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Autore: Kim WinterNight    28/06/2020    10 recensioni
Il mio nome è Carla Murphy e sono morta in un incidente aereo il 21 marzo 1974.
Il mio cognome da nubile era Stevenson, ma poi ho conosciuto Demetrius e ci siamo sposati. Volevo a tutti i costi essere la signora Murphy, amavo molto mio marito.
Sono morta amando lui e nostro figlio Ethan, perché erano la mia unica ragione di vita e sono ancora la mia unica ragione di lotta nell’aldilà.

- SECONDA CLASSIFICATA al contest "Non ci resta che sognare" indetto da Sabriel_Little Storm e Soul_Shine sul forum di EFP.
- SETTIMA CLASSIFICATA al contest "Un minuscolo assaggio del mio mondo" indetto da Frenzthedreamer sul forum di EFP.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'In Pieces'
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Somewhere in between
 
 
 
 
 
 
 
Niente al mondo è in grado di esercitare una tale pressione sull’anima umana come il nulla.
[Stefan Zweig]
 
 
 
 
Il mio nome è Carla Murphy e sono morta in un incidente aereo il 21 marzo 1974.
Il mio cognome da nubile era Stevenson, ma poi ho conosciuto Demetrius e ci siamo sposati. Volevo a tutti i costi essere la signora Murphy, amavo molto mio marito.
Sono morta amando lui e nostro figlio Ethan, perché erano la mia unica ragione di vita e sono ancora la mia unica ragione di lotta nell’aldilà.
Non riesco a passare oltre, non ce la faccio. Osservo la vita di mio marito andare in pezzi e non so come aiutarlo a ricostruirla; sta trascinando con sé anche il piccolo Ethan e questo non riesco a sopportarlo.
Demetrius era un uomo buono, sembrava tanto forte quando mi consolava per i problemi che avevo al lavoro; mi abbracciava forte e mi rassicurava, dicendomi che sarebbe andato tutto per il meglio. È stato il primo a spingermi verso il lavoro dei miei sogni, nonostante molte donne venissero considerate delle poco di buono nel fare le hostess di volo.
Non ha mai creduto che potessi tradirlo come invece capitava a certe mie colleghe con i rispettivi mariti.
Adesso però osservo Demetrius scrivere le sue frasi sconnesse, so che non sta lavorando a un romanzo come invece continua a far credere a Ethan; nostro figlio non è stupido, anzi, sospetta che in suo padre ci sia qualcosa che non va.
Ha cominciato a spiarlo e dorme sempre meno.
Vorrei potermi incastrare nei suoi sogni, abbracciarlo e fargli capire che non deve addossarsi il dolore di suo padre. Vorrei che potesse scuotere Demetrius e riportarlo alla vita.
Eppure tutto ciò che riesco a scorgere, dall’alto della mia inconsistenza, sono due anime che si spengono sempre più, giorno dopo giorno.
Quelle che raccontano sui fantasmi che interferiscono con il mondo terreno sono solo leggende metropolitane: io non riesco a far altro che piangere lacrime invisibili.
 
 
Stanotte Demetrius se n’è andato, Ethan è rimasto solo.
Lo so, lo sento, l’ha abbandonato per sempre: non tornerà mai più.
Volevo seguirlo, eppure sono rimasta con mio figlio perché non potevo lasciarlo a mia volta.
Lo osservo mentre legge per la prima volta le bozze sconclusionate del padre e mi sento morire. Ha solo nove anni e sta scoprendo la verità su Demetrius: avverto il suo odio crescere parola dopo parola, anche se forse il mio bambino non capisce ancora cosa significhi odiare qualcuno.
Sta capendo fin troppo presto che il signor Murphy – così lo chiama a volte, con un distacco spaventoso – è un debole, che non ha saputo prendersi cura di lui e delle sue necessità.
E io non posso far altro che scrutarlo, impotente; non ho più le facoltà per stargli accanto, sono solo uno spettro che aleggia attorno al suo corpo scosso dai singhiozzi.
Nessuno può accorgersi di me.
 
 
È il 21 marzo 1980, ormai sono morta da sei anni e il mio Ethan ne ha compiuto dieci poco più di un mese fa.
Seduta sulla mia stessa lapide, non riesco a credere che pochi mesi fa anche quella di Demetrius è stata riempita dal suo corpo senza vita.
Demetrius si è arreso e ha sperato di raggiungermi, ma ancora non ci siamo incontrati. Lui sicuramente è passato oltre, era più attaccato alla morte che alla vita, mentre per me è tutto l’opposto. Io voglio ancora stare con mio figlio, come posso abbandonarlo?
Ora Ethan vive dalla signora Anita, una brava donna che però non riesce a star dietro ai suoi figli, né al mio. Suo marito è morto in Argentina diversi anni fa, e lei è riuscita a trovare asilo a Los Angeles. Lavora come una forsennata per mantenere la sua famiglia, fare le pulizie a casa nostra era solo uno dei tanti impieghi che aveva.
Adesso deve badare anche a Ethan e lo fa con il cuore, ma non basta. Il mio bambino ha cominciato a fumare erba, seguendo le orme del figlio maggiore di Anita, Laudir.
Mi sento morire perché non posso fare altro se non guardare la mia lapide, poi quella di Demetrius, e pensare che abbiamo mandato a monte quella che era la nostra bellissima vita insieme.
Io non volevo morire e lui non l’ha capito. Avrebbe dovuto continuare a vivere per Ethan, facendomi respirare l’ebbrezza di un nuovo avvenire attraverso i sorrisi del nostro piccolo amore.
Invece Ethan ha smesso di dormire per cercare di far tornare suo padre da lui, proprio come Demetrius ha fatto con me. Un’inesorabile reazione a catena che non so come spezzare.
È il 21 marzo 1980, sono morta da sei anni e mi sento più viva che mai.
 
 
Vorrei afferrare mio figlio per le braccia e scuoterlo, impedirgli di farsi del male.
Ha compiuto oggi undici anni, il 18 febbraio 1981, e vuole provare a bucarsi. L’eroina è l’ultima sua spiaggia, ed è così piccolo, così indifeso… così solo.
Ha scoperto definitivamente quanto suo padre fosse fragile, e ora vuole fargliela pagare. Vuole mettere Demetrius alla prova e tentare di riportarlo al suo fianco, ma non ci riuscirà.
Alla morte non c’è scampo.
Ethan è corso da Dave, il nipote della signora Anita, e l’ha pregato di dargli una dose. Dave non voleva, è un bravo ragazzo, ma alla fine ha ceduto. Voleva evitare che Ethan si rivolgesse a qualcun altro che avrebbe potuto dargli qualcosa di dannoso, approfittando della sua giovane età.
Si ferisce con l’ago, ci prova in tutti i modi, e alla fine non riesce a bucarsi. Lancia tutto all’aria e grida silenziosamente nella sua testa.
Tiro quello che sembra un sospiro di sollievo, forse perché passerò oltre soltanto quando anche mio figlio, la mia ultima fiammella di speranza, si arrenderà e smetterà di lottare per la sua vita.
Ancora non è giunto il mio momento.
 
 
Dave riesce a tenerlo a bada, per fortuna.
Come ogni 21 marzo che si rispetti sono seduta sulla mia lapide, accarezzando con dita inconsistenti le lettere che campeggiano su quella di Demetrius.
 
Demetrius Murphy
7 gennaio 1949 – 11 maggio 1979
 
Aveva solo trent’anni e si è lasciato morire senza combattere neanche un po’.
Non viene mai nessuno a trovarmi durante il giorno del mio anniversario di morte, così quando scorgo una figura magra e longilinea avvicinarsi alle lapidi mi sorprendo.
È Ethan, vestito completamente di nero, con abiti che gli stanno larghi e che probabilmente prima erano di Laudir o di Juan, il figlio minore della signora Anita.
Tra le mani stringe il pupazzo a forma di dinosauro che gli ho regalato poco prima di partire per il mio ultimo viaggio e i suoi occhi verde smeraldo, nei quali rivedo i miei, sono fissi a terra.
Ha ormai tredici anni ed è diventato molto alto, nonostante la sua corporatura sia esile e il suo aspetto sempre così fragile e delicato.
I capelli neri e unti gli ricadono in ciocche disordinate attorno al viso, coprendo le orecchie a sventola che ho sempre adorato mettere in mostra.
«Non devi mai nasconderle, sono speciali e ti fanno sembrare più carino» gli ripetevo sempre.
Forse ora le nasconde perché lo rendono più simile a Demetrius e questo Ethan non può sopportarlo.
Noto che ignora deliberatamente la lapide di suo padre e si inginocchia di fronte alla mia, appoggiando il pupazzo sul marmo ingrigito e sporco. Nessuno passa mai a ripulire la lastra che ricopre il mio sepolcro, è la prima volta che mio figlio si addentra in cimitero e in un certo senso preferirei che non l’avesse fatto.
È un luogo triste e lui si ricorda a malapena di me.
Non piange, il mio piccolo Ethan. Tiene soltanto i palmi delle mani sul marmo, lo sguardo basso e la fronte corrugata.
«Che cazzo ci troverà la gente nei cimiteri? Io non sento niente…» lo sento biascicare.
Forse sperava che sarebbe capitata una magia, forse credeva di potermi sentire più vicina una volta di fronte al luogo della mia sepoltura; mi piacerebbe poterlo accontentare, ma ancora una volta mi ritrovo a pensare a quante bugie si dicono sui fantasmi tormentati che non riescono a trovare la pace.
Lo osservo e vorrei abbracciarlo, vorrei non essere così inconsistente e vuota, vorrei versare lacrime vere e mischiarle con quelle che il mio bambino non riesce a portare fuori.
Mi limito a osservare Ethan mentre si alza e se ne va, abbandonando il pupazzo sul marmo rovinato dalle intemperie.
Rovinato come la sua intera esistenza.
 
 
Ho scoperto come entrare in contatto con mio figlio, ma credo che lui non riuscirà a ricordarlo.
Sono dentro uno dei suoi sogni, uno di quelli che non ha fatto quando evitava di dormire per ricercare le attenzioni di Demetrius.
Siamo in una casa che non è la nostra, sembra quella della signora Anita ma qualcosa la differenzia, non riesco a capire cosa.
Ethan tiene una siringa tra le mani, proprio come quando aveva undici anni e voleva bucarsi per la prima volta.
Mi avvicino a lui e so che stavolta può vedermi, percepirmi; solleva il capo e i suoi occhi smeraldini incrociano i miei, riempiendomi il cuore di gioia e di tristezza al tempo stesso.
Mi siedo accanto a lui su un vecchio divano in tessuto liso, gli circondo le spalle con un braccio e lo attiro contro il petto, accarezzandogli piano i capelli e il viso. Sento le sue lacrime scivolarmi tra le dita, il suono della siringa che piomba a terra è ovattato.
«Bambino mio» mormoro. «Ti prego, devi lottare per la tua vita. Non farti del male, non farmi del male… ti prego…»
«Sei mia madre?» sibila tra i singhiozzi, aggrappandosi al mio corpo.
«Sì, tesoro mio. Ti prego, non arrenderti, non farlo anche tu. Sei più forte di papà, molto più forte.»
Lui non capisce appieno le mie parole, lo sento sfuggente.
Trascorre un solo istante, poi lui è di nuovo sveglio nel mondo dove abita, e io sono di nuovo sola nel mio limbo inconsistente.
Ethan si guarda intorno spaesato e io gli accarezzo la fronte con dita invisibili, che lui non percepisce e non riconosce.
Non ricorda il sogno che ha fatto, mentre io non lo dimenticherò mai: abbracciare ancora una volta il mio bambino è stato doloroso e bellissimo.
Voglio un’altra stretta, mi ha fatto l’effetto di una pesante droga, di quella dose che Ethan agogna da tutta la vita.
Ancora non ha trovato il coraggio per riprendere in mano l’ago, ma nei suoi sogni e nei suoi pensieri non esiste altro.
Non so perché vuole farsi del male, non lo so proprio, ma forse anche lui spera di raggiungerci.
O di dimenticarci per sempre.
 
 
È il quindicesimo compleanno di Ethan.
Laudir è appena morto.
È stato coinvolto in una brutta sparatoria e non ce l’ha fatta.
L’ennesima perdita di Ethan, l’ennesimo colpo al cuore per un bambino che ormai non è più tale.
Non appena riceve la notizia, mi rendo immediatamente conto che nella sua mente aleggia un solo pensiero: vuole farsi.
Ha trovato una nuova occasione per porre fine all’ennesimo dolore, anche se finora non aveva compreso di essere tanto legato a quel fratello adottivo con cui non faceva che litigare; Laudir si è spento in ospedale e Ethan non ha neanche fatto in tempo a mostrargli il nuovo tatuaggio che ha fatto proprio oggi.
Un tatuaggio che significa tanto per lui, ma anche per me: osservarlo mentre si faceva ferire la pelle, stringendo i denti per non fuggire via spaventato, mi ha fatto davvero male.
Sento che la sua vita, ancora una volta, sta cadendo a pezzi.
I miei occhi saettano sul polso gonfio, dove le linee si intrecciano e danno un nuovo senso all’esistenza del mio bambino.
Ethan è seduto insieme a Dave: è corso dal cugino di Laudir perché loro due sono sempre più legati. Sento fin nel profondo che Dave gli vuole molto bene, ma non come fosse un semplice amico.
Dave lo ama, questo è chiaro.
In quel modo innaturale che può unire soltanto due persone dello stesso sesso.
E Ethan? Ethan è confuso sulla propria natura, e io non vorrei che fosse così; vorrei che trovasse una brava donna, capace di salvarlo dalle mancanze che ha dovuto affrontare durante la sua breve vita.
Odia profondamente Demetrius, ma pensa sempre meno a lui; io sono solo un vecchio e inutile ricordo sbiadito, sento che pian piano mi sto spegnendo e il mio legame con mio figlio è sempre più debole.
Quando entro nei suoi sogni e lo abbraccio, lui mi scaccia. Come se fosse consapevole del fatto che non sono semplicemente un riflesso dietro le sue palpebre, come se comprendesse che sto cercando di comunicare realmente con lui.
E lui non vuole, vuole soltanto dimenticare il passato e lasciarselo alle spalle.
Sono sbalordito quando vedo Dave che lo abbraccia, lo consola, come io non ho più il permesso di fare da più di undici anni.
Mi sono illusa di poterlo raggiungere in sogno, ma per lui non significo più niente.
Poi si baciano.
Ethan, il mio bambino, nel giorno del suo quindicesimo compleanno, si lascia baciare da un ragazzo più grande; ha perso uno dei suoi fratelli adottivi ed è fragile, sicuramente è solo per questo che sta permettendo a un uomo di violarlo in quel modo.
Eppure Dave è molto dolce, delicato, non vuole fargli del male. Lo ama, certo, ma quell’unione è innaturale e io non riesco a guardare.
 
 
Dave infesta sempre più i sogni di Ethan e per me non c’è quasi più posto.
«Oggi ho sognato mia madre, non l’avevo mai vista prima» racconta Ethan a Dave.
«E questo cosa c’entra con l’eroina?»
«Dammela. Mi aiuterà a dimenticarmi per sempre di lei.»
Sapevo che questo momento sarebbe arrivato, non posso più evitarlo.
Stanotte ho parlato a lungo con Ethan, sono riuscita a impedirgli di risvegliarsi prima che finissi di dirgli ogni cosa.
L’ho pregato di non lasciarsi abbindolare da Dave, di sistemare i pezzi della sua vita e di riprendere a studiare. Gli ho detto che dovrebbe trasferirsi in un quartiere diverso, un quartiere in cui realizzarsi ed essere felice.
Lui inizialmente si è lasciato abbracciare, e mi è sembrato di tornare al giorno in cui è nato, quando l’ho stretto forte per la prima volta e l’ho inondato con le mie lacrime, mentre Demetrius era stato costretto a uscire dalla sala parto perché non si sentiva per niente bene.
Poi ha cominciato a spingermi via, indietreggiando fino a scomparire e risvegliarsi nel mondo terreno.
Ha spalancato di scatto gli occhi smeraldini e li ha inchiodati nel punto esatto in cui mi trovavo, poi ha mormorato il mio nome con fare risentito ed è corso a fare una doccia fredda.
Si è preparato velocemente e si è fiondato all’erboristeria di Dave.
Ora lo fronteggia senza paura, chiedendogli di dargli una dose massiccia di eroina.
Non ha ancora compiuto sedici anni, ma sa esattamente ciò che vuole.
E sa come ottenerlo.
Si avvicina a Dave e lo bacia con foga, spingendolo contro la porta chiusa del retrobottega; non vorrei guardare, ma sento che questa sarà una delle ultime occasioni che avrò per stare accanto a mio figlio.
Piango in silenzio mentre osservo a fatica la loro unione innaturale.
Poi in negozio arriva un cliente; la sorella di Dave non c’è, così il ragazzo è costretto a spostarsi per servire l’ignaro avventore. Solo i tossici del quartiere sanno che nel retrobottega si nasconde il covo di uno degli spacciatori più conosciuti e affidabili.
Ethan non perde tempo: si accosta al tavolo su cui sono abbandonate alcune bustine trasparenti e altri involucri di carta stagnola; le osserva, sa che sono pronte per altri clienti di Dave, ma senza esitare ne afferra una.
Vorrei gridargli di fermarsi, perché so che tra poco il nostro legame si spezzerà definitivamente.
Mio figlio si siede al tavolo e porta fuori una vecchia siringa dalla tasca dei pantaloni; la scruta, poi la prepara con movimenti automatici, come se non avesse fatto altro da tutta la vita.
I suoi occhi verdi si fissano sulla vena all’interno del gomito.
Con la mano sinistra distende per bene la pelle, mentre con la destra guida l’ago fino a posizionarlo nel punto esatto in cui tra poco lo farà penetrare.
Sospira.
Io cerco di non distogliere lo sguardo, ma è davvero troppo difficile per me seguire i movimenti che tra poco daranno inizio alla sua fine.
Dave rientra nel retrobottega proprio nell’istante in cui la punta dell’ago graffia la pelle chiara di mio figlio.
Si pietrifica sulla soglia e balbetta qualcosa di incomprensibile, ma quando riesce a muoversi in avanti è troppo tardi.
L’ultimo ricordo del mio bambino sono i suoi occhi smeraldini che diventano torbidi e sporchi, inquinati da un alone inconsistente di morte.
 
 
Io e Demetrius siamo seduti nell’inconsistenza dell’aldilà.
Qui non esiste il tempo né lo spazio, così come non hanno forma né importanza i nostri corpi.
Siamo anime sole e tristi.
Gli occhi sporchi di Ethan non fanno che perseguitarmi.
Qui non esiste il sonno, non esiste niente.
«Hai smesso di dormire in vita e ora non dormirai mai più. Sei contento?»
Demetrius non replica.
Credeva che sarebbe stato tutto più bello, che rivedermi lo avrebbe fatto sentire meglio, invece non è andata così.
Nessuno di noi è sereno.
Siamo passati oltre, ma questo non significa che il nostro tormento sia diminuito.
«Ethan ha cominciato a morire e ho dovuto lasciarlo.»
«Però adesso sei di nuovo con me.»
Se avessi un volto, sicuramente adesso sarebbe distorto in una smorfia disgustata.
«La persona più importante per me è Ethan. Tu sei stato un debole, è solo colpa tua se il mio bambino ha smesso di lottare.»
«Non dire così, Carla, io non potevo vivere senza di te!»
«Neanche Ethan può vivere senza di te, eppure l’hai lasciato. Io non ho scelto di morire, Demetrius.»
Le mie parole sono dure, ma in fondo non ha più senso avercela con mio marito.
Non possiamo più tornare indietro.
Possiamo soltanto aspettare che la nostra famiglia sia nuovamente al completo, anche se in un’altra, triste e inconsistente dimensione.
«Mi dispiace, Carla.»
Non rispondo e mi perdo nel nulla che mi circonda.
Spero che Ethan ci raggiunga il più tardi possibile.
 
 
 
 
 
 
§ § §
 
Ciao a tutti, eccomi a scrivere un’altra storia su Ethan e la sua triste esistenza.
Stavolta, complici anche i contest a cui il racconto partecipa, ho voluto soffermarmi su Carla Murphy, la madre di Ethan; la famosa ragione per cui il signor Murphy – che qui scopriamo chiamarsi Demetrius – ha smesso di vivere e si è tolto la vita, abbandonando suo figlio quando ancora era un bambino.
Qui ho voluto dare spazio, anche se in maniera marginale, alla prima vera volta in cui Ethan si buca. Affronterò l’argomento in altri racconti, ma alla fine ci è cascato, purtroppo…
E mi piaceva immaginare che in quell’esatto istante, sua madre fosse costretta ad abbandonarlo per passare finalmente oltre e raggiungere il marito.
Mi piaceva l’espediente di Carla che poteva soltanto entrare nei sogni del figlio, unica via per tentare di comunicare con lui; ha provato ad aiutarlo e salvarlo, ma non è andata a buon fine.
Per quanto riguarda il pensiero di Carla riguardo all’omosessualità del figlio, ovviamente non lo condivido, ma mi sembrava doveroso far parlare lei: in fondo è una donna nata nel 1952 – più precisamente il 13 settembre – e che è morta nel 1974, quando ancora l’omosessualità era un tabù, un peccato gravissimo, considerata addirittura una malattia. Probabilmente qualche genitore un po’ più aperto a livello mentale c’era anche all’epoca, ma non era il caso della madre di Ethan, purtroppo.
Spero che tutti i riferimenti si siano compresi e che la lettura sia stata piacevole ^^
Ringrazio Frenz, Soul e Sabriel per i loro grandiosi contest, e grazie anche a chiunque abbia deciso di passare a leggere e/o recensire!
Alla prossima ♥
  
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