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Autore: Cara Jaime    01/07/2020    0 recensioni
"Non c'è niente che io ignori della marea, ma per il firmamento devi chiedere ai gabbiani. Sono pettegoli, chiassosi, puzzolenti e insolenti, ma sanno molte cose. Chiedi a loro e dì pure che ti mando io. Mi temono e sanno che, se vogliono il mio pesce, devono rispetto alla Regina del Mare."
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La mia compagna e io vivevamo in una località marittima e risiedevamo in un sottomarino emerso, fermo da molti anni perché danneggiato. Il vecchio che ci aveva offerto ospitalità tentava di ripararlo da molti anni, poiché noi avevamo espresso il desiderio di lasciare quel luogo. Conoscevamo l'uomo da quando eravamo arrivati nella colonia e nessuno di noi avrebbe saputo indovinare la sua età.

Personalmente facevo ciò che era in mio potere per aiutarlo nelle riparazioni. Era la sua unica richiesta in cambio di asilo. La mia donna si dimostrava scontenta della situazione, pronosticando che il vegliardo ci avrebbe messo un'eternità ad aggiustarlo. Affermava che, per lasciare la Costa Vecchia, questo era il nome del luogo in cui vivevamo, avremmo dovuto pagare il biglietto di un'aeronave. Puntualmente le ricordavo che mi piaceva stare lì, dato che ero pieno di amici. Gabbiani, pesci, delfini, balene, cani e gatti della Città Vecchia, essi tutti erano miei alleati.

La mia partner si occupava di moltissime cose. Partecipava a corsi di pittura, di coreano, di tip tap ed era bravissima in ognuno di essi. Inoltre andava a sparare al poligono.

Finalmente un giorno, contrariamente alle aspettative della mia fidanzata, le riparazioni al sommergibile furono completate. Così potemmo partire.

 

Una volta a bordo, scoprimmo che la sala di comando, da sempre sigillata, era dotata di tecnologia sofisticatissima, ma ci aspettava un'altra sorpresa.

L'anziano uomo comparve poco prima della partenza in completo da comandante.

Ci immergemmo e iniziammo la nostra navigazione, diretti verso l'abitato che la mia ragazza desiderava raggiungere. La rotta, tuttavia, era segreta, di conseguenza il comandante si trovò in difficoltà a un certo punto del viaggio, rivelandosi incapace di trovare la via. Così mi misi in contatto con le creature dell'oceano, per mezzo di un casco in grado di permettermi di comunicare con esse. Udii nella mia mente la voce calda e soave di una balena.

"Cosa ci fai qui, piccolo orso? Cosa vuoi dalla Regina del Mare? I miei figli, i delfini mi hanno raccontato di un natante grande come me che naviga sott'acqua, sul quale viaggia un orso in grado di parlare con le creature del cielo e della terra. Ora so che hanno detto il vero. Adesso, chiedi pure ciò che vuoi, poi tu e la tua gente lasciate siffatto regno. Esso non vi appartiene."

La balena mi rivelò che la località da noi inseguita era inesistente nell'abisso e sulla terraferma.

"Non c'è niente che io ignori della marea,” aggiunse “ma per il firmamento devi chiedere ai gabbiani. Sono pettegoli, chiassosi, puzzolenti e insolenti, ma sanno molte cose. Chiedi a loro e dì pure che ti mando io. Mi temono e sanno che, se vogliono il mio pesce, devono rispetto alla Regina del Mare."

Appreso ciò, riemergemmo perché io potessi rivolgermi alle creature dell'etere. Come esse mi spiegarono, il centro urbano che la mia morosa desiderava visitare era fluttuante nell'etra, proprio sopra di noi.

 

Ammettendo la mia ignoranza in materia, chiesi al comandante in che modo potessimo arrivare lassù. Egli rivelò che l'imbarcazione aveva tre diverse configurazioni: quella attuale adatta a navigare, una in forma di cingolato per andare via terra e l'ultima per volare nell'atmosfera e nello spazio come astronave. Riteneva, però, fosse estremamente rischioso cambiare configurazione del veicolo e rimetterlo in volo, data la veneranda età di trecento anni. Temeva potesse rompersi durante la trasvolata.

Eppure, domandò a entrambi se volessimo fare un tentativo, penso, spinto dall'espressione di delusione mista a tristezza sul volto della mia metà. Così provammo.

Il veicolo cambiò configurazione con successo ma, mentre sorvolavamo l'oceano, il metallo di cui era composto iniziò a mandare cigolii preoccupanti. Dapprima il comandante ci rassicurò, tuttavia, quando i rumori divennero veri e propri lamenti di sofferenza, la mia compagna e io fummo presi dal panico, ma non la nostra guida. Ricorderemo il suo gesto per il resto della nostra vita.

Mentre ci suggeriva di allacciare le cinture di sicurezza, con la cortesia e la signorilità che lo hanno sempre distinto, lo guardammo fare manovra verso una zona disabitata della città volante.

“Cosa stai facendo?!” sbottai allarmato, intuendo le sue intenzioni.

“Il mio dovere,” rispose, serio eppure dolce. “Il capitano non abbandona mai la nave. Sono contento di aver potuto fare un ultimo viaggio,” confessò, pilotando il velivolo con grande abilità nonostante guardasse me. “In ogni caso, essa e io abbiamo vissuto anche troppo.”

A quel punto si voltò verso di noi e scoprì la pettorina della divisa. Sotto una placca semitrasparente, attorno a un cuore artificiale, si snodava un groviglio di cavi elettrici. Avevamo vissuto con un androide per tutto il tempo, ma ne eravamo completamente all'oscuro. Ancor oggi mi chiedo se avremmo potuto notare qualche segno della sua diversità, un sintomo... Il vecchio riprese a parlare.

“Il mio posto è con la nave, giacche pure il sottoscritto è un suo componente, noto come unità di navigazione. Morirò comunque, in ogni caso. La mia batteria ha una durata di trecento anni ed è scaduta da un pezzo. E, no, non si può ricaricare.” Tacque un istante, osservando noi umani, basiti e messi a tacere di fronte a tale rivelazione. Mi accorsi di avere gli occhi umidi. Egli si avvicinò.

“È venuto il momento di augurarvi buona fortuna.” Ci abbracciammo.

In lacrime, gli dissi che non me ne importava un fico secco che lui fosse una macchina.

Lui mi guardò dolcemente, accarezzò la mia testa e rispose con due sole parole.

“Lo so.”

Poi strinse le nostre cinture.

 

Ricordo, prima di venire eiettato insieme alla mia compagna, la quale era rimasta in silenzio fino a quel momento, di aver detto qualcosa all'attempato comandante androide.

“Ti voglio bene, Capitano... Grazie di tutto... Non ti dimenticherò mai.” Mi sorprese quando rispose la voce della mia donna.

“Neanch'io.”

Era seria, solenne. Apprezzava il gesto del capo tanto quanto me e altrettanto dispiaciuta. Lo so, dal momento che aveva lo sguardo triste e serrava la mascella in un caparbio, ma inutile tentativo di evitare di piangere. La mia piccola donnina tosta.

 

Lei e io ci guardammo negli occhi e stringemmo le mani assieme. Osservammo il nostro navigatore fare un saluto militare di addio e poi premere il pulsante di eiezione.

 

La cosa peggiore, mentre osservavo la stupenda megalopoli aerea dove stavamo atterrando, è stato vedere l'aeromobile con il Capitano a bordo schiantarsi e disintegrarsi in un'esplosione di fuoco.
 

Il presente fu solo l'inizio del nostro cammino.

   
 
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