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Autore: Ella Rogers    29/06/2020    0 recensioni
"Chi non muore si rivede, eh Rogers?"
Brock Rumlow era lì, con le braccia incrociate dietro la schiena e il portamento fiero. Il volto era sfregiato e deturpato, ma non abbastanza da renderlo irriconoscibile, perché lo sguardo affilato e il ghigno strafottente erano gli stessi, così come non erano affatto cambiati i lineamenti duri e spigolosi.
"Ti credevo sepolto sotto le macerie del Triskelion."
La risata tagliente di Rumlow riempì l'aria per alcuni interminabili secondi, poi si arrestò di colpo. L'uomo assunse un'espressione truce, che le cicatrici trasformarono in una maschera di folle sadismo.
E Steve si rese conto che, per la prima volta da quando l'aveva conosciuto, Brock Rumlow si mostrava a lui per quello che realmente era, privo di qualsiasi velo di finzione.
"Credevi male, Rogers. Credevi male."
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: Movieverse | Avvertimenti: Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'The Road of the Hero'
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Step by step
 
 
 
Quattro settimane dopo la Battaglia di Washington
Febbraio 2015
 
 
Dopo un’intera giornata passata a trattare con nemici che di arrendersi con le buone non ne avevano voluto sapere, tornare alla Tower fu abbastanza confortante, nonostante di Adam Lewis non avessero intravisto nemmeno uno straccio di traccia.
Era passata la mezzanotte da un pezzo e la Sala Comune si presentò a loro silenziosa e vuota, se non si contavano gli agenti della CIA.
 
“Bentornato, Capitano Rogers” lo accolse Dan, con quell’entusiasmo gioviale che non accennava a smorzarsi, nonostante stare a stretto contatto con gli Avengers fosse divenuta routine.
“Signor Stark” aggiunse subito dopo, dato che spesso aveva ricevuto frecciatine da Iron Man in persona sul fatto di avere preferenze poco giustificate.
 
“Non dovevi essere già a casa, Agente Collins?” chiese il super soldato e gli rivolse un sorriso amichevole.
Il ragazzo ricambiò il sorriso e scosse il capo.
“Questa settimana mi hanno assegnato i turni notturni” spiegò, ma non sembrava affatto dispiaciuto della cosa, anzi, c’era una ben visibile scintilla di vitalità nelle sue chiare iridi azzurre. Passò il solito tablet al Capitano, che vi appose la firma digitale, come verifica del suo rientro.
 
“A te il rapporto, capo” disse allora Rogers, rivolto ad Iron Man, mentre riconsegnava il tablet.
 
“Ma sei tu il capo” protestò immediatamente l’interpellato, rimasto stranamente in disparte fino a quel momento. Tony aveva ancora la parte bassa dell’armatura addosso e già si era proiettato con la mente nel letto, desideroso di farsi una lunga dormita.
 
“Non vale quando siamo in coppia, giusto? Tu hai voluto condurre, tu stendi il rapporto.”
Steve fece un cenno di saluto al giovane Dan e tornò nell’ascensore, lasciandosi un Tony boccheggiante alle spalle.
 
“Steve, aspetta! Parliamone!”
 
Sentir quasi supplicare Stark fu una gioia per le orecchie del super soldato, che si impegnò a mantenere un’espressione perfettamente neutra.
“Buonanotte, Tony” lo congedò e premette il pulsante che lo avrebbe portato al suo appartamento.
Tony, affatto contento del trattamento ricevuto, mise un piede metallico fra le porte, impedendone la completa chiusura.
“Capisco che preferisci stendere lei invece che un rapporto, ma non puoi mollarmi ora. Te lo proibisco” si impose e fulminò il biondo con lo sguardo.
Rogers puntellò le mani sui fianchi e parve pensarci su. Con uno scatto rapido, sollevò la gamba destra e spiattellò la suola della scarpa sul petto del compagno, spingendolo indietro quel tanto che bastò a far chiudere le porte dell’ascensore, senza usare troppa forza.
“Che tu sia dannato, Rogers” udì distintamente, tuttavia era assai lontano dal sentirsi in colpa.
 
Entrato nell’appartamento, lasciò lo scudo di fianco la porta di ingresso e filò in bagno per farsi una lunga doccia, cercando di non fare troppo rumore. Voleva evitare di svegliare Bucky, anche se era consapevole che non fosse un’impresa facile.
Uscì dalla doccia un quarto d’ora dopo, con un asciugamano attorno i fianchi stretti e i capelli arruffati e ancora umidi. Si sentiva abbastanza spossato e cominciava ad accusare la stanchezza.
Arrivato in camera, lo sguardo fu calamitato dalla presenza che occupava parte del letto. Era stesa su un fianco, con un braccio sotto il cuscino e l’altro sopra di esso, e sembrava dormire profondamente, tanto da non averlo sentito entrare.
Non si era ancora abituato ad averla intorno, né tantomeno ad avere compagnia durante la notte.
Erano passati sette giorni da quando lei era tornata.
 
Dopo che Rogers, Stark e la Romanoff avevano parlato con Thunderbolt Ross, l’oneiriana aveva ottenuto il permesso di rimanere alla Tower e di partecipare all’azione sul campo ai danni dell’Hydra. Dopotutto, lei era divenuta ufficialmente un Avenger e, a quanto pareva, Ross non aveva alcuna intenzione di mettersela contro, se non strettamente necessario.
Era abbastanza evidente che ci fossero dei riguardi da parte del Governo nei confronti sia di Thor sia di Anthea e quei riguardi possedevano il solo fine di mantenere rapporti pacifici con entità potenti e non del tutto conosciute, presenti al di fuori dei confini della Terra. Lasciare loro la libertà di spostarsi attraverso il Bifrost, seppur con opportuno monitoraggio, era stata una concessione che Ross era stato invitato a fare dall’asgardiano stesso.
Thor, una volta rientrato sulla Terra il giorno successivo alla battaglia e venuto a conoscenza delle condizioni imposte agli Avengers, aveva voluto mettere subito in chiaro la questione. Su Midgard avrebbe seguito le direttive concordate, ma impedirgli di tornare ad Asgard era categoricamente escluso e Ross, dinanzi ad un Thor così convincente, non aveva potuto far altro che cedere ed acconsentire, anche se non di buon grado.
Anthea aveva ottenuto il permesso di unirsi agli arresti domiciliari il giorno del suo arrivo sulla Terra e, lo stesso giorno, era tornata su Asgard per prendere le cose che le appartenevano e che adesso riempivano la stanza che Stark le aveva fatto preparare.
Sam aveva preso bene la novità di avere una coinquilina, anche se la notte lei dormiva raramente nel proprio letto, preferendo quello di Rogers, che non aveva nulla da ridere a riguardo - semmai erano i suoi simpatici compagni ad avere da dire.
Sì, era decisamente non così semplice abituarsi alle nuove dinamiche, nonostante la situazione relativa all’Hydra e ad Adam Lewis li tenesse impegnati sia fisicamente sia mentalmente.
 
Sempre cercando di fare poco rumore, Steve indossò un paio di boxer e una tuta. Poi si infilò sotto le coperte e fece aderire il petto contro la schiena della ragazza, finendo per stringerla delicatamente da dietro. Mossa non molto intelligente se l’intenzione era quella di evitare di svegliarla e difatti lei si riscosse al contatto.
“Stai bene?” gli chiese, ancora mezza addormentata.
Glielo chiedeva ogni volta, al rientro da una missione. Una domanda che non pretendeva grandi risposte, ma solo una che fosse sincera.
“Sto bene” affermò il biondo, mentre si rilassava contro di lei.
 
Steve non stava mentendo. Stava bene. Niente umore nero o ansia, né tantomeno paure troppo soffocanti. La sicurezza che Anthea aveva mostrato, fin dal giorno in cui era tornata, era stata in grado di scacciare via la tensione che quasi lo aveva schiacciato. Non aveva neppure avuto ulteriori incubi e l’idea di trovarsi un nemico ai piedi del letto era gradualmente evaporata.
Anthea gli aveva assicurato che lo avrebbe protetto, per consentirgli di continuare a proteggere gli altri, e Steve aveva accettato questa specie di compromesso. Si era reso conto presto che la cosa non lo faceva sentire debole, ma più sicuro e meno torturato da pensieri capaci di sottrargli il sonno. Quel miglioramento dovevano averlo notato anche i suoi compagni, perché avevano smesso di guardarlo con cipiglio preoccupato e come se potesse dare di matto da un momento all’altro.
 
Anthea si mosse fra le sue braccia, girandosi verso di lui. Le luci di New York creavano nella stanza una tenue penombra e la giovane ebbe così la possibilità di scrutarlo in viso, con una certa attenzione, come per verificare la validità della risposta che lui le aveva dato. Fece scivolare una mano dietro la nuca bionda e si stirò in avanti, per posare un bacio delicato sulla sua bocca.
Era visibilmente stanca. In una sola settimana, l’oneiriana aveva partecipato a parecchie missioni, affermando di essere molto più riposata di loro, che invece sembravano avere un disperato bisogno di una lunga vacanza. Effettivamente non aveva avuto tutti i torti.
Lei aveva sfruttato l’occasione anche per prendere confidenza con l’azione sul campo e con i modi di agire propri di ognuno di loro. Era stata in coppia prima con Clint, poi con Tony, con Steve, successivamente con Sam ed infine con Bucky. Solo con Thor non aveva fatto ancora squadra, perché Stark aveva consigliato di non mandare in giro due testate nucleari assieme, per evitare che succedesse qualche disastro.
Sempre Tony aveva provato a chiedere ad Anthea con chi si fosse trovata meglio, giusto per infuocare maggiormente la sfida in corso, ma lei si era rifiutata di rispondere, lasciandolo a bocca asciutta.
 
“Come è andato il giorno di riposo?” chiese Rogers e le sorrise, mentre lei giocherellava distrattamente con ciuffi dei suoi capelli.
“Ho fatto allenamento con James e poi si è unito anche Thor. È stato divertente.”
L’oneiriana posò la fronte sul petto nudo del compagno e si lasciò cullare dal regolare battito del cuore che riusciva a percepire nel silenzio della notte.
Non avevano ancora toccato l’argomento riguardante la non così convenzionale relazione che c’era fra loro, né sentivano il bisogno di farlo. Anthea era sempre stata molto cristallina su quelli che erano i sentimenti provati nei confronti del super soldato e non aveva mai dato segno dell’insorgenza di dubbi a riguardo, anzi, non faceva che dare prova di quanto lui fosse importante per lei.
Steve, dal canto suo, era consapevole di non essere proprio facile da trattare ultimamente, ma lei sembrava non farci troppo caso e cercava semplicemente di sostenerlo, senza essere troppo invadente, se non si contava l’invadenza notturna.
 
“Anthea” la chiamò piano, ma non ottenne risposta, né alcun tipo di reazione.
 
La giovane si era riaddormentata, senza nemmeno provare a resistere al richiamo suadente del sonno.
Steve non poteva di certo biasimarla, considerando che l’aveva strappata da uno stato di profondo riposo. Allora, anche lui chiuse gli occhi e si abbandonò alla stanchezza, mentre la stringeva appena contro di sé.
 
 
 
 
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Sei settimane dopo la Battaglia di Washington
Italia, Valle d’Aosta
 
 
“Sam, status?”
 
“Impegnato.”
 
Bene, avrebbe dovuto arrangiarsi da solo. Lasciare fuggire anche un solo nemico era fuori discussione. Valutò approssimativamente lo spazio fra lui e il terreno, sporgendosi dalla balaustra metallica. Era quasi certo che non si sarebbe rotto nulla, considerando che l’altezza era più o meno pari a quella da cui si era lanciato, quando era stato aggredito nell’ascensore del Triskelion. Inoltre, adesso indossava l’elmetto e se avesse saltato anche abbastanza in avanti, sarebbe caduto sulla neve, evitando i tratti della stradina asfaltata che risaliva serpeggiando lungo l’altura. Strinse con decisione i lacci dello scudo, prese la rincorsa e saltò.
O almeno ci provò a saltare, perché una presa ferrea si chiuse sull’incrocio metallico dietro la sua schiena, laddove convergevano le cinghie in cuoio dei supporti dello scudo. Fu strattonato indietro senza troppa fatica e si ritrovò con il sedere per terra, abbastanza distante dal punto di salto. Tese i muscoli per scattare in piedi e contrattaccare, ma si bloccò non appena mise a fuoco la situazione.
 
“Non muoverti da qui. Penso io ai fuggitivi” fu l’ordine che ricevette ed era abbastanza scioccato in quel momento per poter in qualche modo replicare a dovere.
Anthea fece il salto che gli aveva impedito di compiere un attimo prima e sparì dalla sua vista.
 
Dopo un po’, la voce di Sam gli risuonò all’interno dell’orecchio, colorita da una certa enfasi.
“Il nemico è stato intercettato! Puoi rimanere dove sei, Cap!”
 
Non che avesse altra scelta a quanto pareva, fu il pensiero del super soldato, mentre si rialzava da terra. Poteva consolarsi con il fatto che più della metà dei suoi compagni seguiva le direttive e non eccelleva nei colpi di testa. I colpi di testa, a dire la verità, erano più da lui, ma questo era un dettaglio poco rilevante al momento.
Sam e Anthea lo raggiunsero non molto dopo e, prima che uno dei due dicesse qualcosa, il Capitano si rivolse direttamente alla ragazza, forse spinto dal cipiglio poco rassicurante che le scorse in viso.
 
“Non è come pensi.”
 
“Davvero, Steve?”
Anthea incrociò le braccia sotto il seno, coperto dal sottile ma resistente tessuto nero di un’attillata maglia nera a maniche lunghe. Quella maglia, assieme ai pantaloni cargo grigi, con cintura annessa, e assieme agli scarponcini scuri, erano indumenti che lo SHIELD aveva messo a disposizione della ragazza.
Fury, a dirla tutta, aveva accolto l’oneiriana di buon grado, dato che erano a corto di risorse umane e considerata la possibilità di incontrare avversari difficili da trattare. Per quella missione in particolare, agli Avengers era stato concesso di partecipare in tre, dato la base individuata era più grande delle altre.
Durante le due settimane di permanenza della giovane sulla Terra, Steve aveva fatto coppia con lei già diverse volte. Si erano trovati bene a lavorare insieme e la ragazza aveva dimostrato di saper seguire le istruzioni con effetto immediato, anche se in qualche occasione dava loro un’interpretazione personale. Adesso, lei avrebbe dovuto essere all’interno della fortezza che si innalzava sull’altura nel mezzo del bosco innevato, e non all’esterno. Il Capitano sulla possibilità che Anthea avesse portato a termine la sua parte di lavoro prima del previsto, ma avrebbe almeno potuto avvisare ed evitare di fargli prendere un mezzo colpo, dato che venir buttato giù senza troppa fatica era segno della presenza di avversari molto più pericolosi dei semplici soldati dell’Hydra.
 
“C’era Sam” rispose il super soldato con convinzione, dopo un lasso di tempo piuttosto lungo, e sostenne lo sguardo penetrante della compagna.
 
“C’ero io?”
Sam rivolse uno sguardo interrogativo all’amico e cercò di cogliere nella sua espressione cosa cavolo dovesse dire o fare.
“Ero... decisamente... pronto?” a fare qualcosa di cui non sapevo niente, avrebbe voluto aggiungere, ma si trattenne perché a Steve voleva bene.
 
“Complimenti. Sapete recitare in modo eccelso. Nessuno e, ripeto, nessuno sarebbe in grado di capire che state mentendo.”
Anthea scosse il capo con rassegnazione, ma non era troppo divertita, anzi, la ruga fra le sopracciglia si era fatta più marcata ed intimidatoria.
 
“Stiamo mentendo?” chiese allora Sam, rivolto al Capitano, che si schiaffò una mano sulla faccia con fare abbastanza disperato.
“Avevo tutto sotto controllo” volle specificare il biondo e riagganciò lo scudo sulla schiena, mentre gettava un’occhiata al salto nel vuoto che aveva pensato di affrontare poco prima.
 
“Sei un caso disperato” gli comunicò invece la ragazza, rivelando una nota di rassegnazione nella voce. Non riusciva ancora a digerire il fatto che Steve ci tenesse tanto a mettere alla prova l’osso del collo, anche quando avrebbe potuto essere più cauto.
“Certe volte mi chiedo come riescano a mandarti in giro da solo con così tanta tranquillità.”
 
“Colpa mia. Ero il babysitter di turno e mi sono distratto” intervenne a quel punto Falcon, che aveva finalmente più o meno chiaro il quadro generale. Ormai non si sorprendeva più di tanto nel venire a conoscenza delle azioni fuori dagli schemi di sicurezza intraprese da Capitan America. Lo aveva visto fare molto di peggio che tentare un salto per cui una persona normale avrebbe fatto la stessa fine di un insetto spiaccicato sul parabrezza.
“Sam” lo riprese il Capitano, che gli stava implicitamente chiedendo di stare dalla sua parte.
“Mi dispiace, amico. Ma Capitan America che perde la sua autorità è una cosa che non capita tutti i giorni. O almeno, non quando non c’è Tony nei paraggi.”
 
“Sottovalutate il mio giudizio di valutazione. Sono abbastanza consapevole di cosa posso o non posso fare.”
Il super soldato incrociò le braccia al petto e fulminò entrambi i suoi malfidati colleghi con gli occhi.
“Steve, tu saresti pronto a lanciarti da solo contro un esercito di mostri se fosse necessario. E lo faresti senza esitare.”
Anthea si era fatta seria e, al tempo stesso, c’era una profonda consapevolezza nel suo sguardo, ora più morbido.
“Altroché se lo farebbe” confermò Wilson, che si ritrovò ad ammettere che lui lo avrebbe pure seguito. Ciò che aveva detto Anthea, però, non poteva effettivamente realizzarsi, e non perché Steve non ne sarebbe stato capace, ma perché non sarebbe mai stato solo, Sam ne era convinto.
 
“In ogni caso, dovete venire dentro. Credo di aver trovato un passaggio segreto.”
Anthea indicò l’ingresso del Forte e pose fine alla questione.
Di conseguenza, Rogers riacquistò in un attimo la concentrazione necessaria a portare a termine il lavoro.
“Andiamo allora.”
 
Risalirono verso il Forte e si introdussero all’interno. Anthea li guidò attraverso i corridoi di pietra grezza poco illuminati e silenziosi. C’erano diversi uomini dell’Hydra privi di sensi sparsi qua e là, segno del precedente passaggio della ragazza. Lo SHIELD sarebbe arrivato a momenti per ripulire tutto e prendere in custodia i soldati dell’Hydra.
Scesero una rampa di scale stretta fra grigie mura rocciose, fino ad arrivare in una stanza umida e piena di armi, ammassate in casse di legno e malamente coperte da pesanti teli di plastica.
Anthea arrivò fino ad una parete metallica spoglia e che stonava rispetto quelle di pietra grezza che l’affiancavano. La parete era stata ammaccata e lì a terra giaceva un uomo incosciente.
 
“Un lancio fortunato” fu il commento di Steve.
“Vedete il meccanismo d’apertura?” chiese invece Sam e ci rimase quasi male quando la ragazza buttò giù la parete, senza pensarci troppo.
“Dopo di voi” li invitò infine ad entrare.
 
Si ritrovarono così all’interno di uno stanzone illuminato da nude lampadine pendenti dal soffitto. Ciò che trovarono li fece gelare sul posto.
C’erano almeno cinque tavoli operatori con sopra corpi privi di vita, storpiati da suture realizzate con precisione maniacale. Gli scaffali metallici erano stati completamente svuotati e i due computer presenti erano stati distrutti. Addossati alle pareti c’erano altri quattro corpi morti e alcuni di essi erano stati mutilati. Nel centro troneggiava una macchina per effettuare il lavaggio del cervello, molto simile a quella presente nella base dell’Hydra sotto le macerie del Triskelion.
 
“Quel bastardo sapeva che saremmo arrivati.”
Sam era sconvolto e incazzato, ma ebbe i brividi nel notare le espressioni di Steve e Anthea. Che per loro due fosse una questione personale era più che evidente.
 
La giovane si riscosse e spostò l’attenzione sul super soldato.
“Usciamo da qui. Non c’è più niente che possiamo fare. Lo SHIELD penserà al resto.”
Rogers non si mosse.
“Steve, andiamo” insistette lei e lo afferrò per un polso, cercando di smantellare la palpabile tensione che era venuta a crearsi fin troppo velocemente.
 
Fu allora che Sam si piazzò davanti al Capitano e gli strinse la spalle con le mani, calamitando su di sé il suo sguardo chiaro e freddo.
Il pararescue si mostrò tranquillo e deciso. Non era la prima volta che vedeva l’amico in quelle condizioni. Era stato mesi e mesi in viaggio con lui, alla ricerca di Barnes, e momenti di forte tensione, che quasi avevano rasentato la perdita del controllo, c’erano stati, eccome se c’erano stati.
“Questo vuol dire che siamo sulla strada giusta, Steve. Ci stiamo avvicinando e presto lo metteremo con le spalle al muro, perché non avrà più dove nascondersi.”
“Non sappiamo nemmeno che faccia abbia” protestò il ragazzo e strinse con violenza i pugni.
“Ma sappiamo che è intenzionato a portare avanti la vita da dottor Frankenstein, quindi gli servono attrezzature che difficilmente passano inosservate. Lo troveremo. Gli Avengers e lo SHIELD stanno lavorando strenuamente solo per questo e credo fermamente che non ci sia la possibilità di fallire.”
Sam mantenne il contatto visivo con Steve, finché non percepì i muscoli delle spalle rilassarsi sotto le proprie dita.
“Certo, siamo un pochino rallentati da Ross e dal Consiglio di Sicurezza, ma se questo è il prezzo da pagare per rimanere insieme, Barnes compreso, allora va bene così.”
Steve, suo malgrado, si ritrovò ad annuire con fare stanco e rivolse all’amico un mezzo sorriso.
“Grazie, Sam. Io …”
 
“Capitano Rogers.”
 
L’attenzione dei tre Avenger fu attirata dall’ingresso di un manipolo di uomini dello SHIELD, guidati dalla Hill.
 
“Fury vi vuole. Lì fuori abbiamo scovato un uomo che potrebbe fornirci indicazioni utili. Di ciò che rimane qui ce ne occupiamo noi.”
 
“Va bene. Fate attenzione” le disse Rogers, mentre si muoveva in direzione dell’uscita.
 
“Non preoccuparti. Ti contatterò se troviamo qualcosa” gli assicurò la Hill.
 
Sam e Anthea seguirono il super soldato, dopo aver salutato la Maria. L’oneiriana sollevò poi il pollice verso l’alto, in direzione di Wilson, ricevendo in cambio un occhiolino.
 
Dopo aver ricevuto un passaggio da parte di un jet messo a loro disposizione, i tre Avengers giunsero all’interno dell’Helicarrier e, più precisamente, nella sala comando, dove Fury li stava aspettando.
Vicino al direttore c’erano due agenti che tenevano in custodia un uomo dai capelli scuri, facente parte dei soldati dell’Hydra messi fuori gioco durante la missione. La parte superiore della divisa scura dello scagnozzo era stata aperta e al di sotto di essa era visibile un camice bianco.
 
“Abbiamo impedito che si suicidasse, ma non siamo ancora riusciti a farlo parlare” spiegò Fury, visibilmente incazzato e con la pazienza ormai quasi esaurita.
 
L’uomo sollevò il capo e puntò gli occhi castani in quelli chiari di Capitan America. Piegò un angolo della bocca verso l’alto e parlò con tono quasi divertito e pungente, dando prova evidente della scarsa sanità mentale in suo possesso.
“Il dottor Lewis ti manda i suoi saluti, Steve. Verrà a prenderti presto.”
 
Rogers scattò e afferrò l’uomo per il bavero del camice con entrambe le mani, sollevandolo da terra di qualche centimetro.
“Te lo chiederò una sola volta. Dov’è Adam Lewis?”
L’uomo scoppiò a ridere e non si fermò nemmeno quando il super soldato lo scosse con una certa violenza.
“Le tue minacce non mi toccano.”
In risposta, la mascella del biondo si contrasse e lo sguardo si fece tagliente e glaciale. Una voce, seguita da un tocco deciso sulla spalla destra, lo sottrasse ai fumi della rabbia, dandogli indietro un po’ di lucidità.
“Lascia provare me” si propose Anthea, che si era avvicinata senza che lui se ne accorgesse.
Rogers mise giù l’uomo, che tornò nelle mani degli agenti dello SHIELD.
“Vorrei un po’ di privacy direttore Fury, se per lei non è un disturbo” aggiunse la ragazza, con estrema calma.
Nick guardò il Capitano e, ricevuto un segno d’assenso, si adoperò a soddisfare la richiesta.
 
Non molto dopo, Sam, Steve e Fury si ritrovarono ad attendere fuori da una stanza. Al silenzio dei primi minuti si sostituirono grida terrorizzate, che sfociarono presto in suppliche.
“Lo sta ammazzando?” chiese Sam, mentre immaginava il corpo dell’uomo che veniva fatto a pezzi.
“Sta’ tranquillo. Credo che non lo stia nemmeno toccando” fu la ferma risposta di Rogers.
 
Non dovettero attendere più di quindici minuti, prima che la porta venisse aperta. La ragazza allora si affacciò per invitarli ad entrare e la sua espressione delusa fece sospirare debolmente il biondo.
Nick fu il primo a farsi avanti, seguito dal Capitano e da un Sam Wilson non troppo tranquillo, nonostante la rassicurazione ricevuta.
Nella familiare stanza dalle pareti metalliche c’era un grande e rotondo tavolo nero lucido, intorno al quale stanziavano sedie girevoli dalle sedute imbottite. Il super soldato osservò Anthea lasciarsi cadere su una delle sedie e fu abbastanza lucido il ricordo che seguì quel semplice ma significativo scenario. Fu come riavvolgere il nastro di una videocassetta e rivedere la ragazzina gracile, spaventata e confusa che tre anni prima gli Avengers avevano salvato dai Demoni della Notte. Gli Avengers allora erano solo agli inizi e Fury, nonostante credesse in loro, era ancora restio a conferire alla squadra la piena e totale fiducia. A pensarci bene, in tre anni ne erano successe di cose. Ogni membro della squadra aveva affrontato un cammino tortuoso e aveva dovuto attraversare grossi cambiamenti per arrivare dove era adesso. Nonostante tutto, la stima e la fiducia fra loro non aveva fatto che crescere e maturare, fino a renderli capaci di affrontare anche catastrofi che potevano apparire insormontabili.
Rogers stesso si rese conto dei progressi da lui fatti da tre anni a questa parte. Adattarsi al nuovo secolo, guadagnarsi la stima e la fiducia di persone non avvezze a concederle, diventare più forte e arrivare alla consapevolezza di possedere ancora un ruolo, nonostante fosse fuori dal proprio tempo. Forse, l’unica costante era relativa al fatto di star combattendo l’Hydra, sopravvissuta anch’essa negli anni.
Il Capitano posò l’attenzione sull’uomo che era stato sottoposto ad interrogatorio. Era abbandonato su una delle sedie, aveva lo sguardo assente puntato sulla superficie del tavolo, il volto era pallido e sudato, ma non riportava alcuna ferita o segno di tortura fisica.
 
Anthea prese la parola, senza ulteriori indugi.
“Non sa dove si trova Lewis. Stanno portando avanti le sperimentazioni, ma le informazioni in suo possesso sono irrisorie. Lewis è molto prudente e propenso a non condividere più del necessario. Lo so, è abbastanza deludente. Questo tizio è solo una pedina di poco conto.”
Non ci fu nulla da aggiungere e la questione venne archiviata. Non avevano ancora nulla su Lewis, mentre il dottore sembrava essere sempre un passo dinanzi a loro.
 
Non molto dopo, Steve, Sam e Anthea stavano per salire su un jet che li avrebbe riaccompagnati alla Tower, quando Fury richiamò l’oneiriana.
“Questo è per te, ragazza.”
Le consegnò un fascicolo contenuto in una busta ocra.
“Cos’è?” chiese lei, abbastanza interdetta.
“Documenti per, diciamo, essere riconosciuta sulla Terra, e informazioni su tua madre.”
 
Anthea strinse la presa sui file cartacei e annuì, non mostrando alcuna emozione in particolare.
Fury allora li congedò, raccomandando loro di fare attenzione.
 
 
*
 
 
Steve bussò alla porta un paio di volte e rimase in attesa, finché una debole voce non lo invitò ad entrare. La trovò seduta sul letto, con indosso una tuta e la maglia nera che gli aveva portato via il giorno precedente. Aveva ancora i capelli umidi e lo sguardo era fisso sui fogli sparsi sulle coperte.
Si sedette sul bordo del letto, al suo fianco, e la osservò divorare con gli occhi le informazioni che mai si sarebbe aspettata di poter ottenere. La lasciò fare, senza rompere il silenzio, finché non fu lei stessa a parlare.
 
“Era un medico. Viveva a Boston e sarebbe stata trasferita a Washington, se non fosse scomparsa prematuramente. Aveva trentaquattro anni quando è morta.”
 
Lei non lo stava ancora guardando. Lo sguardo era perso in pensieri capaci di rendere più vacue le iridi blu. Dalla sua espressione non traspariva nulla, quasi stesse avendo a che fare con qualcosa di poco conto, ma Steve sapeva che quella facciata avrebbe finito per sgretolarsi.
 
“Non risulta sposata, ma è riportato un congedo per maternità.”
 
La ragazza prese una foto che era stata allegata al fascicolo e, dopo averla guardata con cura, gliela porse, incrociando finalmente lo sguardo con lui.
Nella foto era ritratta una donna dai lunghi capelli castano scuro e dagli occhi chiari e limpidi. Il naso leggermente all’insù e il sorriso dolce erano sorprendentemente familiari, Steve dovette ammetterlo e, senza pensarci, spostò gli occhi su Anthea e poi di nuovo sulla foto.
 
“È morta poche ore dopo il parto. E la mia presenza è scomparsa con lei. Sicuramente opera di mio padre, che praticamente è come se non fosse mai esistito, dato che su di lui non c’è alcuna informazione. Credo sia da lui.”
Anthea fece una breve pausa e si prese quegli attimi per riflettere.
“Chissà se è riuscita a tenermi fra le braccia anche solo per qualche attimo...” si chiese infine, con voce poco ferma.
 
Ed eccole lì, le prime crepe sulla maschera composta che la giovane si era ostinata a mantenere.
Steve le circondò le spalle con un braccio e l’attirò a sé con gentilezza, ma rimase in silenzio, perché le parole sarebbero state di troppo.
Anthea portò una mano a coprire il viso e respirò profondamente. Era tutto così scombussolante per lei. Nella sua vita stavano avvenendo grandi cambiamenti e d’improvviso si sentì persa. La presenza del biondo al suo fianco, però, fu sufficiente a far sparire la sensazione di disorientamento e si riappropriò della lucidità necessaria a mettere fine a quell’attimo di debolezza e di immersione in un passato incasinato.
“Una vita per una vita” si lasciò scappare, in un sussurro appena udibile.
 
“Questo non è vero” intervenne allora Rogers e la fece sussultare per l’enfasi con cui era scattato.
 
L’oneiriana scoppiò a ridere e quella reazione provocò il repentino sollevamento del sopracciglio destro del super soldato.
“Sai, non so se sentirmi offeso. Ero serio.”
“Perdonami Steve, ma ti sto amando parecchio in questo esatto momento.”
Era solita uscirsene con frasi del genere, ma riusciva ancora a farlo rimanere abbastanza spiazzato.
 
“Quindi da oggi sono Anthea Reyes” disse poi la ragazza, mentre prendeva fra le mani i documenti che attestavano la sua esistenza sulla Terra. Sembrava essersi del tutto ripresa dal brutto momento di poco prima.
“Qui risulta che Evelyn ha un fratello più piccolo. Liam Reyes. Ha cinquant’anni e una famiglia. Sua madre è ancora in vita, mentre suo padre è deceduto qualche anno fa.”
“Vorresti incontrarli?” gli venne naturale chiedere, di fronte l’espressione leggermente accigliata della giovane.
“Oh, certamente. Andrò da loro e dirò ciao, sono la figlia di Evelyn creduta morta e dopo ventidue anni credo che sia arrivato il momento di fare la vostra conoscenza.”
Era palese l’ironia insita in quelle parole e Rogers scosse il capo, senza provare a replicare in qualche modo. Anthea aveva bisogno di tempo per metabolizzare tutto e per superare quel subbuglio interiore che cercava di non dare troppo a vedere.
 
Dopo un momento di silenzio, la ragazza prese tutti i fogli sparsi sul letto e li rimise nella cartella color ocra, che abbandonò sul letto senza troppe cerimonie.
Steve fece per dire qualcosa, ma un energico bussare alla porta fu seguito dall’ingresso di Wilson.
 
“Sì, Sam, mangiamo volentieri qualcosa.”
 
“Tu sì che mi conosci, amico” replicò il pararescue.
 
“Mi sono persa qualcosa?”
 
“Solo due disperati che vengono a bussare alla porta di casa mia, perché tutti quelli che conoscono li vogliono morti.”
 
 
 
 
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Marzo 2015
 
 
“Senti, Steve...”
 
L’interpellato le rivolse l’attenzione, sollevando lo sguardo dal tablet e, più precisamente, dai dati raccolti da Tony su altri possibili insediamenti dell’Hydra.
 
“Stavo pensando che mi piace il modo in cui ti muovi e mi chiedevo se potessi, insomma, insegnarmi qualcosa.”
 
“Di cosa stiamo esattamente parlando?”
 
Anthea, di fronte l’espressione abbastanza confusa del super soldato, non riuscì proprio a trattenersi e scoppiò a ridere.
“Del tuo stile di combattimento. Cosa credevi?”
 
“Non credevo nulla” fu la rapida e secca risposta del biondo, che evitò di guardarla direttamente negli occhi.
 
Il sorriso di Anthea si allargò, assumendo sfumature maliziose e provocanti e sulla faccia di Steve si disegnò la realizzazione relativa a ciò che stava accadendo in quell’esatto momento.
 
“Non ti azzardare a ...”
 
“Entrare nella tua testa? Troppo tardi.”
 
“Questa me la paghi.”
 
Il super soldato scattò in piedi, ma lei fu più veloce e si tirò indietro prima che lui potesse afferrarla. Anthea sgusciò fuori dalla stanza, gridandogli un “Ti aspetto in palestra, Capitano dai pensieri poco casti!”
Lui la inseguì subito dopo e, mentre correva verso l’ascensore, incrociò Bucky con dei fogli per le mani.
“Allenamento pomeridiano. Ti unisci?” cercò di smorzare l’imbarazzo, ma il sorrisetto di James non aiutò affatto, anzi.
“Volentieri, Capitano dai pensieri…”
“Buck!” lo interruppe e poi lo guardò malissimo, con una mezza intenzione di minacciarlo, in modo da assicurarsi che quella faccenda non uscisse da lì, o sarebbe stato tragico.
“Comunque ci sto. Passo il rapporto della missione di ieri a Barton e vi raggiungo.”
Rogers annuì e, dopo aver subito un ultimo sguardo divertito e ammiccante da parte dell’amico, decise di prendere le scale, in modo da avere abbastanza tempo per ricomporsi.
 
Quando arrivò in palestra, trovò Anthea sul tatami verde, intenta a stirare i muscoli delle spalle e della schiena. Aveva indosso una maglia nera a maniche lunghe e dei pantaloncini scuri aderenti, che aveva tenuto sotto la tuta lunga, prova che aveva avuto quell’idea già dalla mattina. I capelli, ora lunghi fino alla punta delle spalle, erano raccolti in una coda alta e diversi ciuffi più corti degli altri le ricadevano sulla fronte.
 
“Pensavo ti fossi perso. Quando vuoi, cominciamo.”
 
‘È in vena di provocazioni’ fu il pensiero del super soldato e stava per rispondere a tono, quando James si presentò in palestra, salutandoli con un’espressione non del tutto neutrale in viso.
 
Fecero per organizzare l’allenamento, ma furono interrotti praticamente subito.
 
“Cap, ho bisogno di te, quindi a me l’attenzione.”
Tony fece il suo ingresso in palestra, sgargiante e pieno di buoni propositi, o almeno buoni lo erano sicuramente per lui.
 
“Cosa vuoi, Tony?” chiese per forza di cose il Capitano.
 
“Devo chiederti un favore e non puoi dirmi di no, quindi molla qualunque cosa tu stia facendo, perché ho della roba che devo assolutamente provare e sei un buon soggetto per la sperimentazione. Avevo pensato a Thor, ma forse è troppo presto e ...”
 
“Va’ al punto.”
 
“Frigido. Vuoi che vada al punto? Benissimo. Sei disposto a colpirmi?”
 
E nonostante l’assurda stranezza di quella domanda, Steve si ritrovò a piegare le labbra in un sorrisetto di sfida.
“Sono molto disposto. Sarà un piacere aiutarti.”
 
“Non so se essere commosso da questa tua voglia di prestarmi aiuto o offeso per il sottinteso relativo al fatto che non ti dispiace attentare alla mia salute. Poco male, sarò entrambe le cose contemporaneamente.”
 
Anthea cercò di intromettersi fra i due e di dire qualcosa, ma finì per rimanere ad osservare Rogers raggiungere Stark al centro della palestra.
Steve l’aveva appena liquidata?
“Posso allenarmi io con te, se vuoi” la richiamò James e le strinse una spalla con la mano umana.
“Sai che te la sta facendo pagare per qualsiasi cosa tu abbia fatto prima, vero?” aggiunse poi il moro, con voce più bassa.
L’oneiriana intercettò uno sguardo del Capitano e la scintilla che vi intravide la fece infiammare, tuttavia si impegnò a rimanere indifferente. Steve voleva la guerra? Ottimo, l’avrebbe avuta.
 
Stark toccò l’orologio dal lucido cinturino argentato che portava al polso. Dal quadrante iniziò ad espandersi una lega metallica rossa e gialla che, in pochi secondi, gli ricoprì il corpo fino al collo, lasciando solo la testa scoperta. La nuova armatura era più slanciata e sembrava anche meno pesante, due ottime qualità per sostenere combattimenti ravvicinati, dove flessibilità e velocità erano fattori determinanti.
“Impressionato?” chiese Iron Man e l’istante dopo l’elmetto prese forma e gli coprì il viso dall’espressione palesemente eccitata.
“Abbastanza, lo ammetto. Cos’è?”
“Nanotecnologia, Cap. Niente magie oscure, puoi stare tranquillo.”
Steve scosse il capo e puntellò le mani sui fianchi.
“Posso iniziare a prenderti a calci adesso?”
“Quando vuoi, Brioso Attempato.”

Ci provarono ad ignorarli, all’inizio, ma sia Bucky sia Anthea finirono per rivolgere la loro attenzione ad Iron Man e Capitan America, i quali stavano decisamente facendo scintille. In realtà, quei due facevano sempre scintille quando erano assieme, in un modo o nell’altro.
Da notare era che Steve aveva addosso solo la parte inferiore della stealth, con annessi stivali, ma non c’era niente a proteggergli il busto, se non una fine maglietta grigia. Non aveva neppure lo scudo e Tony non ci stava andando troppo piano.
Tuttavia, Rogers era in vantaggio per il momento. I suoi colpi si susseguivano precisi e veloci, senza lasciare lo spazio per il contrattacco dell’avversario.

“JARVIS, analizza il suo schema di combattimento ed elabora una controffensiva” furono le parole che Stark rivolse alla sua stessa armatura.
Il problema di Steve era non avere un perfettamente saldo centro di equilibrio. Un’arma a doppio taglio che lo rendeva più scattante ed imprevedibile, ma faceva delle sue gambe un punto particolarmente precario. Quindi Tony doveva puntare alle gambe ed esultò quando l’armatura imprigionò entrambi i polsi del super soldato nelle mani metalliche e passò al contrattacco, mirando nel punto debole individuato.
Rogers fu costretto a chiudersi in difesa, mentre cercava di recuperare il baricentro messo a durissima prova.
“Mi sto annoiando!” lo provocò Stark.
Il Capitano non rispose alla provocazione, troppo occupato a proteggersi dai colpi, alcuni dei quali smontarono la sua difesa e andarono a segno.

“Ora cambia tattica. Sta’ a guardare” disse James ad Anthea.
La ragazza sapeva che il biondo fosse davvero un portento nel corpo a corpo, tanto che lei stessa aveva difficoltà a contrastarlo senza l’uso dei suoi poteri. Osservò Steve - il traditore che l’aveva abbandonata - incassare un pugno in pieno costato e rispondere subito dopo con una combinazione di ganci e montanti che spiazzò Iron Man e lo costrinse ad indietreggiare.
Il super soldato sapeva dove colpire e l’armatura scricchiolò sotto la sua forza. Stark attivò i propulsori e schizzò in aria, così da sottrarsi all’assalto.

“Scappi, Stark?”
Sul viso del Capitano prese forma un sorrisetto sfrontato.

“Affatto. Mi piace osservare le cose dall’alto” fu la replica poco credibile e affannata di Tony.


“Avanti, Tony, impegnati! Così gli fai il solletico” gridò Anthea, di punto in bianco, e quell’Idiota del suo ragazzo perse la concentrazione quel tanto che bastò a Tony per centrarlo con un raggio di energia e mandarlo faccia a terra.

“Beccato” gongolò Stark, ma poi si rese conto che l’oneiriana stava venendo verso di loro e gli venne da pensare che forse quell’ultimo colpo avrebbe anche potuto evitarlo. Forse. Però la ragazzina aveva fatto il tifo per lui, giusto?

Rogers si rialzò, tenendosi l’addome con una mano, e intercettò Anthea appena in tempo per capire che il suo obiettivo non era Tony. E difatti fu costretto a parare con gli avambracci un colpo diretto in faccia, ma non poté fare nulla per quello che gli arrivò dritto allo stomaco. E fece male.

“Avanti, traditore. Vediamo di fare sul serio” chiosò la ragazza, decisa a prendersi la rivincita, dopo che l’Idiota l’aveva liquidata su due piedi, senza pensarci due volte.

Iron Man, avvantaggiato dalla distrazione generale, prese Steve alle spalle e lo bloccò, avvolgendolo con le braccia metalliche.
“Coalizione?” propose, rivolto alla ragazza.
“Così è scorretto” fu l’immediata protesta di Rogers.
Anthea fece spallucce e sorrise in un modo tale da far venire i brividi a entrambi i Vendicatori. Tony pensò che sarebbe stata perfetta per interpretare la parte della psicopatica in un film.

“Ci sto, Tony. E in quanto a te, ti lascio scegliere. Quale occhio vuoi nero, traditore?”

Steve sbiancò, consapevole di averla fatta arrabbiare sul serio. Forse aveva un tantino esagerato a liquidarla come aveva fatto.
“Sei nei guai, Cap” infierì Tony, non accennando ad allentare la presa su di lui.
La minaccia della ragazza, però, non si concretizzò, perché James decise di partecipare ai giochi. Il braccio di metallo sfiorò il viso di Anthea, spostatasi all’ultimo momento.
“Due contro due?” suggerì il Soldato d’Inverno, lanciando a Steve uno sguardo d’intesa, mentre Tony cominciava a sudare freddo, date le premesse di quello scontro.
Ma come ci erano arrivati poi?
Non si seppe bene come, ma si ritrovarono a darsele di santa ragione, in un aggrovigliarsi di braccia e gambe. E non era che ci fossero proprio degli schieramenti, dato che a un certo punto Rogers dovette difendersi anche da Bucky. Senza parlare di Stark e la sua tattica alla cieca, anche se il biondo rimaneva il suo bersaglio privilegiato - e la cosa sarebbe stata reciproca, se Steve non fosse stato tanto concentrato a proteggersi dalla sua ragazza, che lo stava affrontando sul serio, senza troppe remore.
Non passarono nemmeno dieci minuti, prima che il casino che stavano facendo raggiunse gli abitanti dei piani alti della Tower.
 
“Questa è una delle cose più esilaranti a cui abbia mai assistito” confessò Clint, una volta arrivato nella palestra e Sam non poté che essere d’accordo con l’arciere.
“Vado a prendere arco e frecce.”
“Tu non vai da nessuna parte, o mi butto nella mischia anche io. A te la scelta” minacciò Natasha, che non voleva che suo figlio perdesse il padre ancor prima di nascere.
E Barton si arrese immediatamente, perché non sia mai che Natasha mettesse piede su un campo di battaglia, non con quella curva tondeggiante che aveva da un po’ preso il posto del ventre piatto.
Banner non ci pensò nemmeno a unirsi, ma rimase volentieri a guardare i suoi amici prendersi a pugni senza un reale motivo, notando però come evitassero di procurarsi danni troppo seri.
Ovviamente, nessuno tentò di trattenere Thor, che si gettò nella mischia come un bimbo felice, con gli occhi luccicanti, fin troppo entusiasmo, ma fortunatamente senza il martello.
Pepper giunse qualche minuto dopo, preoccupata dalle lievi scosse che l’avevano distolta dal lavoro d’ufficio. La preoccupazione sparì una volta venuta a conoscenza della causa di tutto.
A quel punto, Barton aprì le scommesse su chi ne sarebbe uscito peggio e chi meglio e Wilson gli diede corda immediatamente.
 
“Per meglio, sono indeciso fra Thor e Anthea. Quei due sono ossi duri. Per peggio, forse Tony, lo vedo in difficoltà. Però la ragazza sembra avercela con Steve, quindi potrebbe essere Steve” ragionò Falcon, che aveva deciso di restarne fuori per autoconservazione.
“Però anche Barnes potrebbe uscirne peggio” rifletté Clint.
“Non direi da come si muove. Steve rischia di più, ne ha troppi addosso” rettificò Natasha, prima di aggiungere “Però Thor è su Tony, adesso.”
 
“Thor, piano!” fu difatti il grido di Stark, che aveva già cominciato a pensare ad un piano di ricostruzione della palestra prima e della sua armatura dopo. L’asgardiano gli stava smantellando l’armatura nuova, seppure non ancora pronta ad essere utilizzata sul campo di battaglia.
 
Nel frattempo, James e Anthea erano entrambi su Rogers, che stava rimpiangendo il non aver portato con sé lo scudo. Cercò in tutti i modi di gestire la situazione, ma poi scattò verso Thor e gli saltò addosso, buttandolo a terra, dando così la possibilità a Tony di scagliarsi contro Barnes e la Reyes - dopo che Fury aveva iniziato a chiamarla così per questioni di formalità, la cosa si era diffusa alla Tower ed era stata giustificata come un escamotage per farle fare l’abitudine.
Il piano di Steve non andò a buon fine, perché Stark si gettò su di lui invece, mentre Thor mostrava di avere tutta l’intenzione di ripagargli il colpo subito.
Forse passò un’ora buona, prima che la lotta sfrenata giungesse ai risvolti finali. Gli spettatori, dopo essersi divertiti a discapito dei compagni implicati in quel casino, avevano annunciato il loro ritiro.
Tony fu il primo ad abbandonare e fu un miracolo che la sua armatura fosse ancora abbastanza funzionante, anche se aveva cominciato a dare i numeri, lasciandogli chiazze scoperte qua e là sul corpo.
Invece, Rogers si ritrovò schiacciato sul pavimento, con Anthea sulla schiena. La ragazza gli teneva entrambe le braccia ben ancorate poco sotto le scapole con una sola mano - e un aiutino psichico -, mentre l’altra mano era ferma tra i suoi capelli, impegnata a premergli lo zigomo sinistro a terra.
“Dichiari la tua sconfitta, traditore?”
“Tu sei entrata nella mia testa senza permesso” tentò di giustificarsi il biondo, come ultima possibilità per ammorbidirla.
Barnes se ne tirò fuori e lanciò a Stark uno sguardo divertito, venendo sorprendentemente ricambiato. Non volevano perdersi la scena, che si fece ancora più interessante nel momento in cui il Capitano decise saggiamente di non continuare ad opporre resistenza.
 
“Andate avanti voi. Noi due dobbiamo risolvere un paio di questioni. Ci vediamo a cena.”
Anthea avrebbe voluto sembrare più minacciosa, ma un sorriso le increspò le labbra, perché tutto quello la divertiva parecchio.
 
“Buona fortuna, Rogers” fu il saluto di commiato da parte di Stark, mentre James si limitò a rivolgere alla ragazza uno sguardo che diceva chiaramente ‘non fargli troppo male’.
 
“Se mi lasciate solo, avrete la mia morte sulla coscienza” gridò Rogers ai due, ma fu bellamente ignorato.
“Thor, almeno tu” tentò, come ultima spiaggia.
“Mi dispiace, Steve, ma è bene che tu risponda delle tue azioni.”
E cercò di sembrare serio, Thor, ma fallì miseramente.
 
Suo malgrado, Anthea rise, anche se non allentò la presa sul super soldato.
“Mi stai facendo male” protestò lui, che cominciava a percepire fastidiosi formicolii lungo le braccia costrette dietro la schiena, senza contare le stilettate provenienti dallo zigomo sinistro pressato a terra. Lei era ben consapevole di averlo colpito proprio lì durante l’azzuffata e gli sarebbe uscito un bel livido.
“Vuoi ancora farmela pagare, tesoro?” domandò la ragazza e il modo in cui pronunciò tesoro gli provocò un brivido lungo l’intera colonna vertebrale.
“No, mi arrendo” bisbigliò lui, pentito di averla liquidata con fin troppa tranquillità prima. Sapeva essere vendicativa, a volte.
“E io che volevo solo qualche insegnamento sul corpo a corpo. Posso ancora averlo, vero?” gli chiese.
“Sì, ma solo se mi lasci andare. Non è che stia proprio comodo.”
Anthea sbuffò con finto fastidio e mollò la presa, scostandosi da sopra di lui. Steve si mise seduto e passò una mano dietro il collo indolenzito, mentre lei si accovacciava davanti a lui, in modo da portare i loro occhi alla medesima altezza. Gli prese il mento fra le dita, studiando la chiazza violacea già visibile sotto l’occhio sinistro, e poi lo lasciò andare.
“Tu e Bucky eravate d’accordo. Mi avete colpito nello stesso punto” le fece presente il biondo.
“Accusa infondata. È stato un caso fortuito. E poi, al massimo, è lui che ha la mano pesante.”
“E di metallo” aggiunse lui, corrugando appena la fronte quando la compagna gli premette un dito sullo zigomo tumefatto.
“Non infierire” la riprese e le scostò il braccio, per poi fulminarla con lo sguardo.
Anthea rise e si spinse in piedi. Steve la imitò poco dopo.
 
“Perché vuoi così tanto degli insegnamenti da me?”
 
“Come ti ho detto, mi piace il tuo stile e penso che possa rendermi più forte e preparata in caso non potessi usare i miei poteri. E parlando di combattimenti...”
La giovane esitò.
“Non è che ti andrebbe di accompagnarmi fra un paio di giorni ad Asgard?”
Rogers rimase abbastanza interdetto e questo portò la ragazza a spiegarsi meglio.
“Dovrò affrontare Andras in un combattimento. Fa parte del rito di passaggio. È un modo per dimostrare al popolo che il nuovo re ha la forza necessaria per proteggerli. Lui si sarà allenato molto in questi mesi. Dopo il combattimento, gli passerò ufficialmente la corona. In meno di dodici ore sarà tutto finito. So che qui c’è ancora un casino a causa l’Hydra e che forse non ti lasceranno partire ma... insomma, diciamo che potrei aver bisogno di supporto morale?
“È una domanda o un’affermazione?”
L’espressione di Steve si era fatta più morbida.
“Un’affermazione?
Lui sollevò un sopracciglio e Anthea sospirò.
“Un’affermazione.”
 
“Se glielo chiederai tu, non credo che Ross avrà molto da ridere.”
Il biondo le avvolse un braccio attorno le spalle e le regalò un sorriso.
“Per un solo giorno, gli altri se la caveranno benissimo anche senza di me. Inoltre, non mi dispiace prendermi una pausa da Tony.”
 
Anthea sapeva che Steve stava semplicemente smorzando la tensione che lei aveva ostentato. L’avrebbe seguita per sostenerla in un momento importante e le era bastato ammettere di volerlo accanto.
 
“Muoviamoci. Gli altri saranno preoccupati per te” lo prese in giro, dopo qualche attimo di silenzio.
 
“Hai assolutamente ragione.”
 
 
 
 
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Asgard
Città di Oneiro
 
Gli sembrò essere passata un’eternità dalla prima volta in cui era arrivato lì, assieme a Clint e Sam. Quella volta le cose non erano filate troppo lisce e l’accoglienza non era stata delle migliori, anzi, se l’erano vista abbastanza brutta. La tranquillità di Anthea gli faceva ben sperare che la situazione adesso fosse diversa, anche se in fin dei conti era lì per lei e per nient’altro, quindi avrebbe anche potuto sopportare le occhiate poco gentili che gli sarebbero state rivolte.
Il punto di arrivo era stato lo stesso della volta precedente, lontano dal cuore della città, circondato da quella distesa di particolari alberi nodosi e dalle chiome caratterizzate da colori tenui.
 
“Dobbiamo camminare un po’, giusto?” le chiese, ricordando il tragitto che li aveva portati alla città.
Lei annuì e gli rivolse uno sguardo indagatorio.
“Non devi essere nervoso. Capitan America può ritenersi il benvenuto adesso.”
“Capitan America dici? È per questo che hai voluto che indossassi l’uniforme?”
Tony aveva gentilmente rimesso a nuovo l’uniforme che Steve aveva ridotto ad una straccio bruciacchiato durante la battaglia contro Teschio Rosso. Ovviamente, l’inventore aveva specificato che quella divisa era ormai obsoleta e che stava lavorando su qualcos’altro.
“L’uniforme è per rendere le cose un po’ più ufficiali. Tu fidati di me e non preoccuparti.”
“Non sono preoccupato. Sono solo anni luce lontano da casa e non ho portato lo scudo e nemmeno l’elmetto.”
Anthea rise e gli spiattellò una mano sul centro della schiena con una certa enfasi.
“Tranquillo. Hai la testa dura.”
 
Quando imboccarono la strada costituita da ciottoli bianchi e levigati, ebbero l’impressione che la città fosse praticamente deserta e, addentrandosi, quell’impressione divenne un dato di fatto.
“Saranno già tutti riuniti nel luogo dove si terrà la cerimonia” spiegò l’oneiriana, mentre procedevano verso il palazzo.
Una volta all’interno della grande struttura, sede del Consiglio, del sovrano e di coloro incaricati di guidare l’esercito, non dovettero fare molti altri passi, prima di venir accolti.
 
“Vi ho sentito arrivare. È un piacere rivederti, Anthea. Ed è un piacere rivedere anche te, Steve.”
Damastis strinse l’oneiriana in un abbraccio e fece lo stesso con il super soldato, che fu colto alla sprovvista da quel gesto sentito.
 
“C’è ancora un po’ di tempo, prima che tutto abbia inizio. Potete attendere all’interno del palazzo. Verrò ad avvisarvi quando sarà il momento.”
Anthea annuì.
“Grazie, Damastis. Come vanno le cose qui?”
“Stiamo bene, mia cara. Sia il popolo sia il Consiglio ci hanno messo un po’ di tempo a digerire il grande e ormai imminente cambiamento. Tuttavia, in questi mesi Andras è riuscito a dare prova di essere degno di fiducia.”
 
“Come sta lui?”
 
“Sto bene, grazie per il tuo sincero interessamento” rispose una voce alle spalle dell’oneiriana, che si voltò nonostante sapesse benissimo chi avesse parlato.
“Sai, con te faccio sempre fatica a capire qual è linea che separa la serietà dal sarcasmo.”
“Ero serio, nonostante tu possa aver creduto il contrario” fu l’istantanea replica che ricevette indietro.
Anthea poté così sincerarsi del fatto che Andras stesse effettivamente benissimo. Era in ottima forma e non sembrava affatto teso, anzi, emanava un’aura di sicurezza. Era pronto e lei non poteva che esserne contenta.
Una cosa che però la stupì abbastanza, fu vedere Andras andare a stringere la mano al Capitano, che ricambiò il gesto senza indugi. Prima di rompere il contatto, i due si scambiarono anche un cenno del capo. Quelle erano certamente le conseguenze di aver condiviso il campo di battaglia, sul quale si finiva per affidarsi gli uni agli altri.
Il futuro re strinse poi la mano anche a lei, conservando una formalità impeccabile, nonostante il loro legame fosse diventato più stretto dopo la notte in cui Anthea gli aveva confessato di volergli passare il comando. Il saluto formale, però, fu accompagnato da uno sguardo intenso e da un sorriso che trasudava una certa emozione, cosa che poco si addiceva ad Andras, ma che non stonava poi troppo in quel momento.
 
“Vi lascio, figlioli. Ho delle cose da sistemare prima che tutto inizi” si intromise Damastis e li salutò senza indugiare oltre.
 
“Allora è quasi giunto il momento” disse Anthea, rivolta ad Andras.
Probabilmente era più tesa lei di quanto lo fosse lui e faticava a spiegarsi come diavolo potesse essere possibile.
“Ripensamenti?” le chiese l’oneiriano, più per correttezza che per altro, dato che la risposta era già ben nota ad entrambi.
“No, nessuno. Andrò fino in fondo.”
Su quel punto, la giovane non aveva decisamente alcun dubbio e mai ne aveva avuti. Andras si lasciò scappare una mezza risata.
“Sai, speravo di averti instillato almeno un sottile dubbio con quel bacio, ma a quanto pare mi sbagliavo.”
Lui sorrise mestamente, mentre le spalle di Anthea si irrigidivano con uno spasimo incontrollato.
Era sempre stato un tipo orgoglioso, Andras, e lei sapeva che quella era la sua piccola rivincita per essere stato respinto tempo prima. Un colpo basso e forse un pochino lo stava odiando adesso.
 
“È il momento che raggiunga la stanza della meditazione. A più tardi, Anthea. Steve Rogers.”
 
La ragazza lo osservò andare via, senza nemmeno riuscire a replicare.
“Che ne dici se raggiungiamo le mie stanze?” propose allora e rivolse un mezzo sguardo al super soldato, incontrando a malapena i suoi occhi. E fece effettivamente per muoversi, ma lui la afferrò per un braccio, bloccandola sul posto.
Nei brevissimi secondi successivi, Anthea pensò a tutti i possibili modi per giustificare il fatto di aver tenuto nascosto quel non così importante incidente. Poi il cervello le andò praticamente in tilt e, nel momento in cui si voltò per guardarlo dritto in faccia, pensò bene di prendergli, con uno slancio improvviso, il volto fra le mani e di baciarlo. Finì per spostare le dita fra i suoi capelli e lo invitò a chinarsi più in avanti, per poter assaporare meglio con la punta della lingua l’interno della sua bocca. Si divise da lui con uno schiocco secco e okay, lo ammetteva, era un tantino andata nel panico.
Le punte delle orecchie del biondo sembravano andare a fuoco, ma la sua espressione era ben lontana dall’essere imbarazzata.
 
“E questo per cos’era?” le chiese, a mezza voce.
 
“Era solo per ricordarti che ti amo tantissimo. Pronto ad andare adesso?”
Lo prese per un polso e lo esortò a muoversi, sfruttando il fatto che lui non stesse opponendo alcuna resistenza.
Passarono un paio di minuti di quieto silenzio, mentre percorrevano i lunghi corridoi.
 
“Hai baciato anche lui così?”
 
L’oneiriana quasi si strozzò con la sua stessa saliva e si rivolse al biondo con una espressione quasi indignata.
“No, certo che no! È lui che ha baciato me! Quindi no, assolutamente no e perché diavolo stai ridendo adesso?”
 
“Non ti ho visto così agitata nemmeno durante la battaglia contro Teschio Rosso.”
 
Okay, adesso stava odiando anche Capitan America e il suo stupido sorriso divertito.
“Perdonami se ho temuto che la cosa potesse ferirti. Ma visto che invece ti diverte tanto, posso dirti che Andras sa il fatto suo, quando si tratta di baciare” gli spiattellò in faccia, piccata, nonostante non lo pensasse sul serio, o almeno, non è che avesse avuto la possibilità di verificarlo fino in fondo.
 
“Questo mi ferisce.”
 
“Te la sei cercata, Idio-”
 
Stavolta fu Anthea a ritrovarsi privata dell’ossigeno, mentre Steve le infilava la lingua in bocca senza troppa gentilezza. Quella reazione era assolutamente inaspettata, tuttavia lei non aveva di che lamentarsi, tutt’altro.
“Potrei averne un altro così? Devo avere a disposizione più dati per fare un confronto imparziale.”
La giovane cercò di nuovo la bocca del biondo, ma lui le diede un colpetto sulla fronte con l’indice destro e si raddrizzò.
“Scordatelo.”
“Glaciale. Adesso sono io ad essere offesa.”
Lo punzecchiò su un fianco e in cambio lui le pinzò il naso fra pollice e indice.
“Si ricomponga, altezza” le sussurrò ad un soffio dal viso, guardandola dritta negli occhi. Poi mollò la presa e si allontanò di nuovo, tornado a muoversi ed esortandola a fare lo stesso.
“Ti odio.”
“Non avevi detto di amarmi tantissimo?” la istigò ancora, senza però né fermarsi né voltarsi a guardarla.
 
“Ritiro tutto.”
 
Steve si bloccò sul posto e lei gli andò a sbattere contro la schiena.
Anthea si massaggiò il naso dolente, per poi sollevare lo sguardo ed incontrare così quello del biondo, che adesso la stava guardando con il sopracciglio destro parecchio arcuato.
“Smettila di guardarmi così. Non funzionerà...”
E ci provò davvero a non cedere, ma il cervello l’aveva abbandonata da un po’ ormai.
“Dannazione. Mi dispiace e ritiro l’affermazione di ritirare tutto, okay?” sbottò alla fine, tutto d’un fiato.
E lui scoppiò a ridere, ricevendo per questo ulteriore affronto un’occhiataccia infervorata.
 
“Ti amo anche io, ragazza sconclusionata.”
 
L’espressione contrariata della giovane andò in frantumi in un secondo. Okay, il cervello era abbastanza fuori fase, ma era certa di aver sentito quello che aveva sentito.
Quanto tempo era passato dall’ultima volta in cui lui le aveva detto quelle due semplici parole?
Tre anni? Forse di più?
Non che lei ci avesse fatto caso o ci avesse dato troppo peso. Tuttavia, adesso che le aveva dette, qualcosa le si era smosso dentro con una certa intensità. Portarlo lì, lontano dai problemi e dai casini sulla Terra, si stava rivelando una scelta decisamente azzeccata.
 
“Devo affrontare un combattimento fra poco. Smettila di distrarmi” lo rimproverò, ma il successivo sorriso a trentadue denti, con tanto di illuminarsi delle iridi, non ebbe bisogno di essere affiancato da parole che esprimessero la sua eccitazione.
 
“Agli ordini” rispose lui, ricambiando il sorriso.
 
“Quindi sono io il capo qui?”
 
“Ancora per poco a quanto sembra.”
 
“Giusto.”
 
Una volta raggiunta la camera, passarono il tempo a loro disposizione semplicemente parlando. Steve le chiese diverse cose su Oneiro e i viaggi fatti per ritrovare il popolo disperso e Anthea fu contenta di raccontargli delle avventure nello spazio.
Gli raccontò, in particolare, lo scontro che aveva avuto con un tizio che si faceva chiamare il Gran Maestro, che aveva come hobby quello di far prigioniere creature provenienti da ogni parte dell’universo e di costringerle a combattere per intrattenimento. E la cosa assurda era che c’era un altro tizio, su un altro pianeta, che assomigliava parecchio al Gran Maestro, ed era il cosiddetto Collezionista. Quest’ultimo aveva tentato di farla diventare parte della collezione di oggetti ed esseri rari, in cambio della liberazione di alcuni oneiriani che teneva con sé come fossero cimeli. Ovviamente, lei non aveva acconsentito e, dopo aver fatto un po’ di casino, aveva portato via gli oneiriani da lì.
 
“Adesso che ci penso, dal Collezionista ho percepito un potere simile a quello emanato dal Tesseract e dallo Scettro di Loki. Forse sono armi forgiate dalla stessa persona.”
 
La giovane ci rifletté un attimo sopra, ma poi lasciò stare e, presa dai ricordi, rivelò al super soldato che girare per la Galassia era tutt’altro che sicuro, perché si potevano incontrare navi spaziali piene zeppe di criminali e mercenari. Fra i più temuti c’erano i Ravagers, che fortunatamente era riuscita sempre ad evitare.
Gli raccontò di quando era arrivata su un pianeta in cui imperversava una battaglia violenta e di aver incontrato lì una donna molto potente, che le aveva detto di provenire dalla Terra.
“Anche lei ha il titolo di Capitano” ricordò, ma il nome della guerriera le sfuggiva, dato che non avevano di certo avuto una tranquilla conversazione e si erano limitate a non intralciarsi, mentre combattevano per fini diversi.
Steve le chiese come fosse possibile spostarsi velocemente da un pianeta all’altro e Anthea gli disse che c’erano come dei punti di salto che potevano spararti da una parte all’altra della Galassia, con l’unico effetto collaterale di rovesciarti lo stomaco. Gli spiegò che i primi oneiriani che aveva trovato si erano rifugiati nei Nove Regni e loro l’avevano aiutata a muoversi agevolmente nello spazio, grazie alle loro conoscenze.
 
“La Galassia è davvero immensa e a volte spaventosa. Ho sentito parlare di un certo Thanos. Pare che sia molto temuto e che compia stragi che dimezzano la popolazione del pianeta che attacca.”
 
A quelle parole, Steve provò una stretta allo stomaco.
“Dici che c’è la possibilità che arrivi sulla Terra?”
 
“Non saprei. Ero molto lontana dalla Terra e anche da Asgard, quando ho sentito queste cose. Sembra che uno dei suoi sottoposti sia stato fermato da un gruppo di persone che si fanno chiamare i Guardiani della Galassia. Quindi credo che ci sia già chi lo sta combattendo.”
 
“Noi Avengers abbiamo già fermato un’invasione aliena tre anni fa. Guidati da Loki, questi Chitauri sono arrivati sulla Terra grazie al Tesseract.”
 
“Hai detto Chitauri?”
 
Un sommesso bussare alla porta interruppe il loro dialogo. Damastis entrò nella stanza e sorrise con fare gentile, come faceva ogni volta.
“È arrivato il momento, mia cara. Preparati. Io accompagnerò il nostro ospite d’eccezione all’arena.”
 
Anthea annuì e rivolse a Steve un ultimo sguardo, prima di lasciarlo andare con l’anziano.
Damastis condusse il Capitano al di fuori del palazzo e poi verso la foresta che costeggiava la città. Gli alberi erano alti, dai grossi rami nodosi e dalle foglie di un verde brillante. La leggera brezza che ne scuoteva le fronde creava il delicato suono di un sussurro.
 
“Non l’ho mai vista così viva come lo è adesso e non posso che esserne felice. Stai facendo tanto per lei e ti ringrazio per questo.”
Steve scosse il capo.
“È il contrario, mi creda.”
“Sono davvero costernato per quanto successo con Antares. Avrei dovuto capirlo, ma io stesso sono caduto vittima del suo imbroglio.”
“L’importante è essere riusciti a risolvere le cose” convenne il giovane, convinto.
 
La foresta si diradò, fino ad essere sostituita da un vasto spazio pianeggiante circondato da rocce che si innalzavano dal terreno, formando grandinate sopra le quali gli oneiriani si erano raccolti, in attesa.
Steve si sentì parecchi sguardi addosso, mentre avanzava al fianco di Damastis verso le gradinate. Gli unici occhi che il biondo incrociò furono quelli chiarissimi di Andras, fermo al centro dello spiazzo dal manto erboso.
Il futuro re indossava solo dei pantaloni bianchi. Era a piedi nudi e i capelli nerissimi erano raccolti in una corta coda di cavallo. La mascella dura e il portamento fiero gli davano un’aria temibile. L’addome, le braccia e il petto scolpiti dai duri allenamenti erano solcati da gocce di sudore, segno che si era riscaldato a dovere. Solo quando spostò l’attenzione da Andras, Steve si accorse dei cenni del capo che gli oneiriani gli stavano rivolgendo. Seguì Damastis verso una postazione in alto, in una frazione delle gradinate rocciose.
 
“Tutti loro sanno chi sei. Ti conoscono come colui che ha ucciso Antares e che ha quindi fatto cessare il suo influsso. Anthea ha voluto condividere con loro gli accadimenti” spiegò l’anziano.
 
Il biondo si strinse con la mano sinistra il braccio destro, pensando che riportava ancora i segni, seppur leggeri, di quello scontro. Quindi era questo il motivo per cui Anthea gli aveva detto che era ormai il benvenuto lì.
Un’acclamazione sentita lo strappò dai pensieri e ne intercettò subito la fonte.
Anthea stava avanzando verso Andras. Anche lei aveva indosso solo dei pantaloni, ma neri e stretti attorno le caviglie. Fasciature del medesimo colore le coprivano il seno e arrivavano fino allo sterno. I suoi capelli erano intrecciati a partire dall’attaccatura della fronte e l’estremità della treccia sfiorava la base del collo. Non ruppe il contatto visivo con Andras nemmeno un istante, come segno di rispetto, e si fermò solo quando fu ad un paio di passi di distanza da lui.
 
“Affrontami senza riserve, Andras” lo invitò la giovane e lui annuì, mettendo su un’espressione di sfida.
 
Era giunto ormai il tramonto della luce diurna e il cielo si era colorato di un intenso arancione.
La tensione dovuta all’attesa si infranse, non appena i due oneiriani si mossero l’una verso l’altro, collidendo. Si scambiarono scoccate e parate rapide e decise e il combattimento si fece subito serrato. I due contendenti sembravano essere in perfetto equilibrio e la loro concentrazione era decisamente sopra le righe.
Rogers osservò i movimenti di Anthea e il modo in cui i suoi muscoli affusolati si tendevano al massimo, prima di essere rilasciati solo per un brevissimo istante. Non aveva mai avuto modo di guardarla con attenzione mentre affrontava uno scontro. Si muoveva con confidenza, senza temere la possibilità di dover incassare dei colpi, e sapeva disfare le difese dell’avversario un po’ alla volta, fino ad aprirsi una breccia.
Lei aveva detto di voler imparare da lui e, doveva ammetterlo, si sarebbe divertito ad affinare quello stile, anche se poi la cosa avrebbe potuto ritorcerglisi contro.
 
Anthea affondò un pugno nell’addome di Andras, che reagì spingendola indietro con un’ondata di poteri psichici, ma lei rimase in piedi e un mezzo sorriso le piegò le labbra.
Intorno alla ragazza iniziarono a prendere forma spuntoni di ghiaccio e, una volta divenuti abbastanza grandi, le si scagliarono contro. Non le rimase altra scelta che generare attorno a sé una barriera di fiamme, che presero la forma di una bolla oltre la quale il ghiaccio non riuscì a penetrare. Si generò un fitto vapore, tanto che gli spettatori non riuscirono più a vedere gli sfidanti.
Dal fumo ne uscì prima Anthea. Un rivolo di sangue era colato dalla spalla, dove era conficcato un ago di ghiaccio, che lei rimosse con un gesto secco. Il terreno si spaccò sotto i suoi piedi e lei affondò fino all’altezza del ginocchio e poi la terra si richiuse, bloccandola sul posto.
Andras stava mostrando tutte le abilità in suo possesso. Era forte nel corpo a corpo, possedeva un’ottima padronanza dei poteri psichici e usava gli elementi intorno a sé con facilità.
L’oneiriano uscì dal fumo e le arrivò di fronte, rapido e deciso. La ragazza poté solo parare il colpo con le braccia incrociate dinanzi al viso, mentre faceva forza sulle gambe per liberarsi dalla morsa di roccia.
Andras, però, non si limitò a provare ad affondare un colpo. Le afferrò entrambi i polsi e, dai punti di contatto, la pelle di Anthea iniziò ad assumere un colorito bluastro. Quella era l’arma più devastante in possesso del futuro sovrano e rendeva il combattimento ravvicinato con lui pericoloso e poco consigliato.
Quando l’intero avambraccio assunse un colore cianotico, la giovane lasciò il via libera al suo potere, generando un’onda d’urto che fece sbalzare via di diversi metri Andras e i cui echi raggiunsero le gradinate di roccia.
 
Si levò qualche grido di sorpresa e Steve, di riflesso, pose una mano dietro la schiena di Damastis, avendo notato il suo leggero barcollare.
“Non ho più l’età per certe cose” ammise l’anziano, rivolgendogli un sorriso grato.
Un paio di piccoli oneiriani lì accanto si erano fatti prendere dall’emozione e parlavano di come anche loro sarebbero diventati forti. I loro grandi occhi chiari erano illuminati da genuina ammirazione ed erano in trepidazione.
 
Anthea aveva momentaneamente perso sensibilità dalla punta delle dita fino al gomito e utilizzò l’affinità al fuoco per riscaldare gradualmente la pelle cianotica, mentre osservava Andras rimettersi in piedi e tornare verso di lei a grandi falcate. Le stava rivolgendo un ghigno soddisfatto, segno che apprezzava il fatto di averla spinta a ricorrere al suo potere per contrattaccare.
Si scontrarono di nuovo, combattendo sia in modo ravvicinato sia a distanza, tramite le loro capacità psichiche, dando vita ad uno spettacolare combattimento, attraverso il quale il popolo ebbe la prova della forza di colui che li avrebbe guidati in futuro.
Quando calò la penombra, gli anziani del Consiglio decretarono la fine del combattimento.
 
Andras e Anthea si ritrovarono al centro dello spiazzo e si strinsero la mano.
“Sei forte, Andras, e puoi diventarlo ancora di più, ne sono certa. Sarai in grado di proteggerli” gli disse sinceramente la ragazza.
L’oneiriano le sorrise, grato del fatto che lei credesse in lui e che lo ritenesse degno di prendere il comando.
 
La penombra si fece più fitta ed era rischiarata solo dalla luce lontana della miriade di stelle che punteggiavano il cielo.
Rogers notò che gli oneiriani sulle gradinate stavano generando piccole fiammelle nei palmi uniti delle loro mani. Li osservò far lievitare quelle stesse fiammelle danzanti, che andarono a formare un ampio cerchio luminoso attorno l’arena.
Faceva un certo effetto, il super soldato dovette ammetterlo.
Le fiammelle creavano sui due oneiriani al centro dell’arena un gioco intricato di luci e ombre.
 
Andras porse le mani ad Anthea, con i palmi rivolti verso l’alto. La giovane vi poggiò le proprie mani e si strinsero a vicenda i polsi, costruendo un solido contatto.
 
“Un ciclo si chiude, affinché se ne possa aprire uno nuovo” furono le prime parole che pronunciò la giovane e che fecero eco nel silenzio, interrotto solo dalla leggera brezza che faceva frusciare le folte chiome degli alberi.
Al centro della schiena nuda della ragazza prese gradualmente forma un anello di luce. Sembrava quasi che la sua pelle fosse divenuta improvvisamente incandescente.
 
“Nelle tue mani trasferisco il potere di governare e il dovere di proteggere.”
 
L’anello sulla schiena iniziò a sfaldarsi, formando piccole gocce di luce che, scivolando verso il basso, convergevano sulla linea definita dalla colonna vertebrale.
Contemporaneamente, Andras si era fatto più teso e l’apice di uno stesso anello luminoso cominciò a prendere forma sulla sua schiena.
 
“Qui, dinanzi agli occhi di tutti, prometti assoluta lealtà e assoluta dedizione.”
 
“Prometto assoluta lealtà e assoluta dedizione.”
L’anello luminoso sulla schiena di Andras era ormai quasi completo, mentre quello di Anthea era quasi del tutto scomparso.
 
“Tieni fece alla promessa e da coloro che governerai e proteggerai, riceverai pari ed assoluta lealtà e pari ed assoluta dedizione.”
Anthea, suo malgrado, sorrise. Avrebbe dovuto rimanere seria, ma ammise che una certa emozione iniziava a scuoterla nel profondo.
L’anello su di lui era completo, mentre su di lei non era rimasta nemmeno una piccola scintilla di luce.
Era fatta.
La giovane sciolse il contatto con Andras e si rivolse direttamente agli oneiriani.
“Accogliete il nuovo sovrano e accompagnatelo durante il suo percorso. Siate la sua forza e abbiate fiducia, così come ne ho io.”
 
Gli oneiriani acclamarono il nuovo sovrano con sincero entusiasmo.
 
“Va’ adesso, ti aspettano.”
Andras, in uno slancio di pura emozione, strinse Anthea in un lungo e sentito abbraccio.
“Non ti deluderò” le sussurrò in un orecchio, prima di lasciarla andare.
“Ne sono certa, altezza.”
 
Dopo tre anni, Anthea aveva portato a termine il compito tramandatole da suo padre.
Distratta da quella nuova sensazione di leggerezza, non si accorse subito dei due oneiriani che le si erano avvicinati. Erano i combattenti che l’avevano affiancata durante molti viaggi in giro per la Galassia e con cui si era spesso allenata, per poter diventare più forte. Erano perfino venuti sulla Terra con Andras e l’avevano aiutata a riprendersi, dopo che Antares le aveva infilato la spada nello stomaco.
Hera e Loukas erano una coppia dall’affiatamento invidiabile e il loro legame era fra i più solidi che avesse mai percepito. Avevano entrambi i capelli castano scuro. Gli occhi di lei erano celesti, mentre quelli di lui di un verde chiarissimo. Mentre lui stava indossando un’armatura argenta, lei era coperta da un lungo vestito violetto, che metteva in risalto le curve del suo corpo allenato ma sinuoso.
Hera l’abbraccio con slancio.
“Mi mancherai, Annie. Verrai a trovarci?”
Anthea ricambiò l’abbraccio con la stessa intensità.
“Non sparirò, promesso. Vi affido Andras. Vi conoscete da tanti anni, quindi nessuno meglio di voi potrà aiutarlo a gestire tutta questa nuova situazione.”
“Non preoccuparti, ci penseremo noi a tenerlo d’occhio” la rassicurò Loukas, stringendola a sua volta in un abbraccio.
“E a fargli passare la delusione di essere stato respinto” aggiunse Hera e le fece l’occhiolino.
 
Anthea sorrise e spostò lo sguardo verso le gradinate. Fece cenno ai due oneiriani di seguirla e raggiunse la causa della suddetta delusione.
“Vuoi presentarcelo ufficialmente?”
Hera sembrava su di giri e Anthea annuì, ridendo sommessamente.
 
Nell’avanzare fra la folla, incrociarono Damastis.
“Lo lascio a te. Il Consiglio richiede la mia presenza.”
“Grazie Damastis. Per tutto quanto.”
“È stato un piacere, mia cara ragazza.”
 
Lasciato andare l’anziano, i tre oneiriani arrivarono finalmente alla meta designata e Anthea prese il compito di fare le presentazioni.
 
“Steve, loro sono Hera e Loukas. Hera, Loukas, lui è Steve Rogers.”
 
Rogers scoccò prima una veloce occhiata in direzione di Anthea e poi si concentrò sulle persone che aveva di fronte. Sorrise con fare amichevole e, guardandoli più attentamente, si rese conto che quelle non erano facce del tutto nuove.
“Siete venuti sulla Terra con Andras, giusto?”
 
“Esatto. Devo ammettere che la tua squadra è davvero una forza. Sembra confusionaria, ma invece segue degli schemi ben studiati, dico bene?”
Hera era sempre stata curiosa e non si fece scrupoli a chiedere qualsiasi cosa le passasse per la testa.
 
“Schemi studiati, dici? Qualcosa di simile, sì” fu la vaga risposta del super soldato, che si ritrovò a pensare a quanto gli Avengers fossero bravi ad improvvisare nelle situazioni più disperate.
 
“E a proposito, Annie ci ha raccontato un po’ della situazione sulla Terra. Come stanno andando le cose?” chiese ancora l’oneiriana dagli occhi verdi, mostrando sincero interesse.
 
“Diciamo che potrebbero andare peggio. È un periodo...”
Steve esitò.
“Complicato. Ma risolveremo le cose presto” concluse Anthea per lui e gli strinse un braccio, guadagnandosi la sua attenzione.
 
Hera scambiò uno sguardo con Loukas, per condividere con lui il pensiero riguardo la chimica fra la loro amica e l’umano coraggioso e dagli occhi mozzafiato. Loukas arricciò il naso nel sentire risuonare nella testa quell’ultima parte di pensiero espresso dalla sua metà e lei gli fece l’occhiolino.
 
“Dove vanno tutti?” chiese Steve a quel punto, notando che gli oneiriani si stavano spostando in massa, scendendo dalla gradinate.
 
“Verso il palazzo. Ci saranno festeggiamenti per l’intera notte. Voi due rimarrete?”
Fu Loukas a parlare stavolta.
 
“Rimarremo il tempo necessario per i saluti e poi torneremo sulla Terra. Diciamo che abbiamo una specie di coprifuoco da rispettare e devo riportarlo indietro per evitargli guai” spiegò Anthea, senza entrare nei dettagli. A Rogers era stato concesso il permesso di lasciare la Tower per venire su Asgard, tuttavia Ross aveva preteso il rientro del super soldato entro la fine della giornata.
 
Un oneiriano dall’armatura lucente si avvicinò al Capitano e, prendendolo quasi alla sprovvista, gli strinse la mano in un gesto di stima. Poi fece lo stesso con Anthea, ma con fare molto più amichevole.
“Sono felice che tu abbia trovato la tua strada” le disse semplicemente e la giovane lo ringraziò.
Kyros fu imitato da altri oneiriani in divisa che passarono di lì, per poi seguire il flusso diretto verso la città.
 
“Lo hai reso famoso, raccontando ciò che ha fatto” constatò Hera, rivolta ad Anthea.
 
In quel momento, una giovane oneiriana dai lunghissimi capelli neri e avvolta da un leggero vestito bianco, volle anche lei stringere la mano al super soldato, nonostante fosse visibilmente impacciata. Sue coetanee fecero lo stesso poco dopo e Steve constatò di non essere troppo a suo agio di fronte tutte quelle attenzioni.
 
“Mi ruba addirittura la scena” scherzò la giovane ex sovrana, anche se sapeva bene che il saluto definitivo da parte degli oneiriani lo avrebbe ricevuto una volta tornata in città, dove tutti si stavano radunando.
“Ti ruberebbe la scena anche se non avesse fermato Antares, credimi” volle farle presente Hera, ma glielo disse in un sussurro che solo la giovane mezzosangue poté udire.
Anthea, suo malgrado, rise.
 
Le fiammelle iniziarono a spegnersi una dopo l’altra e l’arena tornò nel buio.
Nella foresta era possibile scorgere tante piccole fiamme e, da sopra le gradinate, parevano piccole lucciole infuocate.
Il super soldato si guardò intorno. Ora che la folla si era diradata, la visuale sul paesaggio che lo circondava era completamente libera. Se spingeva lo sguardo lontano, poteva scorgere un lunghissimo ponte luminescente che pareva essere sospeso nel vuoto. Non troppo lontano era visibile una struttura che aveva la forma simile ad una punta di freccia, circondata da un alone di luce che fendeva il buio della notte. Se si concentrava abbastanza, poteva sentire lo scrosciare impetuoso di Vakuum, la cui collocazione non era troppo distante da lì.
Il giovane ripensò al fatto di essere anni luce lontano dalla Terra, su un altro pianeta. Ci era arrivato attraverso un ponte interdimensionale che aveva già percorso ben cinque volte. Aveva quasi iniziato a farci l’abitudine. Aver incontrato Loki e Thor, aver visto mostri venire fuori da un varco aperto nel cielo e averli combattuti, tutto questo era stato parecchio scombussolante e tante certezze erano crollate già allora. Praticamente si era svegliato dopo settant’anni e, senza nemmeno essere riuscito a prendere consapevolezza dei cambiamenti a cui era andata in contro l’umanità, gli era stata sbattuta in faccia l’evidenza dell’esistenza della vita al di fuori dei confini della Terra. E se Steve sapeva bene che la Terra era di per sé era incasinata - perché lo era - con i suoi conflitti interni, non riusciva nemmeno ad immaginare quanto potesse essere incasinata un’intera Galassia e ciò che gli aveva raccontato Anthea non faceva che supportare quell’idea.
La cosa che più lo spaventava - sì, lo spaventava - era sapere dell’esistenza di strade capaci di collegare mondi fra loro lontanissimi. Il Bifrost, il Tesseract e questi punti di salto rappresentavano un ingresso gratuito, rapido e impossibile da sbarrare, nell’atmosfera della Terra. Si chiese se gli Avengers sarebbero stati in grado di proteggere l’umanità da minacce di cui non erano nemmeno lontanamente a conoscenza. L’unica cosa certa era che avrebbero lottato con tutte le loro forza e l’avrebbero fatto insieme, perché insieme potevano vincere, mentre divisi avrebbero perso già prima di iniziare a combattere.
E se avessero perso, avrebbero fatto anche quello insieme.
 
Un tocco leggero sulla spalla lo riscosse dai pensieri, riproiettando la mente al presente.
“Tutto okay?”
Anthea lo stava guardando con una certa preoccupazione. Steve si accorse che Hera e Loukas non c’erano più e con loro erano andati via anche tutti gli altri oneiriani.
“Scusami, il panorama mi ha distratto.”
‘Certo, il panorama’ fu il pensiero della ragazza, che però decise di accontentarsi della risposta ricevuta.
“Vogliamo muoverci anche noi verso la città? Il tempo a nostra disposizione è quasi esaurito.”
 
“Ti seguo, Annie.”
 
 
 
Prima di unirsi alla festa, tornarono al palazzo. Anthea fece un veloce bagno ed indossò il leggero vestito nero, dalle sottili spalline e l’ampio spacco sulla schiena, con cui era arrivata su Asgard. Era di fattura oneiriana e quindi tendeva ad accostarsi al corpo, in modo tale da apparire come una seconda pelle.
 
“È simbolico vero? Il nero e il bianco. Anche durante il combattimento. E prima ho intravisto Andras vestito di bianco.”
 
“Sì, è simbolico. Fine ed inizio. In ogni caso, sono pronta. Andiamo?”
 
“Okay. Comunque, i vestiti qui non lasciano molto all’immaginazione” disse con fare abbastanza disinteressato il super soldato, come se si fosse limitato a fare un’osservazione poco utile.
“All’inizio non mi sentivo molto a mio agio, ma poi diventa abitudine. Praticamente qui puoi andare in giro mezzo nudo senza scandalizzare nessuno.”
Anthea sollevò un angolo della bocca e gli rivolse un’occhiata piena di sottintesi.
“Assolutamente no” fu la categorica risposta che lei ricevette.
“Non ti agitare, soldato. Ti stavo solo invitando a provare le abitudini locali.”
Steve roteo gli occhi, ma gli scappò comunque uno sbuffo divertito.
 
Le due ore precedenti alla partenza, Anthea le passò a salutare coloro con cui aveva trascorso gli ultimi tre anni della sua vita. Non ci furono addii, ma più che altro auguri per il prossimo futuro.
Quel giorno segnava una svolta decisiva e definitiva, un importante punto di non ritorno.
Per un lasso di tempo, immersi nel festoso affollamento, fra gruppi danzanti, brindisi pieni di entusiasmo e ripetute acclamazioni, Steve e Anthea si persero di vista e fu allora che il super soldato si imbatté in Andras e nel suo petto lasciato scoperto da quella che aveva le fattezze di una camicia priva di bottoni o chiusure di qualche genere. Non appena il nuovo sovrano lo vide, gli venne in contro e, nel tragitto che li divideva, si procurò un paio di piccoli bicchieri in vetro contenenti un liquido rossastro.
“Brinda con me, Steve Rogers.”
L’oneiriano gli porse uno dei bicchieri e il biondo ritenne che non fosse il caso di rifiutare l’offerta. Il liquido rossastro fu abbastanza forte da dargli una cospicua sensazione di bruciore nel petto, ma fece in modo di non darlo a vedere, dato che Andras lo stava guardando con un certo interesse.
Il nuovo sovrano fece un cenno ad un oneiriano poco distante e con in mano una brocca piena del liquido rossastro. Poco dopo, Steve si ritrovò con il bicchiere riempito di nuovo fino all’orlo e Andras svuotò quel secondo giro senza indugio, invitandolo così a fare lo stesso. Rogers lo fece senza pensarci troppo su.
 
“Voglio che tu sappia che ti rispetto. Ma feriscila o lascia che la feriscano e te la vedrai con me.”
 
Andras era stato deciso e conciso, non c’era che dire.
Rogers si limitò ad annuire, anche perché la sensazione di avere la testa stranamente più leggera gli impediva di pensare ad una risposta che fosse abbastanza significativa.
L’oneiriano fece riempire per la terza volta i loro bicchieri, ma stavolta il super soldato se lo vide sfilare via dalle mani e spostò lo sguardo su colei che adesso stava bevendo tutto d’un fiato il liquido che gli era stato offerto.
 
“Mi dispiace rovinarti il divertimento, Andras, ma il tempo a nostra disposizione è scaduto e preferisco che lui torni indietro sulle proprie gambe.”
 
Andras rise, colto in fallo, e si difese affermando che era certo che il ragazzo avrebbe retto anche il terzo giro senza troppi problemi. Poi, strinse loro la mano con una certa enfasi e si prodigò anche in quello che parve un abbraccio sentito.
“Sarete i benvenuti, se mai vi capitasse di voler passare da queste parti.”
 
 
 
Usciti fuori dalla città, Steve e Anthea si diressero verso il punto in cui erano arrivati quel giorno.
 
“Cosa diavolo c’era lì dentro?” chiese ad un certo punto il super soldato, che si rese conto di non avere proprio un fermo equilibrio. Quella sensazione non la provava da una vita, dato che gli alcolici sulla Terra non gli facevano nemmeno il solletico.
 
“Roba parecchio forte. Una volta ho bevuto quattro bicchieri di fila e ti assicuro che ancora mi chiedo come sono arrivata nella mia stanza quella sera.”
 
“Quel bastardo.”
Steve fu certo che Andras si era aspettato di vederlo crollare, se non al primo, al secondo giro.
Sperò vivamente di non incrociare Tony una volta tornato alla Tower, perché era decisamente brillo e il suo carissimo compagno ci avrebbe ricamato sopra come una vecchietta in preda ad uno slancio creativo.
 
 
 
 
֍
 
 
 
 
Terra
Avengers Tower
 
“Non avresti dovuto metterti in mezzo.”
 
Sharon finì di fissare il bendaggio intorno al bicipite destro di James, in piedi di fronte a lei e più silenzioso del solito.
La luce bianca dell’infermeria della Tower metteva in risalto il pallore del super soldato. Aveva perso parecchio sangue a causa dei due colpi di pistola che gli avevano perforato prima la spalla e poi il bicipite di carne e ossa. Quei proiettili avrebbero colpito lei, se Barnes non le avesse fatto da scudo. La fortuna poi era stata avere Thor con loro, quindi erano riusciti a cavarsela, nonostante tutto.
 
“Posso reggere qualche proiettile.”
 
“Non è una buona scusa.”
 
“Ti avrebbero uccisa.”
 
Lo sguardo di James si era fatto più intenso e le iridi chiare erano adesso limpide, tanto che Sharon poteva scorgere il proprio riflesso in esse.
 
“So bene che non hai bisogno di protezione, ma lavorare in squadra significa anche coprirsi le spalle a vicenda. Questo l’ho imparato una vita fa e l’ho ricordato qualche mese addietro.”
 
James afferrò la maglia abbandonata su una sedia. Aveva indosso solo la parte inferiore della divisa nera. I muscoli dell’addome e della schiena erano ancora tesi, quasi dovessero scattare da un momento all’altro.
 
“Con una vita fa ti riferisci al tuo tempo?”
 
“Come credi ci sia arrivato Capitan America fino qui? Non appena l’ho perso di vista, si è gettato nell’oceano con un aereo pieno di bombe.”
 
Sharon, suo malgrado, rise. Passando tanto tempo con lui, a causa delle circostanze, aveva imparato a conoscere quella parte di James Barnes avvezza alla vena umoristica e dotata di uno charme non indifferente. Solitamente, quella parte veniva fuori quando c’era Steve, ma con il tempo si era aperto anche con lei e gli altri Avengers.
Sempre un po’ meno Soldato d’Inverno e sempre un po’ più James Barnes, questo stava accadendo gradualmente.
 
“Questa era buona, Sergente Barnes. Dato che mi hai salvato la vita, posso almeno offrirti la cena?” si offrì allora la donna, mentre lo osservava rimettere la maglietta addosso con movimenti leggermente sofferenti.
James sembrò perso di fronte quella semplice domanda.
“Non ti metterai nei guai con Everett Ross? Sai, per imparzialità e cose del genere nei miei confronti.”
 
“Sono fuori dall’orario lavorativo. E poi credo di non essere mai stata imparziale.”
 
“Per Steve?”
 
“All’inizio per lui. E forse proprio questa mancata imparzialità mi ha permesso di vedere chi sei veramente.”
 
Sharon fece sì che i loro sguardi si intrecciassero e James non si sottrasse.
La donna era sempre stata gentile con lui e non gli aveva mai fatto pesare la condizione di essere sorvegliato, nemmeno per un singolo giorno. Ormai erano passati un paio di mesi e averla nei paraggi era diventata un’abitudine che non gli dispiaceva troppo. Inoltre, aiutava gli Avengers a gestire la situazione degli arresti domiciliari e lo stesso Steve contava parecchio su di lei.
Nei momenti di calma, James le aveva parlato dei ricordi che stava gradualmente recuperando. Lo aveva fatto spontaneamente e, dando loro voce, era stato anche più semplice per lui accertarsi della loro veridicità. Semplici storie di una vita ormai lontana un secolo.
Sharon l’aveva ascoltato e delle volte gli aveva anche parlato di lei e del suo percorso all’interno dello SHIELD, dove puntava di ritornare una volta terminato il contratto con la CIA.
 
“Vada per la cena allora.”
 
“Ottimo. Dammi un’ora e tornerò con la cena. Intanto tu mettiti comodo.”
 
 
 
 
Quella sera, più tardi e dopo una sostanziosa cena, Sharon salutò James e si accinse a tornare a casa. Mentre scendeva con l’ascensore, arrivata all’altezza della Sala Comune, udì distintamente una risata parecchio alta e dalle sfumature derisorie. Fu quasi certa che appartenesse a Tony Stark.
Si chiese cosa avesse provocato quello scoppio di ilarità, poi scosse il capo - era abituata alle stramberie dei Vendicatori, ormai - e tornò con il pensiero al sorriso di James Barnes.
   
 
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