Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: AdhoMu    02/07/2020    5 recensioni
Romilda – Calamity Vane per gli amici - si è fatta conoscere per il suo piglio leggero e superficiale: ha fama di essere un po’ sciocchina e di innamorarsi spesso, soprattutto quando si tratta di avvenenti campioni di Quidditch.
Non tutti, però, la pensano così: Mechka (in bulgaro, “orso”), l’amico con cui Romilda trascorre le sue estati, la conosce come nessun altro e sa che la briosa Grifondoro, al contrario, possiede un’interiorità complessa e sensibile, occulta agli occhi dei più.
Queste pagine di Diario registrano momenti sparsi, disseminati nel corso dei sei anni durante i quali Romilda cresce e, con non poca fatica, forgia la propria personalità ed affina la sua visione dell’amore, anche grazie all’aiuto di un Mechka che, spesso, si trova fisicamente lontano ma che, anche se lei forse lo capirà un po’ tardi, le è sempre vicino.
Un Mechka che forse, a sua volta, non è ciò che sembra...
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Roger Davies, Romilda Vane, Viktor Krum
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4, II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Diario di una Groupie.
1997-1998

 
 
 
Krapets, Bulgaria, estate 1997 (II° parte)
 
Lo so, Caro Diario, lo so: ultimamente, ti trascuro tantissimo.
Ma tu lo sai, vero, che non è per cattiveria?
E che la mia latitanza si deve a motivi molto, molto importanti?
Ah, Diario Mio: in mio cuoricino trabocca di allegria. Lascia, quindi, che ti racconti qualcosina.
Quel primo tentativo sulla scrivania, seppur forse non comodissimo, è stato... sublime. Fosse per me, le cose potrebbero ripetersi tali e quali ogni volta, ecco. Però, dal momento che “la vita è bella perché è varia”, io e Mechka abbiamo tacitamente deciso di ricorrere, con grande creatività (dettata, il più delle volte - sarò onesta -, da un’assoluta incapacità di trattenersi), a locations diverse, dalle più ovvie - come un letto, ad esempio - alle più fantasiose, in base alla disponibilità del momento: la duna, il molo, il prato, il fondo della barca tirata a secco, la carena della barca rovesciata... no, per motivi di sicurezza la scopa no, anche se a dire il vero, a me, la cosa non dispiacerebbe. Su questo spcifico punto, però, Mechka è stato categorico.
E va beh.
Tutto questo preambolo per dirti, Caro Diario, che io e lui siamo ormai inseparabili, indistricabili, attualmente impossibilitati a toglierci reciprocamente le mani di dosso e... felici.
Io e Mechka siamo maledettamente felici.
 
Le mie colazioni non sono mai state così veloci.
Un caffelatte, un dolcetto preparato da papà e via; non mi si vede più fino a sera. Non che, le scorse estati, le cose andassero in modo molto diverso. Ma adesso... beh, adesso è tutta un’altra cosa. Perché è vero, trascorrere le giornate insieme a Mechka è sempre stato bello, però è indiscutibile che ora esistano vantaggi extra.
Fra i quali, chiaramente, va annoverato il Lato B della giornata, quello segreto, del quale siamo a conoscenza soltanto noi due (e te). E che, in parole povere, consiste in questo: la sera, all’ora stabilita, mi presento puntualmente all’hotel per cenare con mamma. Mi trattengo per qualche ora con lei e poi, quatta quatta, raggiungo la mia stanzetta in solaio, laddove Mechka, paziente, mi aspetta seduto sul tetto, proprio accanto al lucernario.
La metà delle volte mi limito semplicemente a farlo entrare, perché addormentarsi l’una accanto all’altro è diventata una priorità irrinunciabile; l’altra metà, invece, salgo dietro di lui sulla vecchia Tinderblast, gli cingo i fianchi con le braccia (lui posa sempre una mano sulle mie, mentre voliamo), accosto la guancia alla sua schiena e via, mi godo il vento notturno nei capelli mentre facciamo ritorno alla caletta per dormire nella sua casetta di ciottoli e conchiglie.
 

 
Caro Diario, è appena successa una cosa che... ma andiamo con ordine (o, per lo meno, proviamoci).
Dunque.
Nessuno meglio di te sa quanti chilometri di pergamena e quanti litri d’inchiostro io abbia sprecato, nel corso degli anni, per scrivere lettere fanatiche ai miei idoli del Quidditch: non esagererei se affermassi che, per sostenere quest’immane attività scrittoria, ho investito l’equivalente ad un piccolo patrimonio.
Ecco.
Altrettanto bene, credo, tu sai che l’investimento a nulla è valso, e che nessuna, nessuna di tutte quelle numerosissime lettere ha mai ricevuto risposta; né dai Broadmoor, né da Horton, né da Lynch e ovviamente, men che meno, da... Viktor Krum. Il quale, tanto per aggravare la situazione, si è sempre
 scrupolosamente sottratto al mio sguardo – non importa quante riviste, poster, foto pre-autografate, quadernetti e quant’altro io mi ostinassi a comprare: quel benedettissimo ragazzo (che pure, fra un mugugno e l’altro, Mechka ha definito più di una volta “una brava persona” – e se lo dice lui, io ci credo) si è sempre, sempre nascosto, tanto che, probabilmente, io sono la sua unica ammiratrice, a livello mondiale, che lo venera semplicemente sulla fiducia.
Insomma: tu immaginerai la mia assoluta costernazione quando poco fa, alle prime luci dell'alba, rientrando di soppiatto nella mia cameretta dopo essermi accomiatata da Mechka, ho trovato un messaggio di mamma infilato sotto la porta:
Romi, è arrivato un gufo per te. Non ti volevo svegliare.
E, fissato al suo bigliettino con una graffetta, un piccolo plico di pergamena grigina con un vistoso sigillo di ceralacca verde e rossa.
Quando l’ho aperto, mio Caro Diario, sono rimasta letteralmente a bocca aperta.
 
Gentile signorina Vane (c’è scritto a macchina, in un inglese assolutamente impeccabile) sto approfittando del tempo libero per rispondere alle gentili missive inoltratemi dai miei tifosi. Non volendo fare torto a nessuno, vorrei anzitutto scusarmi per il ritardo; spero lei capirà che, purtroppo, la lista d’attesa è piuttosto lunga. In ogni caso, avendo appurato che lei, nel corso degli anni, mi ha mandato svariate lettere, credo di doverle un ringraziamento speciale. Così dato che, secondo fonti sicure, so che lei si trova attualmente in Bulgaria, le vorrei proporre di incontrarmi domani, 21 luglio, alle ore 19.00 presso il Faro Magico di Krapets per una chicacchierata fra amici.
Con affetto e stima,
Viktor G. Debeljanov Krum
 
Ecco, Caro Diario.
Credo di non essermi ancora ripresa dal colpo.
Perché non avrei mai pensato di arrivare a pensare una cosa simile, ma tant’è: questo invito inaspettato non mi ha resa felice, non mi ha esaltata, non mi ha fatto battere il cuore. Niente di tutto questo.
Eppure, in questa risposta, ci ho sperato così tanto, e così tante volte. Vedermela recapitare ora, proprio ora che dentro di me, di spazio per cose come queste, non ce n’è più, mi sembra una specie di scherzo del destino.
 
Londra, agosto 1997
 
La vita è una palude di fiele.
Come vedi, Caro Diario, mi trovo a casa. A Londra.
Dalla Bulgaria me ne sono andata già da qualche giorno (dal giorno seguente, cioè, al mio incontro con quel... ma aspetta, lasciami raccontare); non ce l’ho proprio fatta a restare. Tuttavia, date le circostanze, mi ci è voluto del tempo per cominciare a digerire (la metabolizzazione completa non avverrà mai, temo) l’accaduto prima di mettere mano alla penna.
Sappi solo – e stavolta non esagero, te l’assicuro – che la mia felicità si è sbriciolata nell’aere come gesso troppo calcinato. Perché guarda un po’ che cosa ho scoperto:
Mechka e Viktor Krum sono la stessa persona.
No, non sto delirando. È proprio così.
All’incontro propostomi da Krum, alla fine, ci sono andata; per pura curiosità, più che altro - e, soprattutto, fermamente intenzionata, nell’improbabile eventualità in cui lui si fosse comportato in modo sconveniente, a fargli presente che il mio cuoricino già appartiene ad un altro.
Avevo anche deciso che, dopo qualche decina di minuti, me ne sarei andata, e che avrei raggiunto Mechka per dichiarargli a chiare lettere quanto provo nei suoi confronti – cosa che fintanto, un po’ per timidezza e un po’ per avversione alla smanceria zuccherosa (proprio io, parlo! Ma con lui è diverso, Caro Diario: ormai l’avrai capito) non avevo mai avuto il coraggio di fare.
Vabbè.
 
Avvicinandomi al faro, ho scorto in lontananza una sagoma maschile vestita di rosso. 
Capelli corti e scuri, pelle olivastra, profilo affilato, spalle leggermente spioventi. Nonostante si trovasse girato di tre quarti, l’ho subito trovato familiare; e infatti, una volta raggiuntolo, il mistero si è risolto da solo.
«Mechka!» ho esclamato, un po’ sorpresa di ritrovarmelo lì ma assai contenta di vederlo.
Perché lui, in realtà, era al corrente dell’incontro: io glielo avevo raccontato subito, al puro scopo di evitare fraintendimenti; e lui si era limitato a sorridere, per nulla contrariato, ma non aveva manifestato alcuna intenzione di accompagnarmi. (“Aspettami in casa: appena ho finito, vengo da te per dirti una cosa importante”. “Okkey, pella”).
«Zdraveĭte, Rommi» mi ha salutata lui.
Io ho allungato il collo.
«E il tuo amico Krum, dov’è?» gli ho chiesto, incuriosita.
«Io ha detto lui girare largo» ha sorriso lui, fingendosi feroce. «Che tu, già impegnata».
«Scemo».
L’ho raggiunto e mi sono seduta vicino a lui sulla base del faro, per ammirare la bellezza del paesaggio.
«Ecco, per dire fero» ha continuato lui dopo qualche minuto «Esserci kosa ke...»
L’arrivo improvviso di una famigliola di turisti (mamma, papà e due figlioli) l’ha interrotto nel bel mezzo della frase; e quanto è avvenuto dopo è stato... il finimondo.
Non appena hanno avvistato Mechka i due ragazzini, incuranti dei richiami dei genitori (“Iván! Dimitar! Lasciate in pace il signore!”), gli si sono letteralmente lanciati addosso urlando come degli ossessi indemoniati:
«Viktor Krum! È Krum! É Krum!»
«Viktor Krum! Un autografo, la prego!»
Da un secondo all’altro, in uno schiocco di dita, i miei occhi si sono aperti.
E finalmente, dopo anni trascorsi a negare tutta una serie di indizi a dir poco cristallini, il mio inconscio è stato costretto ad issare bandiera bianca e ad arrendersi all’evidenza. All’evidenza di essere stata raggirata, per tanto tempo, come la più stupida delle stupide.
Allora, semplicemente, mi sono alzata e me ne sono andata.
Lui ha piantato in asso i mocciosi e mi è corso dietro.
Io l’ho aggredito.
Non riporterò qui tutto quello che gli ho vomitato addosso, né tenterò di descriverti come mi sono sentita (e ancora mi sento).
Fa troppo male.
 
Hogwarts, anno scolastico 1997-1998
 
Caro Diario, credo ti sarai accorto che, ultimamente, non ti ho più scritto una riga.
Perdonami, ti prego.
La situazione qui a scuola, purtroppo, non è tale da potersi permettere di annoverare, all’interno delle dinamiche quotidiane, alcun tipo di svago. Mi trovo ad Hogwarts da quasi due mesi... e niente è più come prima.
Siamo in guerra, Diario Mio.
Ogni giorno, attraverso canali improvvisati e complicati giri di parole (i gufi, tanto in entrata quanto in uscita, vengono sistematicamente intercettati e, se necessario, censurati) apprendiamo che, fuori di qui, la situazione è a dir poco critica.
L’affermazione del Regime ha scatenato un continuo susseguirsi di persecuzioni ai dissidenti, di cacce ai Nati Babbani, di ritorsioni sulle famiglie di chi tenta di opporsi.
Mamma e papà, a fine estate, hanno deciso di rimanere in Bulgaria; immaginerai quanto io sia sollevata sapendoli laggiù, al sicuro. Le loro convinzioni politiche, di sicuro, non sarebbero state loro propizie...
Ah, Merlino caro; che situazione.
Inutile dire che il riflesso di congiunture così disastrose si avverte, forte e chiaro, anche qui dentro. Demelza, Dean, Colin e tutti i provenienti da famiglie non magiche non sono tornati a scuola, a settembre, e chi si trova qui ha dovuto imparare a cavarsela.
 
Grazie all’impegno della Weasley, della Lovegood e di Paciock, la Resistenza interna si è organizzata velocemente, ma dobbiamo stare attenti, perché le punizioni dei Carrow (i nuovi direttori) sono... tremende. Proprio l’altro giorno la Abbott ci ha riferito che Macmillian, che era stato sorpreso in pieno coprifuoco mentre tentava di inviare un gufo clandestino a non so chi (probabilmente a Finch-Fletchley, suo grande amico), è tornato in Sala Comune con la schiena interamente ricoperta di scudisciate sanguinolente e dall’aspetto dolorosissimo.
Paradossalmente, tutti noi ci impegnamo il più possibile a mettere i bastoni fra le ruote al sistema; ciascuno fa la sua parte, in base a ciò che gli riesce meglio. Anche i Direttori e il resto del personale della scuola, quando possono, ci danno una mano; ma loro devono stare anora più attenti perché, essendo adulti, rischiano il doppio di noi. Non più di una settimana fa, il professor Lumacorno ha salvato in corner Finnigan, mentre questi sgattaiolava fuori dalla presidenza dopo aver lasciato, nascosto sotto le braci del caminetto, un pacchetto di Polvere Pirica Lepricanica.
Immaginerai il casino che si è scatenato qualche ora più tardi, e cioè quando, a fine giornata, la cara Alecto è salita per farsi un tè.
 
La vendetta si è fatta attendere, ma alla fine è arrivata.
Oh, se è arrivata.
Impossibilitata a risalire al vero colpevole, la Carrow ha letteralmente sparato alla cieca. Stamattina, in pieno orario di lezione, due rappresentanti di ciascuna Casa sono stati convocati in Presidenza: Smith e Jones, Patil e Goldstein, Greengrass e Pritchard, io e Peakes. Astoria e Graham, i due Serpeverde, sono stati rilasciati quasi subito; probabilmente, per rispetto nei confronti delle loro famiglie. Entrambi avrebbero voluto rimanere, ma a nulla sono valse le loro proteste: poco dopo, infatti, si trovavano di nuovo nelle rispettive classi.
E quanto a noialtri...
Ah, Caro Diario.
Non mi va di descriverti per filo e per segno la punizione che ci è stata inflitta. Dirò solo (rischiando di suonare tremendamente lapalissiana, lo so), che si è trattato di una sessione lunga e molto, molto dolorosa.
Quando sono tornata in camera era notte fonda, ormai. Le mie compagne, preoccupatissime, mi aspettavano sveglie in Sala Comune; io, però, mi sentivo talmente spossata che le ho salutate appena, ho tirato dritto, ho raggiunto il dormitorio, mi sono buttata sul letto ancora vestita e ho chiuso le tende del baldacchino per leccarmi (letteralmente) le ferite in solitudine.
E mentre me ne stavo lì, infilata sotto le coperte ad abbracciarmi le ginocchia e ricacciare indietro le lacrime e tremare di freddo e di indignazione, ho captato, con la coda dell’occhio, un movimento veloce.
Ho tirato su la testa...
... ed eccolo lì, ad occupare, per la prima volta, quel riquadro di carta ancora appeso (per abitudine, più che altro) sopra il mio letto; qul poster che, per tanti anni, non mi ha restituito altro che l’immagine di un cielo cupo, nuvoloso e talvolta percorso da saette pulsanti, così simile ad una finstra in un giorno di temporale.
Mechka (o meglio: Viktor Krum), perfettamente visibile nel suo sgargiante uniforme rosso rubino, ha eseguito un paio di rapide giravolte a cavallo della sua Firebolt Thráki [in bulgaro, “Tracia”, la provincia romana cui corrisponde l’attuale Bulgaria, N.d.A.] e poi, zigzagando, si è avvicinato al bordo. Non mi ha detto niente - perché le fotografie, al contrario dei quadri, non parlano; eppure, lo sguardo che mi ha rivolto è stato più eloquente di mille parole.
C’era commozione, nei suoi occhi scuri e nobili da rapace. C’era preoccupazione. C’era tristezza.
Soprattutto, però, c’era un messaggio ben chiaro. Un pensiero la cui disarmante sincerità mi ha scossa nel profondo facendo sgorgare tutte le lacrime che, fintanto, avevo strenuamente trattenuto.
“Sono con te, Rommi”.
E non se n’è più andato.
 
Quanto sono stata sciocca, Diario Mio.
L’ho accusato di avermi ingannata, e in effetti così è stato; eppure, a voler guardare bene, non aveva forse un briciolo di ragione anche lui?
«Folevo piacerti per qvello ke sono» mi ha detto quella sera, mentre io lo accusavo a gran voce.
Io me la sono presa a morte; mi sono sentita tacciata di insulsaggine e leggerezza. Come se, giustificandosi in questo modo, Mechka volesse imputarmi una deplorevole incapacità di assorbire valori profondi.
Ma non sono sempre stata un po’ così, in effetti?
Non mi sono sempre premurata di mostrarmi – spesso anche in sua presenza - disinvolta e futile, smaliziata e superficiale, attratta dal successo, dalla fama e dai muscoli come... come una perfetta groupie del Quidditch?
Oh, sì; Mechka, in me, ha visto molto altro.
Ha messo da parte la diffidenza, ha imparato a volermi bene ed è riuscito... a farsi amare.
Senza fama, senza galeoni, senza Firebolt. Senza tuta purpurea, senza medaglie.
È riuscito a farsi amare per quello che era.
Schivo, laconico, a volte goffo; eppure premuroso, limpido, con un cuore grande così.
Ma Viktor Krum, perseguitato a vista da legioni di fan impazzite e da esse tormentato fino allo sfinimento - quel Viktor Krum che, per riuscire a starsene un po’ tranquillo, trascorre le sue estati segregandosi dal resto del mondo -, ha avuto paura.
E del resto, come dargli torto?
Obiettivamente: se io lo avessi conosciuto nei panni di Viktor Krum, sarei riuscita a conoscerlo così bene, e a vedere in lui ciò che vedo ora?
Ah, se solo potessi chiedergli scusa.
 
Ahiahi, Diario Caro... sono nei guai.
In preda alla smania, irrazionale e incontenibile, di ricucire in qualche modo lo strappo, ho agito (come mio solito) in maniera avventata; e presto, ahimè, ne pagherò le conseguenze.
Per fortuna che, in questa celletta angusta, posso consolarmi – almeno un pochino – scrivendo a te dato che da qualche settimana, in un raro scatto di lungimiranza, ho preso a portarti sempre con me, nascosto in un Sacchettino a Scomparsa Apparente, per paura di un’ispezione a sorpresa nel mio dormitorio (ci sono troppi nomi, troppe informazioni in queste pagine: meglio non correre rischi).
Dicevo: sono nei guai.
Per giorni sono stata punta dal desiderio quasi disperato di scrivere a Mechka (Viktor, ecchecca**o!) per chiedergli perdono; però, nell’impossibilità di mandargli un gufo (ormai le procedure autorizzative sono complicatissime e prevedono, peraltro, una fedina penale pulita – che io, come ben sai, non ho), non sapevo proprio come fare.
Mi sarei arrovellata fino allo sfinimento se per puro caso, durante una riunione segreta nel dormitorio dei ragazzi del settimo anno, l’occhio non mi fosse caduto su una fotografia appartenente a Potter e da lui abbandonata sul comodino; un’immagine risalente ai tempi della finale di Coppa del Mondo del 1994, ritraente un Viktor Krum col naso fratturato e gli occhi da panda intento a stringere, fra tre dita della mano destra... il Boccino d’Oro.
La consapevolezza dell’accaduto mi ha colpita come uno schiaffo.
Sono saltata in piedi come punta da un Fiammagranchio; e a Neville che, un po’ preoccupato, mi ha subito chiesto che cosa diavolo avevo, ho indirizzato un criptico e frettoloso devo andare.
Mentre correvo su per le scale della Torre di Astronomia – la più alta di tutte -, incurante del coprifuoco e dei rischi ad esso annessi, non riuscivo a smettere di pensare.
“Per me. L’ha catturato per me”.
 
I Boccini hanno memoria tattile.
Lo sanno anche i sassi.
Una volta raggiunta la piattaforma di osservazione mi sono strappata via dal collo la catenella, dalla quale ho sfilato, con grande delicatezza, la mia piccola biglia dorata – quella che, nonostante tutto, non ho mai avuto il coraggio di gettare via. Poi ho estratto la bacchetta e l’ho brandita:
«Engorgio!»
La biglia ha riassunto le dimensioni originali. Ed eccolo lì, davanti ai miei occhi abbagliati, il Boccino autentico, quello della Finale del 1994; quello che, alla faccia di tutti i magicollezionatori che, disperati, ne cercano disperatamente le tracce da anni, è sempre stato con me.
Cercando di fare in fretta ho evocato un pezzettino di pergamena, ci ho scribacchiato sopra quanto avevo da scrivere, l’ho bucato e l’ho assicurato alla catenella, che ho poi riinfilato nel gancetto del Boccino.
«I Boccini hanno memoria tattile» gli ho ripetuto a mezza voce, mentre lui dispiegava pigramente le alucce. «Trovalo. Ti prego».
E mentre le raffiche di vento gelido mi frustavano i capelli, depositandomi nei riccioli piccoli frammenti di neve e di ghiaccio, la sferetta ha prima preso a ronzare sommessamente; poi, dopo un paio di frulli d’ala frenetici, ha preso il volo e si è allontanata zigzagando nella notte, portando con sé il mio messaggio:
Perdonami.
Ho fatto per girarmi e tornare al dormitorio, ma la voce rasposa di Alecto Carrow mi ha congelata sul posto.
«Non si azzardi a muovere un passo, signorina Vane. È già abbastanza nei guai così com’è, gliel’assicuro».
E così, ora, non mi resta che attendere.
La professoressa McGranitt ha tentato in tutti i modi di trarmi d’impaccio (“Suvvia, Amycus: la signorina Vane è un’animella sciocchina e romantica: stava solo scrivendo al fidanzatino!...” – e grazie per il tentativo, eh, Minerva), ma non c’è stato niente da fare: secondo il nuovo Decreto Didattico, infatti, il Reato di Comunicazione Clandestina è considerato gravissimo, e va punito con la massima pena applicabile in contesto scolastico.
Che non so esattamente quale sia... ma forse, ecco, preferisco non saperlo.
 
Krapets, Bulgaria, febbraio 1998
 
Caro Diario,
il Mar Nero, d’inverno, ha proprio un fascino particolare.
Riabbracciare babbo e mamma, farmi coccolare dalle loro mani e dalle loro voci come quando ero piccola, trascorrere con loro lunghe serate davanti al camino, passeggiare in loro compagnia sullo spiaggione ventoso e deserto; tutto, alla luce dei fatti trascorsi, ha assunto un significato particolare e profondo.
Ci sono volute settimane affinché il mio corpo smettesse di tremare  e la mia mente cessasse di partorire incubi. La serenità ha fatto ritorno a poco a poco (non è ancora tornata del tutto, ma siamo sulla buona strada nonostante la preoccupazione per i miei amici, lassù in Inghilterra, continui ad assillarmi senza sosta), grazie alle cure premurose elargitemi dai miei e dalle byureks cucinate con tanto amore da papà.
Non appena mi sono sentita pronta, comunque, ho dispiegato il trafiletto di giornale locale che mamma ha conservato per me e che, fin dal mio arrivo, attendeva paziente sul mio comodino.
 
Eroi nazionali - ho letto, dopo aver apposto un Incanto Translator – e non solo entro i confini del campo ovale. Grazie all’intervento tempestivo dei nostri beniamini - Vikor Krum, Clara Ivanova e Nikolay Vulchanov -, la vita di una giovane strega londinese è stata risparmiata. I genitori, commossi, l’hanno riabbracciata stamane presso il Georgiano di Krapets.
«Erano settimane che tentavamo una toccata e fuga clandestina sul territorio britannico, ma tutte le entrate ci erano precluse, perché le frontiere inglesi sono sigillate» ha dichiarato Ivanova ai nostri reporter. «Per fortuna, dopo l’ennesimo tentativo, Yuri (V. Krum, N.d.R.) ha ricevuto un messaggio tramite un oggetto magico che, in seguito, ci ha mostrato la via».
L’identità dell’oggetto magico in questione non è stata resa nota.
Sta di fatto, comunque, che, non fosse stato per l’azione del trio, Romilda Vane, 17 anni, studentessa presso la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts se la sarebbe vista assai brutta.
Non è la prima volta, ormai, che ci giungono notizie circa i metodi punitivi assai poco ortodossi che, in seguito all’instaurarsi del Regime, vengono puntualmente inflitti agli studenti dell’istituto inglese. Approfittiamo di questo articolo per reiterare il nostro ripudio nei confronti di tali pratiche, che consideriamo aberranti.
 
Io, di quei momenti, ricordo poco; forse perché, quando Mechka e gli altri hanno fatto irruzione attraverso la finstrella della torre, la punizione era già cominciata.
Ricordo soltanto il fragore dei vetri in frantumi, le esclamazioni dei Carrow e le urla di Clara, in quel momento più simile ad un’arpia terrificante che ad una donna irresistibile, mentre questa si scagliava contro Alecto. E ricordo l’espressione spaventosa di Mechka nel vedermi riversa sul pavimento, e di come il suo sguardo si sia fatto duro, e il lampo di luce nera che, fuoriuscito dalla punta della sua bacchetta, è andato a sbaragliare la fattura di Amycus Carrow.
Ecco: se mai dovessero chiedermi se, a Durmstrang, insegnano la magia oscura, penso dovrei rispondere di sì.
Colpito in pieno petto, il professor Carrow è stato sbalzato con violenza contro la parete opposta.
E... ecco, è strano dirlo trattandosi di lui, ma credo anche che, se non fosse stato per Vulchanov - che lo ha prontamente richiamato all’ordine -, Mechka lo avrebbe ammazzato. Non credo di averlo mai visto in quello stato e, francamente, spero proprio che la cosa non si ripeterà.
I miei salvatori mi hanno raccattata alla bell’e meglio, proprio mentre i Marchi Neri dei fratelli Carrow cominciavano a pulsare per chiamare a raccolta i loro loschi compari, prontamente accorsi qualche istante dopo.
Alcuni di loro hanno anche tentato di seguirci, ma diciamocelo pure: che cosa possono fare dei miseri sbuffi di fumo nero contro delle sfolgoranti Firebolt professionali? Beh: oltre che mangiare polvere atmosferica, niente di niente.
E per fortuna, direi.
 
Ritrovare Mechka è stato...
Beh, innanzitutto devo proprio ammetterlo: non mi sono ancora abituata a chiamarlo Viktor; e forse, chissà, non mi abituerò mai.
Comunque.
Quando mi ha vista fare capolino oltre il promontorio innevato, il mio controverso ragazzuolo ha abbandonato il tepore della sua dimora invernale e mi è venuto incontro. Non mi ha detto niente, limitandosi soltanto a stringermi forte, accostare la fronte alla mia e affondare le dita fra i miei riccioli indurtiti dal gelo.
Poi, tenendomi per mano, mi ha portata dentro.
«Mio nome è Viktor» mi ha detto, non appena il suo infuso caldo di erbe ha cominciato a colorirmi le gote. «Viktor Georgi Debeljanov Krum. Per amici, Yuri. Nato a Sofia, in 10 agosto 1976. Amo Qvidditch, molto. Da qvando pampino. Odio popolare. Mio colore preferito: rosso rubino, come di tua Casa, e di mia Nationale».
Il racconto è andato avanti a lungo e ha toccato, più o meno, tutti i punti per lui importanti; ed io, per una volta in silenzio (perfettamente contraltante con la sua inedita parlantina), l’ho ascoltato fino alla fine, senza interromperlo mai.
«Io zpagliato non dire te, Rommi» ha concluso, dopo svariate ore di seduta.
A quel punto, io mi sono sentita in dovere di intervenire.
«Ma io ho capito perché l’hai fatto» l’ho rassicurato, tendendo una mano per intrecciare le dita alle sue. «E da sbagliatrice seriale, ti dico: capita a tutti di fare errori».
Lui mi ha rivolto un sorriso puntuale, un lampo affettuoso nei suoi occhi severi.
«Kosa puona è ke no tutti errori sono male» ha commentato, stringendomi a sua volta la mano.
Io gli ho rivolto un’occhiata incuriosita.
«Qfasi sei anni fa» ha replicato lui – e stavolta il suo sorriso si è aperto davvero, come un raggio di sole che squarcia le nuvole - «io ha dimenticato riattivare Incanto Fidelius, su mia caletta, su qui. È stato errore; però, se io avessi ricordato fare... » e mi è venuto vicino, per scostarmi delicatamente i capelli dal viso «no avrei mai conosciuto mia Musa.».
 
Che le sue labbra avessero un buon sapore, me lo ricordavo.
Ma che fossero proprio così tanto buone...
Ah, per Godric Santissimo!
Io giuro, qui ed ora, che se, da qui in avanti, una di quelle luride groupies (quelle svergognate!) osa mettergli gli occhi addosso... l’affatturo all’istante!!



Note.
Ed eccoci giunti alla fine...
Per prima cosa, ringrazio di cuore tutti coloro che hanno seguito questa breve storia fino alla fine, senza scandalizzarsi troppo per il carattere della nostra cara Romilda. Che fosse un personaggio parecchio sui generis lo avevamo capito anche dai libri, però ecco, spero di non averla esasperata in modo esagerato. A sua discolpa, e andando a ledere ciò che resta della mia reputazione, posso dire di avere attinto a piene mani ai passi meno lusinghieri dei miei diari adolescenziali - e di essermi divertita molto nel farlo (e anche parecchio vergognata, ma se lo scopo principale era quello di ridere un po'... beh, posso dire di averlo raggiunto in pieno).
Non so se questo capitolo finale risulta all'altezza delle aspettative. Per non farlo stridere troppo con il tenore generale della storia, ho deciso di non calcare troppo la mano sul clima cupo del periodo 1997/98 in Inghilterra (e ho volutamente interrotto la narrazione prima della Battaglia, per evitare di proporne l'ennesima versione. Battaglia alla quale, ne sono sicura, Romilda e Viktor parteciperanno - ma questa parte di storia la lascio ad altri). Però, ecco, per forza di cose un minimo di contestualizzazione dei fatti ci voleva, o il tutto sarebbe risultato fin troppo avulso. Spero proprio di non aver fatto un casino.
Il caro Viktor, devo dirlo, si è conquistato un posto speciale nel mio cuoricino. Immaginarlo che, qualche giorno dopo il fattaccio, si reca al matrimonio di Bill e Fleur con il chiaro proposito di sfogare l'incazzatura (senza alcun successo, peraltro) mi ha fatta ridere tantissimo.
E questo è quanto... grazie mille ancora, e alla prossima! AdhoMu, luglio 2020
   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: AdhoMu