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Autore: Jade Tisdale    30/06/2020    0 recensioni
Post seconda stagione | Nyssara
È passato un mese dalla sconfitta di Slade, e mentre Starling City cerca di risollevarsi in seguito ai danni subiti, il Team Arrow continua a vigilare sulla città, proteggendola dai numerosi e frequenti pericoli.
Sara, invece, ha fatto ritorno a Nanda Parbat. Ma qualcosa, o meglio, una notizia, potrebbe dare una nuova svolta alla sua vita. E mettere a rischio quella di chi le sta intorno.
*
«La tua ragazza» sussurrò la mora «è questa Nyssa?»
Sara annuì, arrossendo lievemente.
«Dev'essere una persona splendida. Voglio dire, se è ancora con te dopo aver saputo di questa storia, significa che ti ama veramente.»
*
«Credevo di essere perduta per sempre» sussurrò, solleticandole dolcemente la pancia nuda «ma poi sei arrivata tu, e hai sconvolto completamente la mia vita. Tu mi hai ritrovata, Sara. Mi hai ritrovata e mi hai fatta innamorare follemente di te con un semplice sorriso.»
Nyssa intrecciò la propria mano in quella di Sara, rossa in viso.
«E poi» proseguì, con un sussurro «in questo inferno chiamato vita, stringerti la mano è la cosa migliore che mi sia potuta capitare.»
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Nyssa al Ghul, Oliver Queen, Ra's al Ghul, Sarah Lance, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Love is the most powerful emotion'
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Capitolo 19: 
Secrets

 

 

 

 

«Kaila Amina Queen: torna subito qui!»
Il rimprovero di Sara echeggiò nel corridoio vuoto sovrastando gli urletti allegri della figlia, la quale non sembrava avere alcuna intenzione di fermarsi.
«Ehi, non lo ripeterò una seconda volta!»
Inaspettatamente, la piccola si sedette, si voltò verso la madre e sorrise. Sara trasse un respiro di sollievo, certa di aver convinto la bambina ad ascoltarla. Al contrario, Kaila ignorò la raccomandazione della madre e, approfittando di quel momento di distrazione, riprese a gattonare a tutta velocità verso la propria meta.
In quello stesso istante, Nyssa aprì la porta del bagno, guardandosi intorno confusa. Poi, ritrovandosi Kaila ai propri piedi, non poté fare a meno di sorridere di fronte a quella scena ormai divenuta quotidiana.
«Ora non posso nemmeno più fare i miei bisogni tranquilla?» rise, prendendo in braccio la bambina.
«Come può gattonare così velocemente a soli sette mesi?»
«Perché nostra figlia è precoce, Sara» affermò la mora, accarezzando dolcemente la testolina bionda di Kaila. «Prima te ne renderai conto, meglio sarà per tutti noi.»



Era passato un anno da quando Sara e Nyssa avevano lasciato la Lega degli Assassini. Non avevano più ricevuto minacce, né tantomeno visite inaspettate da parte di Maseo. Ma stavano costantemente all’erta, perché il timore che potesse accadere qualcosa alla loro bambina le accompagnava ovunque, giorno e notte.
Sara scosse lentamente il capo, cercando di scacciare quel pensiero dalla testa. Doveva restare concentrata a ogni costo. Scese dall’auto, si richiuse la portiera alle spalle ed entrò nella boutique.
«Era ora!» esclamò una voce, nell’udire il tintinnio della porta d’entrata. Era Thea.
«Ti stavamo aspettando. Che fine avevi fatto?» continuò Laurel.
Sara salutò con un abbraccio prima la sorella, poi Thea. «Anche per me è un piacere vedervi, ragazze. Ma vi ricordo che ho sempre una figlia, e la babysitter ci ha messo più tempo del solito ad arrivare.»
«Babysitter?» domandò Thea, confusa.
«Oliver» rispose Laurel, alzando gli occhi al cielo.
«Esattamente. Nyssa ci raggiungerà più tardi quando finirà il suo turno.»
«Lo stesso vale per Lyla» replicò Thea. Subito dopo, il suo cellulare emise una vibrazione: la ragazza lesse rapidamente il messaggio appena ricevuto, dopodiché sospirò. «Ci conviene andare ai camerini. Felicity voleva che arrivassimo tutte prima di iniziare a provare degli abiti, ma a quanto pare l’attesa la sta facendo impazzire!»



«Che te ne pare?»
Sara si voltò in direzione Laurel, studiandola dall’alto in basso. Indossava un abito blu corallo, aderente quanto bastava per evidenziare le sue forme ed elegante al punto giusto. Le spalline erano contornate da una serie di perline bianche che si abbinavano alla collana di perle che aveva scelto per l’occasione.
«Ti dona. Ma non è un po’ troppo corto?»
«Guarda che il matrimonio è a luglio, mica in pieno inverno!»
«Hai ragione. Allora mettilo insieme agli altri possibili vincitori.»
Laurel fece un segno di vittoria con la mano, mentre Sara sorrise tra sé e sé.
«Vieni, ti aiuto a slacciare la zip.»
Senza farselo ripetere due volte, Laurel si avvicinò alla sorella, dandole le spalle.
«Non riesco a credere che Oliver e Felicity stiano per compiere il grande passo.»
«Nemmeno io» ammise Sara, lasciando trasparire un pizzico di nostalgia nella voce. «E pensare che da adolescente ero convinta che tu e Ollie un giorno vi sareste sposati.»
«Già» sussurrò Laurel, lo sguardo perso nel vuoto. «Ma, forse... forse è meglio così.»
Sara corrugò la fronte, ma sua sorella non poteva vederla. «Che intendi dire?»
Laurel scosse in fretta il capo. «Nulla, nulla. Piuttosto, hai trovato un vestito che ti piaccia?»
«Non ancora. Ce ne sono moltissimi, ma sono anche parecchio costosi.»
«Non devi per forza prenderne uno qui. Ci sono molti altri negozi più economici in città.»
«Sì, lo so, ma è anche vero che Felicity ci teneva all’idea che tutte noi uscissimo da qui con un abito nella borsa.»
«Sono sicura che capirà» concluse Laurel, sistemando il vestito sull’appendiabiti.
Fu allora che Sara si accorse di qualcosa che non aveva notato prima. Sulla spalla sinistra di Laurel spiccava un enorme livido bluastro apparentemente recente. Doveva fare un male cane.
«Che hai combinato?»
Sua sorella finse di non aver sentito. Sara attese in silenzio una risposta che non arrivò; dopo non molto, spazientita, alzò un poco la voce per attirare la sua attenzione.
«Laurel?»
«Uhm? A che ti riferisci?» domandò lei in modo vago, infilandosi velocemente la maglietta.
«Alla spalla. Sembra che ti abbia investita un tram.»
Laurel rimase in silenzio per qualche istante. «Ah, quello. Non è niente. Me lo sono fatta cadendo dalle scale, ma sto bene.»
Sara poggiò la mano sulla spalla della sorella, la quale si ritrasse con un lamento.
«Sì, lo vedo» la schernì Canary. «Sei andata a farti vedere da un medico?»
«Perché avrei dovuto?»
«Perché è grave, Laurel. Potrebbe–»
«Ti ho detto che sto bene. Caso chiuso» sentenziò la donna, per poi uscire dal camerino. «Vado a vedere a che punto sono Felicity e Thea. Vieni con me o vuoi restare qui a provare altri vestiti?»



Sara si richiuse la porta alle spalle con un pesante sospiro. Nonostante avesse provato più di venti abiti, non era riuscita a trovarne nemmeno uno che si addicesse alle sue esigenze. Aveva pur sempre una bambina da allattare, perciò il suo obiettivo era quello di trovare un vestito comodo, non troppo scollato e, possibilmente, in linea con le sue possibilità economiche.
La donna si tolse le scarpe e gli occhiali da sole; si stiracchiò leggermente, dopodiché si distese finalmente sul divano.
«Ehilà, jamila[1]» sussurrò Nyssa, porgendo all’amata un bicchiere di vino. «Scusa se non sono riuscita a venire, ma il bar continuava a riempirsi di clienti e sono dovuta restare per aiutare Josh.»
«Non preoccuparti. Non è stata una giornata poi così bella» affermò la bionda, bevendo il vino in un sorso solo.
Nyssa le mise una mano sulla gamba, accarezzandogliela dolcemente. «Vuoi parlarne?»
«Non c’è molto di cui parlare. È che ho una sorella idiota, ma ormai è un dato di fatto.»
L’Erede del Demonio trattenne a stento un sorriso. «Che ha combinato Laurel stavolta? Ti ha di nuovo detto che sei troppo bassa per indossare abiti lunghi?»
«No.» Sara si fece seria, puntando gli occhi in quelli di Nyssa. «Ho paura che si stia cacciando in qualche guaio.»
Nyssa rizzò istintivamente la schiena. «Che intendi dire?»
«Mentre la aiutavo a togliere un vestito, mi sono resa conto che aveva una contusione alla spalla. E non è il tipo di livido provocato da una semplice caduta dalle scale come vuole farmi credere lei, ma il genere che ti procuri in uno scontro corpo a corpo... uno scontro serio
La mora sembrò rifletterci su per qualche istante. «Pensi che qualcuno le stia facendo del male?»
«Non lo so. Magari si è trattato di un episodio isolato, ma è stato comunque abbastanza traumatico da spingerla a tacere. Insomma, sappiamo entrambe che Laurel andrebbe in capo al mondo pur di risolvere un caso. Non vorrei che per sbaglio si fosse immischiata in qualche casino e ora non riesca più a uscirne.»
«Se vuoi posso indagare. Magari a me dirà qualcosa.»
Sara scosse leggermente il capo. «No, sa bene che verresti subito a dirmelo. Dovrò trovare un altro modo per scoprire cosa le sta succedendo.»
Nyssa rimase in silenzio per un istante. «Okay, habibti» disse poi, passandole una mano tra i capelli. «Come vuoi tu.»
Sara annuì piano, stringendo involontariamente la presa intorno al bicchiere. «Voglio solo che stia bene.»

*

«...e così, ho pensato: perché dovrei accettare un aumento quando passo già le mie giornate chiusa in università? Non sono mica così ingenua!»
Sara rise tra sé e sé, scuotendo leggermente il capo. «Non cambi mai, mamma.»
«Certo che no, tesoro. Ricordi cosa dicevo sempre a te e a tua sorella quando eravate piccole?»
«Che non dobbiamo cambiare per nessuno, se non per noi stesse» rispose prontamente la bionda, sorridendo a quel ricordo.
Anche se Sara non poteva vederla, Dinah annuì. «Esattamente. Sono proprio queste le parole che ho usato, anche se Laurel se le dimenticava sempre!»
Sara sospirò, passandosi una mano sulla fronte. «Già, a proposito di Laurel...»
La pausa di Sara suscitò in Dinah una brutta sensazione. «È successo qualcosa?»
La bionda non rispose subito. Stava facendo la cosa giusta? Non ne era del tutto convinta. Forse, con Dinah, Laurel si sarebbe aperta; ma al tempo stesso, Sara non era sicura che dirglielo fosse la decisione migliore.
«Lei sta bene, non è vero?»
Sara chiuse gli occhi, e in quel momento comprese che non aveva senso far preoccupare Dinah, anzi, così facendo avrebbe solo peggiorato la situazione. Che stupida, pensò.
«Sì... sì. Ma certo che sta bene. Solo che... ultimamente mi sembra un po’ giù di morale.»
«Ma è naturale, tesoro. Oliver si sta sposando con una donna che non è lei. Sappiamo entrambe che nel profondo lei lo ama ancora.»
«Non credo sia questo il motivo, mamma. Quando ha scoperto che ero incinta ne è stata felice. E poi, dopo quello che è successo a Tommy...»
«Sì, Tommy... hai perfettamente ragione. È stata una perdita dolorosa. Però, è anche vero che Oliver è sempre stato molto importante per entrambe. Le serve solo un po’ di tempo per abituarsi all’idea.»
Sara sapeva perfettamente che c’era qualcos’altro sotto, ma preferiva che sua madre continuasse a credere che il problema di Laurel fosse il matrimonio di Oliver piuttosto che darle altri pensieri. Avrebbe scoperto da sola cosa le stava accadendo.
«Comunque, tornando al discorso di prima, ti stavo dicendo che ho rifiutato questo aumento e...»
«Sì, ma perché? Insomma, secondo me era una buona opportunità. Avresti dovuto accettare.»
Dinah si lasciò andare ad un pesante sospiro. «Diciamo che ho dei nuovi piani.»
Canary inarcò un sopracciglio, confusa. «Che intendi dire?»
«Voglio dire che stavo pensando di... trasferirmi. Anche se ci sentiamo per telefono quasi tutti i giorni, da quando sei tornata non abbiamo trascorso molto tempo insieme. In più, adesso sono nonna! Perciò...»
«Vuoi trasferirti a Starling City?» domandò Sara, la voce ridotta a un sussurro. Prese il silenzio di sua madre come una risposta affermativa. Non le sembrava vero.
«L’anno accademico sta per finire, e io non me la sento di invecchiare in quel college. Piuttosto, voglio passare gli ultimi anni della mia vita insieme alle mie figlie e alla mia nipotina.»
«Mamma, ma cosa dici! Lo sai che vivrai ancora a lungo.»
Non appena ebbe pronunciato quella frase, Sara provò una strana sensazione all’altezza del petto. «Perché tu vivrai ancora a lungo... giusto?»
«Sono in perfetta salute, se è questo che intendi. Semplicemente, mi sono accorta che gli anni trascorrono in fretta. Kaila ha già sette mesi, e in un battito di ciglia compirà sette anni. Il tempo passa, amore mio, e io non voglio perdermi nulla. Non più.»
«Non ti perderai più nulla, mamma» promise Sara, portandosi una mano sul cuore. «Hai la mia parola.»



Faceva caldo. Troppo caldo.
Le temperature si erano alzate di punto in bianco, ostacolando la vita di molti lavoratori costretti a trascorrere intere giornate in divisa, magari in un locale con il condizionatore rotto.
Nyssa faceva proprio parte di quella categoria di persone. La Lega l’aveva addestrata a tollerare temperature molto più alte, ma doveva ammettere che il calore di Starling City era... particolarmente afoso.
«Fa troppo caldo» sospirò la mora, asciugandosi il sudore dalla fronte con il braccio.
«Siamo a giugno inoltrato. Dovevamo aspettarcelo» replicò Adam, sbucando dalla cucina con una teglia di biscotti.
«Certo che dovevamo aspettarcelo. È per questo motivo se negli ultimi due mesi avrò ripetuto almeno un milione di volte che bisognava comprare un condizionatore nuovo. Non è vero, Josh?»
Nel sentir pronunciare il proprio nome, il diretto interessato rizzò le spalle; subito dopo, si mise ad asciugare una serie di bicchieri bagnati, il tutto fischiettando allegramente un motivetto.
Nyssa si voltò nella sua direzione e si mise a fissarlo. Dopo non molto, sentendosi in soggezione, Josh alzò gli occhi al cielo. «Okay, va bene, è colpa mia. Avrei dovuto acquistare un condizionatore quando me l’hai suggerito tu, così ora non ci staremmo sciogliendo come dei ghiaccioli.»
L’Erede inarcò le sopracciglia.«Dici davvero? Non ti inventi una balla del tipo: “Non avevamo abbastanza soldi per ripararlo o per comprarne uno nuovo?”. Sono colpita.»
«La nostra barista ha ragione, Joshua. Datti da fare a cercare un rimedio» lo stuzzicò Adam.
Josh gli puntò il dito contro in modo tutt’altro che minaccioso. «Non mi provocare, Roger. E sì, provvederò presto a rimediare al mio errore, ma di certo non lo faccio per te.»
Nyssa rise tra sé e sé. Vedere i due cugini fingere di litigare la rallegrava sempre. Da piccola, si era spesso chiesta come mai suo padre non le permettesse di giocare con dei bambini della sua età. Lo aveva capito crescendo, e la risposta che si era data era agghiacciante: se avesse avuto un’infanzia fatta di giochi e di amici, per suo padre sarebbe stato difficile trasformarla nella macchina da guerra che era diventata. Invece, Nyssa era cresciuta in mezzo alle spade e al sangue, lontana dagli altri bambini e dall’amore che una famiglia qualunque sarebbe in grado dare ai propri figli. Era diventata un’assassina, un’Erede destinata a portare avanti l’attività del padre.
Esattamente come voleva Ra’s.
Fu esattamente in quel momento, mentre guardava Josh e Adam, che Nyssa capì quanto fosse importante crescere con un complice. Che fosse un fratello, un cugino, o semplicemente un amico, Nyssa sperava che anche sua figlia potesse crescere con qualcuno al suo fianco sempre pronto a guardarle le spalle.
«Ehi» sussurrò improvvisamente una voce davanti a lei. «Ti siamo mancate?»
La voce di Sara la distrasse da quei pensieri. Nyssa sorrise alla sua amata, dopodiché spostò lo sguardo su Kaila, intenta a mordicchiare un massaggiagengive a forma di manina.
«A dire il vero, stavo proprio pensando a voi due.»
La bionda le rivolse un sorriso malizioso. «Ah, sì? E cos’hai in mente?» Si sporse sul bancone per darle un bacio. «Ti prego, dimmi che vuoi portarci al mare.»
«Mi spiace, ma in questo momento non posso proprio concederle delle ferie. Come vedi, il locale è affollato» s’intromise Josh, allargando le braccia intorno a sé con fare teatrale.
«Sì, lo vedo» rise Sara, di fronte alla sala semi-vuota. «Giornata fiacca?»
«Esatto, e indovina il motivo? I clienti stanno iniziando a diminuire perché il capo non ha ancora fatto riparare il condizionatore» ribatté Nyssa. «Fortunatamente, la temperatura dovrebbe abbassarsi di nuovo tra qualche giorno, e forse torneremo alla normalità.»
Istintivamente, Sara toccò la fronte di Kaila. Era leggermente sudata. «Effettivamente, fa caldo qui. Se fossi in loro, anche io mi dileguerei dopo pochi minuti.»
«Sei venuta qui per un caffè, o per farmi la predica?» domandò ironicamente Josh, abbracciando Sara di slancio.
«Nessuna delle due cose. Siamo venute a salutare la mamma» rispose, indicando Kaila.
A quelle parole, Josh si piegò sulle ginocchia e sorrise alla bimba. «Mamma mia, quant’è cresciuta... ciao, Kaila!» esclamò, accarezzandole la manina con l’indice. «È da tanto che non ci vediamo. Hai già detto la tua prima parolina?»
«Sì. È stata “mamma”» sorrise la bionda, accarezzando la testolina della figlia.
«Uau. Ne sarai stata felicissima.»
«A dire il vero, l’ha detto rivolta a Nyssa.»
Josh stava per dire, “davvero?”, ma si trattenne. Era decisamente stupito.
«Non fare quella faccia. È di mia figlia che stiamo parlando» disse Nyssa, accovacciandosi a sua volta di fronte a Kaila.
La bambina, visibilmente felice, lasciò cadere sul passeggino il suo prezioso massaggiagengive. «Ma-ma!» esclamò, allungano le manine paffute in direzione di Nyssa.
«Sì, amore» rispose lei, baciandogliele una ad una. «Sono la mamma.»
Sara non poté fare a meno di sorridere. Vedere Nyssa nei panni di madre la faceva sentire strana, ma felice. Anni prima, quando l’aveva conosciuta, non avrebbe mai immaginato che un giorno avrebbe abbassato il suo scudo protettivo per una bambina. Ma vedendola ora, con gli occhi lucidi per l’emozione, Sara capì che non avrebbe mai dovuto dubitare dell’amore materno Nyssa. Anche se non aveva avuto l’occasione di trascorrere molto tempo con sua madre, Amina era comunque riuscita a insegnarle tanto in quei pochi anni passati insieme a lei. Ne era certa.
Nyssa alzò lo sguardo in direzione di Sara. Notò che la stava fissando con ammirazione. «C’è qualcosa che non va?» chiese, mentre Kaila stringeva con forza i suoi indici.
Sara scosse il capo. «No. Va tutto alla perfezione.»



«Lo so che dire “mamma” è stato più facile per te, amore. Siamo in vantaggio numerico. Però, ti scongiuro, dì anche “papà”. So che puoi farcela.»
Kaila osservò Sara con un’espressione confusa, ma fu solo per un istante; non appena Laurel si sedette di fronte a lei con un omogeneizzato alla frutta tra le mani, il suo unico pensiero fu quello di spalancare la bocca.
«Ha fame, non lo vedi?» disse Laurel, affrettandosi ad aprire il barattolo. «E anche tanta, a quanto pare. La allatti ancora?»
Sara sbuffò, lasciando cadere il cellulare sul seggiolone di sua figlia. «Sì, ma da quando abbiamo iniziato con le pappe, riesco ad allattarla solo un paio di volte al giorno. A quanto pare il cibo vero le sta piacendo più del latte della mamma.»
«E non ti sembra una cosa normale?»
«Sì, però... mi piace allattarla. Ho paura che quando smetterò di farlo, il nostro legame non sarà più lo stesso» ammise, accarezzando dolcemente la manina di Kaila.
«Smettila di dire fesserie. Interrompere l’allattamento può essere traumatico, questo è certo, ma non cambierà niente tra di voi.»
«Tu dici? A volte ho l’impressione che invece non mi ascolti più. So che è ancora piccola, eppure mi sembra piuttosto avanti per la sua età. Non capisco perché‒»
«Se stai per dirmi, “non capisco perché non dica ‘papà’”, ti fermo subito. Anche io mi rifiuterei di ascoltarti se mi puntassi costantemente contro il tuo cellulare.»
«Hai ragione, ma lo faccio per Oliver. Anche se vede la bambina praticamente ogni giorno, ho paura che si stia perdendo troppe cose. È per questo che cerco sempre di non fargli mancare dei video della bambina.»
Per un istante, Laurel smise di dare la merenda a Kaila e spostò l’attenzione su sua sorella. «Sicura che sia solo questo?»
La bionda si strinse nelle spalle. «A che ti riferisci?»
«Mi riferisco al fatto che Kaila abbia chiamato “mamma” Nyssa, ma non lo abbia ancora fatto con te.»
Canary serrò la mascella. Odiava quando sua sorella aveva ragione. Non poteva negare l’evidenza. Non più.
«Sono penosa se rispondo di sì?»
«No, niente affatto.»
In preda alla vergogna, Sara si prese la testa fra le mani. «Non sono gelosa, se è questo che pensi. Al contrario, sono felicissima che sia stata Nyssa a vivere questa esperienza per prima. Però, vedi... Ho come il terrore che, se scomparissi, per lei non cambierebbe nulla. Avrebbe te, Nyssa, e Oliver e Felicity. Kaila è circondata da persone che le vogliono bene e che darebbero la vita per lei, e di questo sono molto grata; ma, al tempo stesso, sta crescendo troppo in fretta, e sono terrorizzata all’idea che possa dimenticarsi di me.»
In quell’istante, Laurel capì ogni cosa. «Quindi, è questo che ti preoccupa davvero» sussurrò, come se temesse che Kaila potesse comprendere la sue parole. «Hai paura che se succedesse qualcosa con la Lega, tua figlia potrebbe dimenticarsi di te.»
Il silenzio di Sara bastò come risposta affermativa. Stava trattenendo le lacrime a fatica.
«Mi sento così egoista.»
«Non lo sei. Vuoi solo passare il resto della vita insieme a tua figlia. È totalmente comprensibile, Sara» affermò, poggiando la mano sopra a quella della sorella. «Ma devi metterti in testa che lei è la tua bambina. Avrà sempre bisogno di te. E sono certa che in nessuna circostanza ti dimenticherebbe. Anche perché, dubito che Nyssa lo permetterebbe.»
A quel pensiero, Sara non poté fare a meno di accennare un sorriso. Prima che potesse dire qualcosa, però, Laurel la anticipò, dando voce alle sue paure.
«Se invece accadesse qualcosa ad entrambe, beh... allora, forse in quel caso sarebbe diverso.»
Sara sospirò sommessamente. «Io e Nyssa abbiamo già parlato di questa... eventualità.»
Canary non diede alcun segno di voler approfondire l’argomento, e Laurel, per rispetto nei suoi confronti, decise di non andare oltre. Invece, appoggiò il contenitore ormai vuoto sul tavolo ed esclamò: «Finito!»
Di fronte all’allegria della zia, Kaila sorrise. Le erano da poco spuntati i suoi primi dentini, e Sara non poté fare a meno di pensare a quanto fosse graziosa quando rideva.
«Sei pronta a ricevere un po’ di coccole dalla zia? Sì che lo sei» affermò Laurel, prendendo in braccio la nipote. «Sì che lo sei» ripeté, accarezzandole il pancino con la punta del naso. Kaila rise ancora, e questa volta riuscì a contagiare anche sua madre.
«È proprio un amore» sussurrò la maggiore delle sorelle Lance, osservando attentamente la bimba in viso. «Somiglia molto a te quando eri appena nata.»
«Sicura di ricordare bene? Avevi appena compiuto due anni.»
Laurel sorrise a labbra strette. «È vero. Ma non dimenticherei mai la prima volta che ho visto il dolce viso della mia sorellina.»
A quelle parole, Sara arrossì lievemente. Il suo rapporto con Laurel era decisamente migliorato nell’ultimo anno. Era contenta di vedere che erano tornate ad essere unite come una volta. Anzi, forse ora era anche meglio, perché non c’era nessun ragazzo a dividerle.
Kaila interruppe quel momento magico iniziando a divincolarsi tra le braccia di Laurel. «Che c’è, vuoi che ti giri dall’altra parte?»
«Sì, ultimamente le piace osservare il mondo intorno a lei.»
«Ho capito. Ti accontento subito, principessa.»
Tuttavia, prima che Laurel potesse portare a termine la silenziosa richiesta della nipote, una fitta al braccio destro la costrinse a fermarsi.
«Che succede?» domandò Sara, confusa.
«Niente. Credo di avere preso la scossa.»
Ma Sara non riusciva a crederle. Perciò, prima che sua sorella potesse aggiungere altro, le afferrò il polso e le tirò su la manica della camicia, rivelando un taglio profondo. Laurel non si oppose in alcun modo, forse perché Kaila era ancora tra le sue braccia. O forse, aveva semplicemente capito che non poteva più mentire a sua sorella. Forse.
«Dio, Laurel...»
«Prima di giudicarmi, lasciami spiegare.»
«Spiegare? Spiegare che cosa, Laurel? Che qualcuno ti sta facendo del male e non vuoi dirmelo?»
L’avvocato spalancò leggermente la bocca, compiendo un passo indietro. «È questo quello che pensi?»
«Cos’altro dovrei pensare? Davanti a delle ferite simili, non ci sono molte alternative: o ti stanno facendo del male, oppure sei tu quella che si sta auto infliggendo dolore.»
Laurel prese a cullare Kaila come se niente fosse, ma era visibilmente turbata. E addolorata.
Sara si passò una mano sul viso, dopodiché, sospirò. «Voglio solo sapere cosa ti sta succedendo, Laurel. Sono preoccupata per te.»
La donna prese ad accarezzare lentamente la testolina bionda della nipote. Stava cercando disperatamente una via di fuga da quella conversazione, ma sapeva che con Sara non avrebbe mai funzionato. Non questa volta. Così, si voltò nella sua direzione, imbronciata. «Se ti fosse importato realmente di me, non avresti dovuto attaccarmi in questo modo.»
«Hai ragione. Sono io quella che ti sta urlando contro. Però, mi sembra di ricordare che quando abbiamo accompagnato Felicity in quella boutique, e ti ho chiesto come ti fossi procurata quella contusione ‒ con un tono di voce assolutamente calmo ‒, tu mi abbia mentito spudoratamente dicendomi che eri caduta dalle scale.»
«Già, perché gli incidenti domestici non capitano a nessuno, vero?»
«Vorresti farmi credere che anche questa lesione sia frutto di un “incidente domestico”? Davvero mi reputi così stupida, Laurel? È una ferita da taglio. Si vede benissimo. Ed è anche piuttosto recente. »
L’avvocato sospirò pesantemente, per poi mordersi l’interno della guancia. Cos’altro avrebbe potuto dire? Ormai Sara non si sarebbe più bevuta le sue menzogne. C’erano solo due modi per porre fine a quella conversazione: la prima, era rivelarle la verità. Ma Laurel non era ancora pronta, e scelse la via più facile.
«Sai, avevi ragione, poco fa» esordì, mettendole Kaila tra le braccia. «Non c’è niente da spiegare.»
Sara strinse la bambina con forza, per poi rivolgere un’occhiata amareggiata alla sorella. «Ci stai buttando fuori? Davvero?»
«No. Mia sorella e mia nipote saranno sempre le benvenute in casa mia. Ma se devi venire qui solamente per giudicarmi, allora non scomodarti nemmeno a varcare quella porta.»
Sara sapeva che Laurel non lo pensava davvero. Si stava semplicemente arrampicando sugli specchi pur di non rivelarle cosa le stesse capitando. Ciò nonostante, non si oppose al suo volere e se ne andò, sbattendosi la porta alle spalle.



Dopo la conversazione accesa che aveva avuto con Laurel, Sara non se l’era sentita di tornare subito a casa. Avvertendo la necessità di sfogarsi, si era diretta nell’unico luogo in cui avrebbe potuto farlo senza che qualcuno le facesse delle domande. Sapeva che a Oliver non piaceva l’idea che le bambine trascorressero del tempo al Covo, ma era troppo arrabbiata e aveva bisogno di calmarsi.
Siccome Kaila si era addormentata prima che arrivassero al Verdant, Sara riuscì ad allenarsi senza distrazioni. Considerando il fatto che erano passati mesi dall’ultima volta che aveva eseguito la salmon ladder, e che nel mentre aveva partorito, era ancora piuttosto in forma.
La successiva mezz’ora la passò ad allenarsi con il Muk Yan Chong[2] di Oliver, fino a quando Kaila non si svegliò e Sara fu costretta ad interrompere l’allenamento. Si passò un asciugamano sul corpo sudato, per poi estrarre il cellulare dalla tasca dei pantaloni. Erano le cinque del pomeriggio. Se non se ne fosse andata in quel preciso istante, avrebbe rischiato di incontrare Thea o una delle sue bariste.
Una volta fuori dal locale ‒ la cui riapertura era stata inaugurata appena due mesi prima ‒, Sara prese una boccata d’aria fresca. Si sentiva decisamente meglio. «Pronta a tornare a casa, piccola?» disse poi, rivolta a sua figlia. «So che sono stata un po’ brusca con zia Laurel, poco fa» proseguì, come se Kaila potesse capirla. «Ma sono preoccupata per lei. E ho paura che se non intervengo al più presto, potrebbe cacciarsi in guai seri.» 
Kaila, ovviamente, non la stava ascoltando. Al contrario, stava cercando con tutte le sue forze di afferrare le scarpine rosa che la sua mamma le aveva messo ai piedi prima di uscire di casa. Ma Sara era troppo presa dal suo discorso per accorgersene.
«Un giorno, quando avrai una sorella o un fratello, capirai quello che sto provando. Spero solo che nessuno di voi due si ritrovi immischiato in una brutta situazione. Ecco, siamo arrivate.»
Sara infilò la chiave nel portone del palazzo, ma quando si voltò per sollevare il passeggino, Kaila le dedicò una lunga occhiata silenziosa.
«Che cosa c’è, amore?»
Sara si accovacciò davanti a lei, ma la bimba rimase in silenzio ancora per qualche istante. Poi, senza una ragione precisa, allungò le manine in direzione di Sara e le poggiò sulle sue guance.
«Mam-ma!» esclamò contenta. Subito dopo, iniziò a darle dei leggeri schiaffetti, che Sara interpretò come delle carezze ‒ nientemeno che una richiesta di attenzioni e di coccole.
«Sei proprio una ruffiana, lo sai, sì?»
Ma nonostante le parole appena pronunciate, Sara prese a sbaciucchiarle le guance e l’incavo del collo. Kaila iniziò a ridere, cercando inutilmente di coprirsi il viso con le manine, ma in questo modo peggiorò solo la situazione, perché Sara si mise a solleticarle i polpastrelli delle dita, accrescendo la sua risata.
In quel momento, con la risata di sua figlia in sottofondo, Sara si sentì improvvisamente più leggera. E anche se fu solo per pochi secondi, tutti i problemi sembravano essere spariti come per magia.

*

«Preparatevi, amici e parenti: Kaila Queen sta per compiere i suoi primi passi a bordo del suo fantastico girello! Sei pronta amore?»
Kaila osservava confusa il cellulare della mamma. Proprio non capiva perché Sara le puntasse contro quell’aggeggio nero praticamente ogni giorno.
«Uno, due...»
«...tre!» concluse Nyssa, facendo il suo ingresso nel salotto proprio in quel momento.
Tuttavia, il risultato non fu quello sperato da Sara: Kaila rimase immobile nella sua posizione, attratta dai giocattoli a ventosa posti sul girello. Dopo non molto, Sara spense la registrazione con fare rassegnato.
«Niente da fare» sbuffò, appoggiando il telefono a terra. «Ormai è entrata ufficialmente nella fase della ribellione.»
«Sii paziente, habibti. Ogni bambino ha i propri tempi.»
Fu allora che Sara alzò finalmente lo sguardo in direzione di Nyssa. Indossava un paio di leggings neri e una t-shirt viola, e aveva le scarpe da ginnastica ai piedi.
Nel vederla vestita così, Sara inarcò un sopracciglio.
«Dove stai andando?»
Nyssa si passò una mano tra i capelli, servendosi dello schermo del cellulare come specchio. «Al lavoro.»
Sara annuì appena, per poi rivolgere nuovamente la sua attenzione alla figlia. «Credevo ti toccasse il turno del pomeriggio, oggi.»
«È così» confermò l’altra donna. Quando capì che Sara non avrebbe aggiunto altro, l’Erede del Demonio si accovacciò di fianco a lei.
«Avevo pensato di andare ad allenarmi un po’, prima. Ti dispiace?»
Canary scosse il capo, lo sguardo ancora fisso su Kaila. Nyssa capì che stava evitando il contatto visivo con lei di proposito, perciò le poggiò una mano sul capo.
«Se non ti va, basta dirlo. Posso resta‒»
«No. È giusto che tu vada.» Le sembrò di aver usato un tono troppo brusco, ma Nyssa non reagì in alcun modo. Forse se l’era immaginato. «Tra il lavoro e Kaila, ultimamente non abbiamo avuto molto tempo per allenarci. Verrei volentieri con te se non dovessi occuparmi di lei» aggiunse.
«Puoi ricominciare ad allenarti quando vuoi, Sara. E quando quel giorno arriverà, mi assicurerò di essere a casa per poter badare a Kaila mentre tu spaccherai il culo a qualche manichino.»
A quell’affermazione, Sara non poté fare a meno di sorridere. «Promesso?»
«Promesso» rispose Nyssa, lasciandole un bacio sulla fronte. Subito dopo, diede un bacio anche a Kaila, si infilò un giubbotto di pelle e se ne andò senza dire altro.
Sara sospirò pesantemente, per poi passarsi una mano sul viso. Erano passati diversi giorni da quando lei e Laurel avevano litigato, e nessuna delle due aveva osato fare il primo passo per sistemare le cose. A Sara non piaceva discutere con sua sorella, ma non le piaceva nemmeno pensare che le stesse nascondendo qualcosa di importante. Come se non bastasse, lo stress stava avendo la meglio su di lei al punto tale da farla innervosire per ogni minima cosa, come era successo poco prima con Nyssa.
Canary scosse il capo con l’obiettivo di scacciare via i pensieri negativi. Doveva cercare di rilassarsi un po’. Così si alzò, afferrò il telecomando e accese il televisore.
«Vuoi guardare i cartoni animati insieme alla mamma, tesoro?» domandò, passando velocemente da un canale all’altro alla ricerca di qualcosa di interessante da vedere. Prima che Sara potesse prevederlo, Kaila compì un paio di passi nella sua direzione, rivolgendole un grande sorriso soddisfatto.
«Non ti piace proprio essere ripresa, vero?» Sara le accarezzò piano la testolina bionda. «Direi che tuo padre dovrà rassegnarsi all’idea di perdersi la maggior parte delle tue prime volte.»
Mentre pronunciava quelle parole, Sara aveva smesso di fare zapping e si era inconsciamente bloccata sul notiziario del Canale 52. Non erano state le parole della reporter ad attirare la sua attenzione, quanto l’immagine che aveva occupato lo schermo della TV.
Una donna ‒ o meglio, una vigilante ‒ con indosso una maschera e un costume di pelle simile al suo.
«È passato quasi un anno dall’ultima volta in cui la vigilante conosciuta come Canary è stata vista in azione. Ovviamente, la sua improvvisa uscita di scena non è passata inosservata ai cittadini di Starling City. Ma la notte scorsa, questa donna è intervenuta per sventare un importante traffico di droga nel quartiere di The Glades. La somiglianza con Canary è evidente. Sarà un ritorno definitivo, oppure si tratta semplicemente di un’emulatrice?»
Sara si avvicinò al televisore per esaminare meglio quella foto. La vigilante non indossava una parrucca, ma la sua maschera...
Non può essere.
Sara si portò una mano davanti alla bocca.
E in un istante, capì tutto quanto.



«Ollie, guarda com’è carina!»
Oliver alzò lo sguardo in direzione di Thea, per poi spostare l’attenzione su sua figlia. Poiché Thea si era scordata di mettere il bavaglino a Kaila mentre le stava dando da mangiare, la bambina si era sporcata di crema di riso, perciò la zia si era affrettata a pulirla e a cambiarla con uno dei body di riserva che le aveva dato Sara. Ora, Kaila ne indossava uno con dei motivi a forma di coniglietto, con tanto di fascia per capelli abbinata a forma di orecchie di coniglio.
Nel vederla vestita in quel modo, Oliver non riuscì a trattenere un sorriso divertito.
«Hai ragione, Speedy. È adorabile.»
Come se avesse compreso le parole del padre, Kaila sorrise a sua volta; subito dopo, Thea le porse il biberon con l’acqua, osservandola con fare amorevole mentre beveva.
«Non mi hai ancora detto come mai sei passata con la bambina» disse Oliver, distraendo la sorella dai propri pensieri.
«È stata Sara a chiedermi di portarla qui. Ha detto che aveva delle commissioni urgenti da sbrigare» spiegò la ragazza. «Aveva provato a telefonarti, ma è scattata la segreteria. Sperava che tu o Felicity aveste un paio d’ore libere per badare a Kaila.»
«Probabilmente il cellulare non prendeva» spiegò lui, premendosi la radice del naso con il pollice e l’indice. «Lo farei volentieri, ma oggi io e Felicity abbiamo una riunione molto importante a cui non possiamo mancare. Perciò, credo proprio che dovrai essere tu a prenderti cura di lei.»
A quelle parole, Thea spalancò le palpebre. «Io? M-ma non mi sono mai presa cura di un bambino. A malapena so cambiare un pannolino!»
Oliver si fermò di fianco alla sorella, un plico di documenti stretto sotto all’ascella destra. «Sono sicura che farai un buon lavoro, Speedy» la rassicurò l’uomo, dandole una pacca sulla spalla. «O forse, dovrei chiamarti zia Thea?»
Oliver accarezzò la guancia di Kaila, per poi lasciarle un bacio sul capo. Non appena suo fratello fu uscito dall’ufficio, Thea sospirò rivolta alla nipote.
«Sarà una giornata divertente, insomma.»



Sara spense il motore della moto e si tolse il casco. Aveva i capelli spettinati a causa del vento. Il suo cellulare vibrò, ma era troppo presa ad osservare l’edificio che si ergeva di fronte a lei per accorgersene.
Scese dalla moto e si diresse a passo spedito verso il portone sul retro. Sapeva che una volta varcata quella porta non avrebbe più potuto tornare indietro. Nonostante questa consapevolezza, prese un respiro profondo ed entrò, pronta ad andare fino in fondo a quella questione.
Non appena ebbe messo piede all’interno di quello che sembrava un garage, Sara si guardò intorno. Le luci erano spente; ad illuminare appena l’ambiente erano i flebili raggi del sole che filtravano dalle finestre laterali.
Compì alcuni passi incerti verso una scala di metallo, ma prima che riuscisse a raggiungere il primo scalino, Sara si ritrovò col naso a un centimetro dal muro.
In una frazione di secondo, Sara si voltò sferrando un calcio, ma la persona che l’aveva spinta riuscì ad evitarlo prontamente. Era troppo buio per vedere il suo aggressore; era solo un’ombra. Meglio, pensò, considerando che alla Lega le avevano insegnato a trarre vantaggio dall’oscurità. A quel punto, sferrò un gancio destro, e si rese conto che il suo aggressore aveva indietreggiato. Sara approfittò del fatto che avesse abbassato la guardia e si avventò su di lui; tuttavia, prima che potesse raggiungerlo, una mano si strinse intorno al suo braccio.
Sara riconobbe all’istante quella stretta, e si calmò. Un attimo dopo, le luci si accesero e si ritrovò faccia a faccia con Nyssa.
Le due si dedicarono una rapida occhiata, ma Sara non disse nulla; invece, si voltò, incontrando lo sguardo della persona che aveva azionato l’interruttore della luce.
Laurel.
«Che storia è questa?»
«Sara, ti posso spiegare...»
«No, Nyssa» ringhiò Sara, puntandole l’indice contro. «Non stavo parlando con te.»
Sentendosi tirata in causa, Laurel si strinse nelle spalle, a disagio. «Okay, Sara. Ora ti racconto tutto. Però, ti prego, non ti arrabbiare.»
«Se non lo avessi capito, io sono già arrabbiata, Laurel.»
«Sì, hai ragione. Ma non prendertela con Nyssa. Sono stata io a chiederle di farlo.»
L’Erede del Demonio s’incupì. «Non ho bisogno che tu prenda le mie difese.»
«No, infatti. È dalla tua bocca che lo voglio sentire» proseguì Canary, rivolta alla sorella. «Sempre che tu abbia il coraggio di dirmi la verità. Oppure vuoi farmi credere che non sei tu la donna vestita di pelle che se ne va in giro fingendosi Canary?»
A quelle parole, Laurel trasalì. Ma quando Nyssa le lanciò un’occhiata, capì cosa doveva fare.
«Non ti mentirò di nuovo. Tanto ormai non avrebbe senso.»
Laurel prese un respiro profondo, passandosi una mano sul braccio. «È iniziato tutto l’anno scorso, quando Oliver non ha voluto che venissi con voi a cercare l’Incantatrice. Te la ricordi quella sera, vero?»
Sara trattenne a stento un sospiro. Ricordava tutto quanto. «Sì, ed ero d’accordo con Oliver sul fatto che non fosse una buona idea portarti sul campo. Non ho espresso la mia opinione allora, ma ora sai cosa penso.»
L’avvocato annuì piano. «Lo immaginavo. È per questo che ho chiesto a Nyssa di mantenere il segreto. Sapevo che se te l’avesse detto ti saresti infuriata.»
Al sentir nominare la sua ragazza, Sara chiuse gli occhi. La infastidiva pensare che Nyssa non gliene avesse parlato, ma in quel momento doveva mantenere i nervi saldi e fronteggiare Laurel. Con Nyssa avrebbe fatto i conti più tardi.
«E ora che l’ho scoperto per conto mio, invece? Che tipo di reazione ti aspettavi?»
Sua sorella abbassò lo sguardo. «Speravo di ricevere il tuo appoggio.»
Appoggio? Come avrebbe potuto darle il suo appoggio per una cosa del genere? Con quale coraggio avrebbe potuto sostenere sua sorella a diventare una vigilante, consapevole che avrebbe messo a rischio la propria vita giorno dopo giorno? Se Laurel aveva davvero creduto che sarebbero bastati pochi mesi di addestramento per entrare nel Team Arrow, allora si era sbagliata di grosso. E se aveva pensato anche solo per un secondo di potersi paragonare a sua sorella minore, allora si era sbagliata una seconda volta. A differenza sua, lei e Nyssa erano state addestrate dalla Lega degli Assassini per anni. Si trattava di due cose completamente diverse.
Sara non sapeva come comportarsi. Da un lato, avrebbe voluto tirare un pugno al muro, ma dall’altro provava solo un desiderio impellente di ridere, una di quelle risate nervose che ti aiutano a trattenere le lacrime. Soltanto allora, con la rabbia che minacciava di prendere il sopravvento su di lei, Sara realizzò cosa fosse davvero quello che aveva creduto essere un garage. Era la loro stanza degli allenamenti ‒ anche se forse il termine “base segreta” sarebbe stato più appropriato, considerato che, probabilmente, nemmeno Oliver era al corrente della situazione.
Un attimo dopo, Sara risalì i gradini che la dividevano dal portone d’uscita e se ne andò.
Si sentiva presa in giro. Si sentiva tradita. Non solo da Laurel, ma anche dalla donna con cui in quegli anni aveva condiviso il letto e il proprio amore.
Non sapeva cosa fare, né tantomeno cosa pensare. Voleva solo salire in sella alla sua moto e sfrecciare via, veloce come un fulmine. Ma prima che riuscisse a raggiungere il mezzo, una voce la costrinse a bloccarsi.
«Sara!»
Non si voltò. Non ce n’era bisogno: poteva sentire chiaramente i passi di Nyssa alle sue spalle. Sapeva che probabilmente le sarebbe corsa dietro, ma aveva sperato fino all’ultimo che non lo avrebbe fatto.
Quando l’Erede fu a pochi passi da lei, Sara inspirò a pieni polmoni. «Che cosa vuoi?»
Nyssa attese qualche istante prima di rispondere. «Parlare.»
Il vento fece ondeggiare i suoi capelli. Stava arrivando un temporale. «Come ci hai trovate?» aggiunse, incurante del cielo nero.
«Ti ho seguita.»
La risposta le uscì in un sussurro, ma Nyssa lo sentì comunque. Dopo non molto, Sara si voltò di scatto, puntando i propri occhi in quelli dell’amata. «Credeva davvero di ricevere il mio appoggio?»
«Sono stata io a dirle questo.» Nyssa sospirò sommessamente, unendo le mani in grembo. «Quando ho capito che eri preoccupata per tua sorella e che stavi indagando, ho provato a convincerla a raccontarti tutto prima che fosse troppo tardi. Le ho detto che, se lo avesse fatto, magari non ti saresti arrabbiata e le avresti mostrato il tuo supporto. Non mi ha ascoltata. Evidentemente, ha deciso di giocarsi quella carta proprio oggi.»
«Già. Tipico di Laurel.»
«Non a caso è un avvocato» aggiunse la mora.
Ma Sara non accennò minimamente un sorriso.
«E questo posto?» domandò invece, allargando le braccia.
«È un vecchio box auto in disuso. Quando lo abbiamo trovato, era praticamente vuoto, così abbiamo portato un sacco da boxe e degli attrezzi per allenarci.»
«Sì, ma certo» borbottò Sara, facendo una smorfia con le labbra. La mora se ne accorse, ma fece finta di niente.
«Ti va di tornare dentro e di parlarne?»
Mentre pronunciava quelle parole, Nyssa accennò un sorriso. Sapeva che probabilmente non sarebbe servito a nulla, ma doveva almeno tentare.
Sara scosse il capo senza pensarci due volte. «No. Ho visto e sentito abbastanza.»
Prese un altro respiro profondo, sentendosi sempre più pesante. Sarebbe esplosa da un momento all’altro, ne era certa. Ma poi incontrò gli occhi nocciola di Nyssa e si perse nel suo sguardo.
«Mi hai mentito» disse all’improvviso Sara, sentendo la rabbia ribollirle nelle vene. «Come quella volta che non mi hai detto che stavi cercando un lavoro. Mi hai fatto preoccupare in un modo che va oltre l’immaginabile. Eppure, l’hai fatto di nuovo. E questa volta, con la complicità di mia sorella.»
«L’ho fatto solo per proteggerti» replicò Nyssa, avvicinandosi ulteriormente alla sua amata. Ma Sara indietreggiò, scuotendo leggermente il capo.
«No. La verità è che è nel tuo DNA. Sei Nyssa al Ghul, ricordi? Mentire. Rubare... uccidere. Sono le tue specialità.»
«Stai esagerando» replicò l’Erede del Demonio. Le si inumidirono gli occhi e non poté fare nulla per impedirlo. Sapeva che non era la sua Sara a parlare, ma quelle parole erano comunque riuscite a ferirla. «Parli così perché sei accecata dalla rabbia. Ma io ti ho insegnato a controllarla. Non lasciare che la collera prenda il sopravvento su di te solo perché si tratta di Laurel.»
Effettivamente, Sara non pensava davvero quello aveva detto, ma quando si era resa conto di aver pronunciato quelle parole, ormai era troppo tardi. Voleva solo stuzzicare l’orgoglio di Nyssa, ma come al solito, aveva superato ogni limite.
«Sai cosa ti dico, Sara? Non mi va di fare il poliziotto buono. Per una volta, starò al tuo gioco. Perciò, se davvero mi reputi una ladra e una falsa, allora tu sei una codarda.»
«Ah, sì? E che cosa avrei fatto per meritarmi questo titolo?»
Nyssa le rivolse un’occhiata eloquente. La risposta era ovvia.
Sara annuì debolmente, un sorriso amaro a contornarle le labbra. «Capisco. Ce l’hai ancora con me perché due anni fa sono tornata a Starling City senza dirtelo.»
«Senza dirmelo, Sara? Sei fuggita da Nanda Parbat nel cuore della notte. Mio padre ha messo una taglia sulla tua testa per questo, e io mi sono fatta il culo per evitare che ti uccidesse con le tue stesse mani. Sono persino arrivata a liberarti dai tuoi doveri nei nostri confronti. Hai idea di quali conseguenze abbia avuto tutto ciò nella mia vita e nel rapporto con mio padre? Ti sei mai chiesta a cosa andassi incontro schierandomi dalla tua parte?»
Sì, Sara se l’era chiesto diverse volte, ma non aveva mai avuto il coraggio di parlarne con Nyssa. Quando l’Erede l’aveva lasciata andare, Sara sapeva che sarebbe stata lei a pagare le conseguenze delle sue azioni.
Non era giusto, lo sapeva benissimo. Ma cos’altro avrebbe potuto fare?
«Conoscendoti» continuò Nyssa, «se non fosse che hai messo al mondo una figlia, scapperesti anche ora. Perché è questa la tua natura, Sara. Fuggire dai problemi piuttosto che affrontarli. Lo hai fatto quando sei salita sul Queen’s Gambit; lo hai fatto quando sei tornata a Starling City. E, se potessi, lo rifaresti anche in questo preciso istante. Perché la realtà ti spaventa.»
Sara sapeva che, in fondo, era vero anche questo. In quel momento avrebbe soltanto voluto sparire per un po’, andare in un posto lontano da tutto e da tutti per riflettere. Ma Nyssa non le diede il tempo di perdersi nei suoi pensieri.
«Quindi sì, sono ancora arrabbiata per il tuo comportamento sconsiderato. Puoi biasimarmi per questo?»
D’istinto, Canary serrò la mascella. «No, non ti biasimo. Però io ero tornata per tenere d’occhio mia sorella. Per proteggerla. Non per metterla in pericolo.»
«Cosa vuoi che ti dica, Sara? Laurel è una donna adulta. Mi ha chiesto un favore, e io ho deciso di aiutarla proprio perché è tua sorella. E anche se tu non approvi, è giunto il momento di aprire gli occhi.
Laurel ha seguito per mesi la maggior parte delle missioni del Team Arrow, senza poter mai fare qualcosa. Come credi potesse sentirsi all’idea che sua sorella, il suo ex fidanzato e i suoi amici fossero tutti addestrati, tranne lei? E non giocarti la carta di Felicity, perché sai benissimo che svolge comunque un ruolo importante pur restando seduta davanti a un computer.»
Percependo delle goccioline farsi strada tra i suoi capelli, Nyssa fece una pausa, alzando lo sguardo verso il cielo. Aveva iniziato a piovere, ma nessuna delle due se n’era accorta. Nyssa non se ne curò e riprese la parola subito dopo.
«Perché non lo capisci? Laurel vuole solo essere come te. Vuole diventare un’eroina, come te. Non perché sia gelosa, ma perché ti ammira. È così difficile da accettare?»
Sara si morse l’interno della guancia, ricacciando indietro le lacrime.
Era stanca. Stanca di piangere, stanca di litigare; ma soprattutto, era stanca di vivere nel terrore all’idea che una persona a lei cara potesse fare una brutta fine.
Ormai erano entrambe fradice dalla testa ai piedi, ma nessuna delle due osò muovere un muscolo. Fu proprio in quel momento che Sara ebbe un déjà-vu: tornò con la mente alla fatidica notte in cui, mesi prima, avevano combattuto contro Maseo e alcuni membri della Lega degli Assassini. Poco dopo, Sara aveva dato alla luce la sua primogenita.
«E se ci fosse stata Kaila al posto di Laurel?» azzardò, inspirando a pieni polmoni l’odore della pioggia. «E se fossi tornata a Starling City per proteggere nostra figlia?»
«È un’ipotesi poco plausibile» ribatté la figlia di Ra’s.
«Lo so. Ma per un secondo, uno soltanto, fingi che sia andata così. E ora, al posto di Laurel, ci sarebbe nostra figlia lì dentro. Come dovrei sentirmi all’idea che mi hai tenuta all’oscuro del fatto che hai addestrato nostra figlia?»
«Non è la stessa cosa» ripeté la mora. «Non potrà mai essere la stessa cosa. Ma, se proprio vuoi saperlo, la mia posizione non cambia. Se Kaila avesse trent’anni e mi chiedesse di allenarla perché l’idea di essere l’unico membro della sua famiglia a non potersi difendere la disturba, come potrei non assecondarla?»
Sara abbassò lo sguardo e scosse il capo un paio di volte, consapevole che quella conversazione non l’avrebbe condotta a nulla. «Se davvero la pensi così, allora significa che ci sono ancora molte cose di cui dobbiamo discutere. Ma questo non è né il luogo, né il momento adatto per farlo. Continuate pure con il vostro addestramento.»
Sara si voltò, pronta a salire in sella alla sua moto; tuttavia, prima che potesse infilare la chiave, la voce di Nyssa la bloccò per una seconda volta.
«Dovunque tu vada, non dimenticare mai chi sei e da dove vieni, Ta-er al-Sahfer.»
Al sentire il suo nome nella Lega degli Assassini, Sara rabbrividì. Una volta acceso il motore, sentì il bisogno impellente di voltarsi, ma riuscì a resistere. Non ce n’era bisogno. Sapeva che Nyssa sarebbe rimasta lì ad osservarla fino a quando non si fosse allontanata abbastanza da diventare una piccola macchia nera offuscata dalla pioggia.















[1] “Bella” in Arabo.
[2] Meglio conosciuto come “uomo di legno” o “bambola di legno”. Ricordate l’attrezzo di legno con affissi dei paletti orizzontali che utilizzava Oliver per allenarsi? È proprio lui.





Hello friends, so che è da un sacco che non mi faccio viva, ma è sempre – sempre – colpa dell’università. Posso però affermare con certezza che “grazie” alla quarantena ho ripreso un po’ il ritmo, e spero davvero di non dovervi fare attendere troppo per il prossimo capitolo.
Dunque, che posso dire? Dopo un salto temporale di sei mesi, la piccola Kaila sta crescendo, Oliver e Felicity stanno per sposarsi e Laurel ha inconsciamente iniziato una guerra con sua sorella xD
Saretta è un po’ irritante in questo capitolo, me ne rendo conto, ma, hey!, mica siamo tutti perfetti – e poi un po’ di litigi sparsi qua e là ci stanno, se no dov’è la suspense? ;)
Grazie a chiunque abbia letto e a presto! (Prometto che non vi farò aspettare un altro anno per il nuovo capitolo ^^”)

   
 
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