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Autore: FairyCleo    02/07/2020    1 recensioni
Dal capitolo 1:
"E poi, sorprendendosi ancora una volta per quel gesto che non gli apparteneva, aveva sorriso, seppur con mestizia, alla vista di chi ancora era in grado di fornirgli una ragione per continuare a vivere, per andare avanti in quel mondo che aveva rinnegato chiunque, re, principi, cavalieri e popolani".
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Goku, Goten, Trunks, Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nell’Altrove
 
Lo aveva visto andare via, trascinato dalla forza impetuosa della corrente e dal tronco che lo aveva travolto.
Lo aveva quasi preso, lo aveva sfiorato con le dita, lo aveva quasi toccato, ma non ce l’aveva fatta.
Non si era allungato a sufficienza, non si era sforzato abbastanza per aiutarlo a sollevarsi, per dargli l’opportunità di salvarsi, per riportarlo con loro sulle rive sicure che lo stavano aspettando.
Non era riemerso più, Gohan. Avevano aspettato, immobili, sperando che riaffiorasse, sano e salvo, da quel turbinio di acque e detriti. Lo avevano chiamato a gran voce, attendendo un qualsiasi segno di vita, e lo avevano fatto finché non era stato chiaro che fosse inutile aspettare, perché la corrente, letale e vorace, non avrebbe restituito loro neppure un corpo su cui piangere.
Goten non aveva proferito parola. Il piccolo saiyan dai buffi capelli a palma aveva visto suo fratello sparire, inghiottito dalle onde, e sembrava quasi che fosse sparito insieme a lui, e che quello fosse solo un involucro vuoto, privo di vita.
Era rimasto seduto, immobile, accanto a Vegeta per un tempo che al principe era parso lunghissimo. Non aveva versato una lacrima, non aveva emesso un singhiozzo, niente. Non aveva avuto nessun tipo di reazione. O forse, aveva avuto l’unica reazione che ci si potesse aspettare da qualcuno che aveva subito un trauma simile.
Lui stesso non aveva saputo cosa dire. La loro fuga si era rivelata più pericolosa di quanto si sarebbe mai aspettato. Avevano lasciato la Capsule Corporation per sentirsi al sicuro da Kaharot, per sfuggire a quel suo potere devastante, ed erano stati prima attaccati da qualcuno e ora beffati dal destino.
Ancora non riusciva a credere di esserselo fatto sfuggire come sabbia tra le dita, e una sensazione sgradevolissima, un peso ingombrante e insopportabile si era fatto spazio nel suo petto. Per la prima volta, Vegeta cominciava a capire cosa fosse veramente il senso di colpa.
 
“Papà. Goten, venite via da lì, vi prego! Non voglio perdere anche voi!”.
 
Trunks in lacrime, li stava supplicando dalla riva di mettersi al riparo. Non avrebbe sopportato di perdere anche loro, di veder morire suo padre e il suo migliore amico e di restare da solo. Era stato scioccante vedere Gohan sparire davanti ai suoi occhi in quel modo. La corrente doveva averlo trascinato a valle, ormai, e il pensiero di non sapere che fine avesse fatto il suo corpo lo stava dilaniando. Come doveva sentirsi Goten? Aveva perso sua madre e suo fratello nel giro di poche ore, e ora non aveva nessuno all’infuori di lui e Vegeta. Stava male per il suo amico, Trunks, ma non poteva permettere a se stesso di darlo a vedere. Avrebbe dovuto rassicurarlo, confortarlo, lasciarlo sfogare. Era questo che facevano gli amici, che facevano i fratelli. E lui, adesso, era l’unico fratello che Goten avesse.
 
“Vieni… Vieni qui… Dobbiamo andare”.
 
Vegeta si muoveva con una cautela che non gli apparteneva. In una situazione diversa, avrebbe sgridato Goten, lo avrebbe strattonato, forse gli avrebbe dato un sonoro ceffone per farlo tornare in sé. Ma quella situazione non era come le altre. Quella situazione era spaventosa e lui non poteva renderla peggiore.
Per questo, con decisione e delicatezza insieme, aveva preso Goten tra le braccia, lasciando che il piccolo poggiasse il capo sul suo petto. Aveva fatto in modo che gli cingesse i fianchi con le gambe, ma Goten non era lì con lui e non si era aggrappato al suo corpo come avrebbe dovuto fare. Teneva gli occhi aperti, fissi chissà su chi o su cosa, e quegli occhi erano spaventosi perché erano vuoti e spenti.
 
Tornare indietro in quelle condizioni non era stato facile, ma era riuscito a riportarlo a riva. Trunks gli era corso incontro, abbracciandolo, e lo stesso aveva fatto Ouji, che si era arrampicato con le zampine sul fianco di Vegeta, abbaiando verso il suo padroncino.
Il principe era rimasto in quella posizione per un tempo incalcolabile. Sentiva sulle proprie spalle non solo il peso fisico di Goten, ma il peso del suo dolore e quello di Trunks, persino quello di quell’ammasso di peli. Sentiva che l’angoscia lo stava schiacciando, che le ginocchia e la mente avrebbero ceduto sotto quel peso insopportabile. E se fosse caduto anche lui? Se, a poche ore da quando quella faccenda aveva avuto inizio, avesse stabilito che non ci fosse più niente da fare? Che ne sarebbe stato dei ragazzi? Che ne sarebbe stato di Trunks e Goten?
Sì, era vero, Vegeta avrebbe potuto lasciarsi andare. Ma non lo avrebbe fatto. Non lo avrebbe fatto per se stesso, per i bambini, e perché moriva dalla voglia di dare una lezione a quell’imbecille di Kaharot.
 
“Smettila di piangere, Trunks. Dobbiamo andare…”.
“Do-dove?” – aveva chiesto lui, tirando su con il naso.
“Dobbiamo trovare un riparo. Presto calerà la notte… Dobbiamo recuperare il tuo zaino e permettere a Goten di asciugarsi… Non può prendersi il lusso di ammalarsi. Forza, prendi Ouji e vieni con me. Basta perdere tempo”.
 
Aveva obbedito senza fiatare, seguendo il padre che stringeva tra le braccia il peso morto del suo migliore amico.
Si era preoccupato di eseguire gli ordini alla perfezione, prendendo Ouji in braccio e portandolo di peso verso il luogo in cui si trovava il suo zainetto.
Suo padre aveva ragione: erano accadute così tante cose che non si era accorto di quanto tempo fosse trascorso in realtà. La notte era vicina e non potevano trascorrerla all’addiaccio. Avrebbero dovuto trovare un riparo e qualcosa da mangiare, e avrebbero dovuto prendersi cura di Goten, cercando di farlo uscire da quello stato. Vegeta era forte e Trunks lo sapeva, ma non sarebbe stato in grado di portare in braccio il suo amico per sempre. Non aveva più i suoi poteri, la sua forza saiyan, e stancarsi eccessivamente era un qualcosa fuori discussione. Goten, poi, doveva stare meglio. Doveva guarire. Peccato che non sapesse che tipo di medicina servisse.
 
“Papà, non ci sono cambi d’abito nello zainetto, mi dispiace… Ci sono solo medicine, dei biscotti, delle gallette – cavolo, sono del tutto sbriciolati – e qualche merendina… Ah, ci sono dei soldi… E i fagioli di Balzar, ovviamente… Pensi che potrebbero servire a Goten? Magari, mangiandone uno, tornerebbe normale…”.
“Tsk. Non è così facile come credi, Trunks”.
 
Mentre stava parlando, il principe dei saiyan aveva spogliato il bambino dagli abiti zuppi di acqua, preoccupandosi di coprirlo con il suo maglioncino e il suo giubbotto di pelle.
 
“Così ti ammalerai tu, però…” – aveva commentato il bambino a bassa voce nel vedere il padre rimanere con una t-shirt nera. Capiva perché lo aveva fatto, ma che senso aveva salvaguardare Goten o lui a proprio discapito? Non voleva che suo padre si ammalasse per colpa loro.
“Prendi la mia maglia, papà, ti prego… A Goten calzerà a pennello e tu non prenderai freddo… Aspetta”.
“Non osare spogliarti. Vuoi ammalarti anche tu, forse?”.
“Ma… Io…”.
“Tsk! Pensi che sia una mammoletta, Trunks? E questa l’opinione che hai di tuo padre? Spero vivamente che non sia così…”.
“Non volevo offenderti, scusa…”.
“Tsk! Prendi i vestiti bagnati di Goten e mettili da qualche parte nello zaino. Sbrighiamoci a metterci in marcia… La notte sta calando troppo in fretta”.
 
Aveva preso i vestiti senza fiatare, mortificato per ciò che gli aveva detto suo padre e desideroso di compiacerlo e di rendersi utile. Gli abiti del suo migliore amico erano zuppi, e prima di metterli nello zaino li aveva strizzati con forza, cercando di ridurre al minimo il quantitativo di liquido che avevano assorbito. Chissà quanto bagnati dovevano essere i capelli di Goten. Poi, però, Trunks si era ricordato di aver visto da qualche parte, in una tasca interna, una busta di plastica verde.
 
“Sono certo di averla vista!” - aveva esclamato, cercando come un forsennato all’interno di quello spazio ristretto. E, in effetti, l’aveva trovata. Ma non era solo la busta ad aver scovato: lì, nella tasca interna, riposava sereno il quaderno che aveva dimenticato di aver portato con sé.
 
*
 
Camminare per chilometri con in braccio un peso morto non era di certo in programma, ma lamentarsi sarebbe stato inutile, considerando che non aveva il potere di cambiare le cose. Goten non voleva saperne di riprendersi, e lui non poteva permettersi di perdere le staffe, ma il tragitto sembrava infinito e le articolazioni del gomito e del polso cominciavano a non rispondere più ai suoi comandi. Le braccia gli dolevano sino alle lacrime e più di una volta il piccolo aveva rischiato di scivolare. Dopo più di un’ora di cammino tra felci e radici, aveva spostato Goten sulla schiena, potendo finalmente abbassare le braccia e lasciare che il sangue ricominciasse a scorrere. La testa di Goten, ora, giaceva abbandonata fra le sue scapole, e quella posizione lo costringeva a stare leggermente flesso in avanti e, anche se sentiva il mal di schiena montare alla velocità della luce, almeno avrebbe potuto vedere con chiarezza doveva mettere i piedi. Aveva freddo, Vegeta, e i rami spinosi gli avevano graffiato la pelle in più punti. Era spossato, sfinito, ma nessun luogo sembrava idoneo a fargli da riparo e non poteva permettere che il loro gruppo subisse ulteriori perdite.
Aveva ancora negli occhi l’immagine di Gohan che veniva colpito dal tronco, non avrebbe potuto sopportare che qualcosa di simile potesse capitare ai ragazzi.
Trunks arrancava dietro di lui, seguito dal piccolo Ouji, esausto come loro. Il saiyan dai capelli lilla non si stava lamentando per non sembrare debole agli occhi del padre, ma era certo di avere le bolle sotto i piedi e, per il dolore, era sul punto di scoppiare a piangere. Per di più, aveva fame e sete, e se la prima poteva essere placata da qualcuno degli snack che aveva portato con sé, lo stesso non si poteva dire per la seconda. Purtroppo, aveva consumato quasi tutta l’acqua per far prendere il fagiolo a suo padre, e quella che gli restava era preziosa come l’oro. Per questo non aveva osato poggiare le labbra sul bordo della bottiglia, anche se, a onor del vero, avrebbe voluto svuotarne il contenuto tutto d’un fiato.
Ouji non avrebbe continuato a camminare molto a lungo. Già due volte si era fermato. Alla terza, Trunks sarebbe stato costretto a prenderlo in braccio e non aveva intenzione di camminare con il cucciolo spalmato addosso. Era goffo e pesante, e lui era stanco e malandato. Non avrebbe resistito a lungo. Perché non riuscivano a trovare una caverna, una baiata abbandonata o un qualsiasi posto dove passare la notte?
Proprio mentre stava formulando quel pensiero, suo padre si era arrestato di colpo, volgendo il capo verso la sua destra. Colto di sorpresa, incuriosito dal gesto e speranzoso di aver finalmente trovato ciò che stavano tanto cercando, aveva fatto lo stesso, scoprendo che a poche centinaia di metri da loro, nascosta nel folto del bosco, c’era una piccola casa di legno che, a giudicare dal fumo che usciva dal camino, doveva essere abitata.
 
“Ora mi metto a piangere” – era stato il commento spassionato del bambino.
“Tsk. Non cantare vittoria troppo presto… Non è detto che ci aiutino…”.
“Sì, lo so, però…”.
“Tanto vale provare, no? Andiamo… Ma stammi vicino e fai esattamente quello che ti dico”.
“Lo farò. Te lo prometto”.
 
Si erano incamminati immediatamente, sperando che, per una volta, la buona sorte volgesse a loro favore.
Non potevano sapere che qualcuno, da lontano, li stesse osservando. E si trattava di qualcuno appena tornato dal regno dei morti.
 
*
 
Sarebbe stato inutile rimuginare ancora sul da farsi. Era sfinito, presto sarebbe caduto per terra dalla stanchezza, e lo stesso sarebbe accaduto a Trunks. Non era uno sprovveduto e non poteva fidarsi di chiunque, ma continuare a osservare la baita da fuori non sarebbe stato d’aiuto.
Nell’avvicinarsi di più alla casa si era reso conto che vi fosse accanto una stalla, e dentro dovevano esserci almeno un paio di cavalli e una capra. Sbirciando – per quanto aveva potuto – dalla finestra, si era accorto che in casa ci fosse una persona, una donna, a giudicare dalla sagoma che aveva visto.
 
“Restami accanto e non dire nulla, Trunks, mi raccomando… Stiamo per fare una cosa tremendamente umiliante e… Seguimi e basta”.
 
Aveva percorso il patio dopo aver salito i tre gradini che separavano la casa dal giardino e aveva deglutito rumorosamente prima di bussare, per tre volte, con le nocche della mano sinistra.
I passi che aveva sentito dietro la porta avevano confermato che aveva ragione: la casa era abitata da qualcuno. La figura che era comparsa davanti ai suoi occhi era quella di una donna di mezza età con i capelli che viravano verso il grigio raccolti uno chignon alto. Aveva addosso un abito viola accollato e dalle maniche lunghe che aveva qualcosa di estremamente antico. Lo sguardo di lei era duro, severo, e aveva indugiato a lungo su Vegeta e sui bambini, prima di rivolgergli la parola.
 
“Chi sei? E cosa vuoi?”.
“Abbiamo avuto un incidente nel bosco… Abbiamo perso ogni cosa. Ci siamo allontanati troppo da casa e non sappiamo dove andare” – stava facendo un discorso un po’ confuso, lo sapeva bene, ma non era bravo in quelle cose e non sapeva come riuscire a convincere quella donna a farlo entrare in casa – “Fa freddo… I bambini sono stanchi e lui… Credo abbia la febbre” – non stava scherzando: Goten scottava. Se n’era accorto da un po’ di tempo ma aveva preferito tacere per non far allarmare Trunks. “Non so dove portarli… Quindi, volevo chiederle se…”.
“Non ti lascerò entrare in casa” – era stata rude, incapace di provare empatia verso Vegeta e i bambini – “Perciò, vattene”.
“Signora…” – stava cercando di mantenere la calma e di non sembrare aggressivo – “Non ho cattive intenzioni. Mi reggo appena in piedi… Non pretendo di entrare in casa sua…” – forse, l’avrebbe convinta almeno a dargli un riparo – “Ma ci faccia stare almeno nella stalla. Non le daremo fastidio… Non toccheremo nulla, e domattina, con il levare del sole, partiremo. Sarà come se non ci fossimo mai stati”.
 
Trunks si era stretto alla gamba del padre, sconvolto: era la prima volta che lo sentiva supplicare e aveva avvertito come una stretta al cuore. Quanto doveva costare, a suo padre, comportarsi in quel modo, per giunta davanti a lui?
La donna si era presa qualche istante per scrutarli più a fondo. Si era soffermata a lungo su Goten, su Trunks e su Ouji prima di indugiare sulle braccia e sul viso di Vegeta.
 
“Vedo molto sangue su di te, ma nessuna ferita” – aveva asserito, sagace – “Chi hai ucciso?”.
“Ucciso? Non ho ucciso nessuno! Abbiamo avuto un incidente, gliel’ho detto… Senta, io posso stare fuori, ma dia almeno un ricovero ai bambini. Loro…”.
“Vedo benissimo le condizioni in cui versano i bambini. Che sfortuna hanno avuto nell’avere un padre come te!”.
“Ma non è vero!” – Trunks aveva disubbidito, sbottando indignato per quell’affermazione così falsa – “Papà è fantastico, se non fosse stato per lui saremmo morti! Non dica queste cose cattive, lei non lo conosce e…”.
“Smettila”.
 
Vegeta non lo aveva sgridato. Non c’era rabbia nella sua voce, né frustrazione. Aveva appena sussurrato quell’ordine, quasi a dargli un consiglio. Era sinceramente commosso dall’affetto che il figlio nutriva verso di lui, ma non era il momento più adatto per accorrere in sua difesa: anche se quella donna sembrava del tutto innocua, non sapevano chi fosse realmente. Avevano subito troppo, dovevano stare all’erta, per quanto fossero vulnerabili e soli.
Il bambino non aveva protestato e si era di nuovo nascosto dietro le gambe di suo padre, chinando il capo per non mostrare le lacrime. Perché ce l’avevano tutti con loro?
 
“Ce ne andremo… Se l’ho disturbata…”.
“Che cos’è tutto questo chiasso, Marylin?”.
 
Era talmente stanco da non averlo notato immediatamente, ma avrebbe dovuto pensare al fatto che nessuna donna avrebbe mai accettato di vivere da sola in un posto sperduto come quello. Dietro di lei era comparso un uomo sulla sessantina, non troppo alto, con i capelli grigi lunghi sino alle spalle, il viso sporco e il ventre prominente. Era vestito come un contadino d’altri tempi, e anche questo era sembrato estremamente fuori luogo a Vegeta, che continuava a capirci sempre meno.
 
“Niente. Il signore e i suoi bambini hanno sbagliato strada e stavano andando via dopo aver chiesto un’informazione. Mi stavo congedando…”.
“Un’informazione, eh? Ma dove dovrebbero andare nel cuore della notte? Con questo freddo, poi… Non posso farvi entrare in casa, ma posso darvi ricovero nella stalla. Ci sono coperte pulite di sopra, vero Marylin? Vai a prenderle… Io accompagno il signore e i suoi figli nella stalla… Saranno stanchi, non è vero?”.
“Io… Sì… Vado…”.
“Perdonate i modo bruschi di mia sorella… Quella sciocca donna non sa quello che si deve fare. Vieni, ragazzo… Posso darti del tu, vero? Vieni… Ti porterò anche un buon bicchiere di latte munto stamattina…”.
 
In un’altra circostanza, avrebbe intuito immediatamente che qualcosa, in quelle due persone, non quadrava, ma in quel frangente era troppo stanco per mettersi a far funzionare il cervello. Aveva bisogno di riposare, anche solo per un paio di ore, e sarebbe stato sempre e comunque pronto a scappare, se la situazione si fosse complicata.
 
“Mia sorella arriverà presto con latte e coperte” – aveva detto il contadino, sorridendo con una strana luce negli occhi – “Passate una buona notte”.
 
*
 
“Sono così stanco, papà…”.
 
Le coperte e il latte erano arrivati pochi minuti dopo. Marylin, la sorella del contadino, aveva portato quanto promesso senza degnarli di uno sguardo. Per Vegeta era stato meglio così, e non si era preso neanche la briga di ringraziarla.
Ora, dopo aver aiutato Goten a bere il latte, dopo aver dato dei biscotti che si trovavano nello zaino a Ouji e dopo aver rimboccato le coperte al Son e Trunks, si era steso accanto a loro, poggiando la testa sul suo avambraccio, sfinito.
 
“Dormi…”.
 
Non aveva le forze di aggiungere altro. Voleva solo chiudere gli occhi e riposare, in modo da poter ripartire, il giorno dopo, e cercare di trovare una soluzione.
 
Dormiva da almeno un paio d’ore quando qualcuno lo aveva scosso per le spalle, svegliandolo di colpo.
Era scattato in piedi più in fretta che aveva potuto, pronto a scagliarsi contro chiunque avesse provato a fare del male a lui o ai bambini, e avrebbe veramente sferrato un potente gancio destro a chi aveva davanti se la luce della lampada a olio non avesse illuminato il volto del contadino.
 
“Ma che…”.
“Ti ho spaventato, ragazzo, mi dispiace… Vieni con me… Avrai fame, e vorrai qualcosa da bere… Dai…”.
“No… Io… Non lascio i bambini, e…”.
“Resterà con loro mia sorella, giusto, Marylin?”.
“Sì…”.
 
C’era lì anche quella strana donna… Aveva un’espressione indecifrabile in viso, e si rifiutava di guardarlo negli occhi. Qualcosa non andava, e non capiva cosa. Si sentiva confuso, stanco, come se non fosse del tutto sveglio.
 
“No, io…”.
“Insisto… Non si rifiutano le cortesie del padrone di casa… Vieni”.
 
Solo a quel punto si era accorto che lo tenesse stretto. La grande mano callosa del contadino era serrata attorno al suo polso, e lui aveva provato a opporre resistenza, ma era così stanco, così confuso
 
“Che-che sta succedendo…”.
 
Aveva la nausea. Era certo che avrebbe vomitato, che sarebbe caduto a terra, faccia in giù, per l’ennesima volta.
 
“Avanti… Non vorrai che ti porti a casa in braccio… Forza, principessa…”.
 
Si era girato verso i bambini, cercando di chiamarli, inutilmente. La donna se ne stava lì, seduta in mezzo a loro, e continuava a tenere lo sguardo fisso altrove. Che cosa stava per accadere? Cosa?
 
“La-lasciami… Lasciami…”.
“Tra poco… E dopo che mi avrai dato quello che mi devi”.
 
*
 
Lo aveva praticamente trascinato sul patio, spingendolo oltre la soglia con tanta forza da farlo cadere per terra. Vegeta aveva fatto in tempo a puntarsi in avanti con le mani in modo da non sbattere il viso, ma il calcio ricevuto al fianco poco dopo lo aveva costretto a rannicchiarsi, accecato dal dolore improvviso.
Non riusciva a respirare, né a rimettersi in piedi. Non aveva la più pallida idea di cosa volesse quell’uomo da lui, ma doveva uscire, doveva uscire subito.
Aveva avuto come un deja-vu, Vegeta, la stessa sensazione provata quando quello sporco bastardo di Freezer lo mandava a chiamare nel bel mezzo della notte, per punirlo, umiliarlo, sottometterlo.
Incamerare aria non era facile, dato il dolore acuto, ma doveva riprendere a respirare regolarmente se voleva provare a snebbiare la mente e fuggire da quella situazione di pericolo.
 
“Dove pensi di andare?”.
 
Lo aveva colpito di nuovo, stavolta in mezzo alle scapole, schiacciandolo contro il pavimento con il suo considerevole peso.
Poco dopo, si era seduto su di lui e gli aveva torto un braccio dietro la schiena, mentre con l’altro gli aveva tirato indietro il capo, prendendolo per i capelli.
 
“Mmmm… La-lasciami!”.
“Chiudi la bocca. Non vuoi che i tuoi figli ti sentano, vero?” – si era avvicinato al suo viso al punto che Vegeta poteva sentire l’odore del suo alito che sapeva di vino e formaggio. Che diamine voleva da lui, quell’essere?
“Che mi hai dato?” – aveva biascicato, ancora più intontito di prima.
“Qualcosa per farti star buono… Ora dimmi… Chi cavolo sei e che cos’era quel coso volante. Perché è da lì che vieni, vero? Sei uno stregone o qualcosa di simile, no?”.
 
Il coso volante? Uno stregone? Ma che stava blaterando? Doveva essere ubriaco o forse drogato. E poi, che voleva dire? Che fosse stato lui a… a …
 
“Sì, secondo me è stato lui!”.
“Fallo parlare! Fallo parlare!”.
 
Le voci di due uomini più giovani erano giunte alle orecchie di Vegeta, ma erano dietro di lui e non era stato in grado di vederli.
 
“Pensavo che il cavaliere ti avesse abbattuto con la catapulta, ma quando sono andato a vedere i resti di quel mostro volante, ho visto che c’erano tracce di passaggio di qualche essere… Eri tu… Eri tu che sei piombato dal cielo con quei tuoi figli, i figli del demonio! Ammettilo! AMMETTILO!”.
 
Gli aveva sbattuto la fronte contro il pavimento, provocandogli un brutto taglio. Il sangue gli era colato negli occhi, peggiorando la situazione. Doveva scappare da lì, ma era stravolto e stanco, ed era indifeso. Per la prima volta, dopo tanto tempo, Vegeta si sentiva indifeso.
 
“Avanti, mostro, faccele vedere!”.
“Sì, vogliamo vederle!”.
“Spoglialo, avanti! Se lo portiamo a palazzo, lui ci premierà… Avanti!”.
“Voi siete pazzi… Siete pazzi… NO!”.
 
Gli aveva strappato la maglia di dosso con un coltello. Vegeta aveva sentito la lama scivolare sulla carne e poi aveva udito un taglio netto. Poco dopo era rimasto con la schiena nuda, esposta alla mercé di quei tre squilibrati. Era terrorizzato, incapace di muoversi, di reagire. Avrebbero potuto fargli qualsiasi cosa. Ma la mente del principe, o almeno quella parte che era ancora vigile, era volata subito ai bambini, soli in balia di quella strana donna.
 
“Cazzo. Questo tizio è pieno di cicatrici, ma non ci sono ali da demonio!”.
“Non c’è niente!”.
“Niente… Cazzo…”.
“Spoglialo, cazzo! Deve esserci qualcosa che non va… DEVE!”.
 
Vegeta aveva scalciato e si era dimenato nel momento in cui le mani di quel bastardo avevano afferrato la cinta dei suoi pantaloni, strattonandoli verso il basso: non gli avrebbe permesso di denudarlo completamente, nonostante lo sforzo di rimanere vigile, ma quel gesto non aveva fatto altro se non peggiorare la situazione, lasciando scoperto il suo segreto, il suo punto vulnerabile: quello che restava della sua coda saiyan.
 
“Porca puttana, avevi ragione! Guarda! Questa è la sua coda da demonio!”.
“Sì, è lei! Dobbiamo portalo a palazzo! Ci daranno una ricompensa! Lo sapevo, lo sapevo!”.
“Sapevo che le erbe avrebbero fatto effetto… Nessun demonio può resistere a quell’intruglio… I figli devono essere come lui! Presto! Portateli qui! Ne ricaveremo un bel gruzzolo”.
 
Lo avevano drogato. Quei bastardi avevano drogato lui e i bambini, e prima avevano cercato di abbatterli perché li credevano demoni o qualcosa di simile. Ma dov’erano finiti, indietro nel tempo, in quel periodo di cui aveva parlato Bulma, dove uomini e donne venivano bruciati sul rogo perché ritenuti seguaci del demonio?
 
“Lasciate stare i ragazzi” – aveva biascicato – “Lasciateli stare!”.
 
Aveva provato a ribellarsi, ma lo avevano pestato a sangue e lo avevano incaprettato, cospargendolo di un liquido che poteva essere acqua o qualcosa di simile.
Sentiva di non avere scampo. Sentiva che sarebbe morto, e forse sarebbe successo se non avesse sentito uno sparo, due, e poi tre, e non fosse sopraggiunto qualcuno a slegarlo, dicendogli di andare via.
Qualcuno che aveva l’aspetto di una donna.
 
Continua…

 
Bel posto, l’Altrove, vero?
Meraviglioso! Superstizione e cattiveria regnano. Devo dire che non potevano capitare meglio.
La situazione peggiorerà, vi avviso.
A presto!
Un bacino
Cleo

Ps.: ogni riferimento a nomi o persone è PURAMENTE CASUALE. XD

 
   
 
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