Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Evali    01/07/2020    0 recensioni
Spin off che scaverà in profondità nei personaggi di Rhaegar Targaryen e Lyanna Stark; un'ipotesi, o meglio, una mia versione, di come potrebbero essere andate le cose al tempo, una storia che non tratterà strettamente solo l'amore scoppiato tra i due, ma anche l'intero contesto in cui il nostro eroe e la nostra eroina vivevano, nonché gli anni del regno del Re Folle. Potrebbe esserci qualche piccola modifica rispetto alle informazioni rivelate nei libri.
Appartenente ad una saga, ma non è necessario aver letto le altre due storie per iniziarla.
Genere: Fantasy, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aerys II Targaryen, Arthur Dayne, Elia Martell, Lyanna Stark, Rhaegar Targaryen
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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Il banchetto
 
I preparativi per il banchetto erano quasi completamente ultimati.
Il principe camminò per il castello, diretto verso una meta in particolare.
Aveva bisogno di stendersi, altrimenti quella sera alla cerimonia sarebbe crollato a terra nel bel mezzo del salone.
Sentiva la testa pulsargli tremendamente e le dita tremargli.
Arthur gliel’avrebbe pagata, amaramente, per la rovinosa idea pessima che aveva avuto la notte appena trascorsa.
Una cosa era certa: non si sarebbe più fidato di lui non appena se ne fosse uscito nuovamente dicendogli che aveva una soluzione a tutte le sue pene, svegliandolo nel cuore della notte.
La sua mente ritornò ad otto ore prima.
- Dove ci stiamo dirigendo esattamente? – chiese il principe drago al dorniano.
- Tra poco lo scoprirai – rispose egli continuando a camminare spedito in quella radura buia e isolata, con la fiaccola in mano.
- Ci stiamo allontanando parecchio sia dal castello di Harrenhal che dai centri abitati, Arthur – continuò seguendolo e guardandosi intorno.
- Non ho intenzione di condurti in un luogo deserto e di attirarti in una trappola nella quale ti ritroverai accerchiato da cospiratori che ti accoltelleranno alla schiena, Rhaegar – gli rispose il dorniano voltandosi a guardarlo e sorridendogli sornione.
- Siamo in piena notte e stiamo camminando da quasi un’ora, Arthur. Domani non riuscirò a reggermi in piedi al banchetto se …
- Vuoi liberarti delle allucinazioni e degli incubi, oppure no? – gli chiese fermandosi di colpo e voltandosi, accecandolo con la luce della fiaccola nel momento in cui la rivolse verso di lui.
- Certo che lo desidero.
- Allora piantala di lamentarti – lo zittì nuovamente riprendendo a camminare in avanti.
Dopo più di un’ora di tragitto, con il freddo della notte che riuscì a penetrargli gli abiti e il mantello pesante, rabbrividendogli le membra, finalmente intravidero una piccola abitazione in lontananza.
Man mano che si avvicinavano, Rhaegar notò fosse un’apparentemente umile casetta di legno, ben illuminata dall’interno.
D’istinto, si alzò l’imponente cappuccio del mantello, coprendosi i capelli e parzialmente il volto.
Raggiunto il portoncino della casa, Arthur si fermò in attesa prima di bussare.
- Chi o cosa stiamo aspettando? – domandò il principe.
- Non lo immaginerai mai.
Dopo qualche minuto, i due vennero raggiunti da un’altra figura incappucciata.
Rhaegar fissò lo sconosciuto con diffidenza, fin quando questo non si tolse il cappuccio, facendogli sgranare gli occhi viola.
- Lord Varys …? Cosa ci fate voi qui? – gli domandò attonito, fissando il volto calvo ed imperscrutabile del consigliere di suo padre, ornato da uno dei suoi migliori sorrisi melliflui.
- È un vero piacere rivedervi, Vostra altezza.
Rhaegar fece saettare l’attenzione da Varys ad Arthur, allibito. – Che cosa significa tutto questo …?
- Non farti strane idee. Non sai quanto mi sia costato, ma il Ragno è indispensabile per ciò di cui hai bisogno. Sono stato costretto a rivolgermi a lui.

Non mi sorprenderei se questo dannato eunuco possedesse contatti persino con l’aldilà – gli spiegò Arthur seccato.
- Ed io sono immensamente lieto della fiducia che mi state mostrando – rispose lord Varys.
- Nessuna fiducia, Ragno. Non illudetevi anche solo per un istante che io, e tantomeno il principe, riponiamo la nostra fiducia in voi.
Si tratta di un’eccezione, una situazione estrema – lo ammonì Arthur, fulminandolo con lo sguardo.
- Siete lodevole, ser Dayne. Ammetto di avervi sottovalutato.
O, per lo meno, avevo sottovalutato la vostra straordinaria e inquantificabile devozione nei confronti del nostro principe – ammise il Ragno Tessitore. – Dovete essere davvero preoccupato per lui, per esservi rivolto addirittura a me.
- Sono certo di non aver potuto fare altrimenti.
Se mi accorgerò di aver commesso un errore, non esiterò a mutilarvi più di quanto già non abbiano fatto. E dato che mi ritengo un uomo di grande classe, punterei alle dita, piuttosto che ad altro.
Lord Varys sorrise in risposta.
- Che cosa ci guadagnate? – domandò Rhaegar al Ragno Tessitore, senza filtri. – Qual è il vostro ritorno in tutto ciò, lord Varys? Ottenere altre informazioni su di me da rivelare a mio padre?
- Ho sempre tenuto a voi, alla vostra salute mentale e fisica, sin da quando eravate bambino. Voglio aiutarvi esattamente quanto lo vogliono tutti coloro che vi sono accanto ogni giorno, mio principe – gli rispose il Ragno.
- Perdonate la mia plateale diffidenza, lord Varys, ma, sapete, la vostra reputazione non è delle migliori, né tantomeno credo di apparire uno sprovveduto ai vostri occhi – gli rispose tagliente. - So bene che avete parlato voi a mio padre della cospirazione che stiamo portando avanti contro di lui. Cospirazione alla quale voi stesso avete preso parte nel momento esatto in cui siete giunto fino a Roccia del Drago per parlarmene la prima volta.
- Non avrei potuto fare altrimenti, Maestà. Vostro padre è sin troppo paranoico, lo avrebbe sicuramente scoperto da sé stando qui e non togliendovi mai gli occhi di dosso. Dirglielo anticipatamente mi ha permesso di non risultare sospetto ai suoi occhi eccessivamente cauti e morbosamente ossessionati dal tradimento. Se non lo avessi fatto, mi avrebbe ritenuto un traditore a mia volta e mi avrebbe fatto giustiziare.
So che comprendete tutto ciò perfettamente, infondo, mio principe.
Sono ancora con voi, parte integrante della cospirazione.
- Non vi è minimamente venuto in mente che, avendogli rivelato i nostri piani, egli possa giustiziare, invece, ogni famiglia di nobili che ha preso parte al tradimento contro di lui? – intervenne Arthur velenoso.
- Aerys non conosce i nomi e le identità di coloro che stanno cospirando contro di lui.
Qui ad Harrenhal, ora, vi sono sin troppe famiglie sostenitrici della corona, potentissime alleate dei Targaryen, per muovere un passo falso e farle sterminare tutte indistintamente. Sarebbe una mossa estremamente stupida ed eccessiva persino per lui – lo zittì lord Varys in tono perfettamente controllato, come di consueto.
- Bene, ora che ognuno sembra aver chiarito le proprie posizioni, abbiate l’accortezza di spiegarmi cosa ci facciamo qui e in che modo lord Varys voglia liberarmi dalle allucinazioni – ritornò al punto il giovane drago.
- I miei uccellini mi hanno rivelato delle informazioni interessanti riguardo questa abitazione – rivelò lord Varys. – Sembra che, proprio qui dentro, alcuni dei vostri antenati, abbiano cercato di liberarsi dei demoni che invadevano la loro mente, proprio come sta accadendo a voi ora.
Rhaegar schiuse la bocca per la sorpresa dinnanzi a tale informazione. – Vi state riferendo ad Aegon il Conquistatore …?
Lord Varys annuì. – Tra i componenti della vostra stirpe, non siete l’unico ad avere una tale maledizione che grava sulle vostre spalle, Maestà.
Sembra quasi un lascito, un’eredità che passa di generazione in generazione.
- Che io sappia, né mia madre, né mio padre hanno mai sofferto di tali disturbi - rispose Rhaegar.
- Non potete saperlo con certezza. Ad ogni modo, non è detto che per tutti i depositari di tale maledizione, il fardello sia ugualmente incombente – spiegò il Ragno.
- Dunque, cosa sapete di ciò che è accaduto ad Aegon qui dentro?
- In realtà, tra i tre conquistatori, era Visenya a soffrirne – precisò lord Varys.
- Cosa le è accaduto? – insistette Rhaegar, impaziente.
- Sembra che, per un po’ di tempo, il suo supplizio si sia alleviato, grazie all’azione degli spiriti che abitano questo luogo.
Arthur scoppiò in una risata divertita, per poi cercare di darsi un contegno. – Perdonatemi, ma mi risulta sempre molto faticoso ascoltare storie di questo tipo senza liberare la mia ilarità.
- Taci, Arthur – gli ordinò Rhaegar, fulminandolo.
- Come vi stavo rivelando, il padrone di questa abitazione ha origini molto antiche. Si dice persino che abbia incontrato uno dei Primi uomini, liberandolo da una magia oscura. Ho provato a cercare pergamene che riportano altre informazioni su di lui, ma non ne ho trovate, neanche alla Cittadella.
Tutto ciò che so, l’ho reperito dalle testimonianze delle voci di vari popolani udite dai miei uccellini.
- Ci stiamo davvero affidando a delle dicerie?! – commentò Arthur cominciando ad indisporsi. – Ero certo che le vostre fonti fossero perfettamente affidabili, Ragno.
Invece, ora vengo a sapere che ho condotto il nostro futuro erede al trono qui solo per delle voci di corridoio udite in qualche locanda malfamata.
- Voglio tentare – disse Rhaegar con convinzione, stupendo il dorniano.
- Ne sei sicuro? Siamo sempre in tempo per tornare indietro.
- Arthur, se esiste anche solo un modo per scoprire l’origine di queste allucinazioni che mi stanno consumando la mente e di liberarmene, sono disposto a tutto.
- Siete davvero disposto a tutto, mio principe? – gli domandò lord Varys, con una strana gravità nella voce questa volta.
- Assolutamente.
- Bene. Perché la creatura che vive all’interno di questa casa non agisce per gentilezza, né per misericordia, mio principe. E non credo possa accettare una manciata di monete d’oro, in cambio di ciò che sta per fare – lo avvertì il Ragno ponendo la mano sulla maniglia consumata e aprendo la porta.
L’interno era buio e impregnato di un penetrante odore di chiuso e di spezie essiccate.
Ad una prima occhiata, appariva quasi come un’abitazione abbandonata.
Dopo qualche minuto di totale silenzio, lord Varys parlò titubante. – Perdonate l’intrusione. Abbiamo udito parlare di voi, ma non avevamo altro modo di avvertirvi del nostro arrivo, se non presentandoci dinnanzi alla vostra porta.
Se siete disposto ad accoglierci, vi prego, rivelatevi.
Nessuna risposta.
- Faremmo meglio ad andarcene – suggerì Arthur.
- Siamo entrati in casa sua senza permesso. Oramai il danno è fatto. Inoltre, sai bene che voglio andare fino in fondo – commentò il giovane drago.
- Colui che richiede il vostro prezioso aiuto è un discendente della stirpe Targaryen. Sangue di drago – ritentò lord Varys.
Nuovamente, non ricevettero alcuna risposta.
- Non credo sia molto interessato alla mia stirpe o al mio sangue, lord Varys.
Probabilmente non siamo graditi – gli disse Rhaegar, mantenendo perfettamente la calma.
- Cosa volete in cambio?? – provò Arthur. – Possiamo darvi qualsiasi cosa chiediate!
Ancora nessuna risposta.
- Andiamocene – si arrese il dorniano, dirigendosi verso la porta ancora aperta.
Tuttavia, quando fece per varcare la soglia, non vi riuscì.
- Che cosa …? – ritentò perplesso, provando e riprovando a posare il piede all’esterno, senza successo.
- Arthur? Non riesci ad uscire?
- Per gli dèi! Non saremmo mai dovuti venire qui! – imprecò il dorniano stringendosi i capelli tra le dita.
- A quanto pare, dunque, siamo graditi – concluse lord Varys, accennando un sorriso vittorioso. – Verrete aiutato, mio principe.
- Allora per quale dannato motivo non esce allo scoperto?! – si lamentò il dorniano, sguainando Alba.
- Quella non vi servirà a nulla – quella voce nuova, sconosciuta, era gracchiante e graffiante come quella di un uomo sul punto di soffocare.
I tre si voltarono verso l’entrata dell’abitazione, da dove proveniva la voce, e scorsero un ometto, tanto basso e di corporatura esile, da sembrare quasi un bambino.
L’uomo, avente un’età indefinibile, possedeva i capelli scuri sporchi di polvere, era vestito di stracci neri e strappati, le sue iridi erano tanto chiare da sembrare bianche, le sue mani erano coperte di bende luride, e i suoi piedi anneriti e nudi erano colmi di graffi e ferite.
Quando egli cominciò ad accendere alcune lampade ad olio per illuminare l’abitazione e i tre ebbero modo di osservarlo meglio grazie alla luce, si accorsero che le sue orecchie erano state tranciate via, mentre il collo sottile era marchiato da un enorme cicatrice orizzontale, che si dilungava per tutta la sua circonferenza, quasi come fosse stato impiccato con una corda di metallo.
Per il resto, appariva come un semplice straccione.
- Loro non rispondono mai – continuò l’ometto perseguendo nell’accendere altre lampade ad olio per illuminare l’ambiente, per poi posare a terra il cesto di frutta che portava a tracolla.
- Loro chi? Se ci è permesso chiederlo – azzardò lord Varys studiandolo silenziosamente.
- Le presenze silenti.
Rimangono in disparte fin quando l’attenzione degli ospiti non viene meno.
- L’attenzione? – domandò Arthur.
- La razionalità.
La coscienza.
Il controllo – spiegò l’ometto voltandosi a guardare il dorniano.
- Tuttavia, possono comunque trattenervi qui contro il vostro volere – aggiunse afferrando una frutto dalla cesta e mordendolo. – Sapete che ore sono per caso?
- Suppongo manchi poco all’alba – rispose lord Varys.
- Grazie. Non sapevo che ore fossero da ieri – spiegò sedendosi a terra. – Prego, accomodatevi.
- Sapete per quale motivo siamo qui? – domandò il Ragno facendo come gli era stato detto.
- Sei molto silenzioso – questa volta, l’ometto si rivolse a Rhaegar, ignorando lord Varys. – La tua diffidenza arriva a tal punto? Avanti, avvicinati.
A ciò, il principe drago obbedì, sedendoglisi di fronte, sul pavimento freddo sporco di polvere e di ragnatele.
Si scoprì il volto dal mantello e guardò l’ometto negli occhi.
- Capisco – disse quest’ultimo.
- Cosa? Che cosa avete compreso? – domandò Arthur, restando in piedi accanto alla porta, venendo ignorato.
Dopo un lungo attimo di silenzio, il giovane drago gli rivolse la parola. – Se siete in grado di guarirmi, sono disposto a cedervi tutto ciò che chiederete.
- Sai di star mentendo – lo interruppe l’ometto. – Inoltre, io non guarisco nessuno.
Non posseggo alcuna capacità fuori dalla norma.
- Non è quello che ci è stato detto – fu nuovamente Arthur a parlare.
- Non importa. Tutto ciò che siete in grado di fare, fatelo – lo pregò Rhaegar.
L’ometto accennò un sorriso. – Non sarà facile.
Le presenze scrutano dentro la mente e il corpo degli ospiti che lo permettono.
Io sono solo un messo.
Tuttavia, qualsiasi cosa ti affligga, non è estirpabile.
E ciò che stiamo per fare, potrebbe scatenarla maggiormente.
Dovrai essere in grado di sopportarlo nel caso il tentativo di distrarla da te fallisse.
Rhaegar annuì immediatamente.
- Ad ogni modo, è stato un errore venire qui, Rhaegar Targaryen – lo informò l’ometto. – Io non sono interessato a te. A nessuno di voi.
- Per quale motivo è stato un errore? – si affrettò a chiedere Varys, senza ricevere risposta.
Rhaegar decise di non porgli domande, capendo che l’uomo davanti a sé avrebbe risposto solamente quando e come lo aggradava.
- Chiudi gli occhi – lo esortò egli, chiudendoli a sua volta.
Dopo di che, pronunciò una preghiera in una lingua sconosciuta al giovane drago.
Quest’ultimo attese, attese ad occhi chiusi che terminasse, pazientando, cercando di mantenere la piena calma.
- Sei un ragazzo estremamente controllato.
Se non ti sforzi di non esserlo, tutto ciò non servirà a nulla – gli disse quella oramai familiare voce gracchiante, una volta terminato di parlare in quella lingua sconosciuta.
- Non ce la faccio. Lo sono sempre stato. Non credo di esserne in grado – ammise Rhaegar.
A ciò, l’ometto si rialzò in piedi, andò a prendere una delle decine di caraffe tutte uguali che teneva poggiate accanto alla parete e versò un po’ del suo contenuto in un bicchiere di argilla.
Dopo di che, si risedette a gambe incrociate di fronte al principe drago e glielo porse.
- Bevi – lo esortò.
Senza farselo ripetere, Rhaegar obbedì, ignorando il pessimo sapore del liquido biancastro che stava ingurgitando, bevendone fino all’ultima goccia.
Fatto ciò, attese che accadesse qualsiasi cosa.
Dopo qualche minuto, percepì di non avere più il controllo del suo corpo e cominciò ad allarmarsi.
Provò a parlare ma non vi riuscì, poiché la sua bocca non rispondeva ai suoi comandi.
Spalancò gli occhi e provò ad alzarsi in piedi, ma anche quello gli fu impossibile.
Era la sensazione peggiore che avesse mai provato in vita sua, ed era sicuro che, anche negli anni a seguire, mai nulla l’avrebbe eguagliata.
Intrappolato dentro il suo stesso corpo, senza poterlo dominare, urlò dentro di sé, nonostante dalle sue labbra non uscisse nulla.
Improvvisamente, anche un estraneo e anomalo istinto di sonno lo invase, spingendolo a provare l’intenso desiderio di chiudere gli occhi e addormentarsi.
Fu in quel momento che percepì una mano posarglisi delicatamente sulla spalla.
Credendo fosse Arthur, si voltò a guardarlo, scoprendo di aver riacquistato di nuovo il controllo del proprio corpo.
Tuttavia, quando si voltò, non trovò nessuno dietro di sé e la pressione della mano sparì.
Dei potenti brividi freddi gli invasero la schiena nel momento in cui ritornò con lo sguardo in avanti, verso l’ometto, poiché, non appena lo fece, la mano ritornò a premere sulla sua spalla, distintamente.
Le dita strinsero la carne e le ossa sotto i vestiti, mentre anche un’altra mano la imitò sull’altra spalla.
Ritentò, provando a voltarsi indietro diverse volte, ma, ogni qualvolta lo faceva, era come se non fosse mai stato toccato.
Quell’impellente istinto mortifero non voleva abbandonarlo, spingendolo a schiudere e a richiudere le palpebre più volte, mentre provava con tutto se stesso a rimanere sveglio.
Le mani che percepiva posarglisi sulle spalle e sulla schiena si moltiplicarono, facendolo rabbrividire ancora.
Fu allora che la sua mente si scatenò come spesso gli accadeva, ma in maniera molto più violenta rispetto al solito.
Capì che quelle presenze silenti, le quali prendevano vita solo quando lui non si voltava a guardarle, stavano stuzzicando e infastidendo i morbosi e turbolenti incubi che si annidavano nella sua mente.
Le allucinazioni si librarono totalmente, invadendolo come se avessero vita propria, come se cercassero di rubargli il dominio del suo corpo.
Cominciò a tremare violentemente e ad agitarsi, sudando freddo e stringendosi i capelli con le dita.
Sentì le voci allarmate di Arthur e di Varys che chiedevano spiegazioni in lontananza, come ovattate.
Spalancò gli occhi ma non vide nulla, oltre ad un turbinio di immagini diverse che furono in grado di togliergli il respiro, per quanto invadenti e veloci nel susseguirsi tra loro.
Il punto in comune erano le fiamme che risucchiavano e consumavano qualsiasi cosa trovassero sul loro cammino. Città, palazzi, navi, animali, donne, uomini, vecchi e bambini.
Udì delle urla, molto più forti del solito, tanto forti da prendere il controllo della propria voce.
Urlò accasciandosi a terra, poggiando la fronte sul pavimento freddo, cominciando a gridare ad alta voce un fiume di parole e di frasi diverse, in più lingue.
Batté i pugni a terra, fece ricadere la testa all’indietro e spalancò gli occhi, totalmente vuoti.
- Fatelo smettere immediatamente!! – esclamò Arthur provando ad avvicinarsi al principe drago, trovandosi dinnanzi alla scena più agghiacciante a cui avesse mai assistito, ma venendo prontamente fermato dall’ometto.
- Non azzardarti – disse quest’ultimo restando seduto immobile dov’era, continuando a guardare Rhaegar.
- Che cosa gli state facendo …?? – domandò Varys esterrefatto.
- Se continuerà così, rischierà di farsi del male!! Qualsiasi cosa gli stiate facendo, smettetela immediatamente o vi pianterò la mia spada dritta nella spina dorsale! – lo minacciò Arthur, sul punto di perdere il senno.
- Io non sto facendo nulla.
Tutto quello che vedi, è opera sua e sua soltanto.
O meglio, è opera di ciò che ha messo radici dentro di lui – rispose atono l’ometto, facendoli sbiancare entrambi.
Improvvisamente, il principe drago smise di urlare e di gettare fuori quell’infinita catena di parole senza tregua, lasciandosi ricadere sdraiato a terra, di schiena.
Il fiatone che aveva era talmente forte da non permettergli quasi di respirare, gambe e braccia tremavano ancora, il suo corpo era febbricitante, mentre le palpebre semi abbassate.
- Per gli dèi …
Non saremmo mai dovuti venire qui.
Non saremmo mai dovuti venire qui … - esalò Arthur avvicinandosi al suo amico, inginocchiandosi accanto a lui e provando a riportarlo alla realtà.
Gli alzò un braccio con cura e gli strinse mano e polso. – Riesci a sentirmi, Rhaegar …?
Le presenze silenti stavano cullando corpo e anima del futuro erede al trono, quasi come per scusarsi per ciò che avevano appena innescato in lui, spingendolo a sorridere, stanco e inconsapevole, mentre Varys e Arthur lo affiancavano e lo osservavano allarmati.
- Perché stai sorridendo …? – gli domandò Arthur rinforzando la presa sulla sua mano.
A ciò, il principe voltò di poco il viso verso il dorniano e provò a schiudere le labbra ferite e insanguinate, morse violentemente nel lungo momento di delirio appena trascorso.
Uscì solo un debole sibilo rauco dalla sua bocca, la gola troppo stremata per emettere qualcosa di diverso.
A ciò, il dito del principe drago andò a posarsi debolmente sul palmo di Arthur, cominciando a tracciare delle lettere.
- Cosa sta dicendo? – domandò impaziente Varys al dorniano.
Quest’ultimo attese che Rhaegar terminasse di scrivergli sul palmo, poi lo fissò negli occhi, prendendosi qualche momento di silenzio, prima di ripetere ad alta voce tutto ciò che il principe aveva tracciato.
- “Il drago a tre teste si è rivelato a me.
Sono riuscito a scorgerlo tra le fiamme.
Mi ha detto che la distruzione della Sala d’Estate non è stata colpa mia, ma degli alchimisti.”
Si massaggiò la tempia con le dita, mentre si dirigeva verso la stanza del Gran Maestro convocato da lord Whent appositamente per lui.
Una volta terminato il delirio e ripresosi parzialmente, aveva visto lord Varys chiedere all’ometto cosa avesse preteso in cambio.
Arthur era sin troppo furente e sconvolto per ragionare razionalmente, dato che stava già compiendo una fatica immane nel non ammazzare quell’uomo seduta stante, in quel momento.
Questo aveva risposto che non avrebbe chiesto nulla in cambio, semplicemente per il fatto che l’aveva già ricevuto: non era la stirpe Targaryen ad essere maledetta, ma quella casa.
Egli aveva spiegato loro che, quando Visenya si era recata in quel luogo, secoli prima, aveva condannato uno dei suoi discendenti a soffrire le pene che stava patendo lei, ma raddoppiate.
Del tutto casualmente, quel discendente era lui.
Ma Visenya non poteva saperlo, al tempo.
E Rhaegar non poté fare a meno di pensare a quanto la sua antenata si fosse sentita devastata dalla colpa, dopo aver saputo cosa avesse fatto, dopo esser venuta a conoscenza di aver inconsapevolmente maledetto un suo discendente, un discendente che non avrebbe mai conosciuto e che non avrebbe potuto avvertire, né porgergli le sue scuse.
Non poté fare a meno di pensarlo poiché era come si sentiva lui in quel momento.
Chissà su quale suo discendente sarebbe ricaduto quel supplizio, chissà quanti anni dopo sarebbe venuta al mondo la persona che aveva scioccamente e inconsapevolmente maledetto, nella speranza di trovare sollievo alle proprie pene.
Era così che funzionava.
L’egoismo aveva condotto lui e Visenya a spingersi verso l’ignoto, a rischiare qualcosa di cui erano totalmente all’oscuro, pur di trovare un briciolo di pace, pur di liberare la mente da qualcosa di tanto opprimente.
Probabilmente era ciò che era accaduto anche ad un altro Targaryen, vissuto chissà quanti anni prima di Visenya, forse colui che aveva dato inizio alla catena, recandosi in quella casa.
Eppure, se solo lo avessero saputo, non avrebbero mai fatto ciò che avevano fatto, rassegnandosi a convivere con i mostri che popolavano la loro coscienza.
L’ometto gli aveva detto che lui somigliasse molto alla sua antenata.
Anche Visenya era la più controllata e la più distaccata tra i suoi fratelli, difatti era stato altrettanto difficile per le presenze silenti entrare in contatto con lei.
Gli aveva anche rivelato che ella, dopo aver scoperto di aver appena maledetto uno dei suoi discendenti solo recandosi in quel luogo, aveva messo da parte la sua inscalfibile ed eterea dignità, pregandolo di rivelarle chi sarebbe stato il malcapitato, tra quante generazioni sarebbe nato e se vi fosse un modo per annullare ciò che ella aveva appena compiuto.
Era una donna gelida e spietata Visenya.
Era in tal modo che veniva ampiamente descritta da ogni tomo che narrava le gesta dei tre conquistatori.
Tuttavia, forse, non doveva esserlo poi così tanto.
Dopo aver udito quelle parole, era riuscito a rivedersi talmente tanto in lei, da sentirla quasi vicina a sé.
Raggiunse finalmente la stanza del Gran Maestro e bussò.
Lord Whent si era adoperato per far arrivare ad Harrenhal, il prima possibile, uno dei Maestri più rinomati della Cittadella, non appena aveva saputo che il futuro erede al trono si fosse svegliato senza voce quella mattina.
Per loro grande fortuna, l’uomo in questione si trovava nei pressi delle Terre dei Fiumi, dunque era riuscito ad arrivare ad Harrenhal tempestivamente.
Nessuno, oltre la famiglia Whent, lord Varys, Arthur e il resto della famiglia reale era a conoscenza del suo improvviso problema alla gola.
Rhaegar aveva richiesto specificamente a lord Whent di essere discreto e di non spargere la voce, sperando che il fatto potesse non uscire allo scoperto quella sera stessa al banchetto e alla cerimonia, grazie al miracoloso intervento del Gran Maestro.
Il tempismo di Arthur non era stato affatto dei migliori.
Trascinarlo fuori dal letto nuziale nel cuore della notte, il giorno prima della cerimonia di iniziazione al torneo, non sapendo minimamente cosa sarebbe realmente accaduto in quelle poche ore, era stato un gesto sin troppo impulsivo e irragionevole persino per l’Arthur di qualche anno prima, meno maturo e responsabile.
L’unica spiegazione che Rhaegar era riuscito a darsi per il comportamento del suo amico, risiedeva nella forte preoccupazione di Arthur nei suoi confronti.
Erano giorni che il dorniano lo vedeva assente, tormentato e dissipato dalle allucinazioni, le quali erano arrivate al punto di distoglierlo dai suoi doveri e di allontanarlo dai suoi cari.
Doveva essere estremamente preoccupato per lui, per aver agito in tal modo.
Di certo non lo biasimava per questo, così come non lo biasimava per essersi rivolto a lord Varys, in un momento di disperazione.
A dispetto di tutto ciò che era accaduto all’interno di quella casa, gli incubi e le allucinazioni sembravano avergli lasciato un po’ di tregua, in quelle poche ore che erano trascorse dall’evento.
Era deciso ad approfittare di ciò per riprendere in mano tutto ciò che richiedeva la sua presenza, la sua attenzione e il suo intervento, rimettendosi in gioco pienamente, fin quando quel supplizio gliene avesse lasciato modo.
Nessuno si sarebbe accorto del suo fugace cambiamento.
Per quanto riguardava Elia, era stato costretto a mentirle, dicendole di aver necessariamente dovuto seguire Arthur nel cuore della notte per aiutarlo in una faccenda che richiedeva la sua immediata competenza.
Non avendole specificato di che tipo di questione si trattasse, essendo rimasto tanto vago di proposito, Elia aveva compreso, come sempre era solita fare, ed aveva annuito, non approfondendo l’argomento, non riuscendo a nascondere uno sguardo lievemente allarmato.
D’altronde, quella mattina, al suo risveglio, l’aveva ritrovato senza voce e con le labbra martoriate, dunque era perfettamente comprensibile che fosse legittimamente preoccupata, a prescindere dal banchetto che si sarebbe tenuto quella sera stessa.
Fortunatamente non si era procurato lividi troppo visibili in parti del corpo scoperte, e già quella era una conquista non da poco.
Il Gran Maestro gli diede il permesso di entrare e lui si accinse a farlo, archiviando momentaneamente tutti i pensieri che gli vorticavano in testa.
Entrò dentro la stanza predisposta per l’uomo, nel quale questo aveva già sistemato diligentemente tutti i suoi strumenti.
- Vostra Maestà, io sono il Gran Maestro Gilles, è per me un onore incontrarvi – si presentò il vecchio che comparve dinnanzi ai suoi occhi, inchinandosi.
Egli era un uomo basso e molto magro, con le guance scavate, folte sopracciglia, radi capelli a coprirgli la testa allungata e uno sguardo cordiale.
Avrebbe voluto dirgli che non vi fosse alcun bisogno di tali formalità, oltre a ringraziarlo per essere giunto ad Harrenhal tanto tempestivamente solo per visitarlo e fargli tornare la voce.
Tuttavia, cosciente di non potersi esprimere, anche se ancora troppo poco avvezzo a quella fondamentale mancanza, gli rivolse un gentile sorriso.
- Vi prego, accomodatevi su quel giaciglio, in modo che io possa comprendere quale male ha colpito la vostra gola, mio principe – lo incoraggiò servizievole.
Rhaegar si sedette sul piccolo letto morbido e attese che l’uomo si sedesse sulla sedia di fronte a lui.
Gli disse di aprire la bocca il più possibile e lui obbedì, percependo con sorpresa le dita del Gran Maestro poggiarsi alla sua mascella, mentre gli si avvicinava per riuscire a vedere meglio dentro la sua bocca.
Improvvisamente, i ricordi della sua infanzia e della sua adolescenza lo invasero.
I medici di corte e i Maestri, solitamente non si permettevano quasi mai di toccare un reale quando lo visitavano, a meno che non si trattasse di una questione di vita o di morte.
Ricordava distintamente la faccia schifata e irosa di suo padre mentre osservava ogni movimento del Gran Maestro che aveva visitato sua madre subito dopo aver dato alla luce Viserys.
Egli, per quanto avesse provato a mantenere le distanze il più possibile, era stato costretto a palpare la pancia ancora gonfia della regina, per valutare il suo stato di salute nel dettaglio.
Per punizione, Aerys lo aveva fatto frustare e imprigionare per trenta giorni.
Lo stesso era accaduto la volta in cui lo stesso Rhaegar era stato ferito durante un allenamento, quando era bambino.
Uno dei Maestri aveva avuto l’ardire di prenderlo in braccio e di portarlo nella stanza dedicata alla cure, per medicarlo tempestivamente prima che la ferita alla gamba gli si infettasse.
In quel caso, Aerys l’aveva fatto uccidere, senza alcuna pietà, nonostante quell’uomo avesse salvato la vita di suo figlio.
Per tale motivo, la sensazione delle mani rugose e delicate del Gran Maestro su di sé lo sorpresero ingenuamente, considerando il terrore che ogni medico nutriva quando si trattava di occuparsi di un membro della famiglia di Aerys Targaryen.
- Avete sforzato molto la voce, sire? – la voce grave del vecchio Maestro lo attirò nuovamente. – Riuscite a rispondermi sussurrando o vi è totalmente impossibile?
A ciò, Rhaegar si sforzò di far uscire almeno un fievole sibilo dalle sue labbra. – Sì … questo è tutto quello che riesco a fare.
- Bene. Non sforzatevi. Avete la gola molto irritata, per tale motivo non riuscite a parlare. Non temete, non è nulla di permanente.
Vi servirebbe solamente un po’ di riposo, tuttavia sono a conoscenza che questa sera si terrà un banchetto al quale dovrete necessariamente prendere parte e che vi costringerà a parlare con decine di persone.
Rhaegar annuì, scrutando il volto del vecchio, speranzoso.
- Posso somministrarvi un antico rimedio che velocizzerà ampliamente il ritorno della vostra voce.
Si tratta di una medicina molto potente, ma dovrete comunque fare attenzione a non sforzare particolarmente la gola.
Il principe annuì accennandogli un sorriso riconoscente, prendendo in mano il vasetto di vetro che l’uomo gli stava porgendo.
- Questo invece vi servirà per guarire i tagli e le lesioni sulle labbra. Entro qualche ora la situazione dovrebbe migliorare visibilmente – continuò il Gran Maestro, donandogli anche un altro vasetto.
Era tutto ciò di cui aveva bisogno in quel momento.
Medicinali e riposo.
Tutto ciò che gli serviva per prepararsi al banchetto di quella sera nel migliore dei modi, senza destare sospetti a nessuno, né ai nobili, né ai suoi cari, né a suo padre.
Per il momento, era tutto ciò che gli interessava, poiché, come aveva imparato sulla propria pelle innumerevoli volte, la corte viveva di apparenze, e far parte della famiglia reale significava nutrirsi di tali apparenze, usandole abilmente a proprio piacimento e per i propri scopi.
 
 
Lyanna attese che la sua ancella le stringesse il corpetto dello scomodissimo abito che stava indossando.
Trattenne il respiro mentre Aileen tirava i nastri più che poteva, desiderando essere ovunque, tranne che lì, in quel momento.
Ogni volta che era costretta ad indossare quelle odiose impalcature e a restarci dentro per serate intere, avrebbe volentieri scambiato il suo corpo con quello di uno dei suoi fratelli, per assaporare la comodità della spontaneità, per potersi comportare come più la aggradava senza dover prestare costantemente attenzione ad una marea di rigorose regole di comportamento imposte alle donne delle nobili famiglie.
Schiena dritta, pancia in dentro, petto in fuori, volto alto, mani congiunte.
- Aileen, può bastare … mi verrà da vomitare se stringi ancora … - la supplicò poggiandosi una mano sul ventre imprigionato e dolorante.
- Oh, perdonatemi, lady Lyanna. Ma sapete che i nastri andrebbero stretti ancora un po’. Altrimenti, l’effetto finale non sarà ottimo come ci si aspetta – le disse la giovane ragazza con gentilezza.
- Ti prometto che nessuno si accorgerà che non mi hai stretto i nastri quanto avresti dovuto.
A ciò, Aileen annuì e si affrettò ad allacciarle il corpetto, per poi porsi dinnanzi a lei ed osservarla.
- Siete a dir poco splendida, lady Lyanna.
Lord Baratheon striscerà ai vostri piedi. Ammalierete tutti – le disse prendendole le mani e sorridendole.
La giovane lupa ricambiò, stringendogliele a sua volta, per poi voltarsi verso lo specchio e osservare la propria immagine riflessa.
Il lunghissimo vestito blu cobalto con numerosi ricami argentati le ricadeva addosso fasciandola in alcuni punti in particolare, facendola vergognare nell’accorgersi che determinate zone del suo corpo, che ricordava diverse, fossero cambiate: il seno era molto più prominente e il corpetto soffocante lo metteva troppo in evidenza, mentre il busto stretto contrastava con la curva più accentuata che avevano acquisito i suoi fianchi.
Fortunatamente, la gonna era meno pomposa di quanto si aspettasse, e il tessuto era soffice e morbido, abbastanza pesante da tenerle caldo alle gambe nude.
Le piacevano le maniche sottili, lunghe e aderenti sulle braccia, le quali terminavano andandosi a diramare delicatamente sul dorso delle sue mani bianche, arrivando quasi fino alle dita.
Un altro elemento che trovava a dir poco scomodo a livelli ultraterreni, era l’appariscente acconciatura che teneva la sua lunga cascata di capelli neri appiccata in alto: una miriade di ciocche boccolose erano accuratamente e intricatamente intrecciate tra loro e tenute insieme da diversi nastri bianchi perlacei, rendendo la sua chioma un elegante disegno astratto, quasi uno scarabocchio ipnotico.
- Manca il tocco finale – le disse Aileen da dietro le spalle, infilandole una bellissima e delicata collana, la quale aveva una brillante pietra ovale incastonata nel ciondolo, di un blu quasi accecante.
Lyanna restò ferma dinnanzi allo specchio, attendendo che Aileen terminasse di allacciargliela dietro la nuca nuda, osservando la catenina argentea accarezzarle dolcemente le clavicole scoperte.
- Quella che sto vedendo davanti ai miei occhi è una donna, per caso?
Quella voce familiare proveniente dall’entrata della tenda la fece sbuffare e sorridere insieme.
Si voltò verso Brandon, il quale se ne stava con le braccia conserte e un fianco poggiato alla porta e la osservava con un sorriso a metà tra il tenero e il sornione.
Lo scrutò a sua volta, squadrandolo. Quell’elegantissimo completo scuro gli calzava addosso perfettamente, rendendolo ancora più aitante di quanto non fosse solitamente.
- E quello che sto osservando io è per caso un nobile gentiluomo?? – gli rispose stupita, vedendolo avvicinarsi a lei.
- Puoi andare Aileen, grazie – disse il maggiore dei lupi, attendendo che la giovane ancella si inchinasse e uscisse dalla tenda.
Brandon poggiò le mani sulle spalle di sua sorella, guardandola dall’alto.
- Sei cresciuta, Lya.
Quella voce arrivò alle orecchie della giovane lupa stranamente amara, velata da una sorta di tristezza.
- Non dire sciocchezze – gli rispose sorridendogli rassicurante, forse più per se stessa, che per lui. – Sono sempre la solita bambina spericolata e scansafatiche.
Brandon le sorrise in risposta. – Mi raccomando. Questa sera mostra a quella palla al piede del tuo promesso sposo quanto tu sia forte e indipendente. Intesi, “Doen”?
Udire quel nome le fece perdere il sorriso per un istante.
Notando ciò, Brandon scrutò attentamente il suo sguardo. – Ti manca?
Quella domanda sincera, discreta, priva di rimprovero o malizia, la fece rilassare maggiormente sotto le sue mani, mentre distoglieva gli occhi da lui e li puntava altrove.
- Non lo nego.
Non sono disposta a negarlo, a rinnegare ciò che ho provato.
Per quanto sia durato poco. Per quanto sia stato futile.
- Non devi – le rispose lui, sorprendendola. – Hai scoperto qualcosa di te. Qualcosa che ti ha aiutata, che ti ha fatta crescere e maturare.
Sii consapevole di ciò e non averne paura.
Non avere mai paura di esporti, Lya.
Forse, detto da me, tutto ciò non ha molta credibilità, ma fidati delle mie parole.
Non temere di soffrire, neanche per chi, forse, non se lo merita.
In ogni caso, sarà sempre una vittoria.
La giovane lupa guardò suo fratello con occhi pregni di stupore, luminosi.
Restarono così per un po’, fin quando Brandon non le diede un dolce bacio sulla fronte e la esortò ad uscire dalla tenda.
Fuori da quest’ultima, vi era Ned ad attenderli.
Egli guardava il cielo, con gli occhi chiari rivolti verso la luna tagliata a metà, sfoggiando inconsapevolmente e magistralmente bene un elegantissimo completo grigio scuro con ricami neri.
Distrattamente, si voltò verso di loro, mentre il vento serale gli scompigliava i capelli scuri. I suoi occhi si spalancarono non appena vide sua sorella, facendo sorridere quest’ultima e Brandon allo stesso modo.
- Lo so, anche io stentavo a crederci quando sono entrato.
Grazie a qualche sorta di miracolo divino, il nostro fratellino mancato, stasera sembra davvero una lady. Roba dell’altro mondo.
A quel commento di Brandon, Lyanna gli tirò una violenta gomitata che lo fece tossicchiare per diversi secondi.
Dopo di che, la giovane lupa si precipitò accanto a Ned, sorridendogli raggiante, con i grandi occhi che sembravano due fulgide stelle in quella serata particolarmente buia.
Il ragazzo ricambiò e le porse il braccio, attendendo che ella vi infilasse la mano, per condurla, per poi abbassarsi per sussurrarle qualcosa all’orecchio.
- Ho detto a Robert di aspettarci direttamente al castello.
Volevo accompagnarti io, almeno per stasera.
A quella rivelazione, Lyanna si sentì felice, felice come non lo era mai stata.
Strinse le dita sull’avambraccio di Ned spasmodicamente, affrettò il passo e si godette la brezza fresca accarezzarle il viso e i vestiti.  
- Andiamo a mostrare a quei nobili da strapazzo di che pasta sono fatti dei veri lupi del Nord.
 
Di certo, ogni uomo e donna presente al sontuoso banchetto avrebbero concordato su chi fosse la presenza femminile più accecante ed esteticamente disarmante di quella sera.
La bellezza della giovane Cersei Lannister era impareggiabile ed era in grado di gettare in ombra quella di tutte le altre lady, con l’elaborata acconciatura che risaltava la sua chioma d’oro e l’appariscente abito color sabbia che indossava egregiamente.
Ella rideva e si godeva ogni singolo sguardo puntato su di lei, nutrendosene, compiacendosene fino quasi ad ubriacarsene.
- Invidiosa di non essere la stella della serata, cara sorella? – disse Arthur avvicinandosi ad Ashara, la quale era in piedi accanto ad uno dei tavoli imbanditi, disposti per allietare gli ospiti in attesa dell’arrivo della famiglia reale nell’immenso salone.
Le circondò il fianco stretto nello splendido vestito di seta lilla con la mano, e attese che ella gli rispondesse con uno dei suoi soliti versi stizziti malcelati.
Tuttavia, la ragazza rimase in silenzio, ad osservare i vari ospiti che popolavano l’enorme e confusionario salone dorato dall’intensa illuminazione.
- Hai trovato il tuo fortunato cavaliere perennemente imbronciato?
A quella seconda domanda, Ashara accennò un sorriso in risposta. – Non è imbronciato.
Arthur ridacchiò. – Dunque lo hai trovato – disse ispezionando minuziosamente il salone con lo sguardo per trovare il succitato, scorgendolo in piedi e in silenzio, intento ad ascoltare Robert Baratheon parlare animatamente, accanto a sua sorella e agli altri due fratelli Stark.
- Per gli dèi, anche lui è un figurino questa sera.
Sembra quasi meno rigido e misterioso del solito, il tuo timido lupo.
- Hai intenzione di rovinarmi la serata anche oggi, Arthur?
- Quella accanto a lui è sua sorella, giusto? La promessa di Robert Baratheon.
Quando l’ho vista nell’accampamento qualche giorno fa non mi era sembrata tanto bella e seducente come stasera – osservò la Spada dell’Alba scrutando la giovane lupa.
Ashara si voltò finalmente verso di lui, con sguardo criptico. – Non dovevi rimanere con Rhaegar fino al suo ingresso in sala insieme al resto della famiglia reale?
- Sì, ma ho deciso di venire prima. Il nostro principe e la nostra principessa avevano bisogno di essere lasciati soli per un po’.
- Elia non me ne ha parlato – rispose Ashara aggrottando la fronte. – L’ho vista lievemente in ansia questo pomeriggio, ma, tutto sommato, sembrava abbastanza in agio. Un altro dei soliti battibecchi?
Arthur negò con la testa, afferrò uno dei calici dal tavolino, si versò del vino e ne prese una sorsata. – Questa mattina era preoccupata per lo stato di Rhaegar, voleva sapere cosa fosse successo durante la notte, ma lui si è ripreso velocemente, perciò poi si è rilassata.
Ashara annuì. – Suppongo sia per la gravidanza, allora.
Ultimamente il bambino non le sta lasciando un attimo di tregua, scalcia in continuazione, per quanto ella in questi nove mesi sia rimasta inaspettatamente in forze e in salute.
Inoltre, anche se non lo dà a vedere, Elia odia profondamente doversi mostrare quando non è fisicamente al massimo della sua forma.
Chi non la capirebbe? È già costantemente oggetto di sguardi e di giudizi per essere la moglie del futuro re dei sette regni e per portare suo figlio in grembo.
Non riuscire ad indossare uno degli abiti sforzosi che dovrebbe sfoggiare una principessa in celebrazioni come questa, diventa una questione di principio per lei, in tal caso.
Ho cercato di rassicurarla oggi pomeriggio, insieme a Rhaenys, quando l’abbiamo aiutata con la prova abito.
- Ora è con lui. Rhaegar sa sempre come prenderla e rassicurarla.
- Non ne sarei così sicura – controbatté Ashara.
- Perché lo pensi?
- Perché Rhaegar è Rhaegar, Arthur.
Per quanto lui possa tentare e ritentare, è egli stesso la causa delle debolezze di Elia.
Finirà sempre per farla sentire più inadeguata di quanto già si senta.
Lo dico con rammarico, fratello.
Sono e rimarrò convinta che la dannazione di Elia è stata divenire la moglie di Rhaegar Targaryen.
Prima che Arthur avesse modo di risponderle, i due vennero interrotti dall’annuncio di lord Whent dell’imminente ingresso della famiglia reale all’interno del salone.
- Che cosa ci trovi in lui? – domandò infine Arthur a sua sorella, cambiando totalmente discorso, poco prima di allontanarsi da lei.
Ashara osservò nuovamente Ned a distanza, pensandovi su.
- Credo sia un ragazzo molto dolce, a modo suo.
Ha un cuore buono ed è molto ligio all’onore.
Ho l’impressione sia uno di quei rari uomini che non tradirebbero una donna neanche per tutto l’oro del mondo.
Il primo a varcare la porta fu il re dei sette regni Aerys Targaryen, trascinandosi sui suoi stessi piedi, seguito e circondato dagli uomini della sua guardia reale e personale.
Non appena il re folle si sedette nel posto centrale del tavolo rialzato posizionato dinnanzi alla parete più grande della sala, ornata da splendidi affreschi, anche il principe e sua moglie fecero il loro ingresso, nel completo silenzio dei presenti e con altrettanti cavalieri della guardia a circondarli.
Rhaegar Targaryen attraversò il salone con sua moglie Elia Martell stretta al suo avanbraccio, e la principessina Rhaenys che camminava appena dietro di loro, con un sorrisino a settantadue denti ad illuminarle il volto e uno sfarzoso vestitino giallo limone che faceva risaltare la sua bella carnagione scura.
Il principe ereditario raggiunse l’altro tavolo, appena più in basso di quello in cui sedeva il re in completo isolamento, prendendovi posto e aiutando Elia a fare lo stesso, tenendole la mano e trattenendole lievemente la stoffa del lungo abito che indossava.
Quando anche Rhaenys si sedette, alla sinistra di suo padre, cominciarono le presentazioni delle famiglie nobili dinnanzi alla famiglia reale.
La sfilata di tutti gli ospiti presenti al banchetto durò quasi un’ora.
Giungevano dinnanzi ai tavoli del re e del principe, rivolgevano loro un riverente inchino, i lord presentavano ogni componente della propria famiglia al cospetto delle altezze reali, e se ne tornavano indietro, lasciando spazio ai prossimi.
Terminato quel consuetudinario rito, il banchetto ebbe ufficialmente inizio.
- Hai visto come l’ha guardata?? – ghignò divertito Robert, bevendo il terzo bicchiere di vino.
- Chi? – domandò Ned.
- La serpe Lannister, la figlia di lord Tywin. Quando ha sfilato in quel modo provocante e con quell’aria da reginetta mancata davanti al principe e alla principessa, la povera Martell è sbiancata! – spiegò ridendo.
- Non mi sembra Elia Martell abbia nulla da invidiare alle altre lady presenti questa sera – commentò freddamente Brandon, ricevendo una sentita stretta di assenso da parte della sua promessa, seduta accanto a lui.
- Oh, andiamo, Brandon! Ammetterai anche tu che quel pancione la arrotonda parecchio!
A Lyanna andò di traverso il pezzo di agnello che stava masticando, in seguito a quell’ultima frase del suo futuro consorte.
- È normale, Robert, sta aspettando un figlio – gli rispose atono Ned. - Oggettivamente, è ad ogni modo molto bella.
- Sì, che sia un bel vedere non è in dubbio, amico mio. Tuttavia, la Lannister sembra essere consapevole di intimorirla solo agitando quel bel fondoschiena tondo e alto dritto davanti agli occhi del suo principe d’argento!
Detto ciò, Robert sembrò prendere improvvisamente consapevolezza di qualcosa, poggiò sul tavolo il calice di vino e si voltò alla sua destra, verso la sua promessa.
- Ovviamente, è assolutamente scontato che io vi stia volutamente escludendo da ogni paragone con le altre dame presenti questa sera, milady.
Oggi siete abbagliante, mia dolce Lyanna, tanto da annebbiare chiunque – le disse prendendole la mano e baciandogliela.
La giovane lupa rimase in silenzio dinnanzi a ciò, non sforzandosi neanche di sorridergli.
- Se il principe dovesse essere tanto volubile e superficiale da farsi distrarre dalla sua amata a causa di qualche moina da parte di lady Cersei Lannister, allora non la merita – commentò Ned con decisione, scatenando nuovamente l’ilarità di Robert.
- Oh, Ned, cosa ti prende?? Stai forse facendo qualche pensiero poco casto sulla futura regina?? – lo provocò, per poi seguire la traiettoria dello sguardo del giovane lupo e scorgere una figura che si aspettava di vedere. – Come immaginavo, i tuoi occhi non sono per la Martell, ma per qualcun'altra, caro il mio Eddard – lo canzonò squadrando abbondantemente il corpo di Ashara Dayne, seduta ad uno dei tavoli più vicini a quelli della famiglia reale. – Questa sera il nostro Ned farà conquiste! Me lo sento!
Brandon si concesse di ridere a quella previsione di Robert, nonostante cercasse sempre di non dar corda al giovane cervo.
- Chi è il ragazzo che sta andando di tavolo in tavolo ad importunare gli ospiti? – chiese con voce leggermente indisposta Catelyn.
- Oh, quello è il principe Oberyn Martell, fratello di Elia – spiegò Brandon. – Un cialtrone dedito solo ai piaceri carnali e all’ozio.
- Mi chiedo come possa un uomo del genere avere lo stesso sangue di una donna posata ed elegante come la principessa Elia – commentò Catelyn.
L’attenzione di Lyanna venne distratta da suo fratello Benjen, seduto alla sua destra, intento a salutare la principessina Rhaenys a distanza.
La giovane lupa sorrise e rivolse a sua volta un cenno con la mano alla bambina, la quale ricambiò cercando di contenere la frenesia, impegnandosi a finire di masticare seduta composta ed elegante sulla sua sedia.
Dalla principessina, l’attenzione di Lyanna passò ai suoi genitori, poco più a destra.
Elia Martell sembrava quieta, sorridente e controllata, ma era palese vi fosse qualcosa a turbarla.
Il suo lungo vestito di un lucente e magnetico color melograno, le ricadeva addosso leggero, raffinato, evidenziando il pancione, ma mettendo anche in risalto le dolci e sensuali curve piene della giovane donna, oltre alla sua pelle color cacao.
I suoi lunghi capelli ricci erano intrecciati con innumerevoli fili dorati, lasciati sciolti ad accarezzarle la schiena e le spalle; mentre, un ulteriore elemento decorativo svettava intorno alle sue braccia sottili in decine di bracciali d’oro sopra e sotto i gomiti, indossati con maestria, così come i pendenti e sfarzosi orecchini che sbucavano dalle ciocche scure.
Ad un tratto, Elia attirò l’attenzione del suo sposo toccandogli il dorso della mano, e gli disse qualcosa all’orecchio.
Gli occhi curiosi della giovane lupa scandagliarono anche la figura di Rhaegar.
Egli non aveva nulla di particolarmente appariscente addosso, nessuna corona ornava la sua testa come svettava su quella del re, eppure il principe drago era il centro pulsante di quella sala.
Gli indumenti regali che gli fasciavano perfettamente il busto stretto insieme a tutta la parte anteriore del corpo slanciato, erano cuciti e realizzati con estrema cura, elemento che si riusciva a notare anche a quella distanza.
Dalla testa ai piedi, il colore che dominava i suoi indumenti era uno splendido bianco argenteo, con ricami neri e di varie altre tonalità di bianco su tutta la loro lunghezza, mentre il rosso si poteva ritrovare solamente in piccoli dettagli sul colletto e alla fine delle maniche, all’altezza dei polsi.
I suoi capelli folti e chiarissimi, lasciati liberi se non per alcune piccole ciocche intrecciate accuratamente tra loro, erano tirati ordinatamente indietro con un’elaborata spilla nera che sembrava quasi replicare la sagoma di una testa di drago stilizzata, la quale venne lievemente notata da Lyanna solo quando egli si voltò di profilo, volgendo gli occhi verso sua moglie.
La giovane lupa non seppe per quale motivo i due divennero il principale fulcro del suo interesse in quel momento.
Elia continuò a sussurrare qualcosa all’orecchio di Rhaegar, mentre con le dita gli tratteneva i capelli indietro per avere meglio accesso.
Man mano che ella parlava, lui cambiava gradualmente espressione, senza darlo troppo a vedere.
Quando terminò, egli si avvicinò a sua volta a lei per risponderle, poggiando una mano sulla sua, come per rassicurarla, per poi baciargliela.
A ciò, Elia gli accennò un sorriso, poco prima che i suoi occhi scuri seguissero una traiettoria diversa, velandosi di disagio e forse anche di tristezza.
Lyanna seguì quegli occhi, accorgendosi che la futura regina dei sette regni avesse posato l’attenzione su lady Cersei, seduta a qualche tavolo di distanza, la quale ricambiava quelle occhiate ogniqualvolta se le sentiva puntare addosso, ma con uno sguardo e una convinzione ben diversi, quasi fulminando la principessa con quelle iridi smeraldine colme di orgoglio, vanità e di qualcos’altro che la giovane lupa non riuscì ad identificare.
Forse la teoria di Robert non era del tutto sbagliata.
Sembrava essere successo qualcosa tra quei tre, o, almeno, tra Cersei e il principe drago.
Se ne convinse quando, avendo totalmente concentrato l’attenzione sulla giovane leonessa, la vide puntare i suoi diamanti verdi su Rhaegar, più e più volte, nonostante quest’ultimo sembrasse quasi non accorgersi di lei.
La giovane Lannister sembrava non preoccuparsi che i suoi sguardi persistenti venissero notati e Lyanna comprese anche il perché: i reali erano al centro dell’attenzione di tutti i presenti ad ogni incontro o celebrazione pubblica, dunque non era strano che, sia Rhaegar che Elia, catalizzassero la maggior parte delle iridi che svettavano in quella sala su di loro.
Iridi timide e discrete, per la maggior parte, al contrario di quelle di Cersei.
La giovane lupa notò uno strano gioco di sguardi in quel momento.
Elia alternava l’attenzione tra Cersei, Rhaegar e sua figlia; Cersei, dal canto suo, aveva gli occhi fissi su Rhaegar per la maggior parte; mentre l’unico oggetto che calamitava gli occhi del principe drago su di sé sembrava essere Aerys Targaryen.
Il re folle, difatti, oltre a guardare indistintamente sprezzante la folla di ospiti dinnanzi a sé, come se si trovasse davanti ad una colonia di insignificanti e fastidiose formiche, faceva spesso virare gli stralunati occhi viola verso suo figlio, quasi come stesse calibrando e controllando ogni suo movimento.
Lyanna pensò che dovesse essere estenuante vivere in un ambiente del genere.
Lei, di certo, vi sarebbe impazzita.
Poi, dopo qualche minuto, la giovane lupa si rese conto anche di qualcos’altro.
Notò che, saltuariamente e distrattamente, i propri occhi e quelli del principe si incrociavano.
Erano contatti fugaci e involontari, ne era consapevole, ma ciò servì a farle ritornare distintamente alla mente l’episodio di qualche giorno prima, quando Benjen si era ritrovato a salvare la principessina, e lei a medicarla.
Pensò che lui l’avesse riconosciuta. O forse no, non si ricordava nemmeno.
Terminò di mangiare la succulenta bistecca che aveva sul piatto, in silenzio, ignorando bellamente le sguaiate risate di Robert e i pacati commenti di Ned, cercando di farsi i fatti propri il più possibile, alzando lo sguardo solo di tanto in tanto.
- Se continui a guardarli, ti si consumeranno gli occhi – la riscosse la voce di Benjen, il quale le si avvicinò all’orecchio per sussurrarle quella innecessaria considerazione.
- Che stai blaterando, Ben?
- Il principe e la principessa. Guardi lui o lei? – cercò di indagare il più piccolo dei lupi, già sin troppo annoiato per concentrare la sua attenzione su altro.
- Non guardo proprio nessuno, Ben, tappati la bocca e mangia – lo zittì impettita.
- Guardi lui. Sicuramente. Tanto lo guardate tut- il piccolo lupo venne interrotto da sua sorella, la quale gli infilò una forchettata di verdure in salsa agrodolce in bocca a forza.
- Lya, vacci piano, per gli dèi. Così lo strozzerai – commentò Brandon con voce divertita, mentre Cat tratteneva a stento un sorriso, coprendosi elegantemente la bocca.
Lyanna ghignò soddisfatta mentre guardava il suo fratellino masticare faticosamente, poco prima che i suoi occhi si posarono su una figura che le fece allargare un grande sorriso nel bel volto candido.
- Perché sorridete in tal modo, mia amata? – le domandò Robert guardandola inebetito dal troppo vino che già ad inizio serata gli annebbiava la mente.
- Nulla, milord. Ho solo visto qualcuno che conosco, un caro amico.
- Chi è?? – domandò incuriosito Benjen vedendola alzarsi dalla sua sedia.
- A breve lo presenterò anche a te, Ben – lo rassicurò la giovane lupa, attraversando quei pochi metri che la dividevano dal tavolo in cui sedeva Howland Reed.
 
- Non credo di riuscire a rimanere ancora a lungo … - sibilò Elia dritta nell’orecchio del suo sposo.
- Ti accompagno – le rispose egli premurosamente.
- No! Sei impazzito? Sei il principe ereditario, caro.
Questo banchetto è stato organizzato in tuo onore, non per tuo padre.
Lui è solo una facciata.
Tutte queste persone sono qui per te e per il torneo che tu hai organizzato e finanziato, Rhaegar.
Devi restare.
- Non mi assenterò per molto. Giusto il tempo di starti accanto mentre attendi che i dolori si allevino – le propose lui.
- Starò bene.
Siamo solo alla quarta portata, non puoi assentarti all’inizio delle celebrazioni.
Non appena mi sentirò meglio, ritornerò – lo tranquillizzò accarezzandogli la guancia, mentre Ashara le si affiancava.
- D’accordo, se è quello che desideri – le rispose avvicinandosi e lasciandole un bacio sulla guancia.
Dopo di che, si accostò ad Ashara. – Shar, mi raccomando, fammi avere sue notizie al più presto – si raccomandò, vedendola annuire e affiancarsi alla principessa per aiutarla ad attraversare la sala e a raggiungere la porta.
Intanto, Rhaenys si avvicinò a suo padre mentre osservava tristemente la sua mamma allontanarsi. – Sta male…? – domandò attirando l’attenzione del principe drago, guardandolo dal basso.
A ciò, Rhaegar le sorrise intenerito e la prese in braccio portandola alla sua altezza, prima di risponderle. – Solo un po’, farfallina, ma non vuole che vada con lei. Tu vuoi farle compagnia?
A tali parole, Rhaenys circondò il collo di suo padre con le braccia e poggiò la guancia sulla sua. – Voglio restare ancora un po’ qui con te prima di raggiungerla.
In risposta, egli posò le labbra sulla testolina riccioluta e la baciò più volte, mentre la stringeva a sé.
Molti degli ospiti erano già in piedi, esattamente come loro, anche se vicini ai rispettivi tavoli, troppo presi dalla necessità di sgranchirsi le gambe in seguito alle abbondanti portate che lasciavano le cucine del castello ogni venti minuti, e di conversare con i loro amici e conoscenti seduti in altri tavoli.
Dopo qualche minuto trascorso a vezzeggiare sua figlia stretta a lui, la quale si godeva le carezze e osservava incuriosita tutto il salone a quell’altezza vertiginosa, Rhaegar percepì una mano posarsi sulla parte bassa della sua schiena.
Si voltò verso quella presenza e, con sua sorpresa, trovò l’esuberante fratello minore di sua moglie, ancora stranamente lucido.
- Mi complimento con voi per questo sontuoso banchetto, mio principe – gli disse il dorniano, canzonatorio.
- Hanno organizzato tutto lord e lady Whent, insieme ad Elia. Io non ho fatto nulla.
- L’unica pecca che mi sento di esporvi, è la presenza di vostro padre – continuò Oberyn, per poi avvicinarsi maggiormente a Rhaegar per sussurrargli all’orecchio mentre, con gli occhi scuri, fissava la figura di Aerys Targaryen seduto sul suo tavolo. – Dovreste esortarlo ad alzarsi in piedi e a sgranchirsi almeno le gambe. Non vorremmo mai che, rimanendo seduto tutta la serata a squadrare con sdegno ogni singola persona presente nella sala eccetto voi, qualcuno degli ospiti possa restarne turbato. Non credete? – concluse provocatorio, per poi allontanarsi dal suo orecchio e sporgersi a guardare la sua nipotina. – Detto ciò, posso avere l’onore di avere la fanciulla più incantevole della sala come mia accompagnatrice questa sera? – domandò sorridendo a Rhaenys, la quale ricambiò, voltandosi a guardare suo padre, con le manine ancora strette intorno al suo collo.
- Dopo torno con te, padre – gli promise sorridendogli raggiante.
- Non preoccuparti, vai – le rispose egli ricambiando il sorriso e cedendola nelle braccia di Oberyn.
In seguito, gli si avvicinò Arthur, osservando il salone che si estendeva dinnanzi a loro a sua volta, in silenzio, ascoltando il sottofondo degli archi e le arpe riempire le loro orecchie, unito al vociare indistinto.
- Hai detto che la popolana con la quale ti incontravi alla locanda, in realtà è la figlia di Rickard Stark, giusto? – gli domandò improvvisamente il dorniano, in tono neutro.  
- Sì, è lei – gli rispose Rhaegar, individuandola in piedi accanto ad un tavolo diverso dal suo, intenta a conversare con qualcuno. Dopo di che, guardò Arthur con la coda dell’occhio. – Perché me ne chiedi conferma, ora?
- Ne sei assolutamente sicuro?
- Sì. Ho riconosciuto il viso e la voce.
- Ho notato che, talvolta, ti guarda.
- Cosa ti sorprende di ciò, esattamente? Non è l’unica a volgere lo sguardo verso il tavolo dei membri della famiglia reale, di tanto in tanto.
- Lo so. Ma non era ciò che intendevo – disse il dorniano voltandosi a guardarlo. – Sei assolutamente certo che ella non ti abbia minimamento riconosciuto quel giorno, all’accampamento?
Il tono di allerta nella voce del suo amico lo mise in guardia sui pensieri che vorticavano nella sua mente. – Sì, Arthur, ne sono certo. Ad ogni nostro incontro ero coperto dalla testa ai piedi, irriconoscibile. Inoltre, sono stato ben attento a non parlare in sua presenza.
- Dunque, dinnanzi a lei, solo la voce potrebbe tradirti.
- Dove vuoi arrivare?
- Non serve che io ti dica che devi fare molta attenzione a non avvicinarti a lei, neanche per errore, in modo che non possa in nessun modo udirti parlare.
Stavolta, il tono di Arthur era categorico e spaventosamente serio.
Rhaegar lo osservò per qualche secondo prima di rispondergli. – Sai bene che potrei essere costretto a parlare pubblicamente, nel corso di questi giorni.
Sicuramente accadrà.
- Dunque, sai già che lo scoprirà.
Sei così tranquillo a riguardo?
- Per quale motivo dovrei allarmarmi se una ragazzina di una nobile famiglia scoprisse che girovagavo per le locande senza apparente scopo qualche notte fa?
- Nella delicata posizione in cui ti trovi, dovrebbe importarti parecchio, Rhaegar.
- Ad ogni modo, se anche dovesse spifferarlo a qualcuno, credi davvero che le crederebbero? Credi che le sue parole risulterebbero veritiere se andasse a spargere la voce che il principe ereditario visitasse di notte in notte una locanda, vestito da forestiero, per intrattenersi in lunghe conversazioni con qualche popolano?
- Potrebbe distorcere la verità e portarla a suo vantaggio. Hai almeno pensato a tale eventualità? O ti fidi talmente tanto di quella sconosciuta, da non averla neanche presa in considerazione?
Rhaegar tacque, irrigidendo la mascella.
- O, forse, ti sei addirittura adagiato sul fatto che ella sia poco più che una bambina, dunque non abbastanza acuta o astuta da poter pensare di fare una cosa del genere – persistette Arthur.
- Non lo farebbe mai – si decise a rispondere il principe drago, udendo il risolino nervoso del suo amico in risposta.
- E per quale motivo non lo farebbe mai? Perché la conosci?? Perché credi di conoscere quella ragazzina impacciata, onesta e curiosa con la quale hai parlato per quasi una settimana, usandola come banale distrazione?
- Non conosco lady Stark, ma conosco Doen. So riconoscere qualcuno che mente, Arthur, lo sai bene. Ho vissuto a corte, accanto a mio padre, per tutta la vita, oramai sono un veterano in giochetti come questo e so che non è da lei.
Perciò non angustiarti.
- Dimentichi un dettaglio fondamentale, mio principe – disse il dorniano guardandolo dritto negli occhi e avvicinandoglisi maggiormente. – Quella ragazzina si era infatuata di te, o sbaglio?
Il principe drago sapeva che Arthur fosse riuscito a portarlo dove avrebbe voluto, mettendolo con le spalle al muro.
Attese che la conclusione logica di quelle argomentazioni giungesse alle sue orecchie, mentre continuavano a guardarsi, mortalmente seri.
- Come sai che, devastata da tale scoperta e dal suo amore non ricambiato, ella non ti ricatti, chiedendoti qualcosa in cambio del suo silenzio …? – disse finalmente il dorniano.
Oramai, qualsiasi altra contestazione a tali parole non sarebbe valsa più, qualsiasi fiduciosa supposizione sulla buona fede della ragazza non avrebbe in alcun modo convinto e tranquillizzato il suo amico e protettore.
A lui servivano fatti concreti, non parole al vento.
- Non ha alcuna prova, Arthur – gli rispose, sperando di placare la sua preoccupazione in tal modo. – Non ho parlato con nessuno, eccetto con lei e con l’indovina. Si tratterebbe della parola di una ragazzina contro la mia.
A ciò, Arthur continuò a scrutarlo, ma sembrò lievemente rasserenarsi.
Da quando erano tornati al castello, dopo la notte appena trascorsa, l’umore della Spada dell’Alba sembrava divenuto stranamente cupo.
Non vi era alcun dubbio che Arthur fosse rimasto sconvolto da ciò che era accaduto nell’abitazione di quello stregone, e che si sentisse responsabile.
Tuttavia, il principe drago non credeva che essere visto in tali condizioni da lui, potesse potarlo ad allarmarsi in tal modo per qualsiasi minimo pericolo che scorgeva all’orizzonte.
Erano abituati agli attacchi alle spalle, ai tradimenti, ai subdoli agguati e a tutto il veleno al quale un membro della famiglia reale era soggetto, da anni, e avevano imparato a gestire tutto ciò con calma, lucidità e sagacia.
Ma ora, Arthur sembrava quasi ritrovarsi dinnanzi a qualcosa che lo aveva disarmato tanto, da renderlo insicuro persino di fronte a delle prove evidenti che avrebbero dovuto tranquillizzarlo.
- Stai ripensando alla notte scorsa? – gli domandò Rhaegar senza preavviso, sorprendendolo.
- È difficile non pensarvi, rinchiuderla in uno scantinato e dimenticarsene.
In quella casa ho visto una persona che non eri tu, ho visto qualcosa che mi ha … atterrito. Totalmente. Credevo di conoscere ogni lato di te, ogni sfaccettatura della tua personalità, di tutto ciò che ti tormenta da una vita.
Ma, dopo ieri notte, so che non conoscevo neanche la metà della tua natura.
- Non la conoscevo neanche io, Arthur, se ti può consolare.
- So che devo essere forte, estremamente forte e pronto a tutto se voglio continuare a starti accanto, ad essere un’armatura inscalfibile per te.
- Non ti ho mai chiesto questo.
La tua umanità è quella che mi permette di andare avanti e di allontanare ciò che mi opprime, Arthur, non la tua spavalderia o la tua forza.
A ciò, il dorniano accennò un lieto sorriso. – Mi aggrada sentirlo, tuttavia hai bisogno di tutta la protezione e l’aiuto possibile in questa battaglia esterna ed interna a te.
Non so ancora se ne sarò capace, Rhaegar, ma ci proverò.
Spero solo che tu possa trovare un barlume di pace e di felicità, in tutto ciò.
Il principe drago sorrise tristemente, di rimando. – Mi spiace tu abbia dovuto vedere quello che hai visto, ieri notte.
Immagino non sia stato un bello spettacolo.
Uno strano risolino uscì dalle labbra di Arthur. – Credimi, è stato destabilizzante e molto altro, ma mai spiacevole.
Credo che qualcuno lo avrebbe trovato persino ipnotico.
Al di là della preoccupazione che mi invadeva da capo a piedi nel vederti in quello stato, sembrava quasi che avessi un immenso bisogno di far uscire fuori quel lato bestiale in tutta la sua ferocia.
Sono certo che il Ragno non se lo dimenticherà facilmente.
Si lasciarono andare entrambi ad un sorriso divertito, in seguito a quelle parole.
- Ad ogni modo, oggi come ti senti? – riprese la Spada dell’Alba.
- Meglio. Ma non so quanto durerà. Cercherò di tenerlo a bada se le allucinazioni dovessero tornare. Ciò che mi preoccupa di più è che, talvolta, ciò che vedo mi debilita a tal punto da piegare la mia volontà, forzandomi ad agire in modi in cui non avrei agito in assenza delle allucinazioni.
- Faremo in modo che non accada – lo tranquillizzò il dorniano.
Rhaegar annuì, continuando a godersi il piacevole sottofondo melodico dei musicisti, fin quando i suoi occhi non furono attirati dalle due figure dei giovani Jaime e Cersei Lannister discutere animatamente.
Anche gli occhi di Arthur virarono sui due.
- Il ragazzo prenderà il bianco alla cerimonia di questa sera – commentò il dorniano. – Ha solo sedici anni. Sarà il più giovane della storia – aggiunse.
Rhaegar rimase ad osservare i due litigare. – Mio padre vuole vendicarsi a tal punto della fama e del prestigio acquisito da lord Tywin, da essere capace di arrivare a tanto, privandolo del suo unico erede – commentò con sdegno.
- Hai intenzione di fare qualcosa a riguardo?
A ciò, Rhaegar si voltò a guardare suo padre dietro di sé.
- Non ho alcun potere su di lui.
Lo sai bene.
 
Il banchetto proseguì animandosi sempre più alla fine delle portate, grazie alle danze.
La giovane lupa aveva ballato con Robert, con Howland, con Brandon, con Ned, con Benjen e persino con il fratello della principessa Elia, Oberyn.
Quell’unico bicchiere di vino che aveva bevuto aveva sortito i suoi effetti, rendendola più estrosa durante le danze, facendola divertire.
Tuttavia, non era riuscita ad evitare di calpestare i piedi a tutti, quello sarebbe stato impossibile.
Sorrise sfinita, riprendendo posto al suo tavolo vuoto, felice di poter finalmente riposare le gambe e i piedi, mentre osservava il salone ancora gremito di lord e dame che si dilettavano nei vari balli che si susseguivano.
Robert stava ridendo e scherzando rumorosamente con ser Richard Lonmouth; Brandon danzava lietamente con Catelyn; Benjen ballava con la dolce lady Whent, dopo esser riuscito a rubare un ballo anche alla principessina Rhaenys; Ned, invece, faceva da cavaliere a lady Ashara, dopo che la stessa Lyanna e Brandon avevano spronato la giovane Dayne, palesemente interessata anch’ella a Ned, ad invitarlo a ballare, dato che quest’ultimo non avrebbe mai trovato il coraggio di farlo di sua sponte.
Era stato esilarante.
La giovane lupa poggiò il gomito sul tavolino e il mento sul palmo della mano, contravvenendo ad ogni regola di buon costume, approfittando del fatto che quasi nessuno potesse vederla.
Forse avrebbe anche potuto addormentarsi così, con la splendida musica a cullarla, l’eco dei passi dei danzatori e le luci degli infiniti candelabri ad allietarla, se non fosse stato per quello scomodissimo corpetto che le stava comprimendo il costato.
Gli effetti del calice di vino erano spariti grazie all’ora intera che aveva trascorso ballando, tuttavia il tepore che provocava quell’amaro liquido scuro al suo corpo era rimasto.
In quel momento chiuse gli occhi e un nostalgico ricordo le ritornò alla mente.
Una delle sere nelle quali aveva incontrato Calen alla locanda, egli le aveva raccontato un sogno che aveva fatto.
Le piaceva molto ascoltare i sogni di Calen, poiché sembravano quasi provenire da un mistico libro di racconti e lui aveva quel suo modo magnetico di narrarli che le faceva desiderare di restare ad ascoltarlo per l’intera nottata.
- All’inizio, almeno fino a dove riesco a ricordare, vi era una donna, perduta in una casa di specchi.
Ella, dopo essere rimasta per mesi solo in compagnia della sua stessa immagine, decise di chiudere gli occhi e di attendere, per non impazzire.
Poi, un giorno, riaprì gli occhi.
Dinnanzi a sé non vi era più il suo riflesso, ma quello di un uomo.
Un uomo che imitava ogni singolo gesto e movimento che ella compiva, come fosse lei.
La donna si convinse di essere diventata uomo.
Sentimenti contrastanti si agitarono dentro di lei mentre osservava l’uomo riflesso sullo specchio, non accorgendosi che la propria immagine non apparisse più in nessun altro specchio.
Erano rimasti solamente lei e l’uomo.
Alla fine, la donna prese coraggio e decise di toccare il proprio corpo, per testare il cambiamento con le proprie mani.
Ma, quando lo fece, le sue dita tastarono la consistenza delle ossa.
Non vi era più nessuno strato di pelle e di carne a coprirla.
Era rimasto solo il suo scheletro, senza più alcuna protezione, nudo, duro e freddo, come era lei.
Quando rialzò gli occhi dinnanzi a sé, lo specchio era scomparso.
Lyanna riaprì le palpebre come risvegliata da un dolce sonno, ripensando alla profonda tristezza che aveva scorto nelle parole di Calen, quella sera.
Avrebbe voluto parlare con lui ancora, anche solo una volta, per scoprire cosa significava sentirsi diversi, diversi da come si era sempre stati.
Per capire cosa volesse dire crescere.
Distrattamente, la giovane lupa spostò lo sguardo verso il tavolo della famiglia reale.
Il principe ereditario era intento a risedersi al suo posto giusto in quel momento.
Il suo volto sembrava stanco, lontano, mentre si poggiava le dita sulle tempie e le massaggiava con movimenti circolari.
Mentre ballava, Lyanna lo aveva scorto discutere ripetutamente con il re, per qualche motivo riguardante il figlio di lord Tywin Lannister, aveva dedotto, dato che aveva visto coinvolto anche il ragazzo nella discussione.
Dopo di che, il principe si era assentato dalla sala, forse per accertarsi delle condizioni della principessa Elia.
La giovane lupa non sapeva se egli avesse preso parte almeno ad un ballo quella sera, probabilmente no, date le circostanze.
In quel momento, i loro occhi si incrociarono nuovamente.
Questa volta, a differenza delle altre, il contatto visivo durò più a lungo, forse perché erano effettivamente quasi gli unici seduti sui tavoli vuoti.
A ciò, egli le rivolse un sorriso accennato, confermandole che si ricordasse di lei, di quel piccolo incidente all’accampamento.
Poi, qualcosa, attirò particolarmente l’attenzione della giovane lupa.
Semplici e apparentemente banali dettagli furono in grado di farle lievemente aggrottare le sopracciglia.
Aveva avuto modo di osservare attentamente le abituali movenze di Calen durante le ore trascorse con lui.
Aveva notato che, una delle sue manie più frequenti e delle quali egli non si accorgeva, era quella di circondarsi la base del collo con le dita di una mano, talvolta, senza stringere troppo, per poi tamburellare distrattamente con i polpastrelli sul tavolino.
Era un gesto sequenziale che faceva quando era molto stanco, solitamente.
Ed ora, nonostante la distanza, la giovane lupa osservò distintamente lo stesso movimento venire compiuto in maniera identica dal principe ereditario.
Era chiaro che fosse solo una strana e inusuale coincidenza, ma ciò fu in grado di sorprendere e, per qualche motivo, di far tremare la giovane Stark.
Ora che la sua curiosità era oramai accesa, vagò con gli occhi sulla curva del collo del principe, mentre egli, richiamato da lord Jon Connington, era impegnato a conversare con lui.
Per quale motivo stava trovando qualcosa di stranamente familiare in lui?
Era solamente la sua immaginazione?
Ma per quale ragione la sua immaginazione avrebbe dovuto portarla ad associare Calen alla persona che vi era di più distante da lui in quel salone?
Sicuramente era colpa del vino, quello stesso vino che oramai avrebbe dovuto essere già stato assorbito completamente dal suo corpo.
D’un tratto i musicisti si fermarono, facendo cessare lo splendido sottofondo, mentre tutti i lord e le lady impegnati a danzare si divisero.
Sia Lyanna che Rhaegar vennero attirati da quell’interruzione repentina, così come tutti i presenti.
- Mi rivolgo a tutti voi, milord e milady, per ringraziarvi di essere presenti qui nella nostra dimora questa sera, per celebrare la nascita di mia figlia e l’inizio dell’atteso torneo che, ne sono certo, diverrà tanto celebre da passare alla storia – prese la parola lord Whent, il quale si fece largo nel mezzo della sala. – Ed è per ripagarvi della vostra gradita presenza che io, mia moglie e mia figlia, vorremmo allietare le vostre orecchie con qualcosa che non vi ricapiterà di udire di nuovo – continuò, rivolgendo poi lo sguardo sorridente verso il principe drago, ancora seduto e intento a scrutarlo confuso. – Con mio immenso onore, vorrei richiedere al nostro futuro re di suonarci e cantarci qualcosa, dato il suo rinomatissimo talento musicale, famoso in tutti i sette regni - concluse allungando il braccio verso il principe, il quale venne totalmente invaso dagli occhi colmi di concitazione e di aspettativa di tutti gli ospiti.
Lyanna vide il volto sorpreso e lusingato insieme del giovane drago alla disperata ricerca di un modo per declinare gentilmente l’invito.
Tuttavia, non lasciandogli il tempo di rispondere, colui conosciuto come la Spada dell’Alba intervenne, parlando al suo posto. – Sono certo che sua Altezza desideri con tutto il cuore accontentare voi e tutti i presenti, lord Whent; tuttavia, sfortunatamente, il nostro principe ha avuto dei problemi di voce quest’oggi, dunque è meglio che la sua gola non si affatichi eccessivamente.
- Oh, avanti, ser Arthur! Non vorrete privarci di una simile delizia ad occhi e orecchie proprio in questa occasione! – commentò spudoratamente il principe Oberyn Martell, facendosi riconoscere, come si stava adoperando a fare da tutta la serata.
Lyanna si ritrovò a sperare che il giovane drago cedesse, accettando di cantare e suonare, improvvisamente colta dalla brama di ascoltare la sua voce, per nessun motivo apparente.
- Potrete pur sempre cantare una canzone lenta, che non richieda alcuno sforzo della voce, mio signore – insistette la Vipera rossa, questa volta rivolto direttamente al principe drago.
A ciò, Rhaegar guardò il suo fedele cavaliere e gli fece cenno di non opporsi, alzandosi in piedi, decidendo di accontentare Oberyn e tutti gli ospiti in aspettazione.
Alcuni servitori posero una sedia in mezzo alla sala, accompagnata da una splendida e imponente arpa dorata, mentre il principe raggiungeva la postazione e i presenti si disponevano in un largo cerchio intorno a lui.
Lyanna scattò in piedi, affrettandosi a farsi largo tra gli ospiti per ottenere una visuale quantomeno discreta.
Le era sempre piaciuto ascoltare la musica, le parole di uomini e donne farsi spazio tra le note di uno strumento, soavi e rasserenanti, in grado di incantare e, talvolta, di spaventare.
Rhaegar si sedette, poggiò una mano sul manico dorato dello strumento, prendendovi confidenza, e con l’altra sfiorò le corde.
Si schiarì la voce e, un secondo prima di cominciare, i suoi occhi, velati da qualcosa che la giovane lupa riuscì ad associare solo alla tristezza e ad un pizzico di turbamento, guardarono dinnanzi a sé, trovandola nella sua traiettoria.
Si fermarono qualche secondo su di lei, giusto il tempo per far salire un brivido sulla schiena della giovane Stark, giusto il tempo affinché nessuno se ne accorgesse.
Poi, accadde.
Quella voce si incastonò nelle sue orecchie, esattamente come era accaduto la prima volta.
La riconobbe immediatamente.
Nonostante il turbine di emozioni indefinibili che la stavano agitando come un mare in tempesta, Lyanna si sforzò di rimanere lì dov’era, ad ascoltare quella canzone, ad inebriarsi di quella voce che aveva amato tanto da divenirne dipendente.
Le ginocchia le tremavano, la testa le pulsava, il cuore accelerava sempre più, ma lei rimase lì dov’era.
- Ad un cielo senza sole e senza stelle
Chiedeva aiuto senza ricevere mai risposta
Vedeva il bianco nel nero sconfinato
Per parlare alle creature come lui
Combatteva contro il feroce silenzio
Per vincere l’ultima battaglia.
Quando tutto dorme
Il buio incombe
Quando tutto tace
Il gelo si fa strada nella sua gola
E costringe i polmoni a respirare più forte
Marchia l’aria di vuote promesse
Promette meraviglie.
Ad un cielo senza sole e senza stelle
Giurava fedeltà squarciando il vento
Affrontava la messaggera che indossava il velo nero
Scavava per salire
Urlava per tacere
Nasceva per sparire
Per vincere l’ultima battaglia.
L’ultima e la prima.
Ad un sole senza cielo
Ad una terra senza traccia
Rivolgeva le sue preghiere
Marcendo come marcisce la luce
Morendo come muore il fuoco.
Per promettere all’aria, le stesse meraviglie – terminò il giovane drago, intonando la strofa finale mentre le sue dita muovevano le ultime corde dell’arpa.
Un canto quasi sussurrato per quanto intimo, essenziale, di una bellezza spaventosa e ammaliante.
Gli attimi di silenzio che seguirono quell’esibizione parvero dilungarsi per l’intera nottata, prima che, dalla folla di spettatori totalmente assuefatti, si innalzasse un poderoso appaluso.
Con il sottofondo di quelle infinite mani che battevano tra loro entusiaste, Lyanna ritrovò la forza di respirare.
Solamente quando Benjen attirò la sua attenzione, la giovane lupa si risvegliò da quello stato di trance. – Possa colpirmi la furia degli dèi antichi e nuovi insieme se ora tu non stai piangendo come una neonata, Lya! – esclamò il ragazzino osservando il viso coperto di lacrime di sua sorella, quasi esterrefatto.
A ciò, quest’ultima, presa da un istinto di furia, frustrazione, e dall’intera valanga di emozioni che aveva represso fino a quel momento, si asciugò violentemente il volto con i palmi, per poi afferrare un calice colmo di vino avvistato nel tavolo più vicino a loro e versarlo senza alcuna grazia sopra la testa di Benjen.
Alcuni presenti si accorsero di ciò, mentre altri continuarono ad applaudire, totalmente concentrati sul principe drago.
- Lyanna! Per gli dèi del cielo, cosa ti è preso?! – esclamò Brandon, ma non ebbe il tempo di fermarla afferrandola per il polso, poiché ella prese a correre verso l’uscita del salone, varcando la porta prima che tutti i suoi fratelli realizzassero concretamente cosa fosse accaduto.
- Ci penso io – intervenne Cat anticipando i giovani lupi, trattenendosi il bordo del lungo vestito e avviandosi verso l’uscita del salone a sua volta.
 
Non appena ebbe terminato di cantare e di prendersi i numerosi applausi, il principe drago si affrettò a distogliere l’attenzione da sé, dirigendosi nuovamente verso il suo tavolo mentre gli ospiti si disperdevano nuovamente nel salone, riprendendo a conversare.
- Tu non hai neanche idea di cosa hai scatenato – quel sibilo così vicino all’orecchio da assordarlo quasi, lo fece indisporre.
- Arthur, non ora – gli rispose in tono neutro, voltandosi di scatto e trovandoselo a neanche un palmo dal naso.
- Non credere di ingannarmi.
So che ti sei accorto di come ha reagito la tua compagna di chiacchiere sotto mentite spoglie.
Le è bastata una sillaba uscita dalla tua bocca per riconoscerti ed ora è esattamente nelle condizioni in cui mi aspettavo che fosse.
No, non ti dirò che avevo ragione, non ho intenzione di farti nuovamente presente quanto sia stato enormemente stupido ciò che hai fatto in merito a tutta la questione degli incontri notturni in quella maledetta locanda, ma ora … - il dorniano si prese una pausa, ponendoglisi dinnanzi agli occhi, costringendolo a guardarlo in volto nonostante Rhaegar facesse di tutto per mostrargli indifferenza.
- Ora devi prenderti le tue responsabilità.
Non permetterò che una ragazzina impulsiva e infatuata metta in pericolo tutto ciò che c’è in gioco ora e non lo permetterai neanche tu.
- È infuriata con me e di ciò dovresti solo ringraziarmi, poiché non vi è niente di più positivo – gli rispose Rhaegar con sicurezza.
- Cosa vi sarebbe di positivo, di grazia?
- È molto meglio che ella covi delusione e odio nei miei confronti, piuttosto che qualcos’altro. Aspetta che sbollisca un po’ e vedrai che le passerà.
Non farà nulla che possa mettere in pericolo la mia persona – gli disse venendo immediatamente artigliato per il braccio dal dorniano.
- Ascoltami bene, Rhaegar.
Ascoltami con molta attenzione.
L’ho vista correre via dalla sala in lacrime, rincorsa da un’altra lady.
Ora, io andrò là fuori e farò in modo di rassicurare la sua amica nel modo più cordiale e neutrale possibile, facendola tornare dentro e accertandomi che nessun altro l’abbia seguita.
Dopo di che, raggiungerò lady Stark, le spiegherò chi sono, le dirò che mi hai mandato tu e la condurrò in un luogo in cui voi due potrete parlare con calma, indisturbati, senza venire scorti neanche per errore da qualche occhio indiscreto.
Quando avrai il mio segnale, tu, con la tua egregia discrezione, dirai di doverti assentare dal salone per controllare le condizioni di Elia a chi te lo domanderà, e ci raggiungerai.
Nel momento in cui avrai terminato di parlare con quella ragazza, e solo e solamente dopo che l’avrai totalmente convinta con le tue doti persuasive a non dire una sola parola ad anima viva riguardo le tue gite alla locanda, lei potrà rientrare nel salone e tu potrai realmente recarti a controllare le condizioni di Elia, per evitare di destare anche il minimo sospetto in qualcuno.
Solo allora, potrai tornare anche tu nel salone e assistere alla fine della cerimonia – terminò il dorniano con voce ferma, autoritaria e calma, fissando negli occhi il principe drago con insistenza.
Sapeva che Rhaegar non lo avrebbe accontentato facilmente, e forse avrebbe dovuto inventarsi qualcos’altro per forzarlo a mettere in pratica le sue parole, ma ad Arthur non importava.
Sarebbe stato pronto a farlo.
In seguito a quella lunga ed estenuante gara di sguardi, Rhaegar cedette al volere della Spada dell’Alba, non senza riluttanza.
Tutto ciò che il dorniano aveva pianificato sembrò filare liscio agli occhi del principe drago, quando visualizzò la figura di Catelyn rientrare nel salone, la quale parve spronare Brandon a lasciare un po’ di spazio a sua sorella.
Dopo quasi un’ora, Ashara, in accordo con suo fratello, gli si avvicinò, sussurrandogli all’orecchio. – Il giardino incolto nel retro del castello – disse solamente.
Senza risponderle, Rhaegar, dopo aver rivolto uno sguardo a Rhaenys per accertarsi che fosse ancora in compagnia della piccola lady Whent, si alzò dalla sedia con tranquillità e si diresse verso l’uscita del salone.
Uscito dal castello, percorse la strada più isolata che conosceva che lo avrebbe condotto nel retro dell’imponente costruzione, laddove vi era il giardino incolto e solitamente deserto menzionatogli da Ashara.
Prima di accedere al luogo, si guardò intorno più volte nonostante il buio pesto, non individuando traccia di anima viva neanche a metri di distanza.
Dopo di che, entrò e cercò con lo sguardo la figura di Arthur e quella della ragazza.
Non appena li vide, entrambi in silenziosa attesa, li raggiunse, e il dorniano gli andò incontro. – Qui non vi troverà nessuno – gli sussurrò, per poi rivolgergli un’ultima dura occhiata di intesa, e uscire dal giardino, lasciandoli soli.
La giovane donna che conosceva come Doen era immobile, con la testa bassa.
Sembrava quasi trattenere dentro di sé una belva che smaniava per uscire.
Rhaegar era intenzionato a farla emergere.
In tal modo, nessuno dei due avrebbe più causato problemi all’altro e quel breve intermezzo tra le loro vite si sarebbe concluso con la stessa facilità con la quale era iniziato.
Attese che ella parlasse o, almeno, alzasse lo sguardo, ma non lo fece.
Tremava, teneva le braccia conserte con i pugni stretti, l’acconciatura semi sciolta, il bordo del bel vestito leggermente rovinato, forse a causa della corsa.
- Milady? – le disse dopo diversi minuti di silenzio.
Ella sembrò quasi rabbrividire di rabbia a tal richiamo.
Il principe drago si guardò intorno ma, come si aspettava, non vi era nulla dove poterla far sedere.
- Lady Stark? – ritentò con calma, vedendola vacillare ancora, ma senza alzare il viso. – Dobbiamo sbrigarci o si insospettiranno per la nostra assenza.
A tali parole, la giovane lupa si decise ad alzare il volto, ancora rosso per il pianto di poco prima.
– Per gli dèi del cielo – sussurrò. – Non voglio credere siate davvero voi … non voglio credere siate lui.
Non posso crederlo …
Voi non potete essere lui! – esclamò quell’ultima frase con un misto di rabbia, soggezione e astio, forzando se stessa a guardarlo negli occhi.
Le era sempre stato insegnato che la somma riverenza da mostrare ai reali fosse una disposizione data dagli stessi dèi del cielo.
Non sarebbe mai stato accettato un atteggiamento come quello che lei stava mostrando al principe ereditario in quell’istante.
Sarebbe dovuta esser punita milioni di volte da qualche entità sovrannaturale per aver conversato cinque o sei volte con lui in quella locanda, come due persone normali, alla pari.
Eppure, non era accaduto nulla di tutto ciò.
Eppure, ora, il futuro re dei sette regni si trovava dinnanzi a lei, disposto a darle spiegazioni.
Solamente ciò avrebbe dovuto sciogliere come neve al sole tutta la collera, la vergogna e la frustrazione che sentiva ribollirle dentro. Tuttavia, neanche ciò era accaduto.
La battaglia che si stava svolgendo dentro di lei, tra l’idilliaca consapevolezza di avere Calen dinnanzi a sé, e l’immensa confusione, incredulità e fragilità che la invadevano nel guardare il principe ereditario in piedi davanti a suoi occhi, sembrava non avere mai fine.
Più rifletteva su tutto ciò, più le sembrava impossibile da credere e da razionalizzare.
Forse era tutto frutto della sua mente e a breve si sarebbe svegliata sul suo letto, scoprendo di aver causalmente sovrapposto le due figure per puro sfizio, una sorta di fantasia contorta e ammaliante che non sapeva di avere.
Ma quel timbro di voce, quella tonalità e quel colore del suono che caratterizzava ogni sua parola pronunciata, non mentivano.
Era alto come lui, parlava come lui, si muoveva come lui.
- Perché non dite niente …? – trovò la forza di domandargli, immergendosi in quelle vivide pozze viola che la guardavano in maniera indefinibile. – Non mi avete fatto condurre qui per parlarmi? – insistette ora agitata.
- Non vi devo alcuna spiegazione – si decise a risponderle, con distacco.
Lyanna ammutolì, attendendo che continuasse.
- Ho commesso un errore nel fare ciò che ho fatto, ma ho avuto i miei motivi.
Non ho intravisto i rischi che correvo e che mi sono stati posti dinnanzi agli occhi nell’assumere un’identità sconosciuta e nell’entrare in confidenza con quella che credevo essere una popolana, per qualche notte.
Sapete che non avevo cattive intenzioni o doppi fini, siete una giovane donna intelligente e sveglia.
Non intendevo illudere, raggirare o ingannare nessuno.
Le mie ragioni erano egoistiche, ma oneste e genuine – concluse.
Lyanna restò ancora in attesa, distogliendo lo sguardo, immergendolo nel buio della notte, cercando di ricacciare giù il magone che sentiva risalirle lungo la gola e bruciarle addosso. – Cosa volete che faccia? – gli chiese con voce quasi sussurrata. – Se siete qui ora, è solo per convincermi a comportarmi in un determinato modo, giusto?
Immagino non vorrete che nessuno sappia dei nostri incontri.
Non avete nutrito e non nutrite alcun interesse per la mia reazione o il mio stato d’animo in merito a tutto ciò – concluse la ragazza.
- Eravamo delle persone diverse, poiché abbiamo scelto di essere delle persone diverse quelle notti, lady Stark.
Ne avevamo bisogno entrambi – le rispose egli con la stessa freddezza con la quale le aveva parlato fino a quel momento.
- Non posso credere siate davvero lui – ripeté la giovane lupa, questa volta con durezza, continuando a guardare altrove. – Siete totalmente diverso da Calen. Sembrate due persone differenti.
Io avevo trovato un amico in Calen. Un animo sensibile, angustiato ma luminoso, comprensivo, gentile e in grado di trattare chiunque con immenso tatto, delicatezza e accortezza – disse alzando il viso per tornare a guardarlo. – Chi siete voi…?
Dinnanzi a quella domanda, il principe non si scompose minimamente. – Un individuo che non conoscete neanche lontanamente, lady Stark.
Conservate la vostra delusione e levigatela col tempo, in modo che, in futuro, possa tornarvi utile.
Per non commettere una seconda volta lo stesso errore.
Nonostante percepisse gli occhi scalpitare per divenirle lucidi, la giovane lupa resistette, acquisendo, pian piano, consapevolezza di qualcosa, mentre guardava quel viso granitico, gelido, quasi inumano. – Voi lo state facendo di proposito – sussurrò, esplicitando quella deduzione senza timore.
Fu a quel punto che il volto del giovane drago cambiò espressione, assumendo tratti più vicini alla persona che Lyanna aveva immaginato di aver conosciuto alla locanda, benché ancora troppo lontano da lui.
Quell’inaspettata risposta lo aveva sorpreso e non era riuscito a nasconderlo, nonostante fosse magistralmente bravo in ciò, facendo emergere dai suoi occhi una rara e preziosa fragilità che la giovane lupa aveva avuto modo di vedere anche quando lo aveva osservato accorrere da sua figlia, quel giorno all’accampamento.  
A ciò, ne approfittò, sfruttando quel barlume di luce a proprio vantaggio. – Sì, è così. Voi state recitando questa farsa per cercare di atterrirmi, innervosirmi, deludermi, offendermi …
- Offendervi mai – la interruppe il giovane drago, con voce ferma e sincera.
Restarono in silenzio per un po’, ad ascoltare il vento fresco portato dalle ore notturne carezzare la pelle e i vestiti.
La prima a rompere quel momento di sospensione fu Lyanna, la quale, dopo essersi quasi incavata gli occhi nelle orbite a furia di asciugarsi ogni residuo delle gocce salate incastonate tra le sue ciglia, guardò un punto nel vuoto del giardino deserto in cui si trovavano e parlò.
– Non avrei mai detto nulla di voi.
Mai.
Anche se non foste venuto qui a convincermi di tacere questa sera.
Non avrei mai messo in pericolo la vostra reputazione e il vostro nome, neanche se mi aveste trattato come un oggetto insignificante, senza valore, invisibile ai vostri occhi.
Non avrei mai infangato o dimenticato i preziosi momenti che ho condiviso con voi, neanche se vi avessi odiato.
Il fatto che voi abbiate anche solo pensato che avrei potuto fare una cosa simile, forse è ciò che mi rattrista più di tutto.
- Mi pento amaramente di ciò che ho fatto, lady Lyanna, della sofferenza che vi ho arrecato.
- Io no – controbatté ella. – Non me ne pento e non me ne pentirò.
Ho imparato molto grazie a voi e ho scoperto lati di me stessa che non conoscevo e che, probabilmente, se non vi avessi incontrato non avrei mai conosciuto.
A prescindere da come si sia concluso il tutto, mi sento comunque di ringraziarvi, mio signore.
Vi posso rassicurare ulteriormente, poiché posso garantirvi che colui che mi ha fatto battere il cuore è stato Calen, non voi.
E come avete detto poco fa, Calen e Doen sono coloro che avevamo bisogno di essere durante quelle notti, ma non sono noi – concluse tornando a guardarlo.
In quel momento, vedendola così piccola ma così intensamente traboccante di una debolezza dolce, energica e quasi rabbiosa allo stesso tempo, a Rhaegar ricordò una bambina desiderosa di crescere in fretta, pronta ad affrontare la vita di petto, nonostante fosse totalmente ignara di ciò che l’attenderà.
La brillante e famelica curiosità e l’impetuoso coraggio che gli erano tanto piaciuti in Doen ora erano in Lyanna.
Le accennò un sorriso, dolce e riconoscente, in risposta. – Ne sono felice, lady Lyanna.
 
 
 
 
 
   
 
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