Film > Operazione U.N.C.L.E.
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Autore: bacinaru    27/06/2020    1 recensioni
Napoleon tradisce la CIA, U.N.C.L.E., l'America stessa. A Gaby e Illya è concesso di aggregarsi al team incaricato di catturarlo, ma mentre Gaby crede ancora nell'innocenza del loro partner, Illya preferisce non pensarci. Ha una missione da portare a termine ed è l'unica cosa che dovrebbe importargli.
Se solo fosse così semplice...
"Illya la ascolta mentre si mette a letto, la ascolta fino a quando non sente il suo respiro farsi più profondo. Contempla poi l'idea di versarsi anche lui un bicchiere, ma la scaccia molto velocemente. Le probabilità che quella notte accada qualcosa sono quasi inesistenti, ma vuole farsi trovare preparato in ogni caso. Mette a posto la mappa, controlla che la porta e le finestre siano ben chiuse e la pistola al sicuro sotto il cuscino, poi si corica. Riuscirà forse a dormire un paio d'ore, prima che si volti nel sonno e si svegli di soprassalto quando le sue braccia cercheranno di stringersi attorno a un corpo che non è più lì, a qualcuno che adesso, invece, è solo un ricordo a pesargli nel petto."
Genere: Azione, Hurt/Comfort, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Gabriella Teller, Illya Kuryakin, Napoleon Solo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I. A memory on my chest








[Istanbul, 18 Luglio 1963]


Napoleon sta preparando la cena e la cucina, ora, profuma di un intenso odore di carote.

Illya siede a tavola. Lavora ad un nuovo prototipo, una cimice così piccola che l'altro, questa volta, non sarà in grado di scovare.

Le ultime è riuscito a trovarle tutte. Adesso, spesso, Illya si sveglia nel mezzo della notte solo per scoprire che Napoleon non è più nella sua stanza; lo irrita non avere un modo per rintracciarlo. La prima volta che è successo, si è giustamente preoccupato e ha svegliato Gaby perché temeva che qualcosa fosse andato storto con la missione. Solo è tornato poco dopo e Gaby non ne è stata affatto contenta. Così, le volte successive, si è ben riguardato dal chiamarla, ma lui non riesce mai a calmarsi e resta sveglio fino a quando non sente la porta aprirsi e i passi di Napoleon scomparire nella stanza di fianco alla sua. È irrazionale, ma non sa come convincersi altrimenti. Senza contare che spesso, alla preoccupazione che l'altro possa essersi cacciato nei guai, si aggiunge anche l'irrequietudine che gli suscita la consapevolezza di quanto sia facile, per Solo, riuscire a scivolare via. Torna sempre, ma non riesce a non pensare che se volesse, potrebbe benissimo non farlo.

Il dubbio gli si è arrovellato nel cervello così tanto che a volte, anche quando Solo passa tutta la notte nella sua stanza, Illya non riesce a prendere sonno. Non sa perché, poi, gli importi così tanto, ma per la sua sanità mentale, ha deciso di provare almeno a fare un po' di chiarezza.

«Perché sei ancora qui?»

Napoleon, intento a mescolare con una paletta il brodo nella pentola sul fuoco, si acciglia confuso.

«Perché sto ancora cucinando, Peril.»

«Non è quello che volevo dire.»

«Che volevi dire, allora?»

Gli lancia uno sguardo curioso. È qualcosa che fa spesso, come se Illya fosse un pezzo d'arte da studiare o una cassaforte di cui non ha ancora compreso gli ingranaggi. È lo stesso sguardo che gli ha rivolto quella notte, quando i loro occhi si sono incrociati per la prima volta attraverso il parabrezza di un'auto in corsa.

Illya mette a punto gli ultimi ritocchi al suo lavoro. La cimice è di forma ovale, delle dimensioni poco più grandi di un bottone sul vestito di una bambola. Ora deve solo trovare la giusta occasione per provarla. Napoleon, sospettando a ragione di diventare il suo primo soggetto di prova, le lancia uno sguardo circospetto. Illya si affretta a distoglierne l'attenzione.

«Volevo dire: sei ladro costretto a fare lavoro di spia, perché non hai provato a scappare?»

Una pausa di silenzio. Napoleon stringe un momento gli occhi e assume un'espressione guardinga, ma poi distoglie lo sguardo e torna a concentrarsi sul contenuto della pentola.

«Sei stato tu a dirlo, no? Ho un guinzaglio al collo. Se provassi a scappare, non ci vorrebbe molto prima che la CIA inizi a tirare la presa.»

Illya emette un mugolio di assenso. Immagina che quella sia una buona ragione; se scappasse, dovrebbe continuare a guardarsi alle spalle per il resto della sua vita e probabilmente teme che lo stress gli faccia venire i capelli bianchi.

Eppure non ne è del tutto convinto. Decide di insistere.

«Se si presentasse occasione, però, scapperesti, sì?»

Dalla sua posizione può solo scorgere di profilo il volto dell'altro, ma la mano che tiene la paletta incespica per una frazione di secondo, andando a dirompere il continuo volteggiare che ormai aveva mantenuto per più di mezz'ora. Napoleon socchiude le labbra, forse con l'intenzione di dargli una risposta, qualunque essa sia, ma prima che possa farlo vengono interrotti da un insistente bussare alla porta.

È Gaby. Entra e brontola affamata e Illya, alla sua domanda, non riceve più risposta.


[Polonia, 1 Aprile 1968]


Spagna, Madrid, un furto al Museo del Prado; Francia, Parigi, il Musée Rodin perde di vista la sua intera collezione di Van Gogh; poi ancora Austria, Germania, Polonia. Illya non sa neanche come Napoleon ci sia arrivato, in Europa, quando ha tutta la CIA alle calcagna, tanto meno di come sia riuscito, in un tempo così breve, ad organizzare e succedere in una manciata di furti di alta classe come quelli. Non che gli interessi davvero sapere il come quanto più il perché. Dopotutto un fuggitivo, per logica, dovrebbe mantenere un basso profilo.

«Tutto questo non ha senso!» sbotta Gaby, una bottiglia di vodka in una mano e un bicchiere nell'altra. Si lascia cadere scomposta sulla poltroncina di fianco al divano dove Illya è seduto. Tra loro, su un tavolino da caffè, una mappa sulla quale sono stati segnati con un pennarello rosso e piccoli cerchi tutti i luoghi colpiti dallo sfrenato impulso criminale di Napoleon, un impulso che sembra averlo colto nel momento stesso in cui U.N.C.L.E. ha perso la presa, già allentata di molto, sul quel guinzaglio che la CIA gli aveva stretto attorno al collo e si era poi vista costretta a passare oltre.

«Non ha senso, non ha senso per niente!» ripete Gaby, sbuffando. Si versa una generosa dose di vodka. Indossa già il pigiama, ha le gote infiammate e punta il dito sulla mappa, andando a mancare del tutto il centro del cerchio rosso che aveva mirato.

«Si sta prendendo gioco di noi, ecco cosa sta facendo!»

Non lo crede davvero. Gaby dopotutto è stata la prima, prima anche di Illya, ad accorrere in difesa di Napoleon. È una fiducia che non ha ancora abbandonato, ma i giorni continuano a passare e sono entrambi stanchi, dormono poco, e non sono per niente più vicini a catturarlo di quando lo erano stati due mesi prima.

Gaby si lascia poi sprofondare nel cuscino alle sue spalle, come se l'animosità che ha colorato le sue parole fino ad un secondo prima l'abbia all'improvviso abbandonata.

«No, no, non è questo» mormora, il freddo del bicchiere contro la fronte accaldata, gli occhi chiusi. Illya si consola col fatto che per quella notte, almeno, uno di loro riuscirà a dormire come si deve «Cosa sta facendo, Illya?» gli chiede in un sussurro desolato.

Illya guarda la mappa, corruccia la fronte di fronte al sentiero che ne è descritto. Non c'è uno schema, non c'è nulla.

«Non lo so.»

Gaby sospira e butta giù il resto della vodka, tutto d'un fiato.

«Me ne vado a letto.»

Si alza, barcolla, ma riesce lo stesso a schioccargli un bacio umido contro la fronte, prima di scomparire nella sua stanza.

Illya la ascolta mentre si mette a letto, la ascolta fino a quando non sente il suo respiro farsi più profondo. Contempla poi l'idea di versarsi anche lui un bicchiere, ma la scaccia molto velocemente. Le probabilità che quella notte accada qualcosa sono quasi inesistenti, ma vuole farsi trovare preparato in ogni caso. Mette a posto la mappa, controlla che la porta e le finestre siano ben chiuse e la pistola al sicuro sotto il cuscino, poi si corica. Riuscirà forse a dormire un paio d'ore, prima che si volti nel sonno e si svegli di soprassalto quando le sue braccia cercheranno di stringersi attorno a un corpo che non è più lì, a qualcuno che adesso, invece, è solo un ricordo a pesargli nel petto.


[Atene, 8 Aprile 1968]


Sono di nuovo in volo, questa volta diretti in Grecia, ad Atene. Non si sa come, ma dal museo archeologico nazionale è scomparsa un'intera statua di bronzo. Così come le volte scorse, la flebile traccia che Napoleon si è lasciato alle spalle, al momento del loro arrivo, si è freddata ormai da ore.

Illya vuole rompere qualcosa e l'agente Rivera, a capo del team al quale Sanders ha concesso loro di aggregarsi, è un obiettivo che diventa sempre più allettante.

È un uomo alto, magro, i capelli scuri tagliati corti sulla testa. È giovane, però. Illya, che si è ovviamente informato su di lui e sul resto del team, sa che ha la stessa età che aveva lui quando si è unito ad U.N.C.L.E. Non che questo influisca in modo negativo sul suo giudizio. Illya a quel tempo, dopotutto, era stato il miglior agente che il KGB avesse da offrire e Rivera, per quanto odi ammetterlo, è intelligente e anche piuttosto capace nel suo lavoro. No, il vero problema sta nel suo comportamento.

Sa di non essere esattamente nella posizione di poter giudicare, anche se nel corso degli ultimi anni è riuscito ad acquisire un maggiore controllo sulle proprie emozioni grazie all'aiuto di U.N.C.L.E e soprattutto grazie a quello dei suoi partner, ma Rivera è a tutto un altro livello.

È arrogante, irascibile e si muove costantemente come se fosse sul punto di saltare fuori dalla propria pelle. Gli unici momenti in cui Illya lo ha visto calmo, oltre che quando richiesto dalla missione, sono quando parla al telefono con i suoi superiori e quello, sospetta, è l'unico motivo per cui gli è stato anche solo permesso di diventare un agente in primo luogo.

«Quando finalmente prenderemo quel figlio di puttana...» borbotta, entrando nella camera da albergo che Illya e Gaby condividono.

Non finisce la frase, ma il pugno che stringe al fianco è un segno evidente di ciò che vuole fare a Napoleon nell'eventualità che venga catturato e Illya avverte l'impellente desiderio di scaraventarlo fuori dalla finestra. Napoleon sarà anche un fuggitivo, ma la missione è di catturarlo e riportarlo negli Stati affinché possa affrontare un giusto processo. La violenza che Rivera promette, invece, è fine a se stessa, il capriccio di un uomo costretto a fare un lavoro che odia.

«Ci sono novità, agente Rivera?» interviene Gaby, avendo forse intuito quanto sottile si stia facendo la sua pazienza.

Rivera serra la mascella, ma scuote la testa.

«No. Volevo solo ricordarvi che non avete il permesso di uscire da questa stanza.»

Illya apre la bocca per ribattere.

«No, agente Kuryakin. Siete fortunati che Waverly abbia tanta influenza o la CIA non vi avrebbe mai permesso di partecipare. Dopotutto è colpa di U.N.C.L.E. se Solo è di nuovo a piede libero» lo interrompe puntandogli un dito contro. Se non glielo spezza, è solo perché Gaby si mette in mezzo e gli lancia uno sguardo di avvertimento. Rivera, ignaro a quanto sembra delle intenzioni di Illya, continua a borbottare tra sé e si avvia verso l'ingresso. Quando esce, lo fa sbattendosi la porta alle spalle.

Gaby inarca le sopracciglia e arriccia le labbra.

«Vedo che tu non sei l'unico qui con un brutto temperamento.»

Sa che sta solo cercando di sdrammatizzare, ma sa anche che ci sarebbe dovuto essere qualcun altro lì a dire quelle esatte parole e il pensiero di ciò, repentino e non voluto, non fa che alimentare il suo malumore. Le lancia uno sguardo torvo.

«Non dire questo. Non sono niente come lui.»

Prende la valigia e si chiude in camera. Per non dare ragione a Gaby, si sforza anche di non sbattere la porta. Poi chiude gli occhi e prende un respiro profondo; ora si sente anche in colpa, ma ignora questo come ha ignorato ormai ogni altra cosa che non fosse strettamente necessaria alla missione.

Non disfa la valigia, sarebbe solo una perdita di tempo, ma si permette di fare una doccia, sperando di dissipare un po' dell'energia irrequieta che lo consuma.

Purtroppo non sembra funzionare e due ore dopo è ancora sveglio. Supino sul letto, fissa contrito il soffitto e si sforza di non pensare, perché pensare in quel momento significa porsi domande alle quali non vuole davvero rispondere. Dopo altri trenta minuti a rincorrere uno stato di incoscienza che continua invece a sfuggirgli, decide di alzarsi.

Ha bisogno di uscire. Ha bisogno di schiarirsi le idee.

Lascia a Gaby un biglietto e poi, per la prima volta in due mesi, disobbedisce agli ordini ed esce a prendere una boccata d'aria, da solo, senza stupidi cani da guardia a fiatargli sul collo.

Percorre per ore le strade di una città ancora addormentata, fino a quando il cielo non inizia a schiarirsi dal manto scuro di una notte calda e ricca della luce di stelle che a New York trova sempre così difficile da scorgere. C'è una tranquillità particolare che coglie le prime ore del mattino e ne respira a pieni polmoni la freschezza e l'illusorio senso di libertà che porta con sé, prima che le strade inizino a riempirsi del chiacchiericcio indistinto di uomini, donne e bambini pronti all'inizio di un nuovo giorno, bello o brutto che esso si presenti.

Non avrebbe dovuto distrarsi a quel modo.

Un uomo gli viene addosso. Indossa un lungo cappotto scuro e un cappello dello stesso colore premuto sugli occhi. Illya si scusa, pensando, in un primo momento, che la colpa sia sua per essersi lasciato andare così tanto da non avere nemmeno più senso di dove stia mettendo i piedi, ma non ci mette molto per accorgersi della mancanza di un peso familiare. Alza sotto gli occhi il polso della mano sinistra: l'orologio di suo padre è scomparso.

Non parla, non urla, non emette un suono. Si volta per afferrare il ladro, ma l'uomo si scosta con un agile balzo e dopo una frazione di secondo in cui Illya avrebbe giurato di vederlo sorridere, inizia a correre via. Illya scuote via la sorpresa e gli è subito dietro. È veloce, agile, corre da una parte all'altra per disorientarlo; dietro l'angolo della strada, giù per la discesa, attraverso i primi allestimenti di un mercato nella piazza centrale di un piccolo rione; ci sono persone che urlano e cesti di frutta che cadono a terra, ma Illya li schiva e guadagna terreno, sempre di più, fino a quando, alla bocca di un vicolo deserto, lo raggiunge il tanto che basta per colpirlo alle spalle con tutto il suo peso, scaraventando così entrambi per terra. Lo sente grugnire di dolore per l'impatto. Lo prende per le spalle e lo costringe a voltarsi; gli stringe le ginocchia attorno ai fianchi e gli immobilizza le braccia sopra la testa. Nel cadere, l'uomo ha perso il cappello.

Ora, sotto di lui, Napoleon ricambia il suo sguardo esterrefatto con un sorriso sfacciato.

«Ehi, Peril! Contento di vedermi?»




Note del testo

1. Nei credits alla fine del film, si vede che il rapporto per la missione di Instanbul reca la data 13 Settembre 1963 (che come hanno notato su tumblr, è anche il compleanno di Gaby xD). Dal momento che il trio parte per Instanbul subito dopo il film, ambientato a Giugno secondo questa pagina qui, immagino che la missione sia durata all'incirca tre mesi, tra Giugno e Settembre per l'appunto. 

Beta: il capitolo è stato betato dalla gentilissima Nais

Credits: le texture utilizzate nella copertina appartengono a RavenOrlov e a SpringSabila

Note d'autore: Salve *-* Questa sarà una minilong, di cinque, massimo sei capitoli. E' basata su un prompt di Fuuma che mi è stato lasciato già un po' di tempo fa sul gruppo C'era una volta un prompt..., ma il prompt ve lo trascrivo alla fine, perchè è un po' spoiler U.U. Spero che il primo capitolo vi abbia incuriosito e ci vediamo al prossimo! Baci.









  
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