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Autore: Dragonfly92    28/06/2020    2 recensioni
Il picco della sua solitudine si concentra in quell'istante.
In quei gesti.
In quel male.
Che lo fa piegare su se stesso e si odia, per quel singhiozzo, perché fa rumore, ma se nessuno sente il tuo rumore, il dolore fa ancora più male.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Victor Nikiforov, Yuuri Katsuki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A Cut_Wing

Alle sue parole buone

Alle sue domande, che aspettano davvero risposta

Alla sua voce gentile

 

 

 

Voragine

 

 

Quando arriva quel momento, quel momento, le emozioni di Yuuri si arrendono, consumano, sbiadiscono.

Lo sente, Yuuri; c'è questa silenziosa, paralizzante paura che si insinua nel respiro e gli impedisce di muoversi, di slogarsi dal terrore, di uscire dall'apnea.

Lo vede, Yuuri, perché inizia con l'immagine dei pattini posati per terra - lame vicine a piedi che non riesce a muovere - e prosegue, con quella delle sue mani che strappano calzini dalla pelle consumata, come se la violenza potesse sovrastare quel... vuoto, è vuoto Yuuri, è vuoto intorno a Yuuri.

 

Lo tocca.

Yuuri tocca quel momento quando svita il disinfettante, quando lo rovescia sul cotone – sulle mani, sulla panca, sui vestiti – e non se le asciuga, le lacrime; nessuno lo vede, nessuno sente e Yuuri si chiede perché, perché si stia curando, perché tutta questa stanchezza continui ad essere così pesante, perché, lui insista nel tamponare le ferite - avete mai visto niente di più patetico di un uomo che si cura da solo?

 

Il picco della sua solitudine si concentra in quell'istante.

In quei gesti.

In quel male.

Che lo fa piegare su se stesso e si odia, per quel singhiozzo, perché fa rumore, ma se nessuno sente il tuo rumore, il dolore fa ancora più male.

 

Solo, solo, solo, lacrime e promemoria, pelle lacerata che non ha voglia, di curare.

A volte, Yuuri si infila le scarpe e va, torna a casa, non pensa, a volte corre, e il giorno dopo faranno ancora più male – pattini su carne viva - ma mai male come quando arriva la solitudine.

 

Dietro occhi offuscati Yuuri fissa le sue mani, la sua pelle e non vede nulla, sensi riempiti dal peso, dal vuoto, dal niente.

 

“Questa è brutta. Aspetta, ci penso io.”

 

Non alza gli occhi, Yuuri, paralizzato nell'inaspettato, nel respiro, nell'incredula sensazione di mani sopra la sua pelle, sul suo dolore, dita che sfiorano, tamponano e voci, suoni che non sono il rimbombo del suo essere solo.

 

Non si muove, Yuuri, lo zigomo struscia contro la spalla per asciugare lacrime che Victor cerca di non guardare – si sente in colpa, Victor, allenatore distratto: doveva accorgersi che i pattini gli facevano così male.

 

Però Yuuri respira e sente, dentro, ossigeno e vita, calore, sollievo nella libertà di poter appoggiare la stanchezza su qualcuno, un attimo, il tempo di qualche battito.

 

Si scioglie, quel nodo in gola, quel masso sul petto, si scioglie il male e Yuuri lo sente colare via, lo ascolta e - emozione, negli occhi.

 

Dice grazie, Yuuri, lo dice in giapponese e non se ne accorge; ma Victor capisce, ascolta, rimane, accarezza.

Bello, dice Victor e anche Yuuri capisce ma non crede, avrà interpretato male, non importa, quel che importa è sentire qualcuno, il respiro di qualcuno e ascoltarlo. Sfiorarlo. Prenderlo e posarlo su quella voragine, ora riempita, ora lenita. Ora piena, di cose che non fanno male.

   
 
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