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Autore: DarkWinter    29/06/2020    5 recensioni
In un ospedale vicino a Central City, i gemelli Lapis e Lazuli nascono da una madre amorevole e devota.
Fratello e sorella vivono un'adolescenza turbolenta e scoprono il crimine e l'amore, prima di essere rapiti dal malvagio dr. Gero e ristrutturati in macchine mangiatrici di uomini.
Ma cosa accadrebbe se C17 e C18 non dimenticassero totalmente la loro vita da umani e coloro che avevano conosciuto?
Fra genitori e amici, lotte quotidiane e rimpianti, amori vecchi e nuovi e piccoli passi per reinserirsi nel mondo.
Un'avventura con un tocco di romanticismo, speranza e amore sopra ogni cosa.
PROTAGONISTI: 17 e 18
PERSONAGGI SECONDARI: Crilin, Bulma, vari OC, 16, Z Warriors, Shenron, Marron, Ottone
ANTAGONISTI: dr. Gero, Cell, androidi del Red Ribbon, Babidi
{IN HIATUS}
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: 17, 18, Crilin, Nuovo personaggio | Coppie: 18/Crilin
Note: Lemon, Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Era tempo di lasciare Satan City. Il prossimo torneo di Crilin sarebbe stato a gennaio e per quanto i due novelli sposi avessero gradito quella mini luna di miele nel bell'hotel, si doveva tornare a casa.

"Io penso che luglio sarebbe adatto, che dici Crilin?"

Il bagaglio era pronto; il check-out era entro le dieci.

"Certo, amore. Una bella festa estiva."

Crilin si sentì amareggiato pensando che Son Goku non sarebbe stato lì per la loro seconda cerimonia, quella con tutti i cari. Udire un bussare deciso alla porta scacciò la tristezza. Crilin si aspettò di aprire al personale dell'hotel, ma rimase sulla soglia con una leggera tachicardia. Dal bagno, Diciotto lo senti’ quasi piagnucolare:

"...Di-di Diciotto!"

Crilin aveva già appurato che quello sguardo da "ti spezzo in due" non era una prerogativa solo di Diciassette, che incuteva a Crilin molto più timore di sua madre o persino sua sorella;  forse perché essendo lui un uomo, Crilin era capace di non farsi distrarre dalla sua bellezza e di percepire subito il pericolo. 

“Eeeehi...Diciassette.”

Crilin tentennava; Diciassette sorrise malizioso come quella volta in cui l’aveva fatto avvicinare a lui solo per il gusto di vederlo tremare:

"Vi ringrazio per la considerazione."

“Di nulla, bro." Diciotto apparve coi capelli ancora bagnati, scoccando al fratello uno sguardo severo. Il video virale...maledetto Internet “Se sei venuto fin qui per rompere, sloggia. Come hai fatto a trovarmi?"

All’alzata esasperata del suo sopracciglio, Diciotto spero’ che anche questa volta Diciassette capisse le sue ragioni, senza dovergli spiegare tutto. Una serie di coincidenze li aveva portati a voler fare quella specie di fuga romantica ed era successo. 

"Ora...ti aspetteremo per la festa con amici e famiglia l'estate prossima."

Crilin si sforzò di essere cordiale e offrì a Diciassette una tazza di tè. Il cyborg la serrò volontariamente e il rumore dei cocci fece sobbalzare il guerriero:

"Ops, colpa mia. Eh, dovro’ vedere...io lavoro, sapete?"

Diciotto sbuffò. Kate la teneva al corrente:

“Far niente nella foresta, sparare nel culo ai bracconieri…”

"Puoi dirlo forte!"

Con una risata Diciassette si distese sul letto, per poi rialzarsi con una smorfia disgustata. Immaginava cosa quei due avessero fatto in quel letto. 

"L'importante è che tu non lo spiattelli anche alla mamma. Non ora."

Parlando del diavolo, Diciotto vide una richiesta di videochiamata apparire sul suo cellulare. Kate era in compagnia di un uomo con gli occhiali:

"Ronan ecco i gemelli, Lapis e Lazuli. Ragazzi, il mio compagno Ronan."

Diciassette ignorò bellamente Ronan e il ruolo con cui Kate l'aveva presentato: 

"Ehi ma'. Diciotto si è-"

Ci fu clamore generale da entrambi i lati dello schermo quando, in diretta, Diciotto gli sferrò una gomitata che gli tolse il respiro; Diciassette stesso grugni’ e ansimo’ mentre del sangue affiorava alle sue labbra. 

Quasi dispiaciuto per il suo nuovo cognato, Crilin gli diede un fazzoletto: senza dubbio se Diciassette era più forte, Diciotto era più’ violenta.

A chiamata conclusa, Ronan guardo’ attonito la sua nuova compagna. Il caratterino di quella Kate bionda l’aveva scombussolato non poco:

“Ma...fanno sempre così?”

Kate, ormai, non si preoccupava più delle bizze dei suoi figli cyborg: 

“A volte.”

Ronan si stupì anche di come lei potesse mantenere così tanta calma. Sara’ stata la forza dell’abitudine:

“Spero che lui stara’ bene; sicura che il drago abbia due teste?"

 

 

 Il pomeriggio del 31 ottobre scandì la fine della permanenza di Carly nel RNP. I bagagli erano stati caricati, Lillian era appoggiata al cofano e la guardava con occhi da cucciolo.

“Ricordati di salutare Leni…”

Le migliori amiche si erano già date i grandi addii, ma c’era ancora qualcosa che Carly voleva dire:

“Il tuo collega ti piace o no alla fine?”

“E che ne so. Ha un gran bel culo.”

Oh, Lillian...

Se Carly fosse stata il ragazzo che si era quasi preso delle pallottole per lei, si sarebbe offesa.

“E non solo quello; anche gli occhi sono belli.”

A Carly venne spontaneo volgere i propri al Grande Eden, ma con discrezione, quasi se ne rimproverasse:

“...immagino. Meglio che ti concentri sul culo, almeno non e’ una visione che tornerà a tormentarti."

“Ma guarda che non è amore! Dico solo che una bottarella ci sta, ma non ho fretta." 

"Invece dovresti, se ti piace qualcuno non stare lì a cinquantarla, le occasioni capitano una sola volta e la vita va via veloce."

Carly era emozionata, la sua carnagione trasparente sembrava in fiamme. 

Lillian non seppe se quel discorso sensato riguardava Joel piuttosto che Diciassette. 

Guardare l’appartamento 36B svuotarsi dalle cose di Carly l’aveva stressata, si sarebbe sentita così sola senza di lei:

“Vedi di fare bene quegli esami. Ti rivoglio qui, presto.”

“Ci chiameremo spesso, tu potresti anche venire a trovarmi al campus.”

Le ragazze si abbracciarono strette nella piazzetta di Viey.

Partendo in direzione di North City e ricacciando indietro la malinconia, Carly guardo’ dallo specchietto Lillian e il villaggio diventare sempre più piccoli, finché non sparirono fra i tornanti incorniciati da pini innevati.

 

La casa sembrava ora vuota e fredda; Lillian ebbe un calo di umore e pianse singhiozzando, prese a pugni il cuscino.

L’iperattività non era stata la sua unica diagnosi, le avevano anche detto che era predisposta a sviluppare dipendenze affettive; con un lavoro intenso come il suo la smania di muoversi era nettamente migliorata, ma Joel era stato l’ultimo di una serie di brevi relazioni finite male. Quando lui aveva troncato la loro relazione novella, sentendosi soffocare, lei aveva capito che nessuno voleva i problemi che lei si portava dietro. Aveva cercato di controllarsi con Carly, a cui aveva subito voluto bene, per il terrore di allontanarla. Carly era l’amica perfetta che non aveva mai avuto e ora la sua assenza la frustrava più che mai. Ma Lillian si rese conto che non poteva superare il suo problema se si rifiutava sempre di prenderlo a due mani. Si sentì più calma dopo aver ascoltato la musica ed essersi fatta una doccia. 

Brent aveva un'utilità, dopotutto, era l’anima della festa. Era anche divertente ed eclettico, era gentile: non l’avrebbe mai trattata come aveva fatto Joel, né era sarcastico al limite della scortesia come Diciassette. Ma lei era troppo complicata per interessarsi a semplici bravi ragazzi,  doveva rappresentare per Brent quello che Joel era per lei. Chissà se l’aveva ferito, tutte le volte in cui aveva sgarbatamente rifiutato i suoi inviti agli eventi di rievocazione. 

Due settimane prima Brent le aveva detto che per Halloween avrebbe organizzato una serata a base di alcol e giochi vari, a casa sua e di Diciassette. Certo, non era eccitante come il salto dalla torre di Viey, ma era sempre meglio che restare da sola. Anzi, Lillian volle proprio combattere l’apatia mettendo molto impegno nel prepararsi. Che peccato che Carly fosse partita! Si sarebbe divertita di più con lei, forse.

Non rimpianse di non aver preso in prestito qualche costume dal campionario che Brent aveva cucito nel corso degli anni, quando si era interessata l’unico rimasto disponibile era la suora.

Sarebbe invece stata la strega e intendeva indossare qualche pezzo del suo periodo goth, riesumato per l’occasione: una gonna nera, a balze e abbastanza corta, un corsetto con fiocchi neri e viola che le dava un discreto décolleté, stivali al ginocchio, calze e reggicalze neri, faceva troppo freddo per le collant a rete. Alle dieci di sera era notte fonda; Lillian prese la prima giacca che le capitò a tiro, salto’ in macchina e si diresse verso Saint-Paul sotto il nevischio.

Brent le aprì la porta vestito da moschettiere cadavere, con tanto di spada arrugginita, occhi pesti e baffi finti e sfatti:

“Porca m...Bella! Eccoti."

Lillian rise a vedere la sua mascella toccare metaforicamente il pianerottolo e i suoi occhi fissi sulla parte centrale del suo corsetto. 

“...C’e’ anche Jessica Rabbit?

“Partita.”

Fra i festeggianti Lillian riconobbe John e Louisa, Leni, Joel, Bronwyn ed Elliott, il terzo coinquilino paleontologo. 

Non ci mise molto a constatare che i liquori facevano schifo; si sedette tranquilla a bere su un divano posizionato sotto una trave esposta, guardando la gente che chiacchierava e mangiava: 

“Dov’e’ Sev?”  

Lillian urlò e rovesciò il bicchiere quando una figura avvolta in un mantello nero si materializzò al suo fianco; era a testa in giù, si teneva alla trave coi piedi come un pipistrello:

“Merda! Mi hai spaventata.” 

"Quello era lo scopo."

Lillian ignorava secondo quale principio della fisica Diciassette potesse penzolare così; quando scese e si sedette con lei, Lillian osservò i pantaloni neri dal taglio elegante e la camicia dalle lunghe maniche a sbuffo: 

“Sei un moschettiere morto anche tu?”

“Ma no! Dracula.”

Fece un gesto scenografico con il grande mantello foderato di rosso e i capelli che non si tagliava da tempo, ora cadevano fin oltre le clavicole.

“L’altra opzione che mi restava era la suora...Tu invece non sei la locomotiva, peccato.”

"Raga, stasera non scannatevi."

Brent era preoccupato, ma ultimamente quei due quasi non interagivano. Diciassette non la provocava nemmeno, e Lillian non se la prendeva con lui per ogni minima cosa.

Quasi, Brent preferiva quando si scannavano.

Diciassette non si stava facendo menate tipo Lillian o Carly: una era stata solo una coccola e l'altra era un capitolo chiuso. Lui non doveva riaprirlo, sarebbe stato dolore per tutti.

 

 Verso mezzanotte Brent propose di giocare ad una versione alcolica del vecchio  “nomi, cose, animali e città": ma più la notte avanzava, più lui e Leni erano ubriachi, passando più tempo con le rispettive lingue in bocca che a giocare.

“Nomi con la L... Lillian!” Brent si guadagnò uno sguardo eloquente da Leni quando non disse il suo di nome “Lillian ti amoooooooooo!”

Lillian lo udì ululare all’unisono con la musica alta.

“Vediamo senza alcol in corpo…”

Bronwyn teneva ancora in mano la pallina con la lettera L: 

“Dai, gente! Altri nomi con la L.”

“Lamborghini! Lambo.” 

“Ma che cazzo…” Lillian riproverò Diciassette “quello non è un nome."

“E come no, è un bel nome.”

Poco dopo Bronwyn era andata a sedersi di fianco a Diciassette; lui sfogliava distrattamente un libro pescato lì intorno.

“Il bianco/nero funziona bene su di te.”

“Lo so.”

Da quando avevano avuto quell’interminabile appuntamento e  Bronwyn aveva solo sputato cattiverie su Lillian, lui l’aveva bollata come una carognetta rabbiosa. Per cui non si stupì quando Bronwyn alzò la testa con sussiego vedendo Lillian passare, e assicurandosi che tutti la sentissero urló:

“Certa gente aspetta Halloween solo per troieggiare! Cioè, non c'è bisogno di vestirsi come una battona!”

Un mormorio generale vibrò nella stanza: “Uuuuh...”

Diciassette ci mise mezzo secondo a registrare lo sguardo di Lillian che, prima di mostrare a sua volta superbia, gli era sembrato triste:

“Tu invece sei vestita come una tizia qualunque, ti si addice.”

L’intero salone esplose in un boato: “Ohhhhh ahia!”

Bronwyn squittì di rabbia; sembrava un chihuahua che ringhiava dietro a un husky.

Ormai Leni e Brent erano spariti dal grande salotto. Dracula finì a chiacchierare con la strega, mentre molta gente ballava e si versava alcolici addosso.

"Cosa stai leggendo?" Lillian gli prese il libro, Vela per Principianti. 

Che serviva la vela nel RNP?

"Non so navigare. Tutta cultura."

Lillian girò il volume: "Aspetta...io conosco Malina Klintsov-Samuels!"

"Chi?"

Gli mostrò la foto dell'autrice: "Ha scritto questo libro. Ci avevo parlato su Skype, ti racconterò un'altra volta, forse interessa anche te."

Diciassette ripose il libro e sospirò, guardando forse il ventesimo shot di vodka. Era la sua prima bevuta da cyborg:

“Davvero non la voglio...e’ abominevole.”

“E non bere, non è che ci si deve per forza ubriacare: io per esempio sono qui per passare una bella serata fra colleghi."

Gli afferrò un gluteo sodo come il marmo e lo strinse nella mano; Diciassette le diede una pacca così forte che lei barcollò all'indietro.

"Stupido! Mi hai fatto male."

L'aveva colpita senza farci caso, senza nessuna intenzione di ferirla. Ma rammentando che gli umani normali si rompevano, gli venne un po' d'ansia:

"Non volevo."

La sua era semplice sincerità, la serietà di un bambino che ha appena combinato un guaio. 

Lillian, che non aveva avuto pace sin dalla volta in ospedale, ripensò al fatto che la vita fosse troppo breve. Forse potevano ripartire da lì?

Aspettò che lui finisse il suo bicchiere e prese coraggio; il fatto che si fossero già baciati purtroppo non aiutava…Afferrò le spalle del top ranger e lo tirò verso di sé, senza trovare nessuna resistenza da parte sua. Bene, si era quasi immaginata che Diciassette le avrebbe sferrato un pugno per farle capire che non gradiva tutta quella prossimità fisica. Invece, Lillian stava cominciando a sognare mentre anche lui si avvicinava, mani salde sulle sue fossette di Venere. Lei si detestò un momento per pensare l'indicibile, quello che andava contro tutto ciò che era e in cui credeva: che la cupcake aveva ragione, la forza bruta di quel ragazzino poteva essere tanto, tanto eccitante. Non perché le piacesse il sadomasochismo, ma per il semplice fatto che era abituata a essere quella con la “forza maschile”. 

Ora voleva provare Diciassette, uno con della vera forza; poteva fare qualsiasi cosa…

Sempre persa nei suoi caldi pensieri, rimase lì con le labbra semiaperte, cadendo in avanti sul petto di Diciassette e accorgendosi a malapena che all’ultimo momento lui aveva indietreggiato: la sua pelle era calda e i suoi muscoli erano sodi, attraverso il tessuto leggero del costume:

"Aspetta un secondo-"

"Eh?"

Lillian alzò lo sguardo verso il futuro top ranger, proprio mentre questi si lasciava sfuggire un lungo rutto alcolico che la riportò una volta per tutte coi piedi per terra. Ovvio, da chi altro avrebbe dovuto aspettarsi una simile uscita?

"Ma come osi! Brutto maleducato, sottospecie di cazzone sfacciato, volgare,maiale.”

Alla fine quello era sempre Sev, uno svergognato di prima categoria che non perdeva mai un’occasione per prendersi gioco di lei, se l'era cercata...L'avrebbe lasciato volentieri a Bronwyn, si meritavano.

In effetti Diciassette non si era lasciato sfiorare dal dubbio di aver ammazzato l'atmosfera, l'indignazione di Lillian lo divertiva assai:

"E' la vodka, lasciami stare. E ho anche dei difetti."

"Da dove comincio? Essere uno scaricatore di porto senza freni inibitori, per esempio."

"Scaricatore di porto, perché?" Diciassette poteva anche essere un cyborg che non poteva ubriacarsi, ma si era pur sempre scolato una bottiglia di liquore e gli veniva da ruttare. Usò come unica accortezza coprirsi la bocca con la manica.

“Cribbio!”

“Oddio, mi spiace." Il suo sorrisetto perfettamente contraddittorio evidenziava le amabili fossette sulle sue guance.

“Non importa..." Lillian si strinse nelle spalle, le era passata la voglia.

Diciassette non era veramente dispiaciuto; per lui non era molto un problema, durante le serate alcoliche come quella altro che maniere. Lillian non pareva della stessa idea. 

"Bisognerà ben avere dei saldi principi nella vita, o no? Dimmi, Lill, cosa sarebbe mai la vita senza principi." 

Era del tipo ubriaco filosofo.

 "Minchia che principi! Mi fai crepare."

"Lo so, vero?” rise lui “meglio che crepare in una sparatoria."

Da quando quei bracconieri avevano puntato loro addosso i fucili e Diciassette si era gettato su di lei per proteggerla, Lillian non riusciva più a provare astio nei suoi confronti, anche se le dava fastidio che lui le avesse preso il titolo di top ranger. Non era ancora ufficiale, ma tutti lo riconoscevano già come tale.

Si chiese se l'avesse protetta per la stessa ragione per cui in ospedale…ma probabilmente Diciassette avrebbe fatto la stessa cosa con Brent, se fosse stato di fianco a lui al posto suo.

Nel frattempo tutti cercavano di spiare dal buco della serratura della camera di Elliott, dove Brent e Leni si erano rintanati.

"No dai, non ho parole. Cosa mi fate fare..."

John, che doveva essere l'autorità lì dentro, si scostò dalla porta della camera con fare altezzoso: 

"Un pollaio, questo è, altro che. Parlo per i miei, voi dovreste essere i tipi tosti. "

"E io lo sono sempre" asserì Lillian "ma questa tipa tosta ora ha freddo, quindi andrà a prendersi la giacca che ha lasciato in macchina."

Volle dare un'ultima possibilità a Joel, scambiando uno sguardo d'intesa con lui mentre si avviava fuori dal grande appartamento.

Per tutta risposta Joel scoprì che la porta della camera non era nemmeno chiusa a chiave così che quando tutti entrarono, videro che Brent e Leni erano così ubriachi che non ce l'avevano fatta a raggiungere il letto. Erano lì a ronfare sgraziatamente, buttati sul pavimento.

 

 Lillian rabbrividì, entrando in macchina e stringendosi la giacca sul corsetto; aspetto’ per un po’ ma alla fine, sentendosi già stanca, fece per mettere in moto la jeep. Erano le due passate. All'ultimo momento sentì bussare a un finestrino; alla buon'ora, finalmente Joel si era deciso a smettere di spiare Brent e Leni.

Ma abbassando il finestrino, vide due fari azzurri che di Joel non erano; brillavano anche nell'oscurità del parcheggio.

"Cosa c’e’ Sev."

"Non ti ho più vista. Tutto bene?"

Benissimo: teoricamente lei voleva restare e forse chiarire le cose con Joel, con cui aveva trascorso un anno di tira e molla solo per constatare che quel cretino se ne fregava altamente, al punto di preferire guardare due ciucatoni farlo piuttosto che farlo con lei. Pensare a Joel e a tutte le lacrime che aveva versato a causa della sua indifferenza le metteva rabbia:

“Quel mentecatto fa il prezioso, ma poi quando gli prende l’estro vuole venire da me a scaricare i suoi liquami...porco schifoso!”

"Ma...in macchina, sei sicura? Ti dico che non è così eccitante."

Lillian non sapeva se Diciassette fosse un coglione nato o se lo facesse apposta, ma aveva già esaurito la sua pazienza con lui quella sera; era troppo stanca persino per insultarlo.

"Tutto quello che hai evinto dal mio discorso serio e’ questo, bene...comunque la mia migliore amica dice che e’ scomodo.”

“Se ti scegli dei segaioli disadattati è solo colpa tua. E la tua amica sa quello che dice.”

Lui non le disse che gli restava qualche ricordo lontano di serate romantiche nella sua macchina rossa fiammante, forse con la donna rossa fiammante. 

Diciassette non pensava a Lillian in quei termini; non valeva la pena di lanciarsi in qualcosa di concreto con lei, alla fine non gli muoveva tutte le corde giuste. 

Sapeva che la forza dei suoi veri sentimenti non era stata scalfita dalla conversione, nemmeno al risveglio era stato apatico. La sete del sangue di Gero, Cell con il suo terrore e la riunione con Kate avevano mostrato al cyborg la potenza dell'istinto e delle sensazioni estreme. 

Pensare a Carly era quasi così: lei era intessuta nella sua memoria, era istintivo per lui evocare la sua immagine ed eccitarsi, piombare in quel sentimento travolgente e magnifico che con la sua grandezza lo logorava. 

Carly era impulso puro. Istinto profondo.

Al contrario Lillian, da cui era comunque attratto, poteva permettergli di mantenere il lato umano legato all'attrazione senza provare il dolore del fiume di vissuti, istinti ed emozioni che Carly portava con sé. 

Lillian era istinti leggeri; non era una brutta cosa.

Fu certo della leggerezza di Lillian fino al momento in cui lei scese dalla jeep e lo avvolse con un profumo inebriante e doloroso. 

La prima sensazione a palesarsi in Diciassette fu un contraccolpo nel sangue che lo paralizzò. Poi gli fece stringere il cuore e per un momento lui non respirò.

“Beh? Perché mi fissi?”

Senza pensare Diciassette si ritrovò a stringerla avidamente contro il proprio petto, la strinse fin quando lei gemette di dolore e lo supplicò di allentare la presa. 

Ma quel suo profumo -com'era possibile che non l'avesse mai sentito prima?- lo faceva impazzire, invadendogli la testa e facendolo tremare da capo a piedi. Sentiva che quel profumo era casa. Sempre senza curarsi di nient'altro intorno a lui, con gli occhi chiusi Diciassette affondò il naso nell'incavo della spalla di Lillian.

Piacevolmente sorpresa, Lillian rise e gemette quando si sentì stringere i fianchi e  sollevare. Diciassette aprì di scatto le labbra e le richiuse sulle sue; la issò senza sforzo sul tetto della macchina e in attimo fu completamente disteso su di lei, mentre ancora una volta si scambiavano baci profondi. Il cyborg cercava con affanno ogni centimetro della pelle dell’umana, il suo pene eretto premeva contro di lei. 

Lillian sbottonò la camicia immacolata, unico divisorio fra il proprio corsetto disfatto e il corpo di Diciassette. Lui non volle tirarla per le lunghe: si slacciò i calzoni e quasi con prepotenza sollevò la gonna di Lillian, sotto lo sguardo anelante di lei.

“Fai piano…” 

Lei parlò in un soffio, ma venne ignorata. Lillian lanciò un piccolo acuto e trattenne il fiato quando lui si affrettò a penetrarla. La prima spinta fu forte e improvvisa,  il corpo di Lillian si contrasse dal desiderio; i punti alla spalla erano saltati nel momento in cui Diciassette l'aveva bloccata contro il duro metallo della jeep, ma per ora non sentiva dolore. Lillian piegò le gambe a farfalla e aprì gli occhi per godere anche della vista del petto largo e muscoloso della sua nemesi, dei suoi tratti spigolosi, dei suoi occhi.

Oh, gli occhi! 

Si era immaginata che sarebbe stato intenso, eccitante, ma minchia

Diciassette si sfogò senza controllo, assecondando il suo impulso, non importava se leggero o profondo: doveva soddisfare un appetito vorace, e lei era un pasto da consumare in fretta. Si era perso in una dimensione da cui non sentiva i suoi stessi grugniti, né Lillian gemere ancora e ancora. Sapeva solo quello che il suo corpo voleva. Più si sfogava più voleva sfogarsi, lasciandosi trasportare da un cocktail di sensazioni fisiche che non ricordava di aver mai provato prima. Quando giunse alla fine della sua galoppata e il tumulto interiore si sparpagliò fuori da lui, strinse il corpo della collega e si lasciò sfuggire un lungo sospiro. Continuo’ a giacere sopra di lei.

Ancora fresca di estasi, Lillian rimase a sfiorargli la schiena e le spalle, ad osservare i suoi occhi ora fuggenti:

“E’ strano, vero?”

“Molto strano.”

“E se ci stai ripensando, ormai è tardi.”

Quelle parole valevano anche per lei. Avevano gettato il concetto di precauzioni dalla finestra, Lillian non l’aveva mai fatto così. Conosceva il suo corpo abbastanza bene da non allarmarsi, ma quello sì che era un motivo per scaraventarlo,  forse il solo motivo serio che Diciassette le avesse mai dato! Se n’era completamente fregato...

Tuttavia, sembrava che in quel momento ci fossero altri grovigli da snodare. Diciassette se ne stava in disparte, turbato e perplesso; il viso e il corpo di Lillian erano così tristemente nuovi, ma il suo profumo era il paradiso. Non ne veniva a capo:

“Non sono riuscito a ragionare con la testa...”

“Tranquillo, so con cosa hai ragionato.”

Per un momento Lillian gli aveva ricordato qualcosa. Lillian, quella ragazza che era lì per farlo ricominciare da zero, se avesse voluto. Anche i suoi capelli erano rossi, ma Diciassette sapeva anche che era stato il profumo a stregarlo. Profumo che, inspiegabilmente, sentiva sempre di meno più’ stava vicino a lei. 

"O qualcuno? Hai, la ragazza vero? Non ci posso credere..."

Lillian pensò di essere un’idiota totale, si era fatta illudere un’altra volta. 

"Non più..."

Per qualche strano motivo, Lillian seppe che era vero: in quel momento Diciassette le sembrava un libro aperto. Qualunque fosse il motivo dietro la sua esitazione, forse era per il meglio. Forse l’universo le stava dicendo che lei aveva decisamente passato il limite con Diciassette.

Mentre si risistemavano sul tetto della macchina, con l’adrenalina ancora in corpo ma tanta timidezza che ora li separava,  Lillian pensò che Diciassette non fosse proprio pessimo. Il suo atteggiamento strafottente non aiutava, ma forse non si meritava tutto il suo nervosismo. La sua gelosia le aveva annebbiato il giudizio, alla fine la mascotte non le aveva mancato di rispetto al contrario di Joel. 

Forse, se Lillian avesse smesso di essere così acida anche Diciassette l’avrebbe trovata più gradevole e quindi meno un bersaglio. Quella sera, dopo l’ultimo affronto subito da Joel, Lillian si impose di smetterla di pendere dalle sue labbra e, in contrasto, di smetterla di odiare Diciassette. Volle perciò abbordare un discorso che avrebbe voluto fargli già da tempo:

“Almeno c'è un pizzico di decenza in te: già mi umili al lavoro, se poi mi usassi come svuotapalle...”

“Che poesia! Poi chiami me volgare; comunque non me ne frega niente di umiliarti.”

“Oh, invece lo fai eccome."

Diciassette l'ascoltò fargli la lista delle cose che non capiva: come lui facesse a lavorare così tanto senza avere ripercussioni sul suo fisico, come potesse saltare dappertutto, toccare insetti urticanti, spostare macigni senza problemi e ingurgitare dosi da coma etilico come se fossero acqua fresca. Lanciarsi fra lei e dei proiettili a grosso calibro. 

Se Lillian fosse stata Carly gliel’avrebbe detto. Perché sapeva che, alla fine, la voglia che aveva di lei era più forte di quanto lui stesso calcolasse. Poteva anche ostinarsi a relegarla a un passato malinconico, ma la mancanza era indelebile.

Se Lillian fosse stata Carly e fosse stata lì con lui in quel momento, Diciassette avrebbe detto tutta la verità sulla sua natura, si sarebbe esposto completamente per non permettersi mai più di lasciarla andare. 

Ma Lillian non era Carly: non l’agognava. Anche se per un momento, per un minuto struggente ed inspiegabile, aveva creduto che fosse lei. E anche se la vista del suo seno, scoperto dal corsetto ancora slacciato, non lo lasciava indifferente:

“Mi tengo in forma, tutto qui.”

Lillian si era tolta la giacca per le vampate improvvise, ora le ricapito’ fra le mani e la stropiccio’. La vide insanguinata, la spalla iniziò a dolere di nuovo.

“Brutto villano...Guarda cos’hai fatto!”

Diciassette annusò un’altra folata del profumo e si lanciò ancora su Lillian. Lei urlò quando lui, di nuovo eccitato, le spacco’ un labbro con un morso.

Lui e le sue mini zanne…

Diciassette ignorò le giuste proteste di Lillian, le strappò l'indumento dalle mani e ci ficcò il naso. Lei lo guardava sniffarsi la giacca, perplessa: 

“Smettila, sembri un maniaco.”

“Dove l’hai presa.”

“Che ne so! Online?”

Lo sguardo di Diciassette era diventato duro, lui sembrava pronto a farle un interrogatorio crudele. Lillian si sentì invadere dalla paura: in quel momento il marmocchio sornione sembrava pericoloso, secondo una consapevolezza connaturata che non sapeva giustificare.

Preferì non rimuginare: 

“Per colpa tua mi dovranno ridare i punti e mi si gonfierà il labbro...Dicevamo, non mi prendere in giro: sei venuto qui e mi hai massacrata perché sei forte. Non negarlo, su."

“Non sono semplicemente forte, e paragonarti a me non è ciò a cui dovresti aspirare. Non puoi essere me, nel bene o nel male.”

“Ah, quel che è, fa nulla. Tu sei veramente su un altro livello, mi fai sentire molto mediocre, comune. Non l'ho presa bene…”

Il suo punto d'orgoglio era sempre stato essere più forte di qualsiasi altro tipo avesse incontrato, essere in grado di mettere fuori combattimento quei tipi che la deridevano per il suo corpo non femminile e quella sua forza.

"E poi tu fai e disfi quello che vuoi senza preoccuparti, non hai paura di niente."

"Sei fuori linea; odio quando pensi di conoscermi e dai per scontate certe cose su di me. Certo che ho paura! Ho paura di molte cose."

Diciassette era molto geloso dei suoi "sentimenti naturali": era normale avere paura. Sapere che aveva paura di qualcosa come chiunque altro era un ulteriore dettaglio che aggiungeva normalità alla sua vita.

"Quali cose?"

"I buchi, i cunicoli stretti" quando  aveva ripescato quella bambina sotto terra era andato in panico, aveva avuto un groppo in gola "E a volte ho paura della vita, come tutti. Non riesco a recuperare alcune cose che ho perso ma non ho altra scelta che andare avanti. Se ci penso è un fottuto incubo."

L'incubo su cui non aveva alcun controllo era il fatto che se essere un cyborg gli apriva molte porte, gliene precludeva altrettante.

"Ti stai aprendo a me...devi essere ubriaco fradicio."

"No, affatto; non posso ubriacarmi."

Lillian sapeva che per cose aveva voluto dire persone. Se gli mancava qualcuno, perchè non riallacciava i rapporti?

"Più facile a dirsi."

"Quindi sei un vigliacco. Un consiglio: non puoi tenerti tutto dentro. Ho lavorato a stretto contatto con te per questi mesi e sembra che tu pensi di non poter contare su nessuno, né per il lavoro né per la vita. Io avevo capito che scendere sottoterra era un problema per te, ma non ti sei neanche lasciato aiutare! Probabilmente pensavi che non ne sarebbe valsa la pena, visto che sai benissimo che nessuno è te. Fai sempre tutto da solo, tieni alla larga le persone perché pensi già da subito che non riusciranno a capirti, quindi non vuoi perdere tempo. Ho ragione?”

Non verbalmente, le disse di sì. 

Per Lillian, Diciassette poteva soddisfare la grandiosa definizione della maledettamente perspicace Carly: finto estroverso. Come lei.

“Credimi, capisco. A volte ci passo anche io.”

“Non sai di cosa stai parlando.”

“E se lo sapessi in parte? Sentire una mancanza senza sapere chiaramente cosa ti manca; l'eterno senso di insoddisfazione, il bisogno di sfogarsi e sentirti esplodere se non bruci quell'energia; doverti tenere perennemente occupato. Tu dici che io ti conosco solo superficialmente e hai ragione: ti sento simile a me ma allo stesso tempo mi sfuggi, non riesco a inquadrarti...Vorrei farlo, vorrei comprendere chi sei. Mi parlavi di principi, lascia che te ne dica uno anche io: cosa sarebbe la vita senza amici, eh? Essere solitari non deve voler dire essere soli." 

Diciassette si rese conto di quanto fosse solo. Non aveva nessuno tranne la sua famiglia e Sedici. Sarebbe stato così male avere un altro amico? Sapeva che avrebbe dovuto smettere di inventare scuse: la sua famiglia gli aveva già dimostrato che ciò che gli era stato fatto non era irreversibile, che poteva scegliere di essere una persona e non qualcosa fatto per uccidere. Tutti avevano amici. Accettarne qualcuno non avrebbe fatto male, anzi, lo avrebbe distratto e sarebbe stato un altro calcio in culo a Gero.

Inoltre, se lui e Lillian non erano già amici a parole lo erano di fatto: quando le avevano sparato, lui aveva voluto evitare che si facesse del male. Aveva pensato che sarebbe stato stupido lasciar morire un essere vulnerabile davanti ai suoi occhi, mentre quei proiettili non avrebbero fatto la differenza per lui. 

E alla luce di quella discussione con Lillian, ora lo colpiva il modo in cui si preoccupasse dell’incolumità dei suoi colleghi. Sì, insieme a Brent Lillian avrebbe potrebbe essere un’amica.

“Guarda te; sono dovuta arrivare al sesso per apprendere qualcosa di serio su di te.”

Diciassette aveva solo un anno in meno di lei, ma Lillian lo vedeva sempre come un giovincello. E in quel momento, vedendo le sue guance diventare più rosse provò quasi tenerezza:

“Ma bon, va bene così; ora dimentichiamoci di tutte le cose intime, se ti va, e iniziamo a essere due persone che si capiscono e si sostengono a vicenda...sono stanca di sentirmi nervosa al lavoro. Amici?”

Con uno dei suoi sorrisetti, Diciassette si avvicinò a Lillian, scherzosamente, come per cercare le sue labbra. Le strinse la mano:

“Va bene, amici. Ma non pensare che smetterò di essere me stesso solo perché siamo amici.”

 

 Di nuovo sola in macchina, Lillian constatò che doveva andare a farsi ricucire la ferita. Erano le 5 e l'ambulatorio più vicino a Viey, quello di Verny, avrebbe aperto alle 7.30. Perfetto, ci sarebbe stato tempo per la doccia e lo spuntino che necessitava. Guardando il motivo a grandi fiori della giacca, si accorse improvvisamente che non era la sua. Era troppo carina per essere sua.

"Toh. Non mi stava nemmeno troppo larga sulle tette."

Si imbarazzò a pensare al momento in cui avrebbe dovuto restituirla, strappata in alcuni punti e macchiata di sangue. Lillian non ci aveva fatto caso quando l'aveva pescata dall'armadio, ma quella giacca era stata dimenticata lì a casa.

Era della Carlona.









 

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😮


 
   
 
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