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Autore: Abby_da_Edoras    02/07/2020    4 recensioni
Questa storia nasce da un sogno che ho fatto e sinceramente non avrei mai creduto di tornare a scrivere in questo fandom, eppure... mai dire mai! Questa ff è il sequel della mia storia "Shadows and lights" (ma non è indispensabile averla letta): sono passati più di due anni dalla conquista di Napoli da parte del Re Carlo e dalle atroci esperienze del Principe Alfonso. Nel frattempo il Re è tornato in Francia, lasciando il Generale a guidare il Regno di Napoli in sua vece, ma all'inizio di questa storia il Generale è morto. Il Papa Borgia, allora, non perde l'occasione per ampliare i suoi domini e manda il figlio Juan come "protettore" del Principe Alfonso, perché sia lui a governare Napoli. Il rapporto tra Juan e Alfonso, però, evolverà in maniera inaspettata...
Non scrivo a scopo di lucro e personaggi e situazioni appartengono a registi, autori e produttori della serie TV The Borgias.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alfonso II di Napoli, Altri, Juan Borgia
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Salvation'
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Capitolo settimo: Blood on my hands

 

Waiting for my damnation - your prosecutor's here
In my own accusation - you can't run from yourself
Oh we're living these lies all alone
So come on and throw the stone

Silver stars in my black night
Cold as ice but beautiful
Wandering through broken shadows
The river of life is all filled with sins
The water I drink is the blood on my hands

Pray to the gods I have sold in this game of live and let die
Pray for my soul in this world to deliver me from my sins
Pray...

(“Blood on my hands” – Xandria)

 

“Mi dispiace, Alfonso, so che avrei dovuto parlarti di quello che avevo fatto durante l’assedio di Forlì” ammise Juan, mortificato, “so che avrei dovuto essere io a dirti tutto prima che lo venissi a sapere da qualcuno che avrebbe raccontato la storia a modo suo. Ma tu mi avevi mostrato fiducia e amicizia, mi ascoltavi, mi stimavi e io… beh, non volevo perdere il tuo rispetto. Ne ho già abbastanza di persone che mi giudicano.”

“Vi ho già detto che non mi interessa se siete fuggito davanti all’esercito di Ludovico Sforza” ripeté il Principe, stizzito. “Come potrei giudicarvi? Io sono scappato non appena ho saputo che i Francesi avevano invaso il regno di Napoli e ho lasciato i miei sudditi in balia degli stranieri e della peste! Non tutti siamo nati per fare gli eroi.”

“E allora cosa? Quello che ti hanno riferito è falso e sono certo che quelle spie non hanno parlato con Don Hernando de Caballos, lui non avrebbe mai messo in giro simili calunnie” reagì Juan. “Sono convinto che, in realtà, abbiano parlato con mio fratello Cesare. Quel maledetto ipocrita è invidioso e sta cercando di rovinare quello che sto costruendo qui, non accetta che nostro padre abbia scelto di nuovo me per proteggere il Regno di Napoli e farà di tutto per…”

“Basta chiacchiere” lo interruppe Alfonso, fissandolo negli occhi. “Avete seviziato e torturato un ragazzo di quindici anni, Gonfaloniere? Un ragazzo di quindici anni, sul serio? Allora ditemi, qual è la differenza tra voi e Re Carlo? Anch’io avevo quindici anni quando lui mi ha fatto…”

Juan capitolò. Era inutile continuare a raccontare storie, anzi, era chiaro che aveva sbagliato fin dal principio. Alfonso avrebbe dovuto sapere da lui tutta la vicenda, in questo modo non aveva fatto altro che regalare un vantaggio ai suoi avversari. Stanco e sconsolato di fronte alle menzogne che, ancora una volta, gli si ritorcevano contro, si lasciò cadere sullo scranno che aveva occupato fino a poco prima.

“Va bene, ti racconterò tutto. Siediti, sarà una storia lunga” disse. Attese che Alfonso prendesse posto sul trono e poi riprese a parlare. “E’ vero, ho dato ordine ai miei soldati di catturare il figlio di Caterina Sforza. Potrei dire che non sapevo quanti anni avesse, ma la verità è che per me non avrebbe fatto differenza, l’avrei preso anche se fosse stato più piccolo. Non mi importava niente di lui, la sola cosa a cui pensavo era che sua madre doveva arrendersi a me e farsi portare a Roma in catene, qualsiasi mezzo sarebbe stato lecito pur di raggiungere il mio scopo.”

Alfonso si era seduto, ma non vi rimase a lungo. Le parole di Juan lo fecero nuovamente indignare e il ragazzo si alzò di scatto e camminò per la stanza, cercando di far sbollire la rabbia che provava.

“Qualsiasi mezzo sarebbe stato lecito, dite. Dunque per voi seviziare e tormentare un ragazzo di quindici anni è corretto, è dignitoso” sibilò. “Forse avete sbagliato indirizzo, Gonfaloniere, forse avreste dovuto offrire i vostri servigi a Re Carlo, visto che avete così tanto in comune!”

Detto questo, Alfonso voltò le spalle al giovane Borgia e alla Sala del Trono e si avviò a passo svelto lungo il corridoio. Juan, però, non considerava affatto chiusa la questione e lo raggiunse, cercando ancora una volta di spiegare come fossero andate effettivamente le cose.

“Quello che il Re di Francia ti ha fatto è spaventoso, crudele e inumano, te l’ho detto appena me l’hai raccontato e lo penso tuttora” riprese, tentando inutilmente di prendere il braccio del Principe. “E il motivo principale per cui considero atroce ciò che ti è successo sta proprio nel fatto che io stesso ho torturato un prigioniero innocente e mi posso rendere conto della differenza più di chiunque altro!”

“E quale sarebbe questa differenza? Perché forse chi viene torturato non se ne rende conto” ribatté caustico Alfonso.

“Ho catturato il giovane Sforza perché volevo che sua madre si arrendesse” insisté Juan. “L’ho portato nella mia tenda per spaventarlo. Avrei potuto fargli del male anche subito, ma non l’ho fatto, hai capito bene? Non. L’ho. Fatto. Perché non mi interessava malmenarlo, non mi faceva sentire meglio, non mi divertivo e non mi eccitavo nel vederlo soffrire. Volevo terrorizzarlo, questo sì, l’ho minacciato delle peggiori torture e poi l’ho legato a una corda sotto gli occhi della stramaledetta Caterina e gli ho torto le braccia dietro la schiena. Gli dicevo di chiamare sua madre, di urlare, di chiederle aiuto. Non mi stavo divertendo, se la sgualdrina Sforza si fosse arresa avrei smesso anche subito!”

“Non è quello che ho sentito io” commentò il Principe, gelido. “Avete tagliato un dito a quel ragazzino e avete cercato di impiccarlo, forse gli avete fatto anche di peggio… Volete che scriva io, personalmente, a Don Hernando de Caballos per farmi raccontare come sono andate davvero le cose?”

“Scrivigli, allora. Anzi, ancora meglio: fallo venire qui e parlagli di persona. Perché lui ti riferirà quello che ha visto e che è esattamente ciò che ti ho raccontato” esclamò il giovane Borgia, esasperato. “So che non approvava il mio comportamento, mi ha anche detto che era una cosa indegna e, alla fine, è stato lui a salvare il ragazzo e a liberarlo. Ma, se parlerai con lui, allora saprai che quello che ho fatto allo Sforza è stato questo. Non sono un sadico, non ho goduto nel torturarlo e l’ho fatto esclusivamente per indurre Caterina ad arrendersi.”

“Gli avete tagliato un dito e volevate ucciderlo. Anche questa è una calunnia?” lo incalzò Alfonso, ostinato.

“No, questo è vero” sospirò Juan, rassegnato. A quel punto tanto valeva che dicesse tutto, ma Alfonso doveva sentirlo da lui e non dai suoi detrattori. “Lo avrei ucciso comunque, anche se Caterina Sforza si fosse arresa, non potevo lasciare che crescesse e si vendicasse. Non sarei stato né il primo né l’ultimo a fare un ragionamento del genere e questo lo sai benissimo anche tu. E gli ho tagliato un dito, sì, in un attimo di rabbia furiosa. Quella puttana della Sforza mi aveva fatto colpire con una freccia alla gamba e io ero fuori di me per il dolore e la collera, volevo vendicarmi e ho tagliato il dito di suo figlio perché vedesse che facevo sul serio.”

Alfonso non era uno sciocco e negli ultimi anni aveva dovuto imparare a capire le persone con uno sguardo. Fissò Juan in silenzio per un lungo istante, serio in volto, e comprese che era sincero e che aveva raccontato tutto. Ma una parte di lui non era soddisfatta, una parte di lui continuava a pungolarlo e a tormentarlo. Non riusciva a capire, ormai era chiaro che il modo di fare e le motivazioni del giovane Borgia erano ben diverse dalla sadica e gelida crudeltà di Re Carlo anche se, per puro caso, le vittime erano state due ragazzi della stessa età… Eppure la fiamma di una rabbia dolorosa nel suo cuore non si placava.

“Sembra quindi che la maggior parte delle cose che i Baroni hanno riferito siano vere, tutto sommato” commentò. “Le torture, il taglio del dito, il tentato assassinio… magari, chissà, è vero anche che avete abusato di quel ragazzino, che vi siete approfittato della sua vulnerabilità per sfogare la vostra depravazione!”

Fu come se una luce si fosse accesa improvvisamente nella testa di Juan. Allora era questo! Alfonso non era tanto indignato per la storia delle torture, o almeno non lo era più adesso che aveva compreso che lui non era un sadico bastardo come il Re francese… il problema era che Alfonso era geloso. La collera che lo bruciava derivava dal pensiero che il giovane Borgia avesse potuto sentirsi attratto, in qualche modo, dal ragazzino Sforza e che avesse approfittato di lui!

Alfonso era geloso.

Quel pensiero tranquillizzò Juan. Se era quello il vero motivo della sua ira, allora non aveva nulla di cui preoccuparsi: non gli era mai importato un bel niente del figlio della puttana Sforza e non doveva far altro che dimostrarlo.

Alfonso aveva continuato a camminare lungo il corridoio e ormai si trovava nei pressi della sua camera, gli aveva voltato le spalle come per ostentare la più completa indifferenza nei suoi confronti. Juan gli si avvicinò, lo fece voltare verso di sé e poi lo prese per i polsi e lo spinse contro il muro, inchiodandolo con il peso del suo corpo.

“Ti ho raccontato tutto quello che ho fatto, Alfonso, ed è quella l’unica e sola verità, il resto sono solo calunnie che, come ti ho già detto, sicuramente mette in giro Cesare” disse, con il volto vicinissimo a quello del ragazzo. “Ho compiuto degli atti sconsiderati e indegni di un vero cavaliere torturando il giovane Sforza? Forse sì, ma l’ho fatto solo per catturare sua madre Caterina. Avrei potuto fargli cose molto peggiori, ma non mi è nemmeno passato per la testa.”

Adesso Alfonso non parlava più. Confuso e stordito per la vicinanza con Juan, cercava di distogliere lo sguardo da lui e di liberarsi dalla sua stretta, ma si sentiva sempre più debole, le gambe gli venivano meno, la testa si svuotava da ogni pensiero che non fosse il contatto con il giovane Borgia e il cuore e il respiro acceleravano sempre di più.

“Non mi importava niente di lui, per me era solo una pedina in un gioco molto più grande, eppure non mi sono divertito a fargli del male” continuò Juan. “Non sono un sadico perverso come quel maledetto Re Carlo, quello che è successo a te è stato orribile e vorrei solo che riuscissi a dimenticarlo…”

Poi lo spinse ancora di più contro la parete e lo baciò, prepotentemente e con foga, esplorandogli la bocca con passione e rubandogli il respiro. Senza smettere di baciarlo, senza riuscire a staccarsi dalla sua bocca morbida, lo sollevò da terra e lo portò di peso verso la camera del Principe, ringraziando mentalmente il dottore per avergli curato così bene la gamba. Lo depose sul letto e si distese sopra di lui, imprigionandolo ancora una volta con il suo corpo e iniziando a liberarsi delle sue vesti. Alfonso, inebetito, non capiva nemmeno quello che stava succedendo, sentiva solo che le ginocchia gli tremavano, che il cuore impazziva, che le tempie gli pulsavano e che ogni fibra del suo essere desiderava disperatamente che Juan non si fermasse, che facesse di lui quello che voleva e come lo voleva… senza nemmeno sapere fino in fondo di che si trattava.

Il giovane Borgia lo baciava e lo esplorava con la lingua, sempre più audace e indecente, poi iniziò a sfilargli le sue eleganti vesti di velluto, accarezzandolo a lungo su tutto il corpo e nelle parti più intime e delicate, fino a fargli perdere quel po’ di lucidità che gli restava e a farlo gemere, incredulo e sperduto, contro la sua bocca. Sapeva bene che Alfonso, negli anni in cui era stato ostaggio dei Francesi, aveva avuto dei rapporti intimi con il Generale che si occupava di lui ma, chissà perché, aveva anche la vaga impressione che il ragazzo lo avesse sempre lasciato fare per gratitudine e affetto, senza nemmeno capire bene quello che succedeva. Adesso sarebbe stato del tutto diverso: Juan gli divaricò le gambe e si fece strada nel suo corpo, prima con lentezza e poi con più passione, mentre Alfonso, smarrito, si aggrappava alle sue spalle e cercava istintivamente di assecondare i suoi movimenti. Le ondate di piacere divennero sempre più incalzanti, i loro corpi si mossero sempre più all’unisono, fino alla fine, un lungo istante di estasi assoluta seguito da un languido calore nei loro corpi, mentre il Principe, preso da un improvviso senso di timidezza e imbarazzo, nascondeva il viso contro il petto del giovane Borgia, cercando di soffocare gemiti e sospiri.

Se Alfonso era completamente fuori di sé e non capiva più nemmeno chi fosse, dove fosse e perché, Juan Borgia non era da meno. Quella non era certo la prima volta per lui, anzi, aveva consumato amplessi in tutte le parti del mondo, compreso il castello di Napoli, tre anni e mezzo prima, proprio con la sorellastra del Principe. Eppure quella volta era stata diversa da tutte le altre e lui non si era mai sentito così. Aveva sempre cercato il sesso per sfogare i suoi bisogni e i suoi desideri e li soddisfaceva in fretta, con foga e con urgenza, tutte le volte che ne sentiva la necessità. Dopo l’amplesso era soddisfatto e la cosa finiva lì, generalmente non aveva neanche interesse a rivedere la persona con cui era stato, a meno che non fosse stata particolarmente esperta e brava nel farlo godere.

E adesso? Sentiva dentro di sé un caldo languore e una tenerezza che il sesso non aveva spento, bensì contribuito ad accrescere. Provava il bisogno di stringere a sé Alfonso, di baciarlo ancora, di farlo ancora suo, ma in un modo diverso, non per il godimento di un istante o per soddisfare un bisogno bensì per… non lo sapeva nemmeno lui il perché, sapeva solo che l’amplesso in sé e per sé questa volta non lo aveva accontentato e che voleva di più.

Così Juan riprese a baciare Alfonso, dapprima con lentezza e poi con sempre maggior intensità. Ancora una volta fu su di lui, ancora una volta si fece largo nel suo corpo liscio e morbido, ma con minore foga, con minor impeto, cercando, questa volta, di prolungare al massimo il piacere e godendo di ogni singolo istante, fino a perdersi con lui in un oceano di passione.

Alla fine strinse il Principe in un abbraccio caldo e confortevole e, mentre gli accarezzava i riccioli umidi di sudore, si chiese come potesse essere avvenuto un simile fatto, cosa avesse di speciale quel ragazzo per farlo sentire così calmo e soddisfatto accanto a lui. Poche ore prima aveva temuto di perderlo, di essere cacciato da quella che ormai considerava la sua vera casa e adesso, con Alfonso tra le braccia, sentiva una pace mai provata prima diffondersi nelle sue membra e comprendeva che niente, nemmeno la consapevolezza del potere e della grandezza che avrebbe raggiunto, nemmeno la soddisfazione di avere la sua rivincita su Cesare e di rendere finalmente orgoglioso suo padre, potevano uguagliare la completa serenità che provava nel trovarsi quel Principe egocentrico e altezzoso ora smarrito e tremante nel suo abbraccio.

Per la prima volta Juan Borgia si sentiva veramente completo e felice, accolto e accettato per quello che era, legato a qualcuno che diventava ogni giorno di più lo scopo ultimo della sua esistenza.

Fine capitolo settimo

 

 

 

   
 
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