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Autore: ely_comet    27/06/2020    4 recensioni
“Ehi Sana, sai che domani avrò la prova, quella decisiva..”
“Bene, questa volta sarai cintura nera!”
“Già.. e poi.. se diventerò cintura nera.. io vorrei parlarti..”
[..]
“Akito, se prenderai la cintura nera, sappi che anch’io vorrei parlarti..”
Sana e Akito non sono più acerbi ragazzini alle porte dell'adolescenza. Ormai sono adulti, frequentano l'università di Tokyo, ma nonostante tutto le loro vite rimangono comunque intrecciate da un legame indissolubile. Saranno i sentimenti mai confessati o la forza distruttiva del tempo ad incrinare un equilibrio fin troppo precario?
Genere: Romantico, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Sana Kurata/Rossana Smith | Coppie: Sana/Akito
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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10. If I Had A Gun - Liam Gallagher 

 

<< Excuse if I spoke too soon,

My eyes have always followed you around the room

‘Cause you’re the only God that I ever need >>

 


“Akito..”

La sveglia continuava a suonare ma Sana non riusciva a spegnerla. Era tra le braccia del suo ragazzo e non riusciva a liberarsi dalla morsa.

“Akito!” strillò la ragazza. Rispose un mugugno. “Dai Akito! Sono le otto passate! Se continui ad arrivare a lezione in ritardo, tanto vale starsene a casa!”

“Direi che è un’ottima idea questa” rispose Hayama, tenendola ancora più stretta. 

“Ci sono gli esami tra meno di un mese!”

“A te cosa importa? Tanto tu hai mollato tutto per quel maledetto contratto di New York.”

“Mi importa eccome! Devi passare tutti gli esami per venire via con me!”

“E questo chi lo dice?”

“La Columbia University! Dai alzati.. io comunque devo passare da Mama per prendere delle cose, quindi forza!” disse la ragazza, liberandosi dalla presa e andando a spalancare le finestre dell’appartamento di Hayama. Il ragazzo sbuffò rumorosamente e si alzò. Un raggio di sole riempì la camera da letto piena di oggettini che Sana aveva portato per dare un tocco più caloroso al fin troppo minimale stile di Akito. C’erano vestiti seminati ovunque, scatole di cibo per asporto, candele, cornici, piante finte e piante vere: la giovane aveva trasformato quella casa come aveva fatto con la vita di Hayama, con irruenza, in un modo che rendeva tutto quello che era stato prima irriconoscibile. La vita prima di Sana era irriconoscibile, prima di lei in quella minuscola casa, prima di tutti quei quadri attaccati ai muri, prima dei fiori ogni sabato mattina appoggiati sul tavolo o le candele accese la sera. 

Akito andò a lavarsi i denti e la giovane lo seguì a ruota. Ormai era abitudine che i due si stringessero e lottassero per il minuscolo lavandino ogni mattina ed era abitudine che finissero per sporcare tutto lo specchio di dentifricio e poi si scambiassero un bacio con la faccia pasticciata. Dopo il caffè entrambi uscivano dalla porta insieme e le loro strade si separavano; quella mattina mentre Akito andava verso l’università, Sana stava tornando da sua madre per il cambio settimanale di vestiti. 

Di certo non posso mettere tutti i miei vestiti in quell’armadio! Ci starebbero a malapena le scarpe, si era detta girando le chiavi nella serratura.

“Sono a casa! C’è nessuno?”

“SANA!” urlò sua madre di risposta dal soggiorno.

“MAMA!”

“SANA!”
“MAMA! Dove sei?”

“In soggiorno tesoro, porta un bicchiere d’acqua alla tua povera madre. Come mai sei a casa?”

Sana si sedette accanto a sua madre, porgendole il bicchiere. 

“Solite cose, devo anche iniziare a fare la valigia.”

“Sei davvero sicura di voler partire tesoro?”

La giovane annuì.
Quando la proposta di una compagnia di Broadway era arrivata nelle mani di Rei, Sana aveva istintivamente risposto di no, non aveva senso partire per New York per mesi e mesi e perdere tutto quello che aveva costruito nell’ultimo anno della sua vita, gli amici, l’università, la famiglia e Akito. Non voleva lasciarlo di nuovo con la scusa del lavoro, non quando i due erano praticamente andati a vivere insieme. Ma era stato proprio il ragazzo a dirle di partire, di non precludere nessun tipo di contratto lavorativo, quella era la sua vita e di certo non poteva starsene ferma in Giappone per sempre. Sana era rimasta fulminata da quanto fosse maturato il ragazzo nel corso degli anni e anche se tra le lacrime, l’aveva convinta a partire.

“Ci sentiremo tutti i giorni!” continuava a promettergli la giovane.

Poi, dopo qualche settimana, il destino per una volta si dimostrò non totalmente avverso alla loro relazione. Nello stesso giorno in cui Sana si ritirava dall’università, Akito veniva selezionato per un semestre alla prestigiosa Columbia University nell’Upper Manhattan. Per una volta Akito e Sana potevano stare insieme, non c’erano immense montagne da scalare tra loro. La giovane sarebbe partita poco dopo Natale e lui l’avrebbe raggiunta a inizio febbraio, poco prima dell’inizio delle lezioni. Kurata ovviamente doveva arrivare in città prima delle prove per lo spettacolo per cercare un posto dove alloggiare e sistemarsi per i futuri sei mesi, ma la coppia non aveva ancora deciso se avrebbero abitato insieme anche a Manhattan: Akito era più propenso a vivere con una cialtrona come Sana piuttosto che andare a soffocare nei dormitori universitari, ma la ragazza credeva che fosse legittimo che i due avessero i propri spazi.

“Ti rendi conto che finiremmo per vivere insieme comunque? Tanto vale farlo fin da subito” aveva detto una sera mentre guardavano gli studio vicino a Brooklyn. Sana aveva alzato gli occhi non volendo ricominciare il solito discorso sul fatto che non stessero già convivendo, o almeno lei era convinta di questo. In realtà i due passavano tutto il loro tempo libero insieme, sempre nel minuscolo appartamento di Hayama. Non avevano bisogno di tanto spazio, era abbastanza stare l’una nelle braccia dell’altro. 







Dicembre passò velocemente e Natale era alle porte. La sera della vigilia Fuka organizzò una cena a casa sua per festeggiare le vacanze natalizie, aveva cucinato tutto il giorno, sistemato la casa e preparato la tavola. Aveva una grande notizia da dare ai suoi amici e tutto doveva essere perfetto.

I primi a presentarsi furono miracolosamente Sana e Akito seguiti poi da Aya, Tsuyoshi, Gomi e Hisae. La coppia entrò mano nella mano, stavano discutendo per qualcosa in modo animoso. A Fuka tornò in mente quando avevano detto loro che si erano finalmente messi insieme. Era successo un sabato sera in un locale in cui erano andati a ballare. Kurata era, come sempre, il centro di tutte le attenzioni. Indossava un abito minuscolo argento che le lasciava scoperta la schiena. All’ennesimo fan che si avvicinava per farsi una foto con l’attrice, Hayama si era alzato e si era avvicinato alla ragazza. Tutti avevano temuto il peggio, Gomi e Tsuyoshi si erano rizzati subito tentando di andare a placare Akito ma non era stato necessario. Sana gli aveva rivolto un sorriso, lui aveva inarcato un sopracciglio fissando il tizio che stava aspettando la foto con l’attrice. 
“Adesso arrivo!” aveva cinguettato Kurata e il giovane era tornato al suo posto. Niente scenate di gelosia, niente nervosismo estremo. I loro amici erano scioccati. Ma la ciliegina sulla torta fu proprio Sana che una volta terminato il suo fan service, andò a sedersi in braccio ad Hayama e i due si scambiarono un lungo bacio.

“Scusate.. Credo di essermi persa qualcosa!” strillò Aya accanto a un Tsuyoshi attonito.

“Non ve l’ho detto? Io e questo zuccone stiamo insieme!” disse Sana come se fosse la cosa più naturale del mondo e lo era, almeno per tutti coloro che li conoscevano, solo che nessun credeva che sarebbe effettivamente successo.

Il gruppo iniziò a bombardarli di domande, cosa fosse accaduto, come si fossero messi insieme, perché avevano aspettato così tanto, senza però dargli tempo di rispondere.

“Diciamo che abbiamo perso già troppo tempo prezioso.” aveva risposto Akito guardando la sua ragazza.

Ed ora sembravano già una coppia fatta e sposata.

“Ragazzi ho un annuncio da fare!” disse Fuka alzandosi, dopo il dolce. “Ho fatto domanda per fare un tirocinio nella sede dell’ambasciata giapponese a Parigi e sono stata presa!” 

Dal gruppo partì un applauso. 

“Congratulazioni Fuka!” disse Sana, abbracciando l’amica.

“Propongo un brindisi a Matsui, che si è sempre fatta il culo e che probabilmente continuerà a farselo.” propose Hayama alzando il bicchiere di vino. Fuka annuì convinta.

“A Matsui!” dissero in coro.

“In realtà anche io avrei qualcosa da dire.. E no, non ci sposiamo e non sono nemmeno incinta!” disse Kurata allungando la mano aperta prima che Aya e Hisae la interrompessero.

“Dopo capodanno andrò a lavorare a Broadway per uno spettacolo insieme ad una grossa compagnia teatrale!” 

Calò il silenzio. Hisae e Aya con la forchetta sospesa a mezz’aria, Gomi a bocca spalancata, Tsuyoshi continuava a grattarsi la testa credendo di aver capito male. Gli sguardi di tutti si spostavano da Sana ad Akito come se stessero giocando una partita di tennis.

“Beh? Nessuna reazione? Guardate che sarete tutti invitati al debutto!”

“Ma quanto starai via?” chiese Fuka, guardando intensamente Hayama che sembrava più rilassato che mai.

“Circa sei mesi o forse di più, dipende da come andrà lo spettacolo.”

“E l’università? Non sei già indietro?”

Sana agitò una mano.

“Diciamo che ho dovuto rinunciare a qualcosa per continuare a lavorare e insieme a mia mamma e Rei abbiamo deciso che non era il caso continuare l’università, quindi mi sono ritirata.”

Calò di nuovo il silenzio. Poi Tsuyoshi, prendendo coraggio, parlò.

“E Akito?”

“E Akito cosa?” disse il diretto interessato, risalendo dal suo stato di silenzio perenne.

“Hai intenzione di startene qui a guardare?” gli chiese Gomi. 

“Sono stato preso per l’ultimo semestre alla Columbia University, a New York.” disse Hayama, alzando le spalle con noncuranza. “A quanto pare vivremo nella stessa città per un po’” 

La coppia si guardò: erano seduti ai lati opposti della tavolata e nonostante la lontananza riuscivano a mostrare quanto fosse evidente ciò che provavano l’uno per l’altra. 

“Vivrete insieme anche lì?” chiese Aya sognante.

“No di certo! E tanto per precisare, nemmeno qui viviamo insieme!” rispose Sana, mentre Akito le faceva il verso. 

“La risposta è si, Sugita.” disse Hayama sottovoce. “Quella tonta di Kurata non vuole ancora rendersi conto della realtà.”

“E quale sarebbe questa realtà di cui vaneggi tanto Hayama?” 

“Che io e te Kurata siamo destinati a stare insieme.” 

Lo disse in un tono così deciso, così forte che Sana si alzò da tavola e corse a baciarlo con passione. 

 







Febbraio era estremamente gelido anche in una grande città come New York.
Sana stava andando al teatro per le prove del giorno. La grande sciarpa di lana rosa che sua madre le aveva regalato per Natale le era tornata molto utile in quelle prime settimane nella Grande Mela. Uscì dalla metropolitana con la sacca da danza messa a tracolla e la sua tazza to-go piena di tè giapponese, non voleva abituarsi al caffè americano che servivano in qualsiasi angolo. Stava ripetendo le ultime battute che aveva studiato la sera precedente mentre entrava nel grande stabile. Doveva ancora imparare perfettamente le coreografie e non aveva ancora iniziato a lavorare con la costumista però il suo inglese migliorava giorno dopo giorno e stava iniziando ad abituarsi ai ritmi intensi della città. 

“Buongiorno a tutti!” strillò alla folla che già stipava il palco. 

Un coro di voci le rispose con allegria. Era convinta di aver portato un po’ di luce in quella che era la quotidianità della compagnia con la quale stava lavorando e gli effetti si vedevano sulle performance di tutti, dagli attori principali fino agli stagisti che portavano il caffè e facevano fotocopie. Aveva imparato i nomi di tutti, lavorava duramente e cercava di essere il più professionale possibile. 

“Sana, stasera vieni con noi a mangiare una fetta di pizza?” chiese Monica, una delle attrici, dopo le prove. 

“Mi piacerebbe tanto ma stasera proprio non posso.. Devo andare in aeroporto a prendere una persona!” rispose la giovane cercando di trattenere l’entusiasmo. Hayama sarebbe arrivato quella sera e lei non riusciva più a sopportare la distanza; certo, parlavano al telefono tutte le sere e facevano spesso Skype ma vederlo su uno schermo non faceva altro che incrementare la voglia di sentirlo accanto a lei. 

“Si giusto! Il tuo ragazzo arriva oggi dal Giappone, me ne ero dimenticata!”

Beata te, disse la vocina nella testa di Sana, io non faccio altro che pensare a lui. 

Salutò le sue colleghe e corse verso il suo appartamento: aveva appena qualche ora per sistemare casa e prepararsi per il ritorno di Akito. Girò le chiavi nel portone di legno scuro e filò in doccia. Si lavò i capelli, li asciugò e mise quel profumo di fiori che usava da sempre; infilò un paio di pantaloni, un maglione e iniziò a sistemare la cucina. Aveva trovato un adorabile appartamento nel quartiere Nomad, vicino a Chelsea, totalmente sprovvisto di mobili perciò Sana si era divertita come una matta ad arredarlo a suo gusto e il risultato le piaceva ogni giorno di più. Stese una tovaglia bianca sul tavolino della cucina, tirò fuori i piatti, le bacchette e delle candele bianche, mise un vaso di fiori invernali al centro e corse a prendere la cena in uno dei food market lì vicino.

Verso le nove e dopo un’estenuante corsa in metropolitana, Sana arrivò in aeroporto con un grosso cartello sottobraccio e si piazzò fuori dalla zona degli arrivi.



Akito aveva dormito malissimo sul volo d’andata. Non che il suo posto fosse così sgradevole ma non riusciva a soffocare una sorta d’ansia, un groviglio allo stomaco che cercava di convincerlo che Sana non fosse lì ad aspettarlo ma che si sarebbe trovato solo in una città che non conosceva. La distanza, anche se durata poco più di un mese, stava diventando insopportabile; il giovane era tornato a vedere la sua ragazza ogni volta che cercava di non pensarla: la vedeva in tutte le cose che aveva ammassato nel suo appartamento di Tokyo, la vedeva continuamente in tutti i cartelloni pubblicitari e anche tra i tavoli delle biblioteche dove andava a studiare. Si era infilata così bene nella sua testa che non riusciva a passare una notte senza sognarla. La sua sanità mentale era peggiorata rispetto a prima che i due si mettessero insieme. 

Dopo il controllo passaporti e con l’ansia che non riusciva a mandare giù, si diresse verso l’uscita dell’aeroporto. Quando le porte si aprirono, Hayama iniziò a cercare con lo sguardo la sua ragazza ma un cartello gigante che diceva il suo nome attirò la sua attenzione e dietro l’immenso pannello c’era Sana. Lei appena lo vide iniziò a saltellare come una molla, trattenendosi dallo strillare come una bambina. Akito le corse incontro, le valige che gli sbattevano sulle gambe e la strinse a se, affondando la testa nei suoi capelli rossi. Stettero stretti diversi minuti senza dire una parola, mentre il fiume di persone accanto a loro lentamente si dileguava. Sana si sentiva di nuovo al sicuro tra le braccia di Hayama ed era un sentimento che non riusciva a provare in nessun altro modo se non con lui.

“Mi sei mancato” gli disse guardandolo dolcemente, continuando a tenerlo stretto. Faceva ancora fatica a credere alla tremenda fortuna che per una volta nella vita avevano avuto. 

“Anche tu mi sei mancata” le rispose spostandole una ciocca di capelli dagli occhi.

“Com’è andato il viaggio? Hai dormito un po’? Spero tu non sia troppo stanco, ho organizzato una bella cena nel mio appartamento”

“Non è che mi vuoi avvelenare vero? Ti ricordo che tra qualche giorno inizio le lezioni.”

“Io cucino benissimo!” rispose Sana, fingendosi offesa. “E ringrazia che non ti mando direttamente a dormire in campus!”

Akito sorrise. Ovviamente non aveva prenotato nessun tipo di alloggio universitario, voleva vivere solo con una persona, Sana e basta. 

“Va bene Kurata” le disse prendendole la mano mentre si dirigevano verso la stazione dei taxi. 

 







“Quindi cosa pensi di fare?” chiese Akito. Era arrabbiato, così arrabbiato da voler prendere a pugni l’intera parete dell’appartamento in cui stava, non viveva. E Sana non faceva altro che ricordarglielo, fino al punto che il ragazzo aveva iniziato a radunare le sue cose e aveva contattato l’ufficio collocamenti dell’università. 

La sua ragazza stava all’altro angolo della casa con le mani incrociate al petto. Akito poteva sentire chiaramente la sua testa macchinare qualche pensiero contorto.

“Non lo so!” rispose lei. 

Si appoggiò la mano sulla fronte. Com’era finita in quella situazione? Aveva il debutto la sera stessa e lei e Akito non facevano altro che litigare in quell’ultimo periodo. Non è che non lo volesse lì con lei, anzi, ma vivere insieme così, come stavano facendo da mesi, le era sembrato più facile che affrontare la discussione sul futuro che stava cercando di ritardare il più possibile. Lui l’aveva provocata, le aveva detto che avrebbe fatto su tutte le sue cose e se ne sarebbe andato il primo possibile se la sua presenza le dava così fastidio. Sana era sbottata dicendogli di crescere e Akito era esploso. Non riuscivano a trovare una fine a quella litigata che ormai si protraeva da giorni.

“Vuoi che me ne vada?” chiese Hayama, la voce che tremava lievemente. Non riusciva a capire il perché non potessero vivere insieme come una coppia di adulti quali erano. Sana voleva i suoi spazi e Akito non era certo uno che ingabbiava le persone. 

“Me ne vado io.” disse Sana, sbattendo la porta d’ingresso. Hayama rimase attonito per qualche secondo. Si sentì confuso. 

Lo spettacolo fu perfetto. Non una sbavatura, non un errore e nemmeno un malfunzionamento di qualche sistema meccanico. Anche se la discussione con Akito aveva scosso Sana, il palcoscenico le aveva ricordato che poteva dimenticare la sua vita per almeno due ore. Era nel suo camerino, circondata da decine di mazzi di fiori quando qualcuno bussò alla sua porta. 

“Avanti!” 

Sua madre, Rei, Asako e la signora Shimura entrarono nella stanza. L’attrice si alzò e corse ad abbracciarli. 

“Mi siete mancati tantissimo!” disse tra le braccia della sua famiglia. 

“Anche tu cara, non sai quanto.” le rispose sua madre stringendola forte.

“Allora? Vi è piaciuto lo spettacolo?”

“Sei stata bravissima! La tua notorietà adesso si diffonderà in tutti i teatri del mondo!” disse Rei con guardandola con aria sognante. 

“E Akito?” chiese Asako guardandosi attorno.

Sana si rabbuiò. Non era certa che sarebbe venuto a vederla dopo il modo in cui l’aveva trattato.

“Non saprei.. Abbiamo avuto una brutta discussione stamattina e non ho idea se sia venuto a teatro o meno.” ammise la giovane. Era consapevole di essere dalla parte del torto e sapeva perfettamente che il suo comportamento non era maturo. Akito era quello maturo e adulto, non lei. Lei era ancora spaventata dalle sue emozioni, dal suo futuro con Hayama, come la bambina che era sempre stata. Gli diceva di crescere, di essere meno ingenuo ma quella che doveva crescere era Sana, lei che non era nemmeno in grado di chiedere al suo ragazzo di condividere la loro quotidianità.

“Vedrai che sarà qui fuori ad aspettarti!” disse la signora Shimura cercando di dare un po’ di speranza alla ragazza.

“Ne dubito, ma grazie. Quali sono i vostri piani per la serata?” 

“Credo andremo tutti in albergo e faremo una bella dormita. Non vorrei che Asako si stancasse troppo!” disse Rei guardando sua moglie in modo apprensivo. 

“Ti ricordo che sono incinta solo da due mesi, non serve essere così esagerati” rispose la donna incrociando le braccia al petto. Sana sorrise. 

Chissà se Akito la stesse aspettando davvero da qualche parte nel teatro. La famigliola felice uscì e lei rimase sola. Finì di struccarsi, tolse il costume di scena e prese le sue cose. Aveva messo tutti i fiori che le erano arrivati in acqua in modo che non appassissero; se c’era una cosa che le metteva tristezza erano i fiori secchi dimenticati in qualche vaso. 

Le ballerine della compagnia passarono ad augurarle buonanotte. Era rimasta l’ultima nel teatro. Uscì dal camerino e si diresse verso l’uscita sul retro ma le luci ancora accese della ribalta le fecero cambiare idea: decise di salire sul palco un’ultima volta quella sera. Tutto era immobile intorno a lei, il silenzio rotto solo dai suoi passi. Si tolse le scarpe e prese a piroettare. Adorava la sensazione del palcoscenico, il profumo delle tende, il rumore del legno che scricchiolava sotto i suoi passi. Iniziò a recitare il monologo finale dello spettacolo, con voce chiara e limpida. 

Casa non è dove dormi. Casa è la pelle di chi, quando ti abbraccia, ti fa sentire al posto giusto*.” concluse Sana con un inchino ad un pubblico invisibile. Un applauso la fece sobbalzare.

Akito se ne stava in prima fila, in piedi, battendo le mani. Sulla poltrona aveva appoggiato un mazzo di rose tea. 

Sana scese dal palco e gli corse incontro. 

Aveva realizzato il senso di tutto quello spettacolo. Casa era dove era Akito, dove era sua madre e Rei e i suoi amici. Casa è nelle persone che ami, che non ti abbandonano, che ti sostengono e ti proteggono. E soprattutto casa è un’emozione, una sensazione, non necessariamente un luogo fisso. Casa per loro poteva essere in America, Giappone, Perù, Norvegia, in qualsiasi luogo purché fossero insieme. 

“Sei stata davvero brava, Sana.” disse Akito. Aveva tentato di restare arrabbiato con la ragazza ma dopo aver visto la sua esibizione, tutta la rabbia e il malumore avevano lasciato il posto a una strana malinconia. 

“Vieni a vivere con me Hayama.” disse lei in un sol fiato. Il ragazzo la fissò impassibile.

“Ci sei arrivata finalmente.” rispose Hayama prendendola tra le sue braccia.

 

 







“Kurata.. fa piano.” sibilò Akito. 

“Sul serio, Sana se non la smetti ci sentiranno tutti!” Il giovane le mise una mano sulla bocca.

“Non è di certo colpa mia” disse Sana scostandosi dalle dita di Hayama e iniziando a baciarle. Erano chiusi nel bagno degli uomini da parecchio ormai ma sembrava che nessuno si fosse accorto della loro assenza. La festa continuava senza che nessuno cercasse il festeggiato. 

“Buon compleanno Akito.” disse Kurata con lo stesso sguardo irresistibile che aveva spinto Hayama a trascinarla nel primo cubicolo libero per riempirla di baci e carezze. Lei ovviamente si era lasciata fare, non aveva nemmeno pensato di ribellarsi, d’altro canto il suo ragazzo compiva trent’anni e ci voleva un regalo appropriato.

“Fatti togliere questo maledetto vestito” le disse mentre cercava di slacciare la fila di bottoni. Sana rise di cuore vedendo Hayama trafficare con la fronte aggrottata.

“Non credo di averti mai visto così concentrato!” 

Sana aveva deciso di festeggiare il compleanno del suo ragazzo affittando un’intera sala di un noto ristorante di sushi; aveva assunto un deejay, invitato tutti i loro più cari amici e familiari e deciso di rendere il tutto una sorpresa. Aveva persino guidato lei mentre Akito se ne stava appoggiato al finestrino, con una benda sugli occhi. Lui era stato felice della festa, Sana ne era certa, ma aveva notato una piccola espressione di disappunto nel vedere tutte quelle persone. Probabilmente avrebbe preferito passare il suo compleanno con le poche persone che gli stavano davvero a cuore. 

“So che non sei contento di questa festa” gli aveva sussurrato la giovane, mentre il ragazzo scartava i regali. Akito l’aveva guardata con aria interrogativa.

“Di che parli, Kurata?”

“Ti conosco, Hayama.” gli aveva detto poi Sana con uno sguardo carico di ardore. Il giovane aveva ringraziato gli ospiti e preso la sua fidanzata per un polso deciso ad avere uno dei suoi regali di compleanno in quel preciso momento.

“Non vuoi aspettare di arrivare a casa?” disse Kurata sfilandosi il vestito.

“Assolutamente no.” rispose Akito imprigionandola contro la parete del bagno. Era sicuro che se avesse dovuto aspettare ancora per averla, probabilmente gli sarebbe esplosa la testa.

Ogni volta che Kurata si china a prendere il bicchiere, inizio a sudare, pensò Hayama. Sana si era messa un vestito blu notte con una profonda scollatura e lui ci era rimasto intrappolato tutta la sera.

Prese a baciarla con foga, sfilandosi i pantaloni. 

“Hayama..” sospirò la giovane mentre Akito la prendeva in braccio e l’appoggiava contro il muro freddo. 

“Grazie per la festa, Sana.” disse lui con voce così roca da farla tremare. Il silenzio fu riempito solo dal leggero rumore dei loro baci.

Il mattino dopo Akito si svegliò con un mal di testa spaventoso.

Ho bevuto troppo maledizione, pensò tirandosi su. 

La stanza era ancora buia, Sana non aveva tirato su le persiane probabilmente per lasciarlo dormire il più possibile, dopotutto avevano fatto molto tardi la sera prima; una volta arrivati a casa si erano piazzati in giardino a guardare le stelle, quasi fossero due adolescenti. 

Akito non aveva mai avuto un compleanno così bello e lui ci teneva a renderlo ancora più speciale. Erano diversi mesi che rifletteva su come Kurata avesse cambiato la sua vita: dal primo momento che si era insidiata nella sua vita familiare fino a tutte le volte che aveva cercato di proteggerlo da tutte le vessazioni e le ingiustizie che l’avevano colpito. Era come se Sana fosse stata il suo Sole, la sua unica religione, la sua unica fede. Fin da primo giorno i loro sguardi si erano seguiti ovunque, pronti a spalleggiarsi e darsi sicurezza. Tutte le volte che le aveva detto di non immischiarsi e lei se n’era fregata, tentando sempre il tutto per tutto per lui; ma anche tutte le volte che Akito l’aveva salvata da se stessa, dal mondo dello spettacolo che cercava di inghiottirla nelle sue fauci. 

Akito si alzò dal letto e si diresse in cucina dove trovò Sana intenta a infilare una teglia nel forno. Aveva un ricettario in una mano e la pirofila trasparente nell’altra. I capelli rossi le cadevano sulle spalle, li aveva accorciati di recente. I trent’anni le donavano più dei venti. 

“Che stai facendo?”

“Sei sveglio finalmente!” disse la giovane girandosi. Indossava un maglione crema e dei jeans larghi. “Ho pensato che potremmo portare un po’ di torta a tuo padre oggi pomeriggio!”

“Ti prego Kurata, non lo avvelenare” 

“Ma ancora con questa storia! Io sono una cuoca provetta!” strillò Sana. Akito rimase in silenzio, trattenendo una risata. Ogni tanto la notte quando non riusciva ad addormentarsi, si metteva a guardare il profilo di Sana che dormiva profondamente e faceva ancora fatica a credere a quanto fosse cambiata la sua vita nel corso degli ultimi anni.

Dopo la laurea, lui e Sana si erano trasferiti in America per qualche tempo: l’attrice ormai aveva una notorietà mondiale e aveva girato diversi film hollywoodiani. Akito dal canto suo aveva trovato la sua strada come avvocato di una grossa azienda americana ma dopo due anni la coppia aveva deciso di tornare in Giappone, Hayama per avviare la sua scuola di karatè e Sana per produrre e dirigere il proprio show. Erano andati a vivere in una casa a metà strada tra le loro due famiglie e avevano preso anche un gatto. Mancava solo una cosa ormai, secondo Hayama.


“Akito ma tu ci credi nelle anime gemelle?” chiese la giovane alzandosi dal tavolo  della cucina dopocena. Era stata una giornata piena e la visita in cimitero aveva lasciato Akito tremendamente silenzioso**.

Non che di solito sia un chiacchierone, aveva suggerito la sua vocina. 

“No.” rispose Hayama finendo la ciotola di riso che aveva davanti. Sana mise le mani suoi fianchi e si piazzò di fronte a lui.

“Risposta errata, ritenta sarai più fortunato!” gli disse con un sorriso sarcastico. 

Akito alzò gli occhi dal piatto e li piantò su quelli della giovane.

“Hai posto la domanda sbagliata, Kurata” sentenziò lui, riprendendo a mangiare.

Sana fece un respiro profondo.

“Sono io la tua anima gemella?” disse con ilarità ma cercando di nascondere una nota ansiosa nella voce. Hayama tornò a guardarla negli occhi, lei aveva uno sguardo così felice, così innamorato quando stavano insieme. Ogni difficoltà che avevano affrontato li aveva sempre resi più forti, inseparabili. Anche in quel momento e con parole così semplici, Sana rimaneva la bambina di sempre, un insicuro vulcano di energie. 

“Non ti muovere!” disse Akito alzandosi da tavola e correndo in camera.

Chissà che diamine gli è preso, pensò la donna iniziando a sparecchiare.

Hayama tornò dopo qualche minuto stringendo una scatolina nera tra le mani. 

“Rifammi quella domanda Kurata.” disse avvicinandosi a lei. Sana lo guardò confusa.

“Sono io la tua anima gemella?”

Akito fece un respiro molto profondo e guardandola dritta negli occhi aprì la scatolina.

“Lo sei sempre stata. Dal primo momento in cui ti ho incontrata.” Sana sgranò gli occhi vedendo il solitario in oro giallo con un diamantino ovale incastonato. Si portò le mani alla bocca.

“Ancora una volta io mi sono fatto le mie domande e mi sono dato le giuste risposte e ancora una volta ti chiedo di guardarti dentro e rispondermi nel modo più sincero possibile. Mi vuoi sposare, Sana Kurata?” le mani di Akito tremavano violentemente. La giovane lo fissava con gli occhi lucidi, senza parole. Mai si sarebbe aspettata una dichiarazione di quel tipo, non da uno come Hayama. Era convinta che non si sarebbero mai sposati, lui non sembrava tipo da matrimonio e invece si era dimostrato l’opposto. 

Rispondigli o penserà che non lo vuoi sposare! disse la vocina nella sua testa ma Sana era ancora immobilizzata, pervasa da mille domande e a tutte una sola risposta: Akito. Akito era la risposta a tutto, la soluzione ai suoi problemi, il rifugio dalle tempeste, la famiglia che aveva sempre avuto accanto e gli stessi occhi ambra che la incantavano dai tempi delle scuole elementari. Gli stessi occhi che adesso la stavano fissando disperatamente, cercando ancora una risposta positiva. 

“Si che ti voglio sposare, Akito Hayama.” disse trattenendo le lacrime. 

Il giovane la strinse a se, felice ancora per l’ennesima volta, di aver lasciato entrare Sana Kurata nella sua vita. 

 

 

 

 

 














*Tumblr, p-whereveryouare

**E’ tradizione per la famiglia di Akito andare in cimitero a trovare la tomba della madre durante il giorno del suo compleanno, poiché è anche il giorno in cui è scomparsa la donna






















Buongiorno a tutti!
Ebbene si, siamo arrivati alla fine di questo piccolo viaggio (e sono sorpresa di me stessa di essere riuscita ad arrivare fino alla fine, chi l'avrebbe mai dett0)! Il capitolo parla da solo, Sana e Akito alla fine sono riusciti ad appianare tutti i loro problemi, anche perché diciamocelo, sono anime gemelle! 
Ho iniziato a scrivere questa cosetta quattro anni fa per qualche ispirazione che ora non ricordo e mi ero arenata al terzo capitolo. Poi causa quarantena ho deciso di metterci le mani e cercare di concluderla senza lasciarmi abbattere!
Voglio ringraziare chi è arrivato alla fine di questa FF e ha perso tempo a leggerla e soprattutto a recensirla, non smetterò mai di esservi grati!
Spero con tutta me stessa che sia stato un degno finale e che la storia vi sia piaciuta!
Spero (ancora) di tornare presto su questi schermi con un'altra long fic (alla quale sto lavorando ma chissà se vedrà mai la luce)!
Tanti, tanti, ma proprio tanti baci stellari e alla prossima!
Stay always safe,
Eleo

 
  
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