi restituisce la stessa espressione terrorizzata.

«Siete espulsi» sentenzia il preside in tono severo, una frase che nella mia testa risuona come un eco. La prima reazione spontanea di tutti noi è quella di scoppiare a ridere e tirare un sospiro di sollievo.

«Che simpatico! E pensare che stavo per crederci...» commento, fingendo di asciugare una lacrima sulla guancia e riprendendo finalmente a bere il mio caffè.
 

Al contrario, il preside ci restituisce il suo sguardo più duro e freddo. «Sono serio, ragazzi, siete espulsi. Desidero parlare quanto prima con le vostre famiglie per spiegare le motivazioni, ed entro una settimana dovete lasciare il college» sentenzia infine. Il caffè che stavo bevendo mi va di traverso rischiando di affogarmi, e mentre i ragazzi restano immobili a fissare il professore a bocca aperta, Amie cerca di prendere in mano la situazione.

«Preside, lei non può... la Goldsmiths è la nostra casa!» esclama agitata, cercando approvazione nei nostri sguardi.

«Noi siamo i suoi migliori studenti!» interviene Harry, la voce spezzata, facendoci voltare tutti a guardarlo scettici. «Beh, magari non proprio i migliori in ambito accademico, certo... sono più le lezioni che saltiamo rispetto a quelle che seguiamo, però... sicuramente siamo i più divertenti...» inizia a balbettare, Amie gli sferra una gomitata per evitare di peggiorare la situazione. Jay, nel frattempo, continua a guardare terrorizzato a turno prima Harry, poi me, poi Amie e infine il professore.

Non può essere vero. Sicuramente il caro vecchio preside ci sta prendendo in giro, vuole farcela pagare per tutte le stronzate che combiniamo, non può mica espellerci... quanto vorrei che tutto questo fosse solo un brutto sogno! Quanto vorrei tornare ad essere spensierata su quella mongolfiera con Jay Wilson...

Dopo qualche attimo di silenzio, il Preside prende in mano la situazione.

«Ascoltatemi. Voglio vedere al più presto le vostre famiglie, dopo il colloquio con loro vi dirò la mia ultima parola. Per adesso, siete ancora studenti della Goldsmiths» dice quasi sbuffando, mentre sento il peso che fin'ora avevo sul petto sollevarsi sempre di più e lasciare entrare l'aria nei polmoni. Mi lascio scivolare contro lo schienale della sedia e sento una mano poggiarsi sul mio ginocchio sinistro e stringerlo lievemente. Mi giro verso Jay, adesso meno pallido di prima, e rispondo con un sorriso nascosto mentre il preside ci liquida dal suo ufficio.

Così, io e Harry ci separiamo dagli altri due e raggiungiamo la palestra quasi correndo dall'eccitazione per la lezione di Educazione Fisica. Direi che dopo tempo immemore è il caso di partecipare all'allenamento di oggi, considerando che sono quasi stata espulsa.

«E comunque non è ancora detta l'ultima parola» dice Harry, aggiustando i lacci delle sue scarpe da ginnastica, «aspettiamo a festeggiare». Dopodiché si unisce ai ragazzi primi della fila che già corrono lungo il perimetro del campo da pallavolo, mentre io cerco di raggiungere l'estremità opposta, composta dai più lenti e negati del corpo studentesco.

«Davis, vai dietro tuo fratello!» mi urla alle spalle il professore, facendomi saltare in aria. Sam, ti prego, sii lucida: rischi già l'espulsione. Obbedisco sbuffando e corro dietro il primo della fila, nonché il rompipalle di mio fratello, nonché cocco del Coach. Anche se non si direbbe, Harry ha un buon profilo universitario: salta la metà delle lezioni che saltiamo solitamente io e le ragazze, prende ottimi voti e quasi tutti i suoi professori lo adorano. Certo, manca un po' di simpatia, ma ci sono io in compenso.

Mentre corro, un pensiero scomodo mi passa per la testa... oggi è mercoledì. Significa che domani è giovedì! Significa che ho perso la scommessa e sono nella merda! Mi fermo di colpo, urtando diversi ragazzi e corro via dal campo diretta verso l'aula di Francese. Devo assolutamente parlare con Jay.

Fuori la porta dell'aula mi fermo, riprendendo fiato, poi busso due volte ed entro in scena.

«Buongiorno» inizio guardandomi intorno per individuare Jay, «la professoressa Greater ha urgente bisogno di Wilson» improvviso rivolgendomi alla professoressa Sage di Francese, una vecchietta minuta e sgorbutica, dagli occhiali con le lenti più spesse che abbia mai visto.

Il ragazzo delle fotocopie, confuso, si alza senza fiatare dal suo posto e sfila verso la porta, poi insieme lasciamo l'aula.

«Sai cosa vuole la Greater?» mi domanda mentre ci camminiamo per i corridoi in direzione dell'aula magna, io gli mando uno sguardo perplesso.

«La Greater?» chiedo, Jay a sua volta inarca le sopracciglia. «Ah! Niente, volevo solo stare un po' con te» mi affretto a rispondere ridendo. Ottimo, Sam, direi che da adesso la tua preoccupazione non sarà più la scommessa, bensì dimostrare che possiedi ancora un minimo di cervello.

Jay sorride, mettendomi un braccio intorno alle spalle, arrivando al grande tavolo ovale, dove ci sediamo tranquilli come se fossimo in caffetteria.

«Oggi pomeriggio che facciamo?» domando schietta.

«A dire la verità, oggi non ci sono tutto il giorno» ammette dispiaciuto, afferrando la mia mano. Jay, ti sembra il momenti di impegnarti tutta la giornata e lasciarmi sola? «Di pomeriggio lavoro al bar e di sera vado a cena da mio padre... sai, torna stasera a Londra, è da tanto che non lo vedo».

Mentre Jay parla sentiamo la porta dell'aula aprirsi lentamente, per vedere spuntare sulla soglia due ragazze, una delle quali riconosco come la mia vicina Emily, una ragazza abbastanza simpatica per quanto poco ci abbia parlato. Anche lei all'ultimo anno come Jay.

«Vieni con me stasera!». La voce di Jay mi riporta alla realtà.

«Da tuo padre?» domando insicura, giocherellando con la sua mano. Chissà se la presentazione ai genitori vale come vittoria della scommessa...

«Sì, giusto per stare assieme» replica soddisfatto, dandomi una pacca sulla coscia e saltando in piedi, «Ora che ci penso, dovremmo andare dalla Overmay a prendere i nostri quaderni». Ignorando le mie proteste di pigrizia e minacce di pianto isterico riesce a tirarmi su dalla sedia e trascinarmi fino all'ufficio della professoressa Overmay al secondo piano.

Bussiamo alla porta e, quando riceviamo il permesso, entriamo nella piccola stanza piena di registri e fascicoli di ogni genere sparsi ovunque con la professoressa che ci osserva da dietro la sua scrivania.

«Certo che voi due siete sempre insieme, eh?» commenta maliziosa ancor prima di salutarci. Noi rispondiamo con delle risatine imbarazzate.

«In verità siamo venuti a ritirare i nostri quaderni» risponde in fretta Jay, indicando tra i documenti la pila di quaderni colorati sulla scrivania. Tra tutti, quelli che spiccano maggiormente sono i nostri, entrambi di un giallo acceso. Prendiamo i quaderni dalla professoressa, che continua a guardarci con l'aria di chi ne sa qualcosa in più, e ci affrettiamo a lasciare lo studio.

Camminando per i corridoi, incontriamo il professor Camp che ci blocca non appena ci vede.

«Ragazzi, stavo cercando proprio voi» esordisce, frase che solitamente non accompagna buone notizie quand'è riferita a noi. Io e Jay ci scambiamo uno sguardo interrogativo. «Vi volevo avvisare che, a causa degli ultimi avvenimenti...» tentenna, guardandoci a turno negli occhi, «non potrete partecipare al mash up. Mi dispiace, so che ci tenevate, ma ho le mani legate».

Se a primo impatto la mia reazione è quella di sospirare sollevata, grata di non dover partecipare a questo stupido video che mi costringerebbe ad avere interazioni con altre persone, il mio pensiero va subito a Jay, inerme con la bocca spalancata.

«Ma non è giusto, io ho mixato gran parte di quel mash up!» protesta deluso, mentre il professor Camp scote la testa dispiaciuto e si allontana senza aggiungere altro. «Questa scuola non vuole darmi tregua...» continua borbottando. A chi lo dici, caro mio.

«Jay...» inizio, cercando le parole giuste per poterlo consolare, ma la verità è che per la prima volta mi sento impotente. Jay sembra immerso nel suo mondo, sconfortato, e siamo costretti a separarci per andare alle rispettive lezioni. La giornata prosegue di bene in meglio.

 

Finite le lezioni, mi ritrovo con il mio gruppo di Giornalismo nella nostra aula per discutere rapidamente dell'ultimo progetto affidatoci dalla Greater.

Faccio vedere ai ragazzi le foto scattate alla cattedrale di Saint Paul dal mio pc e una bozza di articolo steso a tempo perso durante la mattinata, con scarsi risultati visto il livello di tensione.

«Bene, le foto le abbiamo, e fortunatamente Internet è un meraviglioso pozzo di informazioni, ma badate bene: non voglio niente di scopiazzato. Voglio una ricerca dettagliata e professionale, nessun copia incolla, voglio spirito critico!» chiarisco, facendo avanti e indietro per l'aula, sperando che i miei colleghi non notino il mio nervosismo. «Jackson si occuperà dell'editing delle fotografie, Ellie tu penserai al layout e le altre componenti grafice» continuo, guardando nello specifico il ragazzo col cappellino verde e la ragazza bionda in prima fila. «Per il resto, uniremo le menti e scriveremo fino allo sfinimento. In fondo siamo 22, qualcosa di buono ne dovrà pur uscire fuori!» concludo, coinvolgendo il gruppo in una risata per scaricare la tensione. Una volta terminata la riunione, raccolgo in fretta le mie cose per sfrecciare verso la Quinta, dove mi aspettano le prove di preparazione in vista della serata a casa del padre di Jay. Inizio a sentire i crampi allo stomaco aumentare gradualmente man mano che mi avvicino alla porta di casa, dove già mi aspettano le mie amiche in supporto psicologico.

Il salone della Quinta, in questo modo, si trasforma in una vera e propria passerella, dove sul divano tutti gli spettatori – Amie, Chiara, mio fratello, i ragazzi, persino Nick! - giudicano ogni scelta di abbigliamento, e la sottoscritta modella è in preda a un attacco d'ansia. Il primo completo, sotto consiglio di Chiara, è composto da un body nero smanicato e una gonna a fiori a vita alta.

«Ti sta una merda» dice Amie spassionatamente, gesticolando come per mandarmi via dalla stanza e provocando le risate dei ragazzi, che prontamente fulmino con lo sguardo e tacciono.

Il secondo outfit, scelto dalla stessa Amie, mi fa rabbrividire ma comunque sono costretta a sfilare per non farla offendere.

«Devo commentare?» domanda sarcasticamente Chiara, ormai l'obiettivo non è più aiutare me nella ricerca dell'outfit perfetto, ma insultarsi a vicenda.

In fondo all'armadio trovo un vestitino bianco con lo scollo halter e la schiena leggermente scoperta, stretto sulla vita e morbido dai fianchi in giù. Sperando con tutto il cuore che mi entri, lo sfilo dalla gruccia e, dopo averlo forzato ad entrare, scendo nuovamente in salotto per essere accolta da un silenzio tombale.

«Splendida!» esclama Nick annuendo in segno di approvazione, le mie amiche acconsentono.

«È troppo elegante! Non va bene» obietto, facendo qualche giro e specchiandomi nella finestra. Lancio un'occhiata a Lucas, in memoria dei vecchi tempi, che fino ad ora è rimasto silenzioso. Lui risponde con un sorriso e un pollice all'insù. Non convinta, torno con le ragazze nella mia stanza e continuiamo a provare diversi abbinamenti, fin quando raggiungiamo un compromesso: un pantalone nero aderente a zampa d'elefante, una camicia bianca a body e dei sandali con tacco neri semplici. Fine, non ne voglio sapere più niente, sono già troppo stressata. Il tempo sembra scorrere troppo velocemente, nonostante sia ancora pomeriggio, e la mia ansia non fa che peggiorare. E se facessi una delle mie solite figure davanti al padre di Jay? Se non gli piacessi? Il mio monologo interiore viene interrotto dal suono di una notifica del mio cellulare.

 

"Vengo a prenderti alle 20.30, miss. Non farmi apettare."

 

Sorrido, restando a fissare il display del telefono per qualche secondo, per poi alzare lo sguardo e incontrare quello investigativo delle mie amiche.

«Jay viene a prendermi alle 20.30, mi ha scritto» dico loro, traboccante di pressione. Chiara propone di andare a prendere un gelato e, per accontentare più un mio desiderio di distrazione, in meno di dieci minuti siamo già fuori il campus in direzione della prima gelateria che incontriamo nel quartiere.

Sono ancora le 17 e io non so cosa fare tutto questo tempo lontana da Jay, con quest'ansia addosso. Quando siamo insieme il tempo vola e non facciamo altro che ridere e scherzare – cosa che succede anche con le mie amiche, ma con lui è... diverso.

«Dovresti farti le sopracciglia. E i baffetti» osserva Amie, sedute in uno dei tavolini fuori dalla gelateria. Roteo gli occhi, mentre Chiara ridacchia divertita.

«Possiamo farti una maschera di bellezza?» domanda quest'ultima, più per il piacere di usarmi come cavia ché per rendermi effettivamente presentabile. Acconsento, comunque, per il bene comune.

Quando ritorniamo a casa mia, mi fanno accomodare sulla sedia girevole della mia stanza per iniziale il rituale. Lego i capelli in una coda di cavallo e, per precauzione, indosso anche una fascia per capelli, in caso i due geni del male dovessero sporcarmi.
Chiara tira fuori dalla sua borsa una bustina violetta, che deve contenere quella che è la maschera di bellezza. Inizia a spremere fuori il contenuto violaceo della bustina e, aiutata da Alice, comincia a stenderlo sul mio viso. Mettendo da parte i vari tentativi di infilarmi la crema dentro il naso o nella bocca, a fine stesura mi guardo allo specchio e osservo con preoccupazione il mio viso colorato di viola dalla maschera di dubbia provenienza.

«Se succede qualcosa alla mia faccia, ci andrai tu stasera da Jay a spiegare perché gli ho dato buca» minaccio Chiara in preda ad una risata isterica, mentre Amie tenta di rimanere seria per evitare che possa prendermela anche con lei.

Gloriosamente riesco a superare la prova ceretta, maschera e sopracciglia senza cicatrici, macchie o aloni rossi sul viso, il ché è un ottimo traguardo inaspettato. Indosso fieramente il mio completo come se mi stessi preparando per andare al patibolo e, una volta pronta, scendo in salone dagli altri, dove aspetterò Jay.

«Quindi... ti porta dal padre? Non sarà troppo presto? Da quant'è che state insieme?» mi chiede Cooper non appena mi lancio sul divano, accigliato.

«Non stiamo insieme, Coop!» lo riprendo sgranando gli occhi, come se non sapesse che non bisogna parlare di impegno in mia presenza! «È solo per stare insieme» aggiungo in fretta ammiccando. Nel frattempo, Lucas fa il suo ingresso nella stanza in silenzio e si siede sulla poltrona distante da noi, nonostante il resto del divano accanto a me sia tutto libero.

«Cazzo, Lucas, ce ne vuole ad avere più aria funebre della sottoscritta» lo punzecchio, mentre lui non distoglie lo sguardo dal televisore. «Pronto? Sto parlando con te!»

Lui finge di tornare alla realtà e si gira lentamente verso di me. «Ah, sei ancora qua?» risponde, gelido. Alzo un sopracciglio guardandolo sconcertata.

«Hai deciso di rovinarmi la serata prima ancora che cominci?» replico, usando il suo stesso tono. Sam, ti prego, non iniziare a scaldarti.

Lui non ha il tempo di replicare perché, nello stesso istante, bussano alla porta d'ingresso. Immediatamente dimentico le parole di Lucas sentendo un tonfo al cuore e un vuoto allo stomaco, scatto in piedi e afferro la borsa dal divano, per poi correre verso la porta. Nella piccola sala d'ingresso trovo Harry.

«Taylor è geloso, lascialo stare» mi dice, stampandomi un bacio sulla fronte, «sei bellissima». Gli sorrido in risposta e, finalmente, apro la porta: davanti ai miei occhi ho uno splendido Jay Wilson, più sorridente che mai. Dopo esserci salutati, mi informa che saremo a casa di suo padre in 20 minuti con la sua macchina.

«Ma cammina?» gli domando alla vista della sua macchina, che si presenta più come un rottame.

«Lo scopriremo» risponde, aprendomi la portiera del lato passeggero da vero gentiluomo. Se sono psicologicamente pronta a sostenere la serata che mi si presenta davanti? Anche questo, lo scopriremo.

 

Rispettando la tabella di marcia arriviamo nei pressi della collina di Primrose Hill dove sorge villa Wilson, una casa a dir poco spettacolare. Il panorama mozzafiato è accompagnato da un grande giardino pieno di piante e fiori di ogni tipo, una piscina e un patio decorato da lanterne e luci sul soffitto, per non parlare degli interni! Già dall'arredamento della sua stanza alla Nona avevo capito che Jay avesse gusto, e casa sua rispetta le aspettative che mi ero fatta. Il padre, Richard, da qualche anno ormai si è trasferito a Brighton per lavoro, ed è dotato dello stesso umorismo del figlio, mettendomi da subito a mio agio. Gradualmente sento la tensione scendere e posso finalmente rilassarmi e godermi la serata.

A cena finita, ci ritroviamo io e Jay in cucina, lui lava i piatti mentre io lo aiuto a sparecchiare.

«Che programmi hai per domani? Abbiamo tutto il giorno libero, c'è la disinfestazione del cortile» mi chiede voltato di spalle, io mi avvicino appoggiandomi con la schiena contro il bancone moderno.

«Credo proprio nessuno, come al solito» rispondo, «Dove hai intenzione di portarmi?» aggiungo in fretta, dando per scontato che Jay voglia passare – o sprecare – un altro giorno della sua vita insieme a me.

«Cosa ti fa credere che io voglia stare con te domani?» mi domanda, ridendo sotto i baffi. Inarco le sopracciglia, guardandolo storto.

«Fammi pensare...» inizio, passandogli uno strofinaccio per asciugarsi le mani, «forse il fatto che nonostante io sia una cosiddetta rompicoglioni 24 ore su 24, che ci capita di litigare spesso per scemenze, che ti ho fatto espellere dall'università, che mi rifiuti di farmi chiamare con i tuoi stupidi nomignoli davanti i miei amici, non ti sei mai rifiutato di passare del tempo con me. E sinceramente, certe volte mi chiedo anche il perché».

Lui annuisce, ridendosela liberamente.

«Ammirevole, potrei commuovermi» risponde, posando lo strofinaccio sul bancone e avvicinandosi di nuovo a me, «Mmm, ascolta... conosco un bel posto vicino Parliament Hill Fields. Pensaci: io, tu, il panorama notturno di Londra, sulla collina illuminata solo dalle stelle e dalla luna...».

Note: mi chiamo Sam e non sto andando in iperventilazione. Mentre si avvicina sempre di più trattengo il respiro. «E poi ti porto a pattinare, che ne dici?» conclude.

«Penso che sia un'ottima idea» acconsento, a un soffio dal suo viso, cercando di mantenere un tono della voce neutro.

Prontamente, nella stanza irrompe il padre di Jay, facendoci scattare quasi ai lati opposti della stanza, io faccio finta di sistemare qualcosa dando le spalle. Quando ci lascia di nuovo da soli, ci lasciamo andare in una risata liberatoria.

Finite le nostre faccende casalinghe, decidiamo di congedarci da Richard Wilson e tornare alla Goldsmiths – sono già le 23.30 e non ci conviene sforare il coprifuoco un'altra volta.

«Jay, per tutta la serata ho pensato, dato che tuo padre adesso è a Londra, non dovrebbe sapere della storia dell'espulsione?» gli chiedo quando siamo già al cancello principale, aspettando che la guardia di turno ci apra.

«A dire la verità ci ho pensato anche io, ma ho voluto evitare di fare scenate davanti a te» risponde lui, adesso di nuovo cupo. A dire la verità, sto morendo di sensi di colpa: per me, per Amie e Harry, ma soprattutto per Jay. La sua opportunità di diventare qualcuno dentro la Goldsmiths, grazie alla Goldsmiths, molto probabilmente è svanita per la mia mania di trasgredire le regole.

Una volta lasciata la macchina, ci incamminiamo nel vialetto verso i nostri appartamenti, mano nella mano ed entrambi pensierosi.

«A che pensi?» mi chiede, schioccandomi le dita davanti agli occhi per svegliarmi, una volta arrivati davanti la Quinta. Guardo il display del telefono: è quasi mezzanotte. Mancano pochi minuti alla fine della scommessa, lo stupido gioco che ha incasinato tutti i miei piani, e la mia testa.

«Grazie di tutto, Jay, come al solito» gli dico, abbracciandolo, «è stata una bellissima serata e mi sono davvero divertita». Adesso è il suo turno di guardare il display del cellulare, per poi sospirare e tornare a guardarmi negli occhi.

«Manca un minuto alla mezzanotte... ci pensi che ci siamo conosciuti solo una settimana fa? Sembra passata una vita» inizia, tenendomi sempre stretta. A chi lo dici. «E pensare che quando ti ho vista per la prima volta mi stavi sul cazzo... ed ero anche felice che Shoe non ti avesse fatto le fotocopie, lo ammetto».

Rispondo con uno sguardo omicida, ma quando sto per ribattere, posa un dito sulle mie labbra per fermarmi. Forza Sam, niente è ancora perduto, puoi farcela!

«Volevo dirti una cosa che mi tengo dentro da un po' di tempo, e credo che dovresti sapere che...» continua. Quando ormai le nostre labbra si sfiorano chiudo gli occhi e mi lascio baciare, un bacio che entrambi desideriamo da giorni e che è sempre stato interrotto, un bacio che dovrebbe sapere di vittoria ma invece sa di una profonda sconfitta personale. Jay si stacca lentamente dalle mia labbra, incrociando per un attimo il mio sguardo, poi si avvicina al mio orecchio destro, mentre il mio corpo è come immobilizzato.

«...so della scommessa» sussurra infine. La mia mente impiega qualche secondo più del dovuto per elaborare quello che ho appena sentito, mentre inizio a sentire le gambe tremare e il mondo crollarmi addosso.

«Q-quale scommessa...» balbetto nervosa, Jay si stacca dall'abbraccio e posso finalmente vedere bene il suo viso attraversato da un'espressione mai vista finora.

«Sai benissimo di che cosa parlo, Sam» replica, con un sorriso amaro, allontanandosi mentre cammina all'indietro. Uno dei suoi vizi.

«Jay, posso spiegarti...» inizio, entrando nel panico.

«Non ho bisogno di spiegazioni, è tutto chiaro. Vuoi sapere la verità sul tuo conto? Sei una fifona, non hai un briciolo di coraggio, neanche quello semplice e istintivo di riconoscere che a questo mondo ci si innamora. Tu ti consideri uno spirito libero, ti rifugi dietro stupide scommesse per paura che qualcuno possa rinchiuderti in una gabbia» ribatte alterato, il tono della voce che si alza mentre le parole che ha aspettato con ansia di sputarmi contro escono ancora più avvelenate di quanto lui si aspettasse, «E sai che ti dico? Che la gabbia te la sei costruita da sola, ed è una gabbia dalla quale non uscirai, perché non importa dove tu corra, finirai sempre per imbatterti in te stessa. Abbiamo chiuso, Sam» conclude, poi si volta per andarsene, ma una forza irrazionale dentro di me riesce a muovere le mie gambe un attimo prima pietrificate per andare verso di lui e fermarlo.

«Jay, tutto quello che hai detto è la pura verità» dico, la voce tremolante, «e questo perché come hai saputo leggermi tu in così pochi giorni non c'è mai riuscito nessuno. Ma ti giuro, e devi credermi, che non è stata tutta una montatura. La ragazza che si divertiva con te era vera, i miei sentimenti per te sono veri, è iniziato come un gioco ma tu per me non lo sei mai stato!». Le parole escono così velocemente dalla mia bocca che io stessa mi stupisco di come stia parlando a cuore aperto, cercando di trattenere le lacrime. Con la coda dell'occhio vedo le luci della Quinta accendersi.

«Io ricordo ogni singola cosa fatta insieme di questa settimana, Sam. Dal primo appuntamento organizzato con Chiara, fino a quando ti ho portato su una maledetta mongolfiera per stupirti!» esclama, ormai fuori di sé. Con le mani fra i capelli, lo imploro mentalmente di non gridare, di calmarsi, ma di nuovo non riesco a fiatare. «Come posso fidarmi di te?!»

«Non pensare, neanche per un secondo, che io ti abbia preso in giro, Wilson. Volevo convincermi di stare facendo tutto questo per la scommessa ma non era così, e lo sapevo benissimo, anche se non volevo ammetterlo...» replico, mentre alle spalle sento il rumore di una porta e dei passi sul vialetto, «lo sapevano tutti, lo sapeva Chiara, mio fratello, Lucas, tutti i ragazzi sapevano...». All'improvviso realizzo. Come ho fatto a non capirlo prima?

«Lucas Taylor ti ha detto della scommessa, vero?» gli domando, improvvisamente gelida.

«Non me ne frega niente né di Taylor né della scommessa! Il punto è che io sapevo di questa presa in giro fin dal principio ma ho continuato perché stare con te mi faceva stare bene, ma non sapevo mai con quale delle tue personalità stessi parlando. Ho chiuso» sbotta, ignaro che la mia mente sia sempre più dissociata dalla realtà. Asciugo una lacrima sulla guancia mentre vedo davanti a me Nick e Harry intenti a trattenere Lucas dal riempire Jay di botte, e finalmente il mio cervello riprende a funzionare. Rumore, sento solo rumore indistinto, mentre focalizzo il mio obiettivo. Mi scaglio contro Lucas Taylor con la poca forza che ho in corpo, facendolo inciampare e cadere per terra e iniziando a picchiarlo con scarsi risultati, perché ogni volta che alzo una mano questa inizia a tremare e perde le forze, mentre le lacrime mi impediscono di vedere distintamente intorno a me. Mi sento sollevare da terra: è Cooper che mi tiene così stretta da farmi male e mi trascina verso casa.

«Ti odio, Taylor! Hai rovinato tutto un'altra volta!» gli urlo contro, ma Lucas rimane immobile per terra a fissarmi con la bocca spalancata.

Rumore. Cooper mi trascina fino alla mia stanza, mi accompagna fino al letto. Ancora rumore. Non vedo niente e non riesco a capire quello che il mio amico mi dice, sento solo un grande dolore nel petto. Solo rumore.

 

 

 

 

«Allora, come ti senti?
«Di merda, Cooper, come dovrei sentirmi? In fin dei conti abbiamo passato dei bei momenti insieme, ma non sono un premio che si vince alla lotteria. Semplicemente, non mi sta bene il suo gioco. Credo che prima o poi tutti e due ce ne faremo una ragione.

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: AdelaideMiacara