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Autore: Spoocky    02/07/2020    10 recensioni
Un bosco apparentemente normale, abbandonato in seguito ad una catastrofe inimmaginabile, cela gelosamente i suoi segreti a chi vi si avventura in mezzo.
L'ispirazione per questo racconto mi è venuta dal film animato "Principessa Mononoke" dello Studio Ghibli.
Genere: Sovrannaturale, Suspence, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti! ^^
Scusate per la lunga assenza ma sono stata occupata con la tesi e la laurea.
Spero che questo racconto vi possa interessare: è breve ma rimanda ad una realtà esistente ed infinitamente complessa. Se leggendo qualcuno la riconoscesse ne sarei felice, ma spero che sia godibile di per suo.

Buona lettura! 


Cammino lentamente, intorno a me il fruscio del vento tra gli alberi.
La brezza accarezza le foglie da cui filtrano i raggi del sole primaverile.
Il sentiero erboso sussurra sotto i miei piedi ma non sento altro. Non un animale, non un uccello.
Solo un ticchettio costante, a tratti rapido ed opprimente, a tratti sottile, accompagna il battito del mio cuore.
Con l’inizio della stagione calda la neve si è disciolta quasi del tutto, restano solo poche chiazze bianche sempre più sottili. Stanno anche spuntando i primi fiori e vorrei tanto poterne sentire il profumo, ma so che non posso. Un solo respiro potrebbe uccidermi.

La mascherina mi aderisce al volto con ogni respiro, e diventa sempre più soffocante.
Il suo filtro di carta è l’unica difesa dalle esalazioni letali di questa terra avvelenata.  Sembra tutto normale e bellissimo, ma più mi addentro nel bosco più avverto il peso di tutte le vite che questo luogo ha portato via.
A coloro che hanno salvato il mondo si rivolge il mio pensiero, e mi chiedo se in qualche modo i loro spiriti non siano rimasti qui, a vegliare su quella che era la loro terra, la loro casa.
La loro tomba.

Il ticchettio continuo mi ricorda della fornace che ancora arde a una manciata di chilometri da qui, bruciando di un fuoco eterno.
Si dice che abbia un odore d’ozono bruciato e che in alte concentrazioni produca anche un sapore metallico sulla lingua dei malcapitati che vi si avvicinano.
Mi chiedo se togliendo la maschera possa sentire anch’io qualcosa ma il ronzio del dosimetro mi dissuade dal provarci: questa terra ha già reclamato fin troppi morti.
Continua a ronzare e ticchettare, monito imperituro del fatto che questi fiori, questi alberi e quest’erba non sono innocui come sembrano.
Sono intrisi di veleno e lo esalano ad ogni mio passo.
Sebbene sembri viva e fiorente questa foresta in realtà è morta da anni, uccisa dal veleno sparso dall’arroganza degli uomini.
Una pioggia mortifera, che avvelenava anziché irrigare.

Al suo passaggio gli alberi hanno perso le foglie e si sono tinti di rosso. Rossi come il fuoco che ancora brucia nelle viscere di cemento, alimentando i mostri nascosti.
Rossi come il sangue innocente versato invano per porvi rimedio.
Anche allora era primavera, ma anziché rinascere quel giorno la natura si è ammalata di una malattia incurabile. Una malattia che non risparmia nessuno, se non coloro le cui radici sono talmente impiantate in questa terra da diventare parte di essa. Solo i Samosely riescono a vivere qui.
Gli alberi rossi sono stati sradicati e sepolti sotto la stessa terra che per tante generazioni li aveva nutriti.
Cenere alla cenere e polvere alla polvere, mentre la foresta morta in qualche maniera ha trovato la forza di continuare ad esistere, nutrita dai cadaveri avvelenati che sono venuti prima di lei.
Un luogo intangibile, bellissimo e letale al tempo stesso, in cui continuo a scivolare in silenzio con la tuta bianca che mi rende più simile ad uno spettro che ad una persona.
Un involucro artificiale che sottolinea la mia non appartenenza a questo luogo, il mio essere un elemento alieno ed estraneo.

Scivolo come uno spettro attraverso piante e terreno che non serberanno traccia di me. La mia impenetrabile armatura, sottile come carta, protegge loro da me e me da loro.
Man mano che mi avvicino al cuore della foresta non posso fare a meno di domandarmi cosa vi avrei trovato. Un cratere desolato, forse. Forse una polla trasparente avvolta dalla rigogliosa flora spontanea. Oppure una radura spoglia, livellata dalle ruspe.
Non vidi nulla di tutto questo.

Il sentiero prosegue in una piccola salita, un dosso più che un vero e proprio rilievo.
Mi appresto ad affrontarla quando tra le fronde avverto un fruscio che non ha nulla a che vedere con il dosimetro.
Istintivamente faccio un passo indietro ed ecco che in cima alla salita mi si para davanti un volk, un lupo grigio. Molti hanno scritto e raccontato dei lupi di questa foresta: dicono che siano anche dieci volte più grandi della norma e che aggrediscano indistintamente uomini ed animali.
Niente di più falso, soprattutto per questo lupo.
Non sembra sorpreso di vedermi, chissà quanti spettri senza volto ha già visto avventurarsi nella foresta. Nemmeno sembra temermi e non fa nulla per aggredirmi.
Cautamente metto le mani guantate avanti e mi piego sulle ginocchia, per comunicargli che non sono una minaccia.
Rimane impassibile, i suoi occhi dorati sono fissi nei miei: uno sguardo da cui traspaiono infinita pazienza e saggezza.
In quel momento capisco di non avere davanti un comune animale, ma una sorta di guardiano di questo luogo che per gli umani è stato giudicato inaccessibile.

E’ arrivato per avvertirmi di non proseguire oltre.
Pur capendolo tento comunque di fare un passo avanti, solo per curiosità. Lui allarga appena una zampa, come ad impedirmi il passaggio.
Lo scintillio nei suoi occhi però è benevolo, quasi divertito: sa che lo capisco e lo rispetto.
Muove appena la testa verso il sentiero, come per invitarmi a riprendere la mia strada, e gli rispondo con un inchino. Il lupo, la volpe ed il bisonte sono gli spiriti che dominano questa terra da tempi tanto remoti che l’uomo non ne serba memoria e a loro si deve il giusto rispetto.
Sebbene abbia inconsciamente tentato di strappare loro questo dominio, con il passare dei decenni hanno riconquistato il loro primato.

Ritorno dunque sui miei passi, ma dopo poco mi giro indietro a guardare il lupo.
E’ ancora lì: vuole sincerarsi che il cuore della foresta rimanga protetto. Agita impercettibilmente la coda e gli rivolgo un cenno di saluto.
E’ giusto che il cuore della foresta morta sia noto solo agli spiriti che lo popolano. Il genere umano ha perso ogni diritto su di esso.

Mi allontano tuttavia con il cuore pesante, perché so che oltre il muro degli alberi, avvolta nel suo sarcofago d’acciaio e cemento, la fornace continua a bruciare. So anche che alla prima occasione non ricuserà di spargere ancora il suo veleno. A tanto è giunta l’arroganza degli uomini.
Mi allontano in silenzio, lasciando questo luogo alla cura degli spiriti.

Ancora oggi la foresta morta continua a bruciare ed il veleno della fornace sale in cielo avvolto nel fumo. Ma dalle ceneri gli alberi ricresceranno e le creature del luogo torneranno a vivere.
La foresta morta continuerà a vivere.
 
- The End -
  
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