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Autore: NPC_Stories    02/07/2020    5 recensioni
Fisdril e Tazandil sono due fratelli, ma non potrebbero essere più diversi. Il primo ha un animo gentile, posato, amante delle arti. Il secondo è un soldato fatto e finito, dalla mentalità pragmatica. Cosa possono avere in comune due persone così diverse, a parte il sangue? Erano agli antipodi anche da ragazzi?
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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1010 DR: Figlio dell’amore, figlio del dovere


Tazandil era un ragazzo assennato, per nulla stupido, ma era quel tipo di persona che si trova a suo agio nei suoi panni solo se percepisce il mondo intorno a sé come ordinato, stabile, prevedibile.
Suo padre era l’importante e rispettato Elashor Arnavel, il capoclan degli elfi Arnavel. Il giovane aveva molta stima per quella figura seriosa, un po’ distante, e non aveva sufficiente fantasia per sospettare che suo padre non fosse un buon capo.
La madre di Tazandil era una guerriera, ma negli ultimi decenni era rimasta in città per aiutare il marito nei suoi compiti, standogli vicina ancor prima che fossero sposati, quando erano solo buoni amici. Non che il loro rapporto fosse mai davvero cambiato.
Il giovane elfo sapeva bene che suo padre non amava sua madre. Lo capiva dal modo in cui il capoclan la guardava, da come guardava anche lui. Non era un figlio dell’amore. Era un figlio del dovere.
Era stato un dovere, per Elashor, risposarsi dopo la morte della sua prima e amatissima moglie. Era stato un dovere mettere al mondo un secondo figlio perché non si sa mai, un erede di riserva poteva sempre servire. Dopo la morte della delicata lady Aelrie, l’elfo disperato sapeva che non avrebbe mai potuto amare nessun’altra, non sarebbe stato davvero felice con nessun’altra. Quindi, mostrando grande buonsenso e pragmatismo, dopo un secolo di solitudine aveva scelto di sposare la persona di cui più si fidava, Lekherya, la sua migliore amica e confidente.
Lekherya, l'elfa che in quei cent’anni di disperazione era stata la sua forza, la persona che lo aveva spronato al dovere, che era diventata una figura materna per il suo primogenito Fisdril. Era stato solo naturale scegliere lei, e l’elfo dal cuore spezzato non si era nemmeno mai chiesto cosa l’amica sentisse per lui. Non aveva abbastanza forza per interessarsene.
A cent’anni e un giorno dalla morte di Aelrie i due si erano sposati, una cerimonia doverosa per mostrare al popolo che il capoclan aveva voltato pagina, ma anche un momento ben povero di gioia. Elashor non aveva affatto voltato pagina. Da quel momento si mise d’impegno per generare un figlio con Lekherya - e ci riuscirono, a pochi mesi dalle nozze - ma una volta appreso della gravidanza decise che aveva fatto il suo dovere di marito e tornò a concentrarsi solo sul suo lavoro.
Lekherya non se la prese, anche per lei Elashor era soprattutto un amico, e non le pesò dover interrompere i doveri coniugali. Aveva il giovane Fisdril di cui occuparsi, che ormai si affacciava all’età adulta, e ora aveva un nuovo bambino che cresceva dentro di lei. Se solo avesse anche potuto riprendere in mano la spada sarebbe stata completamente appagata, ma ormai il suo ruolo politico in città era diventato troppo importante: il suo amico aveva bisogno di lei per essere un buon capoclan.
Quando nacque il loro figlio, un maschio, Lekherya lo chiamò Tazandil perché secondo lei era un nome da guerriero, e sperò che il piccolo potesse un giorno vivere quella libertà che a lei era stata negata.
Ma divenne chiaro, nei primissimi anni della sua vita, che Tazandil non voleva libertà. Voleva responsabilità.


Fisdril non voleva responsabilità. Aveva un animo artistico, malinconico, tendente all’incertezza e all’auto-indulgenza. Aveva costantemente la sensazione che nella sua vita mancasse qualcosa, anzi a volte gli sembrava che gli mancasse tutto. Era orfano di madre eppure i suoi pensieri non andavano mai a quella misteriosa figura che gli aveva dato la vita e che era morta nel farlo: il giovane elfo non provava mai desiderio di averla conosciuta, o di poterla vedere. Lady Aelrie non se n’era mai veramente andata, era sempre presente nei sospiri di suo padre, nel suo sguardo perennemente triste, perfino nell’amore che aveva negli occhi quando guardava il suo primogenito. Fisdril sapeva che quell’amore non era per lui, e ogni volta era come una stilettata al petto. Se il padre l’avesse incolpato di aver ucciso sua madre, forse l’avrebbe tollerato di più. Forse sarebbe stato comunque meglio di essere amato solo perché era un’estensione di lei, perché il suo aspetto gli ricordava lei.
Lekherya era l’unica madre che avesse mai conosciuto, si era fatta avanti e si era occupata di lui fin da quando era bambino, siccome era amica di suo padre e aveva a cuore il benessere della sua famiglia. Fisdril avrebbe tanto voluto che fosse lei la sua vera madre, perché almeno sarebbe stata viva, e forse suo padre l’avrebbe considerato come una persona a sé stante, come un figlio, non come il feticcio vivente di un amore perduto.
Ad un certo punto non aveva più retto; il giorno in cui Lekherya decretò che ormai doveva mancare poco al parto, Fisdril inventò di voler intraprendere un viaggio per crescere come individuo.
Non era una cosa inusuale, per un elfo di cent’anni. Non era nemmeno un colpo di testa adolescenziale. Era normale che un giovane adulto volesse fare esperienza della vita lontano dalla famiglia, e i suoi genitori lo lasciarono andare con un abbraccio e un augurio di buona fortuna.
Quello che non potevano immaginare era che Fisdril in realtà non stesse partendo perché attratto dalle meraviglie del mondo esterno. Più che altro stava scappando, respinto dalla paura che quando Lekherya avesse avuto un figlio suo, non ci sarebbe stato più posto nel suo cuore per il figlio di qualcun altro.


Tazandil aveva diciannove anni e per diciannove anni aveva sentito suo padre parlare di una cosa sola: Fisdril.
Non aveva importanza quanto Tazandil cercasse di compiacerlo, di attirare la sua attenzione con i suoi meriti, di essere responsabile e adulto per la sua età: Elashor non faceva altro che paragonarlo a Fisdril, e sebbene fosse chiaro dai suoi racconti che lui e il fratello maggiore non eccellevano nelle stesse aree, il capoclan aveva un modo tutto suo di rigirare il discorso in modo da minimizzare i meriti del secondogenito e mettere in risalto tutte le virtù che il suo erede aveva preso dalla sua defunta madre.
Fisdril è bravo a trattare con la gente, Fisdril è capace di ascoltare, Fisdril sa parlare al cuore delle persone e riesce a mettere d’accordo anche due litiganti, Fisdril Fisdril Fisdril.
Tazandil aveva solo diciannove anni e già non ne poteva più. Era presto per entrare nell’adolescenza, ma il giovane elfo sentiva dentro di sé un moto di ribellione.
Fisdril non gli piaceva per niente. Non l’aveva mai incontrato, quel figlio perfetto e fulgida promessa della politica se n’era andato da vent’anni a girare il mondo chissà dove. Ah, magari perché viaggiare apre la mente o altre idee da figli dell’amore come lui…
Tazandil aveva sempre più spesso di questi pensieri e se ne vergognava molto. L’invidia non era un sentimento elfico, era l’opposto dell’armonia, non lo rendeva felice e neppure sereno, ma non riusciva a impedirsi di provarla perché se solo Fisdril non fosse mai nato forse suo padre si sarebbe accorto di lui, o magari se Fisdril fosse stato presente avrebbe fatto qualche cavolata e non sarebbe più apparso così eccellente. Invece quel codardo si era sottratto al confronto, lasciando dietro di sé solo una memoria idilliaca di perfezione, un ideale irraggiungibile.
Continuò a pensarla più o meno così finché un giorno, un qualsiasi giorno d’autunno, Fisdril tornò a casa.


Quando Fisdril posò gli occhi per la prima volta su suo fratello, capì che non c’era bisogno di presentazioni. Il ragazzo assomigliava così tanto a Lekherya, anche se aveva ereditato qualche tratto dal loro padre. Conosceva anche il suo nome, perché lui e la sua matrigna non avevano mai smesso di scriversi lettere.
“Tu devi essere Tazandil. Sono felice di fare finalmente la tua conoscenza.” E sorrise, nel modo in cui sorrideva a tutti, con abbandono e calore, con quell’aria accattivante che aveva accuratamente studiato negli anni e che gridava ‘sono una persona piacevole, amami’.
Di solito la gente soccombeva subito al suo fascino. Fisdril era molto bello, questo sì l’aveva ereditato da sua madre, che aveva nelle vene il sangue di una ninfa. L’elfo dei boschi sapeva ammaliare. Che poi sapesse anche mantenere l’affetto che suscitava, essere all’altezza delle aspettative, era un altro discorso: era qualcosa su cui doveva ancora lavorare. Ma cominciare bene è il passo più importante, e lui voleva cominciare bene con quel fratellino che non conosceva ancora.
Tazandil, che sembrava un ragazzo serioso e tutto d’un pezzo, in effetti lasciò trapelare qualche segno di interesse da dietro la sua maschera di freddezza.
“Non so cosa ti abbiano detto di me, ma sono tuo fratello Fisdril. Ho lasciato Myth Dyraalis poco prima che tu nascessi e ho girato il mondo da allora.”
“Sì” rispose l’altro, ancora un po’ sulle sue. “Nostro padre me l’ha detto. Parla spesso di te.”
Il maggiore gli sorrise incoraggiante, felice di essere riuscito a strappargli un discorso così lungo anche se l’altro non sembrava in vena di parlare.
“E nostra madre parla spesso di te. In tutte le sue lettere…” cominciò, sicuro di aver gettato le basi per un rapporto amichevole. Per questo rimase colpito e quasi sconvolto quando il fratello minore gli voltò le spalle e se ne andò nel bel mezzo della conversazione, stringendo i pugni come se stesse trattenendo la rabbia.


Tazandil se n’era andato prima di poter dire qualcosa di troppo scortese, qualcosa di cui si sarebbe pentito. Quando il primogenito dei miracoli era magicamente ricomparso a casa, dopo vent’anni di assenza e come se nulla fosse, Tazandil non si era sentito affatto propenso ad instaurare un rapporto fraterno con lui. Erano fratelli, sì, ma solo perché condividevano lo stesso sangue. Fine della storia.
Poi Fisdril gli aveva sorriso, e Tazandil per un attimo era stato preso in contropiede dall’euforia di quel sorriso. Nessuno prima di allora si era mai mostrato così entusiasta di fare la sua conoscenza. Era come se Fisdril avesse investito della speranza nel loro rapporto potenziale. Non aveva saputo bene come comportarsi, la sua determinazione a voler tenere le distanze aveva iniziato a vacillare. Ma alla fine il fratello maggiore aveva fatto un passo falso: aveva chiamato Lekherya nostra madre.
Tazandil aveva sentito una vampata di rabbia salirgli alla testa, ed era stato così difficile non gridare in faccia all'altro: ‘quella è mia madre!’
Lekherya era l’unico genitore che Tazandil sentiva di avere. Fisdril aveva già l’affetto di loro padre, perché voleva prendersi tutto?


“Ho conosciuto il mio fratellino” raccontò Fisdril qualche minuto più tardi, quando Lekherya tornò per annunciare che aveva preparato la sua stanza. “Non credo di essergli piaciuto molto.”
La saggia elfa dei boschi si accorse della tristezza dietro il tono leggero e scherzoso di Fisdril e gli diede una pacca sulla spalla, che era il suo modo di abbracciare la gente.
“Dovrai avere pazienza con lui, figliolo. So che l’amore della tua famiglia è forse l’unico che ti sia sempre mancato, ma Tazandil è un ragazzino. Per tutta la vita non ha mai ricevuto una parola di lode da suo padre, che sembra pensare solo a te.”
“Pensa solo a mia madre, vuoi dire” ritorse Fisdril, che non per la prima volta si scoprì a sentire una fitta di rancore verso quella donna, colpevole di averli abbandonati troppo presto.
“Tazandil è troppo giovane per capire” la voce della matrigna si era ridotta a un sussurro. “Ma sì, naturalmente hai ragione. Pensa ancora a lei. A volte devo faticare per tenerlo concentrato sul suo lavoro. Vorrei che i suoi doveri di capoclan gli fornissero almeno una distrazione, ma immagino che se non ci sono riusciti i suoi figli, allora niente possa davvero riscuoterlo dal suo lutto.”
“È vera la leggenda, secondo te?” Indagò Fisdril, anche lui a voce bassa. “Che lui e mia madre erano thiramin?
Lekherya lo guardò con aria impotente, perché non aveva una risposta. Era una cosa a cui nessuno voleva pensare, un’ipotesi a cui nessuno osava dare voce: se il capoclan e la sua defunta moglie erano stati davvero anime gemelle, allora per lui c’era ben poca possibilità di recupero. Il suo cuore era spezzato per sempre.
“Spero di no, ragazzo mio” soffiò l’elfa, passandosi una mano fra i capelli biondi in un gesto di sconforto.


Quella sera, dopo una cena silenziosa e pregna di disagio, Tazandil andò a rifugiarsi sul tetto della sua stanza. La casa della sua famiglia era abbarbicata su un albero, come tutte le magioni elfiche, e le diverse camere erano costruite sui rami più resistenti. Al giovane elfo piaceva rifugiarsi sul tetto a pensare, non perché da lì riuscisse a vedere le stelle - la sua stanza era troppo in basso, c’erano troppi rami sopra la sua testa - ma perché difficilmente qualcuno veniva a cercare di parlargli quando era lassù.
Quella notte qualcuno avrebbe fatto eccezione.
Tazandil avvertì appena uno spostamento d’aria quando suo fratello si sedette accanto a lui, ma i suoi fini sensi elfici lo avvertirono subito che il nuovo arrivato non era un pericolo.
“Io non ti piaccio” furono le prime parole di suo fratello.
Il tono era tranquillo, sereno, e questo stupì molto il ragazzo anche se cercò di non darlo a vedere.
“Dev’essere una sensazione nuova, per te” commentò con una punta di sarcasmo.
Fisdril sollevò le sopracciglia accogliendo con stupore quel commento arguto. “Hai ragione, lo è” confermò senza problemi. “Di solito io piaccio alla gente. Ma questa è una cosa sopravvalutata, in fin dei conti.”
Tazandil si voltò finalmente per gettare un’occhiata scettica al fratello maggiore, ma Fisdril rispose solo con un calmo sorriso.
“Avrei dovuto immaginare che il mio fratellino fosse una persona fuori dall’ordinario. Hai il carattere di Lekherya. Lei è molto fiera di te.” Il suo sorriso prese una piega strana, come se anche lui cercasse di mostrare orgoglio per Tazandil.
“Ho preso da lei” commentò alla fine il giovane, dopo un momento di silenzio. “Forse perché è mia madre. Nostro padre dice che tutti e due abbiamo preso molto dalle nostre madri.”
Fisdril annuì lentamente, comprendendo il messaggio implicito dietro quelle lapidarie parole: ‘è mia madre’.
“E d’altra parte, come potremmo sapere se abbiamo preso qualcosa da nostro padre? Lui ha cessato di essere se stesso quando mia madre è morta” rivelò Fisdril, sorprendendo non poco il fratellino con questo approccio diretto. “Immagino che tu abbia la sensazione di non aver mai conosciuto davvero Elashor Arnavel. Lo capisco. Forse non mi crederai, ma ho la stessa sensazione.”
Tazandil si sentì improvvisamente come se avesse sempre avuto intorno una sottile barriera di vetro che lo separava dal mondo, e quella barriera si fosse appena frantumata. Non si era mai davvero reso conto di provare questo, la sensazione che suo padre fosse un estraneo, ma ora comprese per la prima volta con chiarezza che era proprio il modo giusto per descrivere la sensazione di mancanza che aveva sempre percepito.
“Ma tu… sei il suo figlio preferito, anzi si comporta come se fossi il suo unico figlio. Con te lui parla. O parla di te. Sempre.”
Fisdril distolse lo sguardo, perché non riusciva più a sostenere il cipiglio inquisitore del fratello, che sembrava volerlo leggere come un libro.
“Oh, sì, mio padre mi ama. Perché è un elfo, e lo sai come veniamo cresciuti. La nostra anima vibra in armonia con il mondo” fece un vago gesto con la mano, un gesto teatrale, come a voler prendere in giro quel concetto poetico, “e quindi non prenderebbe mai in considerazione la possibilità di odiarmi.”
Gettò un’occhiata fugace a Tazandil, per vedere come avesse preso quella rivelazione. Sembrava sconvolto. Fisdril sorrise, di un sorriso furbo ma triste, come qualcuno che è riuscito a spiare uno spettacolo dietro le quinte e ne è stato terribilmente deluso.
“Mia madre è morta di parto. Era il grande amore della sua vita. Elashor può solo odiarmi per avergliela portata via, oppure amarmi perché sono tutto ciò che gli resta di lei. Ma quei sentimenti non sono per me, capisci? Sono sempre per lei. Agli occhi di nostro padre io non sono una persona. Sono un simbolo, un’estensione di lei. Il suo amore è morboso, e non c’è speranza che mi veda per quello che sono davvero.”

Tazandil rimase assolutamente senza parole. Era questo il fratello che aveva sempre invidiato? Credeva che fosse una persona che ha tutto, e che si sente in diritto di dare per scontato tutto quello che ha. Solo in quel momento cominciò a capire che Fisdril forse non aveva lasciato la foresta per ingratitudine, ma per esasperazione.
“Pensa che ti ho sempre invidiato” ammise, e arrossì immediatamente per quella confessione vergognosa. “So che non dovrei, perché… sono un elfo e…”
“E la nostra anima vibra in armonia con il mondo!” Ripeté Fisdril, ma questa volta suonava come uno scherzo. “Non hai nemmeno vent’anni, fratellino, puoi consentire a te stesso di provare qualche sentimento negativo. Anzi, vorrei che non fosse un tabù. La tua onestà è rinfrescante.”
Per la seconda volta in pochi minuti, Tazandil sentì di avere qualcosa in comune con quell’elfo, di poter arrivare a una comprensione profonda. La sua sensazione si acuì quando anche l’altro confessò:
“Non ti arrabbiare, ma io ho sempre invidiato te. Non ti conoscevo, ma davo per scontato che per Lekherya tu fossi il mondo. Lei mi vuole bene, ma non è davvero mia madre. Ho sempre desiderato che lo fosse. Quando ha sposato Elashor il mio sogno sembrò diventare quasi vero, ma poi rimase incinta di te, e io seppi che sarei stato sempre il figlio meno importante per lei.” Distolse di nuovo lo sguardo, questa volta perché era lucido di lacrime. “So che tu credi che io abbia nostro padre, ma non è così. Per me, tu hai nostra madre. Forse è l’unica cosa che hai, ma io non ho nulla. Ho solo… persone a cui piaccio. Persone che guardano a me per il futuro del clan. Ma solo nostra madre mi ama per quello che sono davvero, e adesso lei ha te.”
Tazandil ascoltò quel discorso fino alla fine e si rese conto di cosa intendesse dire sua madre quando gli aveva rivelato che lui e Fisdril erano molto diversi, che suo fratello maggiore aveva un animo melodrammatico.
Si avvicinò un po’ a quell’elfo che un attimo prima era quasi un estraneo e che stava rapidamente diventando un fratello, un fratello vero, non soltanto la figura di un mito.
Gli batté una mano sulla spalla, perché anche per Tazandil quello era il gesto più simile a un abbraccio.
“Sei proprio un imbecille a pensare che mamma non abbia abbastanza affetto per due. Pensi che cent’anni a farti da madre si cancellino con un colpo di spugna? Ha scelto lei di farsi avanti e prendersi cura di te da quando eri bambino, nel momento in cui ha capito che Elashor non ne era in grado. Vai a chiederle in faccia se ti considera meno suo figlio rispetto a me. Ma non chiederglielo quando ha in mano oggetti contundenti!”
Questa volta fu il turno di Fisdril rimanere completamente spiazzato per l’approccio dell’altro. Non che le parole di Tazandil gli potessero far cambiare immediatamente idea, le paranoie di decenni non si cancellano in un momento, ma quell’insulto scivolato così tranquillamente dalle labbra del più giovane gli fece immediatamente capire una cosa: forse non aveva un padre, forse non aveva una vera madre, ma di sicuro adesso aveva un fratello.


   
 
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