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Autore: Nadine_Rose    02/07/2020    1 recensioni
Sarah ed Hermann sono rispettivamente due tra le tante vittime e i tanti carnefici nell’ora più buia della storia dell’umanità. Il campo di Fossoli, anticamera dell’inferno nazista, sarà la loro comune e perenne prigione d’amore malato.
Matteo, un giovane pescatore, sarà colui che proverà a sciogliere il cuore di Sarah dalle catene del tenente Hermann, nello speranzoso e disperato scenario del dopoguerra napoletano.
[Capitolo 65: Un amore a Fossoli]
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Genere: Drammatico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Olocausto, Dopoguerra
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Capitolo 34

 

La di lui dipartita

 

“L’amore è un gioco con delle regole strane. Puoi perdere più del dovuto e amare più di quanto avresti pensato.”

Fabrizio Caramagna

 


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Immagine dal film “La conseguenza”

 

“Sarah”, riprese Davide apprensivo, pronto a porle la fatidica domanda, “non mi dire che…”

E non c’era bisogno di fargli aggiungere altro, poiché Sarah sapeva perfettamente cosa stava per chiederle. Davide aveva letto bene nei suoi occhi, nel suo cuore.

“Sì”, ribatté prontamente e la sua voce divenne un roco sussurro, “è successo.”

Sarah si era legata al suo aguzzino in un sentimento amoroso e, adesso, per la di lui dipartita, una seconda lacrima le rigava il viso pallido. Il dolore che traspariva dai suoi occhi color miele e dal suo corpo inerte fece stringere il cuore di Davide che si pentì per la compiaciuta freddezza con la quale le aveva dato la notizia, tragica per lei. “Mi dispiace”, le disse.

Un istante dopo, Sarah interruppe la sua silenziosa immobilità e, intrecciando sul tavolino le mani e ponendo su di esse lo sguardo, iniziò a tormentarsi le dita per trattenere un pianto che, se esploso, sarebbe stato interminabile. Si fermò non appena giunse all’anulare sinistro e, estraniandosi dalla confessione qualche attimo prima proferita e ostentando indifferenza per la notizia appresa, sollevò il capo per incontrare gli occhi di Davide e mostrargli un’espressione diversa.

“Tra due settimane mi sposo”, esordì seria, quasi austera, più per ricordarlo a se stessa che per annunciarlo a Davide. Poi l’emozione vibrò nella sua voce e addolcì il suo sguardo, mentre, commossa, gli chiedeva: “E vorrei che mi accompagnassi tu all’altare.”

“Ne sarei onorato e felice”, le rispose, frenando a stento le lacrime al pensiero della sua povera figliola e di una nuova paternità simbolicamente donatagli da Sarah.

Ma lo stato d’animo della ragazza non aveva smesso di turbarlo.

 

Berlino

 

Nulla era andato secondo i suoi piani. Al confine con la Svizzera, i documenti e l’esitazione mostrati da Hermann non avevano convinto gli agenti francesi e soltanto grazie al provvidenziale, umiliante intervento di un suo ex subalterno, che lo aveva prontamente riconosciuto, era potuto tornare a casa, risparmiandosi un altro calvario.

«Hauptsturmführer[1], non lasci la Germania. Presto il Großdeutsches Reich[2] risorgerà dalle rovine», gli aveva detto il ragazzo poco più che ventenne con un tono tra il supplichevole e l’esaltato, seppur sottovoce.

Sentendosi chiamare rispettosamente – quasi devozionalmente – con il grado delle SS che non aveva mai potuto esercitare, una scossa di orgoglio e compiacimento gli percorse la spina dorsale e, anche se non aveva alcuna intenzione di restare in Germania per perseguire un’ideologia sconfitta nella quale non credeva più e ritardare il ricongiungimento con la sua Sarah, si sorprese ad annuire, contraendo i muscoli facciali nell’espressione fiera e altera di un tempo.

«Heil Hitler», gli soffiò l’ex soldato all’orecchio nel salutarlo ed Hermann ricambiò con la stessa risolutezza, ma non permise a quel veleno d’insinuarsi ancora nelle sue vene.

E adesso, a una settimana dalla mancata partenza, era di nuovo a letto, febbricitante e in preda a una forte tosse che, a tratti, pareva togliergli il respiro e con sua madre che, ponendogli un panno bagnato sulla fronte, si prendeva cura di lui con la freddezza e il distacco di chi svolge soltanto un mero dovere verso un estraneo. Ma, in fondo, per Birgit, il suo unico figlio non era mai tornato dalla guerra e, in un angolo della casa, conservava ancora l’altarino a lui dedicato con tanto di fotografia in divisa, cero e vasetto con i fiori.

La sentenza del dottor Schneider gli arrivò come una doccia fredda e lo sconvolse: la diagnosi di polmonite lo condannava a rimandare il suo ritorno in Italia, a sentire il proprio corpo debilitarsi una seconda volta, a ripetere gli sforzi per rimettersi in sesto, a prolungare la permanenza in quella casa abitata da sconosciuti e la lontananza dalla sua amata.

«Tutti questi impedimenti», lo aveva ragguardato suo padre a braccia conserte, con una nota di cinica soddisfazione nella voce, «non credi che siano un segno?» Karl sembrava quasi contento nel vedere suo figlio costretto di nuovo a letto, anziché saperlo alla ricerca della sua amante ebrea. In realtà, sperava ancora che il tempo lo avesse rinsanito dalla sua ossessione.

Ed Hermann finì col credere a quelle parole e, provato da un crollo emotivo, iniziò a temere un possibile rifiuto da parte di Sarah, motivo per il quale, forse, il destino gli aveva impedito di partire. E nella testa, sprofondata nel cuscino appoggiato contro la spalliera del letto, i pensieri diventavano tormento, chiedendosi cosa le avrebbe raccontato, se fosse tornato da lei.

Si augurò di morire al più presto, giurando a se stesso di non provare mai più a cercarla, poiché come le avrebbe spiegato il suo compiacimento per la nomina a Hauptsturmführer e la sua risolutezza nel far ritorno in Germania, senza neanche assicurarsi che lei stesse bene con i partigiani? Della Battaglia di Berlino sarebbe stato più onorevole raccontarle della sua iniziale, strenua resistenza al nemico o del suo nascondersi in un canale di scolo delle fogne, intuendo l’imminente sconfitta? A lei che non si era mai scomposta, brava a contenere le emozioni di sofferenza, come avrebbe confessato tutte le lacrime che non aveva saputo trattenere a Sachsenhausen sotto le percosse dei russi e, in ultimo, il suo visibile tentennamento per paura al confine sorvegliato dai francesi che gli era costato la partenza?

Mosso da un impeto d’ira verso di sé, per l’uomo vigliacco e fisicamente troppo debole che era diventato, raccogliendo le poche forze che la polmonite ancora gli consentiva, allungò un braccio verso il comodino e rovesciò tutto ciò che vi era sopra, tra cui alcune scatole di medicine e un bicchiere vuoto. Questi cadde per terra, frantumandosi in mille pezzi e ripetendo lo stesso rumore di un piatto che s’infrangeva sul pavimento della cucina di Fossoli.

Nella mente gli risuonarono lo schiocco cadenzato del suo frustino sullo stivale e l’eco della sua voce dura e astiosa contro Sarah. Ne rivide gli occhi lucidi ma fieri e l’espressione orgogliosa, mentre, piegata sulle ginocchia ma non spezzata dal dolore al braccio e dalla paura che lui ben riusciva a incuterle, raccoglieva i cocci nel grembiule. A differenza sua, lei non recitava alcuna parte e, allo scomparir del sole sulle baracche, nella luce soffusa della sua stanza divenuta loro alcova, non nascose il suo dissenso. Si chiuse a una sua carezza tra le gambe e a lui si negò, incoraggiandolo così a intraprendere la strada che condusse al loro primo bacio. E fu amore, senza farlo.

Fossero passati altri cent’anni, lui l’avrebbe ritrovata.

 

“La lontananza è peggio di una malattia.

Se ami qualcuno che non c’è,

in nome dell’amore non buttarlo via.

Qualcuno ne morirà, se non ritrova te.”

 

Ivana Spagna, Gente come noi

 

 

 

 



[1]Capitano.

[2]Reich Grande-Tedesco.

   
 
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