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Autore: CyanideLovers    28/06/2020    5 recensioni
 Poteva essere solo un sogno.
Poteva essere — forse — la sua immaginazione.
Sembrava stupido ripensarci da sveglio, non aveva mai creduto a quel genere di cose.
Erano solo sogni, dopotutto.
Eppure…
eppure.
Eppure quei sogni gli facevano provare strane sensazioni che non aveva mai provato prima. Come se si fosse risvegliato qualcosa dentro di lui, indomabile e feroce, che ormai riusciva a malapena a contenere. 
〄 
Ogni notte Crowley sogna sempre lo stesso uomo. Sembra familiare, come se si fossero già conosciuti, come se si fosse già innamorato di lui. Il punto è che lui non lo conosce e questo non è altro che un sogno… giusto?
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Anatema Device, Aziraphale/Azraphel, Crowley, Newton Pulsifer
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Oneirataxia'
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In giorni come questi, spesso
la tetraggine m’assale
e il vivere d’ora in ora
mi tortura. Ma arrivi tu
che sconfiggi la noia
coi tuoi discorsi variopinti.

Anche oggi cercheremo una breccia.
Una parola che ci possa salvare
e che ci tenga in bilico
sul confine ideale tra realtà
e fantasia potrà, anche
se per poco, cangiare l’esistenza.

Eugenio Montale — In giorni come questo, spesso

 

 

 

 

 

 

 

C’era qualcosa di fastidiosamente reale in quei sogni, ogni singolo dettaglio così vivido da prenderlo alla sprovvista. Le mani dell’uomo erano calde contro la sua pelle, il vento profumava di gelsomino misto all’odore acre del laghetto davanti a loro. Le anatre starnazzavano, le persone intorno a loro chiacchieravano come sempre, il tè era dolce. Ogni piccola sensazione, ogni minuscolo dettaglio era così vero che non appena iniziava a camminare per il sentiero del giardino si dimenticava che quello era tutto frutto della sua immaginazione.

Poteva… essere vero?

No, certo che no.

Come potrebbe, era solo un sogno.

Eppure ogni parola si insidiava nel suo cuore e forse questo poteva non essere solo finzione. Forse — forse — quei sentimenti non erano del tutto frutto di un gioco della sua mente.

Stava pensando troppo? Possibile. Questo non lo avrebbe fermato dal fare altre domande.

 

“Mi sei mancato, mio caro.” Disse l’angelo accanto a lui.

Non ricordava quando aveva iniziato a pensare a lui come un angelo. Sarà stato per il suo aspetto delicato, le guance rotonde e tinte di rosa. Sarà stato per quegli occhi azzurri come il cielo che lo guardavano come se fosse la persona più importante del mondo.

“Ci siamo visti solo ieri, angelo.”

C’era uno sguardo un po’ triste nei suoi occhi, qualcosa che non riuscì a identificare a pieno. Si avvicinò ancora di più a lui, lasciandosi abbracciare mentre appoggiava la testa sulla sua spalla.

 

Perché ti sogno sempre?

C’era qualcosa di pericoloso nel porre quel genere di domande. Aveva come la certezza che qualcosa di terribile sarebbe successo se lo avesse fatto. Eppure non poteva smettere di chiedersi, ancora e ancora, perché quell’uomo fosse così familiare, o perché avesse lo stesso profumo delle sue lenzuola. Come faccio a conoscerti?

“Ti stai prendendo cura di te stesso?” Domandò l’uomo accanto a lui, mentre faceva scivolare le sue dita morbide fra i capelli. “Che cosa hai fatto alle mani?”

“Io…” iniziò Crowley guardandosi i palmi delle mani ancora ricoperti da un sottile strato di cotone. Perché ti interessa tanto?

“Mi sono bruciato… non so come.” Rispose incerto.

“Non lo sai?”

“Non lo so, non ricordo di essermi bruciato.” Rispose lui.

“Mh.”

 

Per un po’ rimasero in silenzio. Intorno a loro, solo il vento che soffiava delicato in mezzo ai fiori. Erano aumentati ancora. Ce n’erano sempre di più, così tanti che sembrava impossibile contarli. Papaveri rossi dagli steli lunghi, delicati e belli. Una volta aveva letto da qualche parte che parlare alle piante alleviava lo stress e lui probabilmente aveva preso la cosa un po’ troppo sul serio. Nel suo appartamento sfogava tutta la sua frustrazione su di loro, gridava che avrebbero dovuto essere migliori, più belle, più verdi o semplicemente… qualcosa di più. Le sue piante erano le più belle di Londra ma niente a confronto dei papaveri che crescevano indisturbati.

“Dovresti prenderti più cura di te stesso, mio caro.” Disse l’uomo accanto a lui.

Forse non avrebbe dovuto chiederlo. Forse non avrebbe mai dovuto guardare in bocca del cavallo che gli era stato donato. Forse avrebbe dovuto accettare la sua presenza senza provare a capire chi o cosa fosse. Ineffabile, suggerì una voce nella sua testa.

Il punto è che Anthony J. Crowley è un tipo che fa domande scomode. E comunque i cavalli sono degli animali del cazzo, che cavolo di regalo è un cavallo.

 

“Perché ti preoccupi per me?” Domandò di punto in bianco.

“È normale mio caro, ci tengo a te.”

Aveva delle immagini impresse dietro le palpebre. Una discussione sotto un gazebo. Un edificio in fiamme. Le stelle, una supplica. Quando chiudeva gli occhi poteva ancora avvertire il calore del fuoco intorno a lui. Niente aveva senso, non c’era logica in quelle immagini, eppure non riusciva a smettere di pensarci.

 

“No. Tu hai detto che non ti piaccio, che non siamo amici. Ti ho chiesto di venire via con me e tu hai detto di no. Due volte.” Disse improvvisamente arrabbiato. “Quindi perché adesso ti preoccupi tanto per me dopo tutto quello che hai fatto?”

 

“Ti ho detto molte cose stupide.”  Rispose lui guardando i fiori davanti a lui. Era la prima volta che sembrava vergognarsi di qualcosa. Gli strinse la mano, rimanendo seduto accanto a lui con il capo abbassato e gli occhi lucidi per le lacrime. “Sono stato un folle, ho sprecato così tanto tempo e ora…” Sospirò profondamente, “tu lo sai che ho detto quelle cose solo per proteggerti, non è vero?”

 

 

 

 

 

 

 

Da quel momento, nei suoi sogni l’angelo lo sfiorava delicatamente. Lo baciava sulla fronte e sulle guance come faresti con ciò che ami di più al mondo. Quando si svegliava non voleva fare altro che tornare e dormire, avrebbe preferito non smettere mai di sognare.

 

Andavano a cena fuori, e Crowley poteva ascoltare quegli adorabili mugolii di piacere quando l’uomo assaporava per la prima volta una nuova pietanza. Passavano le serate a chiacchierare del più e del meno bevendo vini pregiati. Andavano a teatro, o semplicemente rimanevano seduti sul divano, ognuno beandosi della presenza dell’altro.

 

Quando si svegliava, la delusione lo assaliva. Mezzanotte, come sempre. La stanza era buia e la solitudine era diventata, mano mano che i sogni si accavallavano, insopportabile.

Che senso aveva possedere così tanti libri se a lui non interessava leggere? Perché il suo appartamento aveva così tante coperte tartan se a lui non piacevano? Da dove veniva il profumo di gelsomino se lui non usava detersivi con lo stesso odore?

Si rigirò nel letto, cercando di riprendere sonno. Non gli importava. Voleva solo tornare a dormire, sognare lui di nuovo e forse non si sarebbe più sentito così solo.

La sensazione di qualcuno che lo abbracciava tornava ogni volta, come un fantasma. Pensò, senza riuscire a chiudere gli occhi che, per quanto assurdo potesse sembrare, la vita nei suoi sogni era molto più luminosa e piacevole della realtà.

Chiuse gli occhi, provando a immaginare con tutto se stesso una mano calda e morbida contro la sua schiena, un’altra che gli scostava una ciocca di capelli e la faceva scivolare intorno all’orecchio, occhi che lo guardavano, innamorati.

 

 

 

 

 

 

 

Aveva aspettato ore di riaddormentarsi, ma non ci era riuscito. Aveva passato settimane sveglio, rimanendo in uno stato di perenne agitazione, mentre il suo cervello era lento e assopito. Ancora peggio, i rari momenti in cui riusciva a dormire non sognava, e quindi si svegliava ancora più nervoso e stanco di prima. Aveva provato qualsiasi cosa, dalle tisane alle pillole, alcol e lunghe passeggiate. Nulla aveva funzionato. Così era rimasto nel suo appartamento sveglio e allerta, leggendo solo per combattere la noia. Il rumore delle pagine che venivano sfogliate lo disturbavano, gli ricordavano lui e non riusciva più a non immaginare il suo angelo girovagare per l’appartamento.

Cosa aveva detto Anathema quando gli aveva chiesto di incontrarsi per ricevere qualche rimedio contro l’insonnia?

“Forse è un bene.” La ragazza l’aveva guardato con aria preoccupata mentre svuotava un altro bicchiere di liquore. “Forse è un bene, stava diventando un’ossessione, non fai altro che dormire ma devi tornare alla realtà, Crowley. Non puoi vivere nel tuo mondo fatto di sogni.”

“Un bene?!” Domandò con tono sconcertato “Un bene… Io sto impazzendo!”

“Crowley, ti prego,” disse Newt con il suo solito tono conciliatore, “capisco che deve essere difficile ma ascolta. Forse il tuo cervello sta cercando di proteggerti. Non posso dire con certezza se questi sogni di cui parli siano un male, posso solo dirti che noi siamo tuoi amici e siamo preoccupati per te.”

Anathema guardò il ragazzo con aria funerea. “Non erano un bene, non capisci… devi vivere nel mondo reale, non puoi dormire per sempre.”

 

 

 

 

 

 

 

Il problema era che loro non capivano. Che senso poteva avere uscire di casa ogni giorno, lavorare e tornare la sera in un appartamento freddo e vuoto? Non poteva esserci di più?

Quando camminava per le strade di Soho c’erano dei luoghi che gli facevano venire in mente strani ricordi, alcuni frammenti dei suoi sogni. Come il museo di storia naturale. Camminava e lui pensava a sorrisi e risate fragorose. Il Ritz, ogni volta che ci passava davanti c’erano sempre uno o due camerieri che lo salutavano ma lui non ricordava di esserci mai entrato. Le chiese. Le chiese erano strane. Gli ricordavano di stupide discussioni, battibecchi, una bomba, libri. Una voce più insistente delle altre che lo avvertiva di non entrarci perché sarebbe stato troppo pericoloso, doloroso.

“Cosa succederà quando voi non ci sarete più?” Aveva domandato un giorno a Anathema e lei gli aveva rivolto uno dei suoi sguardi tristi. Non osò continuare con quel genere di domande, ma si accavallavano in testa una dopo l’altra e lo tormentavano. Morirò anche io un giorno di vecchiaia? Perché voi invecchiate così in fretta mentre io rimango sempre lo stesso? Com’è possibile?

“Sei solo fortunato,” diceva Anathema con un sorriso dolce ma lui si sentiva solo annoiato. Non aveva niente da fare, nessuno con cui parlare e… qual’era il punto di vivere così?

 

 

 

 

 

 

 

Doveva essersi addormentato a un certo punto. Ne era certo perché Crowley camminava e lungo il sentiero del parco milioni di papaveri erano sbocciati. Ovunque, tutto il prato ne era infestato. Papaveri rossi come il sangue e lui non era sicuro di poterne sopportare la vista. Solo quell’immagine avrebbe dovuto essere un segnale di pericolo.

Ma l’uomo era sempre lì, seduto sulla panchina, e lo guardava da lontano con i suoi occhi che brillavano di un colore ultraterreno. Quando si sedette accanto a lui, lo prese per un braccio e lo baciò con così tanto affetto che, per un attimo, gli sembrò di essere venerato.

“Mio caro,” sussurrò lui guardandolo con un sorriso dolce “mi sei mancato terribilmente.”

“Anche tu, angelo.” Disse lui stringendolo. “Mi sei mancato anche tu.”

Lui si avvicinò mettendogli le mani intorno al collo, lo stava baciando di nuovo e questa volta sembrò un po’ più frettoloso nel farlo. Lo fece con cura e devozione, affondando le mani nei suo capelli rossi e lunghi e Crowley riuscì solo a stringersi intorno ai suoi fianchi morbidi e a inspirare profondamente il suo profumo.

“Mio caro,” disse l’angelo e il suo tono sembrava triste e preoccupato allo stesso tempo, “Devi svegliarti adesso.”

“Ti prego,” sussurrò, “lasciami stare qui con te un po’ più a lungo. Sono così solo quando mi sveglio e la mia stanza è sempre buia e fa troppo freddo.” Non sapeva perché avesse iniziato a piangere. Forse gli era davvero mancato troppo, forse sapeva quello che sarebbe successo da lì a poco, forse — forse  avrebbe potuto trovare il modo di addormentarsi una volta per tutte e non svegliarsi più. “Non lasciarmi di nuovo.”

“Crowley, mio caro, amore mio,” disse scandendo ogni parola con un bacio, “io sono qui con te, ma questo è andato avanti per troppo tempo e tu devi svegliarti adesso.”

“No!”

“Non puoi continuare a vivere nei tuoi sogni, Crowley. Questa è stata tutta colpa mia e mi dispiace, ma adesso...”

“Non ha senso, niente a senso, e tutto è così grigio e tetro senza di te e io — “ Interruppe il suo blaterale quando l’angelo gli rivolse un altro dei suoi sorrisi tristi.

“Mi manchi troppo, mio caro.” Disse lui con un ultimo bacio, “ti prego svegliati, Crowley.”

 

 

 

 

 

 

 

Crowley si svegliò con un sussulto, odiandosi per non essere riuscito a far durare di più il sogno. La testa gli faceva male e un dolore lancinante alle costole lo lasciò senza fiato per qualche minuto. Si accasciò tra le lenzuola cercando di soffocare un gemito, mentre cercava in ogni modo di riprendere fiato.

“Aziraphale…” sussurrò tra le lacrime e una nuova fitta alla testa lo lasciò per un momento a tremare nel letto, con le mani avvinghiate alle coperte come se potesse perdere la presa di ciò che era reale.

“Aziraphale,” sussurrò di nuovo, ignorando per un momento il dolore e scostando le coperte dale letto con così tanta forza che fece cadere tutto quello che aveva lasciato sul comodino. Ignorò il vaso di papaveri che si era frantumato al suolo, gli occhiali e il telefono.

“Aziraphale,” disse di nuovo, questa volta più forte. Il nome sembrava importante e certamente lo era visto che sapeva che quel nome era dell’uomo che amava. Come aveva fatto a dimenticare?

Corse verso il bagno, e con un sussulto spaventato si guardò il viso. Era magro, gli zigomi scavati e c’erano delle occhiaie nere e profonde intorno agli occhi. Non era questo che lo aveva scioccato, tuttavia.

“Che diavolo…” sussurrò portandosi una mano sulla guancia, osservando gli impossibili occhi gialli che lo osservavano di rimando. Pupille dritte e sottili come spilli lo fissavano, seguivano ogni suo movimento ma lui non poteva credere a quello che stava vedendo. I suoi occhi — i suoi occhi — non potevano essere quelli di un serpente, eppure sembravano naturali, come se fossero sempre stati così da sempre.

Spaventato, si vestì in fretta e uscì dall’appartamento sopra la libreria.

 

 

 

 

 

 

 

 

Note:

Sarò onesta con voi, avevo perso un po' di ispirazione scrivendo questa storia. Per quelli che hanno già letto alcune delle mie storie: sapete che io non faccio mai passare più di una settimana tra un capitolo e l'altro. Eppure giuro, questo periodo è stato folle per la mole di lavoro che mi sono ritrovata ad affrontare. Io avevo sinceramente sperato nel lockdown per avere un po' di tempo libero e invece no!
(che tristezza!)

Sono le quattro del mattino ma credo che ormai aspetterò la mattina per pubblicare questo capitolo giusto per essere sicura che non ci siano troppi errori. Se ne notate altri, per favore, ditemelo perchè ormai conosco questo capitolo a memoria e potrei non vederli tutti ahah

VI chiedo ancora scusa per il ritardo, ormai per questa storia va così, ma spero che continuerete a lasciarmi la vostra opinione visto che amo leggervi <3

un bacione,
Cyanide

 

   
 
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