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Autore: paige95    03/07/2020    6 recensioni
La guerra in Afghanistan è il filo rosso che lega il destino di due uomini e due famiglie, due mondi distanti che non sanno di essere molto vicini tra loro.
Nell'estate del 2018, in pieno conflitto, il tenente comandante dei Navy SEALs Christian Richardson e l'inviato speciale del Los Angeles Times Samuel Clark verranno chiamati al fronte, lasciandosi alle spalle vissuti, affetti e i vasti territori californiani.
[Questa storia partecipa al contest "Chi ben comincia è a metà del prologo" indetto da BessieB sul forum di EFP]
Genere: Angst, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Destino'
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Spedizione nel cielo di Kabul




 
 
Aeroporto militare statunitense di Bagram – a 65 km dal confine settentrionale di Kabul, 30 agosto 2018
 
 
La base aerea militare, che si occupava principalmente delle catene di approvvigionamento di viveri e armi, era soffocata nella morsa dell’inerzia per via delle condizioni climatiche; i raid aerei[1] erano stati temporaneamente sospesi, così come le partenze e gli arrivi delle nuove forze in campo. L’aeroporto era avvolto da una fitta nebbia d’acqua piovana e proprio a causa della bassa visibilità le operazioni militari erano in stallo sia tra le fila alleate che tra quelle nemiche. Gwendoline era certa che nel punto d’impatto più diretto della tempesta che stava scatenando la sua ira sopra Kabul fossero le uniche tre anime a muoversi allo scoperto. Il passo pesante del superiore procedeva dinanzi a lei con fierezza; iniziava a credere che la sfrontatezza del generale avesse sferrato un colpo netto al suo orgoglio e che il capitano dovesse mostrare al cielo – perché di fatto non vi erano molti altri testimoni – il suo valore. La ragazza lo conosceva da una manciata di giorni e in un contesto extra ordinario, non aveva gli elementi per stabilire un giudizio definitivo sul cuore dell’uomo; a pelle sentiva però di potersi fidare delle sue buone intenzioni, il che non escludeva il fatto che potessero anche essere azzardate. Gwen avrebbe voluto la facoltà di afferrargli un braccio, costringerlo ad incrociare i suoi occhi e a confidarsi con lei; non lo fece per l’obbedienza che gli doveva, la divisa che il tenente portava era l’unico ostacolo che si frapponeva tra i due, i quasi vent’anni di differenza, con la conseguente discrepanza tra la quantità di esperienza vissuta, non l’avrebbero fermata in egual misura. La ragazza si limitò a qualche sguardo penetrante pieno di dubbi, convinta che la mente dell’uomo fosse altrove.
Christian fu invaso da una strana sensazione di pace, il cielo in fondo non era stato così avverso come credeva, aveva arrestato l’odio – almeno per qualche ora – e lavava il sangue innocente di cui la terra era impregnata; il temporale riportava l’atmosfera alla purezza originaria, dissolveva la polvere e la trasformava in fango, il quale era molto più naturale delle macerie. L’acquazzone aveva dissolto le lacrime sulle guance del Navy SEAL, ma non dal suo petto, all’altezza della ferita d’arma da fuoco un dolce formicolio lo accompagnava e non era dovuto all’operazione chirurgica appena subìta. Si costrinse a non pensare alla sua ultima scelta e alle conseguenze che si sarebbero abbattute nel peggiore dei casi sulla sua famiglia; auspicava che il pensiero della moglie e della figlia guidasse i suoi passi verso il giusto, loro gli avrebbero raccomandato prudenza; sentiva di non sbagliare o forse era una convinzione riconducibile alla foga del momento che si sarebbe presto dispersa come le gocce nelle pozzanghere. Aveva criticato Samuel, ma lui stesso non era stato meno sprovveduto e avventato.
Il generale Flores aveva potuto poco contro l’urgenza del tenente; si era rassegnato, non riusciva a domare un veterano di guerra con anni di esperienza alle spalle, da cui dipendeva a sua volta e altrove un ruolo di comando. Al comandante della base militare, dalla quale prendevano ordini diretti Gwendoline e Christian, non era rimasto che cedere alla volontà del soldato decorato; aveva contattato, con qualche fatica nelle comunicazioni, la torre di controllo che sovrastava l’aeroporto di Bagram e aveva avvertito dell’arrivo di un incosciente accompagnato da due giovani inesperti; certo, impiegò parole diverse rivolgendosi al sergente Bennett – ufficiale responsabile dell’aeroporto –, ma il senso era identico. Il generale aveva chiesto al tenente Richardson maggiore testa sul campo di battaglia e lui per tutta risposta si era trasformato in una macchina da guerra con l’unica prospettiva della missione davanti a sé, senza se e senza ma; il risultato non era stato affatto buono  e mai come prima di allora si era sentito così impotente per le sorti di un suo uomo, il quale aveva deciso con consapevolezza il pericolo contro cui stava andando, trascinando con sé Gwendoline e Samuel, non altrettanto fiduciosi nella decisione, ma molto di più nelle capacità del Navy SEAL.
Il sergente Bennett aveva accolto i tre incauti; anch’egli aveva cercato di metterli in guardia in un ultimo disperato tentativo, il volo che stavano per intraprendere era paragonabile ad un’azione suicida. L’uomo, quasi coetaneo del capitano, era stato messo al corrente da quest’ultimo della missione che a giorni avrebbero dovuto affrontare, decine di vite erano nelle sue mani, per cui non poteva aspettare che le nuvole color catrame scegliessero nuovi territori da oscurare. Christian non aveva proposto all’aviatore di accompagnarli, gli aveva solo domandato di mantenere con loro le comunicazioni via radio nel caso qualcosa avesse minacciato la loro incolumità; i due avevano suggellato un patto tacito di fiducia con una stretta di mano.
Il comandante della base aeronautica aveva concesso al capitano un elicottero da trasporto tattico, piuttosto leggero per l’impresa che avrebbero dovuto compiere; era il Bell UH-1Y Venom, un velivolo sfruttato dai Corpi dei Marines statunitensi per indebolire gli avversari con l’ausilio delle mitragliatrici e dei missili posizionati a bordo; nelle intenzioni di Christian non vi era alcun conflitto a fuoco, voleva essere una perlustrazione pacifica del territorio. Il tenente aveva invitato Gwendoline ad occupare il posto del pilota sulla destra, a lui era riservato il compito di affiancarla in veste di copilota. Samuel li aveva seguiti, non si era tirato indietro, si era accomodato su uno dei posti passeggeri e, memore del suo primo viaggio su un mezzo militare in compagnia di Christian, unì le tre cinghie di sicurezza facendole convergere in unico punto, premurandosi che la presa su di lui fosse ben salda. Il giornalista non si era ancora lasciato catturare dai ripensamenti, anzi l’abitacolo dell’elicottero offrì loro un riparo dall’intenso rovescio; erano fradici, ma almeno all’interno durante il volo avrebbero potuto godere di un piacevole tepore.
Il soldato e il suo superiore ai posti di comando avevano allacciato anch’essi le cinture; la ragazza era pervasa da un impercettibile tremore, mentre compiva quell’azione per lei non così inusuale; Christian era impegnato con il solo ausilio della mano destra ad indossare le cuffie per mantenere i collegamenti con la torre di controllo, ma si era accorto dell’incertezza di Gwendoline, non si era mai premurata di nasconderla. Il giovane militare aveva sotto gli occhi una serie svariata di comandi e i vetri resi opachi dalla pioggia torrenziale. Il tenente interpretò il disagio del sottoposto, lo condividevano, così azionò i tergicristalli per entrambe le postazioni di comando e le rivolse un mezzo sorriso per rincuorarla. Il soldato Ward lesse la spensieratezza di Christian come una burla, non vi erano motivi per riscoprire serenità. L’ufficiale aveva già testato le buone comunicazioni con il sergente Bennett, i collegamenti non erano ottimi a causa delle condizioni metereologiche, ma non era stato un totale incosciente, in caso di avaria avrebbero potuto chiedere un soccorso tempestivo.
«Capitano, lei si rende conto che io non abbia la più pallida idea di dove mettere le mani, vero?»
Il Navy SEAL non le credeva; aveva avuto il piacere di conoscere il padre della ragazza anche nel corso di operazioni delicate, tra cui raid aerei, lo aveva affiancato al posto del copilota, come stava facendo con Gwen, aveva assistito da una postazione privilegiata alle sue manovre di decollo e atterraggio. Gwendoline era la degna erede del sergente Ward; avrebbe solo dovuto dimostrare fiducia nelle sue capacità, la stessa che aveva ostentato durante il loro primo incontro. Sopra le loro teste vi era il pannello di controllo congiunto alla batteria dell’elicottero; Christian spinse un interruttore e il motore iniziò a girare, insieme al rotore principale a cui erano collegate le pale. Il velivolo cominciò a tremare all’esterno e all’interno dell’abitacolo; la giovane, che si era improvvisata pilota, cercò di riportare alla memoria gli insegnamenti del padre e lo fece mentre il superiore era intento a controllare i parametri e ad impostare le coordinate verso il centro della capitale. Gwendoline passò in rassegna i controlli, aveva ancora la sterile speranza che il superiore cambiasse idea, ammettesse di aver preso una sbandata e aspettasse quantomeno un giorno di sole in cui avrebbe potuto pilotare lui stesso l’elicottero. Il tenente non accolse il silenzioso grido d’aiuto del soldato Ward; dopo un controllo generale del funzionamento, attendeva solo che la giovane prendesse il comando del collettivo[2] e iniziasse le operazioni di decollo.
La ragazza, ormai rassegnata, posò i piedi sui due pedali che si trovavano sotto la sua seduta; le suole degli anfibi sfiorarono appena i comandi inferiori, Christian posò il palmo sul braccio di Gwendoline per attirare la sua attenzione.
«A quelli penso io. Ho solo bisogno che manovri il collettivo e il ciclico[3], solo i controlli manuali. Ti indico la direzione»
Solo?, pensò la recluta. Il tono del capitano era calmo e confortante, ma si trattava di un delicato equilibrio tra la leva e la barra, in confronto la gestione della frizione e dell’acceleratore della Chevrolet della ragazza erano nulla. La giovane stava buttando sudore da tutti i pori della pelle, l’acqua piovana di cui era inzuppata non era sufficiente per placare l’accaldata. Christian iniziò a ricordarle le funzioni dei comandi, convinto che un ripasso potesse renderla più sicura e rilassata durante le fasi di volo. A Gwendoline sembrò di sentire parlare suo padre; fu una sensazione dal gusto agrodolce, il senso di mancanza e dolcezza la investì facendole perdere il filo del complesso discorso del capitano. L’ansia da prestazione confuse il soldato Ward e oscurò buona parte delle esercitazioni svolte con il sergente; riscoprendo la tenacia del militare fresco di addestramento, posò la sinistra sul collettivo; il palmo strinse la manetta[4] per il gas, i piedi erano ben saldi al pavimento – come il superiore le aveva concesso –, ma tornò ad indugiare sull’inizio del decollo. L’ufficiale accolse il tentennamento di Gwendoline, posò la destra sulla sua sinistra più minuta, la avvolse, ma non la schiacciò soffocandola; la guidò con dolcezza, la incentivò a non arrendersi all’insicurezza, prese insieme a lei i comandi, ma le comunicò che riponeva in lei la massima fiducia. La giovane recluta percepì una boccata di ossigeno invaderle i polmoni e tutto l’apparato respiratorio venne investito da aria pura; si sentì protetta, come non succedeva da almeno un paio d’anni; le parve di intraprendere un commovente tuffo nel passato, tornò con la mente e con il cuore a quando ad accompagnarla nella sua formazione militare era il contatto del padre.
Christian non poteva permettere alla sua fobia di prendere il sopravvento, aveva scelto Gwendoline al suo fianco per la missione esplorativa, poteva ripagare la dedizione della ragazza solo risparmiandola dai rischi; sperava di acquietare le debolezze dello spirito guidando la giovane nel corso delle manovre di volo, quindi concentrandosi su altro purché non fosse il malessere. Il capitano compì una leggera pressione delle falangi sul retro del collettivo, invitando la recluta a sollevare con prudenza la leva; aumentò il tono di voce per sovrastare i rumori del motore e dell’elica.
«Gwen, regola la manetta, devi aumentare la velocità»
La ragazza obbedì e mosse il pollice sfiorando il palmo dell’ufficiale, il quale, nel frattempo, non aveva spostato la mano continuando a monitorare le azioni del pilota al suo fianco. L’elicottero perse aderenza con la pista di decollo e cominciò ad alzarsi verso la volta celeste, facendo violenza contro la naturale inclinazione della pioggia. Grazie all’unione dei comandi dei due piloti, il velivolo acquisì potenza. Il temporale era ancora battente, le lame delle pale vincevano sulla pressione dell’acqua e sferzavano il fiume che il cielo rovesciava sulla terra in modo perpetuo.
Il soldato Ward afferrò il ciclico con la destra; la barra di fronte a lei era simile ad un joystick e tra i presenti poteva essere gestita solo dalla ragazza. Doveva condurre il mezzo in direzione Nord; spinse perciò in avanti la barra, convinta che Christian si stesse occupando del pedale destro e stesse guidando la leva insieme alla sua mano mancina. Era certa che la situazione fosse sotto controllo, principalmente perché era l’ufficiale a tenere le redini; non aveva considerato la sua naturale maldestrezza, non ricordava che il ciclico fosse così sensibile ai comandi e l’inclinazione settentrionale che Gwendoline aveva azzardato era stata troppo profonda. L’abilità del tenente non fu sufficiente per evitare il sobbalzo, regolare nella fase di decollo, ma era comunque risultato essere un movimento eccessivo a causa dell’impulsività della recluta, la quale aveva saltato qualche step. Gwendoline era mortificata per l’incapacità dimostrata; per certi versi era giustificata, essere la figlia di un abile aviatore non la rendeva, come molti credevano, tale, ma un suo superiore le aveva assegnato una missione, si era affidato a lei e non desiderava deluderlo.
«Capitano, mi dispiace, le avevo confidato i dubbi sulla mia inadeguatezza»
La giovane aveva concesso al tenente di riprendere il controllo del mezzo, lasciando nelle sue mani il ciclico e mantenendo saldo il collettivo. Con fatica Christian si sporse dalla sua posizione e regolò la barra di persona, gestendo al contempo anche il pedale; la cinghia della cintura premeva sulla ferita alla spalla durante lo spostamento, ma cercò di ignorare il fastidio.
«Va tutto bene, sei solo un po’ impacciata. Prova a rilassarti»
Il Navy SEAL era pacato, non la rimproverò, ma nonostante le sue difficoltà per assestare l’elicottero, aveva cercato di rincuorarla.
«Christian, perché non hai guidato tu, se lei è impacciata?»
«Perché se non te ne fossi accorto, ho solo una mano disponibile, Samuel»
Il giornalista si era spaventato, non aveva mai vissuto sulla pelle un simile scossone, la sua voce perciò era leggermente incrinata, nonostante ciò l’ufficiale gli rispose distratto. Christian lasciò i comandi a Gwendoline, ma prima le lanciò un’occhiata per essere certo che se la sentisse; la ragazza gli fece un cenno affermativo facendo scivolare il ciclico dalla mano del tenente. A quel punto l’ufficiale ebbe modo di contattare la torre di controllo.
«Sergente Bennett, mi sente? Riesce a dirmi se proseguiamo nella direzione corretta? Non riesco a vedere molto davanti a noi»
«Affermativo, capitano»
Il Navy SEAL si ritenne soddisfatto per le notizie ricevute. Non riprese il controllo del collettivo; sotto la sua serrata supervisione lasciò che fosse Gwendoline a gestire i due comandi manuali, il tenente si riservò i pedali da azionare sulla base delle manovre del sottoposto. Christian non si era affatto sbagliato, la giovanissima recluta era concentrata e determinata sul suo compito, non ammetteva a se stessa più alcun errore e nemmeno la più piccola distrazione. Il ronzio all’interno dell’abitacolo era costante, ma il soldato Ward non aveva indossato le cuffie per comunicare in modo più agevole con il tenente, udì perciò l’accenno di un sorriso inorgoglito provenire dal lato del copilota.
«Oh, capitano, stia zitto»
L’aveva obbligata e coinvolta in un’impresa per la quale non si sentiva pronta; l’aveva gettata, come fosse una bambina, in un oceano in burrasca per insegnarle a nuotare; non era certa che suo padre si sarebbe comportato così, non aveva avuto in fondo occasione per scoprirlo. Il superiore aveva disteso la tensione, la serenità si dipinse sul volto della ragazza. L’atmosfera perse spensieratezza, quando il tono del comandante della base aerea tornò a riempire l’udito di Christian ricordando loro la precaria situazione in cui si trovavano.
«Capitano Richardson, mi sente?»
«Sergente Bennett, venga avanti»
Il Navy SEAL riscoprì un atteggiamento serio e schiarì la voce.
«Siete a cinquecento piedi[5] dal suolo. Vi sconsiglio di salire ulteriormente»
Christian si sporse verso lo scorcio del pannello dei comandi che si trovava nel suo campo d’azione e verificò l’altimetro[6]; la lancetta segnava una pressione atmosferica sempre più bassa, segno che la quota stava aumentando senza controllo.
«Ricevuto, grazie. Ci assestiamo»
L’uomo sfiorò nuovamente la mano di Gwendoline, la invitò a bloccarsi e a non sfruttare più la forza meccanica della leva; la lasciò solo procedere in linea d’aria, finché non iniziarono a sorvolare il nosocomio. Christian spannò con il palmo i vetri accanto a lui, l’umidità all’interno li aveva raggiunti senza troppe difficoltà; la costruzione, che era il loro obiettivo, sembrava abbandonata, i talebani si erano rifugiati oltre le numerose entrate. Vigliacchi, pensò il tenente spinto da umanità e patriottismo, lui non si sarebbe mai riparato da un temporale, pur forte che fosse. La visibilità era ridotta, dovette aguzzare la vista e oltrepassare il muro di pioggia, il quale ad una certa altitudine sembrava essere più fitto; si concentrò sul tetto, il suo piano era quello di attrezzarsi di un mezzo volante, l’elicottero su cui stavano viaggiando oppure un altro non importava, era però fondamentale sfruttare l’effetto sorpresa. Non riuscì a capire se di norma vi fossero guardie ai piani alti dell’edificio, si erano tutte ritirate e la botola che gli parve di scorgere poteva essere custodita, come anche il contrario, dipendeva tutto dalle condizioni atmosferiche che avrebbero vegliato sulla loro imminente missione. Non era certo sulla riuscita del suo piano, ma non avevano intrapreso un viaggio a vuoto, ora sapeva che il destino avrebbe giocato un ruolo di rilievo, più di quanto avrebbe potuto immaginare.
Uno scossone distolse Christian dai pensieri, lo fece sobbalzare sul posto, accelerando in modo incondizionato i battiti del suo cuore, i quali erano riusciti a stabilizzarsi nonostante la fobia; l’adrenalina aveva iniziato a scorrere nelle sue vene più velocemente dei pensieri. Una luce vermiglia illuminò ogni angolo del pannello di controllo; lo sguardo confuso del tenente venne abbagliato, impiegò qualche istante a capire cosa fosse successo.
«Capitano, ora sono sicura di non aver combinato guai»
A Gwendoline venne quasi spontaneo lasciare sciolte le briglie dei comandi, come se all’improvviso fossero diventati incandescenti, ma si rese presto conto di aver avuto un pensiero irresponsabile, doveva continuare a scottarsi, finché non avesse messo piede sulla rassicurante terra ferma; nonostante i movimenti sussultori del velivolo, mantenne salde la leva e la barra, senza sapere se fosse saggio muoverle e continuare a manovrare l’elicottero.
«Non è colpa tua, siamo stati colpiti da un fulmine»
«Cosa??»
Il giornalista era rimasto in silenzio durante la perlustrazione, la rivelazione dell’ufficiale lo sconvolse; ebbe quasi l’istinto di slacciare le cinghie di sicurezza e accostarsi ai piloti per seguire da vicino le manovre di emergenza, ma rigettò anche quell’impulso. Christian non necessitava di altra pressione, era cosciente della gravità della situazione; spinse un interruttore in mezzo ai sedili dei piloti e l’abitacolo tornò ad essere avvolto dalla calma, non riusciva a riflettere con il rumore ansiogeno che annunciava pericolo. L’asta dell’altimetro segnava valori troppo elevati e sempre maggiori, Il capitano si rivolse all’unica àncora di salvezza raggiungibile.
«Sergente Bennett, stiamo perdendo quota. Ci serve un atterraggio d’emergenza»
«Capitano, vi ha preso di striscio, non rilevo danni ingenti. Tra pochi chilometri troverete uno spiazzo. Prosegua verso Nord, aumenti la velocità più che può, il motore non è stato colpito, temo siano state danneggiate le pale»
Era già tanto non sentire un rimprovero dopo le raccomandazioni a cui l’aviatore aveva affidato Christian prima della partenza. Il tenente allungò la mano sulla manetta del gas spodestando Gwendoline, la quale non oppose alcuna resistenza, si limitò a fissarlo con aria interrogativa e a premere con delicatezza il ciclico per spostare in avanti il mezzo, pronta ad un eventuale contrordine dell’ufficiale; era fuori discussione che rendesse partecipe anche l’equipaggio dei suggerimenti del comandante, non vi era il tempo neppure per immettere ossigeno nei polmoni e per emettere anidride carbonica. Il Navy SEAL si sentì osservato, ma preferì concentrarsi sull’orizzonte che si stagliava davanti a loro; stava prestando una tale attenzione, da dimenticare lo scroscio della pioggia che continuava imperterrita ad ostacolarli. Un paio di chilometri erano infiniti, quando la vita dipendeva solo da duemila metri. Il sergente aveva pianificato un atterraggio perfetto, il piazzale che aveva previsto non era ampio, ma il loro elicottero era lungo meno di venti metri, avrebbero potuto accostare il carrello con comodità al suolo. Per il capitano scorgere il punto d’arrivo fu paragonabile ad un miraggio; sopraggiunti, pilota e copilota avevano già perso buona parte dei controlli, non si rese così necessaria alcuna manovra regolare citata nei manuali d’uso; il velivolo perse quota, prima ancora che Christian riuscisse ad abbassare la leva e Gwendoline smettesse di squilibrare in avanti il peso dell’elicottero. Erano a dieci piedi dal suolo – poco più di tre metri –, quando il mezzo finì di assisterli e con un boato precipitò di peso oscillando, ma non ribaltandosi. Il tenente prese un lungo respiro e si accertò subito che le condizioni dei suoi compagni fossero buone; si voltò verso Samuel, gettò un’occhiata al soldato Ward ed infine, avendo appurato che stessero bene, si tolse la cuffia, si slacciò le cinghie con un colpo secco e aprì con furia lo sportello dell’elicottero. I due giovani rimasero a fissarlo confusi, mentre si allontanava; il giornalista si era avvicinato alla ragazza per provare ad interpretare la reazione dell’ufficiale.
«Richardson, state bene? Mi dia aggiornamenti, non ho più la vostra posizione»
Gwendoline aveva sentito Bennett, era impossibile non notare la sua voce concitata per la preoccupazione; recuperò la cuffia e la accostò in parte al suo orecchio.
«Signore, stiamo bene. Il capitano è … aveva bisogno di prendere un po’ d’aria»
 
◦•●◉✿✿◉●•◦
 
La fobia che Christian aveva tentato con tutte le sue forze di ricacciare al suo posto era esplosa nel suo petto come la lava di un vulcano. Aveva una gran voglia di vomitare, ma quel gesto avrebbe liberato troppi demoni e troppe fragilità, lui non era pronto ad affrontarle a viso aperto; si chinò sulle ginocchia, occupando un angolo di terra sciolto dalla pioggia e lasciò che la stessa portasse via così il malessere psicofisico. Coprì il volto con il palmo, era troppo chiedere alla mente di cancellare gli ultimi minuti dalla mente, era impossibile riavvolgere il nastro del tempo ed impedire a Samuel e a Gwendoline di salire insieme a lui sull’elicottero, con la forza se necessario, specie nel caso del giornalista. Si era impegnato a proteggere due giovani; Barkclay non sarebbe stato orgoglioso di lui, se l’avesse visto solcare il cielo senza le condizioni climatiche favorevoli; era certo che ovunque si trovasse lo avesse insultato per aver messo a repentaglio la vita di sua figlia.
Cosa stava combinando? Cosa gli stava suggerendo il cervello? Era perverso credere di salvare qualcuno e mantenere promesse, a sé e ad altri, se prima si fosse schiantato al suolo sfidando la natura.
Aveva il respiro affannato e l’udito ovattato per via dell’acqua che persisteva a scorrere sulle sue orecchie. Nonostante avesse la percezione di trovarsi in una bolla di sofferenza, lontana anni luce dal pianeta Terra, udì nitido lo scalpiccio di passi che affondavano nel fango. Gwendoline lo aveva raggiunto, anch’ella si era accomodata sulle ginocchia accanto a lui e attese che l’ufficiale la degnasse di uno sguardo. Christian non scoprì il volto e quando si decise a proferire qualche parola, esse erano offuscate dal palmo; sentiva di aver accanto una presenza amica e non ostile, si concesse perciò la libertà di aprirle le porte del cuore.
«Il generale mi voleva congedare e ho negato la sua licenza»
«Credevo volesse tornare dalla sua famiglia»
«Lo credevo anche io. Sono un mostro»
Fece scivolare la mano, mostrando un’espressione segnata dallo sconforto più profondo. La recluta in un contesto differente avrebbe osato uno slancio d’affetto, un abbraccio avrebbe potuto accogliere la sua pena; in guerra e nelle loro posizioni, le risultò sbagliato anche solo sfiorargli il braccio; azzardò quell’ultimo gesto con accortezza, nella speranza che l’avambraccio posato sul suo ginocchio sollevato potesse avvertire un contatto umano, benché la divisa fosse zuppa d’acqua.
«Lei non è un mostro, tenente, è solo umano. Desidera tornare negli Stati Uniti con la coscienza pulita»
Le sorrise sarcastico, non era abbastanza salvare centinaia di sconosciuti, rischiando di distruggere la sua famiglia per sentirsi meglio; era solo rincuorante poter preservare vite umane, era una predisposizione naturale. Non era nemmeno più così convinto del giuramento che aveva compiuto vent’anni prima sulla bandiera americana. Eppure era lì, continuava a superare la prova più difficile, non si tirava indietro neppure quando gli veniva offerta l’occasione sul piatto d’argento, aveva una volontà di ferro, la forza di chi era nato per essere ciò che era. Il giorno in cui era diventato un soldato – era una tra le reclute più giovani –, aveva pronunciato con orgoglio il giuramento verso la propria Patria.
Giuro fedeltà alla bandiera degli Stati Uniti d’America, e alla Repubblica che essa rappresenta: una Nazione al cospetto di Dio, indivisibile, con libertà e giustizia per tutti.[7]
Nella mente le parole martellavano più della pioggia battente che si ostinava ad infierire sul loro umore. Aveva giurato sì, come aveva giurato fedeltà a sua moglie quando si era unito a lei in matrimonio. Vi era forse un giuramento più importante dell’altro, una scala di valori che lui non conosceva e il suo cuore ignorava? Non voleva tradire alcuna promessa, auspicava di essere un buon soldato e un marito affidabile, ma un desiderio escludeva l'altro. Maledisse il giorno in cui aveva pensato che servire l’America potesse colmare un grande vuoto, una solitudine non cercata; mai avrebbe potuto rinnegare il giorno in cui conobbe Katherine, era stata la sua salvezza, avrebbe solo potuto benedirlo.
«Cosa dico a mia moglie? Io non so mentirle, anzi avrei bisogno di una sua rassicurazione»
Gwendoline non seppe cosa suggerire al superiore, sapeva che il conforto di una recluta non era sufficiente, non era il conforto giusto per lui, non aveva bisogno di lei.
«Samuel mi ha detto che ha la fobia per il volo. Perché non me lo ha detto?»
«Non è facile parlarne per me»
«Quando si sentirà pronto, capitano»
Era stata sincera con lui, gli aveva parlato del suo passato, lei di lui non conosceva quasi nulla, ma decise di offrirgli tempo, non aveva altra scelta. Fece per alzarsi, ma si bloccò quando sentì una presa sulla sua mano. Christian la bloccò sul posto e la fissò come in quel frangente non aveva ancora osato fare per paura di mostrarsi debole. Gwen risalì con lo sguardo, incrociò il gesto grato del tenente ed infine il sorriso flebile che le stava rivolgendo; non sapeva a cosa fosse dovuta la sua fobia, ma aveva capito che il calore umano avesse un effetto benefico sulle fragilità del superiore.


 
 
Ciao ragazzi!
Sono riuscita a terminare il capitolo con un paio di giorni di anticipo ^^. Dopo aver letto il manuale d'uso di un elicottero mi sono sentita pronta per pubblicare questo capitolo … e nel caso anche per volare XD. Tutto ciò per dirvi che è stato molto difficile unire la tecnica alla parte romanzata; se avete il brevetto di volo e trovate qualche castroneria, non esitate a segnalarla, anche in privato, e provvedo con piacere ad aggiustare il tiro, anzi vi sarei grata se mi infondeste un po’ di conoscenza in questo campo 😊
Come di consueto, vi ringrazio immensamente, dimostrate tantissimo affetto per questa storia, nonostante sia intrisa di tristezza fino al midollo <3
Alla prossima
Un grande abbraccio a tutti coloro che sono giunti fin qui
-Vale
 

[1] Il raid aereo o attacco aereo è un’operazione militare offensiva effettuata da aeromobili d’attacco contro specifici obiettivi nemici.
[2] Il collettivo è una leva posizionata sul pavimento della cabina a sinistra del sedile del pilota.
[3] Il ciclico è una barra posizionata davanti al sedile del pilota.
[4] La manetta è l’impugnatura girevole all’estremità superiore del collettivo.
[5] 500 piedi corrispondono a 152 metri circa.
[6] L’altimetro è uno strumento di misura che permette di misurare la distanza verticale di un corpo da una superficie di riferimento.
[7] Pledge of Allegiance, Giuramento di fedeltà alla bandiera degli Stati Uniti d’America.
 
   
 
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