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Autore: ONLYKORINE    01/07/2020    4 recensioni
os su traccia.
Traccia: Una porta. Una porta separava l'eroe dalla sua perenne nemesi, dalla persona che nell'ombra aveva architettato la sua disfatta senza mai nemmeno mostrare il suo volto. E ora, pensò l'eroe varcando la soglia, poteva finalmente incontrare...
"...Un ragazzino? Sei un ragazzino?!"
Genere: Azione, Commedia, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Per un pugno di Cho-Rai

 

Rupert Metrys fece l’ultima rampa di scale con il fiato in gola. Sei mesi. Sei mesi che stava dietro a quel furfante. Sei mesi in cui aveva smesso di dormire, mangiare e avere una vita.

Da quando quel diabolico genio del computer aveva preso di mira la città, aveva perso interesse per tutto il resto. Infatti non aveva più una vita sua.

Non che prima fosse tutto questo po’ po’ di roba. A quasi cinquant’anni, separato e con alle spalle più vita da poliziotto che da altro, Rupert aspettava la pensione come un traguardo sulla strada della corsa.

Da tempo aveva perso interesse per il suo lavoro, ossia da quando le nuove tecnologie avevano sostituito le buone vecchie maniere: telecamere, lettori digitali, registratori che riconoscevano le voci… Tutte cose che si potevano già fare, ma ora, secondo gli altri venivano fatte meglio. Il nuovo secolo aveva cambiato troppe cose.

Rupert invece la pensava diversamente. Era fedele alla vecchia scuola: forza e potere.

Da quando si erano inventati tutte quelle regole sul rispetto e la riservatezza, il mondo della polizia non era più lo stesso. Rupert pensava che iniziassero a esagerare con tutte quelle restrizioni: stai attento a questo, non fare quest’altro… Sicuramente era cambiato un sacco il mondo dell’arma da quando aveva cominciato l’accademia. E lui non ne poteva più. Aveva iniziato a non far più bene il suo lavoro, a lavorare dalle nove alle cinque e a non interessarsi più a niente. Pensava anche di mollare la polizia.

Poi, questo hacker, che si faceva chiamare Alph4_0c, aveva iniziato a prendere di mira Chicago: manifesti pubblicitari digitali, semafori e sportelli bancomat erano state le prime cose che aveva attaccato. Poi erano arrivate le altre: tabelloni degli orari della metropolitana, database delle banche, piani di voli degli aeroporti… Per fortuna non era mai successo niente di irreparabile.

Rupert sbuffò e salì l’ultimo gradino. I suoi indizi, quelli che non aveva svelato a nessun altro e che aveva cercato con i vecchi metodi, lo avevano portato lì, in quel vecchio edificio nella prima periferia abbandonata della città. Aveva iniziato a dubitare dei suoi colleghi e di alcuni superiori, per non parlare del suo partner. Gli era sembrato che ogni volta che il ladruncolo fosse vicino, gli scappasse dalle mani come sabbia in una rete da pesca. Non poteva essere così bravo: ci doveva essere per forza una talpa. E finché non l’avesse scovata, non poteva fidarsi di nessuno.

E ora si trovava lì da solo: davanti a una porta marrone da dove non proveniva nessun suono.

“Sì, così!” gridò qualcuno da dentro. L’esclamazione si sentì rimbombare per la tromba delle scale, facendo trasalire Rupert: era il suo uomo.

Con uno sguardo deciso posò la mano libera sul pomolo e lo girò, pensando di dover sfondare la serratura per poter passare.

Un errore: la porta era aperta e lui non se lo aspettava. Allora la spalancò lentamente, tenendosi di lato e puntando la pistola in alto, cercando di guardare dentro la stanza.

L’odore di chiuso gli stava invadendo le narici insieme a qualcos’altro: sudore, forse, e anche odore forte di scarpe da ginnastica usate molto. L’interno della stanzetta, non tanto grande, era occupato in parte da una scrivania con quello che a Rupert sembrò un computer, ma non ne era sicuro: c’era più di un monitor e lui non sapeva quanti ne potesse avere un solo computer. Doveva esser lui.

“Sì!” gridò ancora l’hacker, seduto di spalle su una sedia con le ruote e alzando un pugno al soffitto. Aveva una voce strana: sembrava…

In quel momento il furfante si alzò in piedi e Rupert rimase pietrificato: era basso e mingherlino. Quando si voltò notò che i suoi lineamenti erano lisci e quasi infantili. Le braccia di Rupert caddero da sole, la pistola a puntare il pavimento.

“Ma sei un ragazzino!”

Il ragazzino in questione spalancò la bocca e una gomma da masticare cadde sul pavimento.

Come lui si mosse, Rupert tornò vigile e gli puntò la pistola reggendola con due mani. “Fermo lì!” gridò.

Il giovane non fece opposizione e alzò le braccia a candeliere iniziando a balbettare: “Non spari. Aspetti. Non mi spari…”

“Zitto!” esclamò ancora il poliziotto. Quando il ragazzo iniziò a tremare, capì che non sarebbe andato da nessuna parte e gli indicò la sedia da cui si era appena alzato: “Siediti”.

“Devo finire…” iniziò il ragazzo, sedendosi.

“Tieni in alto le mani!” disse ancora Rupert. “Non toccare niente!” Si guardò intorno: cartoni di fast food, carte di snack e fumetti erano sparsi ovunque.

“Sei tu l’hacker?” gli chiese tornando a guardarlo.

Il ragazzino alzò le spalle e sorrise. “Io sono Alph4_0c…” disse orgoglioso.

“Ma che razza di nome è?”

Rupert guardò il ragazzino passarsi una mano fra i capelli: cosa avrebbe dovuto fare? Doveva portarlo in centrale? E doveva mettergli le manette? Lo osservò con l’occhio esperto del poliziotto: era minorenne senz’altro.

Il rumore di una porta che si apriva alle sue spalle sorprese Rupert e si girò di soprassalto, quasi infastidito di non aver controllato prima il perimetro; il ragazzino lo aveva sconvolto.

 “Sono qui, Brian… Oh, agente Metrys!” esclamò una donna, visibilmente incinta, entrando nella stanza e spalancando gli occhi, riconoscendolo.

“Brett!” Rupert non riusciva a credere ai propri occhi: Erin Brett occupava la scrivania proprio dietro la sua, ma era stata mandata in un altro ufficio appena si era saputo della sua gravidanza. Era lei la talpa?

Rupert agitò la pistola senza cognizione, non capendo bene la situazione. La donna sbuffò e alzò gli occhi al soffitto. “Rupert, metti giù la pistola non vogliamo danni” disse.

L’uomo, sempre più stupito, fece di nuovo ricadere il braccio. “Ma che succede?” chiese.

“Lavoro per la polizia” spiegò il ragazzino. Come? Rupert aggrottò la fronte e si voltò verso Brett, che si stava massaggiando la schiena.

“Che significa?” chiese a lei direttamente. La donna, però non lo stava ascoltando: il suo viso si trasformò in una smorfia di dolore e spalancò gli occhi mentre raddrizzava la schiena.

“È un cazzo di test, Metrys. Il ragazzino lavora con noi… Per noi… Contro di noi… Argh! Il bambino!”

Erin si appoggiò di nuovo la mano sulla schiena e gridò, piegandosi in avanti. Rupert spalancò gli occhi al suo grido. “Devi andare in ospedale?” le chiese.

“Buonasera, sono Alfred Hitchcock. La mia vicina di casa Erin sta per partorire prematuramente. Siamo al 523 di Marble street.”

Rupert si voltò verso il ragazzo mentre chiamava i soccorsi. “Ma quanti anni hai? E perché hai dato quel nome?”

Il ragazzino si sfilò le cuffie e si avvicinò a Erin, spiegando verso l’uomo: “Ho sedici anni. Se dai un nome, uno qualsiasi, ti prendono sul serio. Altrimenti ti fanno troppe domande e il soccorso arriva in ritardo. Ho visto mia zia partorire prematuramente…” Rupert si ritrovò ad annuire. “Portiamola giù, così fanno prima” disse ancora.

Per un attimo pensò che il ragazzo volesse approfittarne per scappare, ma poi Brett tirò fuori un cellulare da una delle tasche e parlò con qualcuno della polizia, così si ricordò quello che aveva appena detto: lui lavorava con loro. Rupert sapeva che stava parlando con il suo superiore quando lei lo chiamò per nome.

Quando la donna gli passò il telefono, lo prese. “Metrys? Sei lì?” chiese Roots, il suo capo, gridando dal cellulare.

“Sì, capo, sono io…” Roots confermò quel poco che aveva detto Brett e gli ordinò di occuparsi di Brian. “Chi è Brian?” chiese, sempre più confuso.

“Sono io” confermò il ragazzo.

Andiamo bene.

***

Dopo aver lasciato Brett nelle mani dei paramedici, Rupert decise di fare quattro chiacchiere con Brian.

“Figliolo, non hai nemmeno la patente e lavori per la polizia?” gli chiese, accendendosi una sigaretta e prendendo un sorso di caffè, seduti in uno squallido locale sempre aperto.

Brian alzò le spalle. “Un anno fa sono entrato nel database della mia scuola e…”

Rupert annuì. “Volevi alzarti i voti?” lo interruppe.

Brian arricciò il naso. “Volevo abbassare quelli dei ragazzi della squadra di football…” Rupert annuì ancora e lo osservò lasciandolo spiegare: da come si comportava, e lui sentì il poliziotto che era in lui tornare fuori come non era successo negli ultimi mesi, capì che era in soggezione. Lo ascoltò senza dire niente. “…Devo scontare due anni. Due anni in cui devo simulare attacchi per vedere la reazione dei vari centri operativi”. Alzò le spalle. “Come hai fatto a trovarmi?” chiese infine.

Rupert gli fece vedere la bustina che aveva in tasca: Cho-Rai. Chicchi di uvetta ricoperti di cioccolata. Non piacevano a tutti. Anzi, a nessuno. “Ne ho trovato uno nel tuo ultimo covo e ho seguito la traccia. Ne hai ordinati parecchi…”

 “Sei stato il più in gamba, allora” si complimentò il ragazzo, tirandone fuori un pacchetto e prendendo un Cho-Rai.

“Sembra proprio di sì” rispose Rupert, rubandogli il cioccolatino e mettendolo in bocca.

Quando il silenzio si impadronì di nuovo di loro, Rupert domandò, come se fossero entrati in confidenza: “I ragazzi della squadra… Ti rendono la vita difficile?” Brian spalancò gli occhi, stupito che qualcuno lo avesse capito. Non lo aveva detto a nessuno, probabilmente. Annuì guardando la tazza del caffè, ancora piena, fra le sue mani. “Non devi vergognarti. I bulli ci sono sempre stati. Anch’io a scuola venivo pestato da Henry Prutt. Era grosso e totalmente stupido, ma forte. Aveva il pugno più pesante di tutta la scuola. Forse perché era ripetente e aveva quasi l’età per bere…” Rupert si lasciò andare ai ricordi e non si accorse che il ragazzo lo ascoltava con interesse.

“E come ha fatto?”

Rupert si batté una mano sulla pancia. “Quando non ne ho potuto più, mi sono ribellato e gli ho rotto la mandibola. Ha sputato due denti. Uno ce l’ho ancora io…” L’uomo sorrise ancora.

Brian si morse una guancia e annuì distrattamente. Rupert alzò il braccio per farsi riempire la tazza di nuovo e nello stesso momento il campanello sulla porta suonò, rivelando l’entrata di qualche altro cliente notturno.

Quando il ragazzo si voltò e vide il gruppetto di giovani che era entrato, sbiancò e tornò a guardare dritto davanti a sé. “Per favore… Possiamo andare via?” chiese.

Rupert osservò Brian e poi guardò i ragazzi che erano entrati nel locale: quattro giovani con il giubbotto della squadra di football della scuola e tutti palesemente brilli. Fare due più due non fu difficile. “Sono loro? I ragazzi che ti tormentano?” Brian annuì, sempre senza staccare lo sguardo dalla tazza.

“Non andiamo via. Andiamo là” disse, alzandosi.

“No!” esclamò spaventato Brian. “Non è questione di fare a botte… Io non sono capace… Loro…”

Rupert alzò un sopracciglio e sussurrò. “Non si risolve tutto con la violenza, sai? A volte basta un po’ di inventiva…” Essere un poliziotto era una buona cosa, se poteva aiutare. Si incamminò verso il fondo del locale. Arrivò vicino al tavolo occupato dai suoi compagni e fece vedere il distintivo quando un ragazzo fece qualche battuta fuori luogo. Poi alzò lo sguardo verso Brian e disse: “Collega, vieni qui a vedere chi c’è!”

Subito il ragazzo era spaventato, ma poi, mentre camminava verso di loro, lentamente un sorriso gli coprì il viso. Quando li raggiunse chiese: “Ehi, Boss, li conosco. Le stanno dando fastidio?”

Sorrise anche Rupert. Era ancora un poliziotto.

 

***

“…Perché è un bravo ragazzo…” Il coro dei colleghi alla sua festa di pensionamento lo fece quasi commuovere.

“Tutto bene, Boss?” Brian si era avvicinato posando una mano sulla spalla di Rupert, che si affrettò ad annuire e a coprirsi gli occhi.

Il ragazzo si sedette vicino a lui e gli allungò una birra, facendola tintinnare con la sua.

“Devo ringraziarti. Se non fosse stato per te, non sarei mai entrato in polizia” disse Brian, guardando davanti a sé.

“Fidati, ragazzo, sono io che devo ringraziare te. Se non ti avessi incontrato, non sarei rimasto qui.”

“Allora è merito delle Cho-Rai!” esclamò il ragazzo e Rupert sorrise prima di bere. La loro amicizia durava da allora.

Merito davvero delle Cho-Rai.

***Eccomi sono tornata!!! Vi mancavo? Ok, scherzo... Allora, anche questa volta è una Os su traccia, ma questa volta è una Challenge del mio gruppo Telegram! Abbiamo deciso di giocare e allora... giochiamo.

MAx 2000 parole (e io le ho usate tutte, anche se ho dovuto cancellare tanto, forse troppo...) la traccia la lascio qui in versione grafica, grazie alla mia gentilissima Beta/Amica/insostituibile supportatrice Chantal.

   
 
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