Capitolo settimo: Blood on my
hands
Waiting for my damnation - your prosecutor's here
In my own accusation - you can't run from yourself
Oh we're living these lies all alone
So come on and throw the stone
Silver stars in my black night
Cold as ice but beautiful
Wandering through broken shadows
The river of life is all filled with sins
The water I drink is the blood on my hands
Pray to the gods I have sold in this game of live and let die
Pray for my soul in this world to deliver me from my sins
Pray...
(“Blood on my hands” – Xandria)
“Mi dispiace,
Alfonso, so che avrei dovuto parlarti di quello che avevo fatto durante
l’assedio di Forlì” ammise Juan, mortificato, “so che avrei dovuto essere io a
dirti tutto prima che lo venissi a sapere da qualcuno che avrebbe raccontato la
storia a modo suo. Ma tu mi avevi mostrato fiducia e amicizia, mi ascoltavi, mi
stimavi e io… beh, non volevo perdere il tuo rispetto. Ne ho già abbastanza di
persone che mi giudicano.”
“Vi ho già detto che
non mi interessa se siete fuggito davanti all’esercito di Ludovico Sforza”
ripeté il Principe, stizzito. “Come potrei giudicarvi? Io sono scappato non
appena ho saputo che i Francesi avevano invaso il regno di Napoli e ho lasciato
i miei sudditi in balia degli stranieri e della peste! Non tutti siamo nati per
fare gli eroi.”
“E allora cosa?
Quello che ti hanno riferito è falso e sono certo che quelle spie non hanno
parlato con Don Hernando de Caballos, lui non avrebbe mai messo in giro simili
calunnie” reagì Juan. “Sono convinto che, in realtà, abbiano parlato con mio
fratello Cesare. Quel maledetto ipocrita è invidioso e sta cercando di rovinare
quello che sto costruendo qui, non accetta che nostro padre abbia scelto di
nuovo me per proteggere il Regno di Napoli e farà di tutto per…”
“Basta chiacchiere”
lo interruppe Alfonso, fissandolo negli occhi. “Avete seviziato e torturato un
ragazzo di quindici anni,
Gonfaloniere? Un ragazzo di quindici anni, sul serio? Allora ditemi, qual è la
differenza tra voi e Re Carlo? Anch’io avevo quindici anni quando lui mi ha
fatto…”
Juan capitolò. Era
inutile continuare a raccontare storie, anzi, era chiaro che aveva sbagliato
fin dal principio. Alfonso avrebbe dovuto sapere da lui tutta la vicenda, in
questo modo non aveva fatto altro che regalare un vantaggio ai suoi avversari. Stanco
e sconsolato di fronte alle menzogne che, ancora una volta, gli si ritorcevano
contro, si lasciò cadere sullo scranno che aveva occupato fino a poco prima.
“Va bene, ti
racconterò tutto. Siediti, sarà una storia lunga” disse. Attese che Alfonso
prendesse posto sul trono e poi riprese a parlare. “E’ vero, ho dato ordine ai
miei soldati di catturare il figlio di Caterina Sforza. Potrei dire che non
sapevo quanti anni avesse, ma la verità è che per me non avrebbe fatto
differenza, l’avrei preso anche se fosse stato più piccolo. Non mi importava
niente di lui, la sola cosa a cui pensavo era che sua madre doveva arrendersi a me e farsi portare a
Roma in catene, qualsiasi mezzo sarebbe stato lecito pur di raggiungere il mio
scopo.”
Alfonso si era
seduto, ma non vi rimase a lungo. Le parole di Juan lo fecero nuovamente
indignare e il ragazzo si alzò di scatto e camminò per la stanza, cercando di
far sbollire la rabbia che provava.
“Qualsiasi mezzo
sarebbe stato lecito, dite. Dunque per voi seviziare e tormentare un ragazzo di
quindici anni è corretto, è dignitoso” sibilò. “Forse avete sbagliato
indirizzo, Gonfaloniere, forse avreste dovuto offrire i vostri servigi a Re
Carlo, visto che avete così tanto in comune!”
Detto questo, Alfonso
voltò le spalle al giovane Borgia e alla Sala del Trono e si avviò a passo
svelto lungo il corridoio. Juan, però, non considerava affatto chiusa la
questione e lo raggiunse, cercando ancora una volta di spiegare come fossero
andate effettivamente le cose.
“Quello che il Re di
Francia ti ha fatto è spaventoso, crudele e inumano, te l’ho detto appena me
l’hai raccontato e lo penso tuttora” riprese, tentando inutilmente di prendere
il braccio del Principe. “E il motivo principale per cui considero atroce ciò
che ti è successo sta proprio nel fatto che io stesso ho torturato un
prigioniero innocente e mi posso rendere conto della differenza più di chiunque
altro!”
“E quale sarebbe
questa differenza? Perché forse chi viene torturato non se ne rende conto”
ribatté caustico Alfonso.
“Ho catturato il
giovane Sforza perché volevo che sua madre si arrendesse” insisté Juan. “L’ho
portato nella mia tenda per spaventarlo. Avrei potuto fargli del male anche
subito, ma non l’ho fatto, hai capito bene? Non. L’ho. Fatto. Perché non mi
interessava malmenarlo, non mi faceva sentire meglio, non mi divertivo e non mi
eccitavo nel vederlo soffrire. Volevo terrorizzarlo, questo sì, l’ho minacciato
delle peggiori torture e poi l’ho legato a una corda sotto gli occhi della
stramaledetta Caterina e gli ho torto le braccia dietro la schiena. Gli dicevo
di chiamare sua madre, di urlare, di chiederle aiuto. Non mi stavo divertendo,
se la sgualdrina Sforza si fosse arresa avrei smesso anche subito!”
“Non è quello che ho
sentito io” commentò il Principe, gelido. “Avete tagliato un dito a quel
ragazzino e avete cercato di impiccarlo, forse gli avete fatto anche di peggio…
Volete che scriva io, personalmente, a Don Hernando de Caballos per farmi
raccontare come sono andate davvero le cose?”
“Scrivigli, allora.
Anzi, ancora meglio: fallo venire qui e parlagli di persona. Perché lui ti riferirà
quello che ha visto e che è esattamente ciò che ti ho raccontato” esclamò il
giovane Borgia, esasperato. “So che non approvava il mio comportamento, mi ha
anche detto che era una cosa indegna e, alla fine, è stato lui a salvare il
ragazzo e a liberarlo. Ma, se parlerai con lui, allora saprai che quello che ho
fatto allo Sforza è stato questo. Non sono un sadico, non ho goduto nel
torturarlo e l’ho fatto esclusivamente per indurre Caterina ad arrendersi.”
“Gli avete tagliato
un dito e volevate ucciderlo. Anche questa è una calunnia?” lo incalzò Alfonso,
ostinato.
“No, questo è vero”
sospirò Juan, rassegnato. A quel punto tanto valeva che dicesse tutto, ma
Alfonso doveva sentirlo da lui e non
dai suoi detrattori. “Lo avrei ucciso comunque, anche se Caterina Sforza si
fosse arresa, non potevo lasciare che crescesse e si vendicasse. Non sarei
stato né il primo né l’ultimo a fare un ragionamento del genere e questo lo sai
benissimo anche tu. E gli ho tagliato un dito, sì, in un attimo di rabbia
furiosa. Quella puttana della Sforza mi aveva fatto colpire con una freccia
alla gamba e io ero fuori di me per il dolore e la collera, volevo vendicarmi e
ho tagliato il dito di suo figlio perché vedesse che facevo sul serio.”
Alfonso non era uno
sciocco e negli ultimi anni aveva dovuto imparare a capire le persone con uno
sguardo. Fissò Juan in silenzio per un lungo istante, serio in volto, e
comprese che era sincero e che aveva raccontato tutto. Ma una parte di lui non
era soddisfatta, una parte di lui continuava a pungolarlo e a tormentarlo. Non
riusciva a capire, ormai era chiaro che il modo di fare e le motivazioni del
giovane Borgia erano ben diverse dalla sadica e gelida crudeltà di Re Carlo
anche se, per puro caso, le vittime erano state due ragazzi della stessa età…
Eppure la fiamma di una rabbia dolorosa nel suo cuore non si placava.
“Sembra quindi che la
maggior parte delle cose che i Baroni hanno riferito siano vere, tutto sommato”
commentò. “Le torture, il taglio del dito, il tentato assassinio… magari,
chissà, è vero anche che avete abusato di quel ragazzino, che vi siete
approfittato della sua vulnerabilità per sfogare la vostra depravazione!”
Fu come se una luce
si fosse accesa improvvisamente nella testa di Juan. Allora era questo! Alfonso
non era tanto indignato per la storia delle torture, o almeno non lo era più
adesso che aveva compreso che lui non era un sadico bastardo come il Re
francese… il problema era che Alfonso era geloso. La collera che lo bruciava derivava
dal pensiero che il giovane Borgia avesse potuto sentirsi attratto, in qualche
modo, dal ragazzino Sforza e che avesse approfittato di lui!
Alfonso era geloso.
Quel pensiero
tranquillizzò Juan. Se era quello il vero motivo della sua ira, allora non aveva
nulla di cui preoccuparsi: non gli era mai importato un bel niente del figlio
della puttana Sforza e non doveva far altro che dimostrarlo.
Alfonso aveva
continuato a camminare lungo il corridoio e ormai si trovava nei pressi della
sua camera, gli aveva voltato le spalle come per ostentare la più completa
indifferenza nei suoi confronti. Juan gli si avvicinò, lo fece voltare verso di
sé e poi lo prese per i polsi e lo spinse contro il muro, inchiodandolo con il
peso del suo corpo.
“Ti ho raccontato tutto
quello che ho fatto, Alfonso, ed è quella l’unica e sola verità, il resto sono
solo calunnie che, come ti ho già detto, sicuramente mette in giro Cesare”
disse, con il volto vicinissimo a quello del ragazzo. “Ho compiuto degli atti
sconsiderati e indegni di un vero cavaliere torturando il giovane Sforza? Forse
sì, ma l’ho fatto solo per catturare sua madre Caterina. Avrei potuto fargli
cose molto peggiori, ma non mi è nemmeno passato per la testa.”
Adesso Alfonso non
parlava più. Confuso e stordito per la vicinanza con Juan, cercava di
distogliere lo sguardo da lui e di liberarsi dalla sua stretta, ma si sentiva
sempre più debole, le gambe gli venivano meno, la testa si svuotava da ogni
pensiero che non fosse il contatto con il giovane Borgia e il cuore e il
respiro acceleravano sempre di più.
“Non mi importava
niente di lui, per me era solo una pedina in un gioco molto più grande, eppure
non mi sono divertito a fargli del male” continuò Juan. “Non sono un sadico
perverso come quel maledetto Re Carlo, quello che è successo a te è stato
orribile e vorrei solo che riuscissi a dimenticarlo…”
Poi lo spinse ancora
di più contro la parete e lo baciò, prepotentemente e con foga, esplorandogli
la bocca con passione e rubandogli il respiro. Senza smettere di baciarlo,
senza riuscire a staccarsi dalla sua bocca morbida, lo sollevò da terra e lo
portò di peso verso la camera del Principe, ringraziando mentalmente il dottore
per avergli curato così bene la gamba. Lo depose sul letto e si distese sopra
di lui, imprigionandolo ancora una volta con il suo corpo e iniziando a
liberarsi delle sue vesti. Alfonso, inebetito, non capiva nemmeno quello che
stava succedendo, sentiva solo che le ginocchia gli tremavano, che il cuore
impazziva, che le tempie gli pulsavano e che ogni fibra del suo essere
desiderava disperatamente che Juan non si fermasse, che facesse di lui quello
che voleva e come lo voleva… senza nemmeno sapere fino in fondo di che si
trattava.
Il giovane Borgia lo
baciava e lo esplorava con la lingua, sempre più audace e indecente, poi iniziò
a sfilargli le sue eleganti vesti di velluto, accarezzandolo a lungo su tutto
il corpo e nelle parti più intime e delicate, fino a fargli perdere quel po’ di
lucidità che gli restava e a farlo gemere, incredulo e sperduto, contro la sua
bocca. Sapeva bene che Alfonso, negli anni in cui era stato ostaggio dei
Francesi, aveva avuto dei rapporti intimi con il Generale che si occupava di
lui ma, chissà perché, aveva anche la vaga impressione che il ragazzo lo avesse
sempre lasciato fare per gratitudine e affetto, senza nemmeno capire bene
quello che succedeva. Adesso sarebbe stato del tutto diverso: Juan gli divaricò
le gambe e si fece strada nel suo corpo, prima con lentezza e poi con più
passione, mentre Alfonso, smarrito, si aggrappava alle sue spalle e cercava istintivamente
di assecondare i suoi movimenti. Le ondate di piacere divennero sempre più
incalzanti, i loro corpi si mossero sempre più all’unisono, fino alla fine, un
lungo istante di estasi assoluta seguito da un languido calore nei loro corpi,
mentre il Principe, preso da un improvviso senso di timidezza e imbarazzo,
nascondeva il viso contro il petto del giovane Borgia, cercando di soffocare
gemiti e sospiri.
Se Alfonso era completamente fuori di sé e
non capiva più nemmeno chi fosse, dove fosse e perché, Juan Borgia non era da
meno. Quella non era certo la prima volta per lui, anzi, aveva consumato
amplessi in tutte le parti del mondo, compreso il castello di Napoli, tre anni
e mezzo prima, proprio con la sorellastra del Principe. Eppure quella volta era
stata diversa da tutte le altre e lui non si era mai sentito così. Aveva sempre
cercato il sesso per sfogare i suoi bisogni e i suoi desideri e li soddisfaceva
in fretta, con foga e con urgenza, tutte le volte che ne sentiva la necessità.
Dopo l’amplesso era soddisfatto e la cosa finiva lì, generalmente non aveva
neanche interesse a rivedere la persona con cui era stato, a meno che non fosse
stata particolarmente esperta e brava nel farlo godere.
E adesso? Sentiva dentro di sé un caldo
languore e una tenerezza che il sesso non aveva spento, bensì contribuito ad
accrescere. Provava il bisogno di stringere a sé Alfonso, di baciarlo ancora,
di farlo ancora suo, ma in un modo diverso, non per il godimento di un istante
o per soddisfare un bisogno bensì per… non lo sapeva nemmeno lui il perché,
sapeva solo che l’amplesso in sé e per sé questa volta non lo aveva
accontentato e che voleva di più.
Così Juan riprese a baciare Alfonso, dapprima
con lentezza e poi con sempre maggior intensità. Ancora una volta fu su di lui,
ancora una volta si fece largo nel suo corpo liscio e morbido, ma con minore
foga, con minor impeto, cercando, questa volta, di prolungare al massimo il
piacere e godendo di ogni singolo istante, fino a perdersi con lui in un oceano
di passione.
Alla fine strinse il Principe in un abbraccio
caldo e confortevole e, mentre gli accarezzava i riccioli umidi di sudore, si
chiese come potesse essere avvenuto un simile fatto, cosa avesse di speciale
quel ragazzo per farlo sentire così calmo e soddisfatto accanto a lui. Poche
ore prima aveva temuto di perderlo, di essere cacciato da quella che ormai
considerava la sua vera casa e adesso, con Alfonso tra le braccia, sentiva una
pace mai provata prima diffondersi nelle sue membra e comprendeva che niente,
nemmeno la consapevolezza del potere e della grandezza che avrebbe raggiunto,
nemmeno la soddisfazione di avere la sua rivincita su Cesare e di rendere
finalmente orgoglioso suo padre, potevano uguagliare la completa serenità che
provava nel trovarsi quel Principe egocentrico e altezzoso ora smarrito e
tremante nel suo abbraccio.
Per la prima volta Juan Borgia si sentiva
veramente completo e felice, accolto e accettato per quello che era, legato a
qualcuno che diventava ogni giorno di più lo scopo ultimo della sua esistenza.
Fine capitolo settimo