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Autore: Sia_    03/07/2020    5 recensioni
“Mi stavo chiedendo come fosse toccare con le mie mani il tuo costume.” confessa un po’ imbarazzata: un po’ è vero, molto è una bugia. Non può dirgli che lo stava guardando perché era, in quel momento, come tutte le stelle nel cielo – sia quelle ancora vive, che quelle già spente nella galassia, “L’ho toccato prima di oggi, ma mi sono dimenticata la sensazione.”
Chat Noir la guarda, confuso, “Credevo non potessimo dirci queste cose.”
“Sono sei anni che sei un supereroe, non credo che tu possa scoprirmi così facilmente: avrai toccato almeno metà della Francia.” Ladybug si perde in un sorriso, muovendo i piedi nel vuoto e appoggiando meglio le mani sul cornicione del palazzo.
“Una volta mi hai salvato.” si lascia scappare a quel punto Adrien, “Mi salvi ogni giorno ovviamente, ma quella è speciale, perchè ero senza constume e tu hai salvato proprio me.” gliel’avrebbe detto subito, confessato quello stesso secondo, ma s’è sempre sforzato di tenerlo per sé.
Ladybug sorride, scuotendo il capo, “Avrò salvato metà della Francia.” s’affretta a dire tranquilla.
“Per quel che vale, sono felice che tu mi abbia salvato quel giorno.”
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Come le galassie


Il cielo stellato sopra la città di Parigi è sempre in grado di catturare una parte del suo cuore: non lo fa apposta, semplicemente ci si perde quando non si dovrebbe. Semplicemente, alzando il volto di qualche grado, tutto il resto scompare e rimane l’infinito. Si chiede quante di quelle stelle siano ancora vive, quante siano già ormai spente da anni e si trova a sorridere, mentre la brezza primaverile le smuove i capelli slegati. È da un po’ che lo fa, stanca di quei due codini che ha indossato per anni, una sera li ha semplicemente sciolti sulle spalle. 

Solo quando è notte, solo quando nessuno è in pericolo, perché combattere con i capelli sul volto è una noia, se l’è scritto da qualche parte, uno dei suoi ennesimi appunti appoggiati a caso sulla scrivania. Chiude gli occhi, pensando al fatto che dovrebbe andare a casa prima o poi, dovrebbe metterla a posto quella postazione. Dovrebbe, ad esempio, cominciare a cercare quell’ago che ha perso due giorni prima e non ha ancora trovato: e se qualcuno si facesse del male? 

“Sei di nuovo da un’altra parte.” le fa notare una voce, inspiegabilmente così vicina visto che lei è persa in quella distesa blu nel cielo, “Forse dovremmo andare a dormire.” 

Marinette allora si gira, dimentica le stelle, dimentica la scrivania e anche l’ago e guarda il compagno alla sua destra, che sta sorridendo. È quel sorriso che ha imparato a conoscere così bene e le fa bene vederlo: in un certo senso, anche quello sa un po’ di infinito, anche in quello ci si è persa per così tanto tempo. Il tempo, è proprio quello il fatto: il tempo per lei è tante cose. Quanto tempo ha perso nell’urgenza di sconfiggere Papillon? Quanto tempo ha perso cercando di raggiungere Adrien? Quanto tempo ha perso perdendo tempo? O ancora – meno drasticamente – quanto tempo ci ha messo ad accorgersi della presenza così viva, così vera di Chat Noir al suo fianco? 

“Ancora un po’.” si trova a sussurrare Ladybug, in modo da farsi comunque sentire dal giovane. Osservando il suo costume nero, nota le sue spalle che si rilassano a quella concessione: quanto sarebbero rimasti lì? Quanto tempo ancora? Ladybug, nascosta dentro e dietro la sua maschera, desidera rimanere lì all’infinito, come è infinito quella galassia che li ricopre. 

Non distoglie lo sguardo da Chat Noir nemmeno per un secondo, lo guarda proprio, lo vede e non sa più che fare. Se n’è accorta qualche mese dopo aver iniziato l’università e aver dimenticato quella vecchia vita del liceo, quel vecchio posto dietro alla sua unica e persistente cotta, che c’era un altro posto occupato nel suo cuore, che la metà era riempita di una tuta di pelle, da una coda straordinariamente lunga. E ora, ora che non vede Adrien ogni giorno s’è resa conto che Chat Noir si è preso tutto, piano piano. Per questo guardarlo è sempre più difficile, giorno dopo giorno, perché sotto la maschera lei è sempre Marinette  – quell’impacciata ragazzina che non è mai cresciuta davvero.

Buginette… Va tutto bene?” il volto del giovane si colora quando su questo compare quella smorfia maliziosa che lo contraddistingue quasi sempre. Eppure, Ladybug, non fa fatica a notare quel rossore sulle guance. 

Sbatte gli occhi senza capire, “Sono solo stanca, perché?”

“È che mi stai guardando… Pensavo volessi dirmi qualcosa, ma stai solo… ” si ferma Chat Noir, ha perso un po’ le parole perché lo sguardo della ragazza – della ragazza che ama  ha questa capacità di renderlo muto. Sotto quella maschera, dietro quella maschera, ci sta sempre Adrien, che difficilmente è in grado di tenere testa a qualcuno come la sua Ladybug. Scuote il capo, sua? Non sarebbe stata mai sua. Ci sono così tanti segnali che glielo dicono da così tanti anni, che la giovane non avrebbe mai ceduto alle sue pretese, non avrebbe mai ceduto alle sue battute, ai suoi scherzi. 

Perdendosi in quei pensieri, non s’accorge del rossore che nasce sul volto della compagna di avventura: davvero l’ha guardato per tanto tempo? Si maledice: ha giurato che sarebbe stata attenta, che non l’avrebbe fatto vedere, che non avrebbe richiesto niente dopo tutto quel tempo. Perché Chat Noir ha il diritto di andare avanti, ha avuto anni per farlo e non può pretendere adesso che lui torni indietro, torni da lei. 

“Mi stavo chiedendo come fosse toccare con le mie mani il tuo costume.” confessa un po’ imbarazzata: un po’ è vero, molto è una bugia. Non può dirgli che lo stava guardando perché era, in quel momento, come tutte le stelle nel cielo – sia quelle ancora vive, che quelle già spente nella galassia, “L’ho toccato prima di oggi, ma mi sono dimenticata la sensazione.” 

Chat Noir la guarda, confuso, “Credevo non potessimo dirci queste cose.” 

“Sono sei anni che sei un supereroe, non credo che tu possa scoprirmi così facilmente: avrai toccato almeno metà della Francia.” Ladybug si perde in un sorriso, muovendo i piedi nel vuoto e appoggiando meglio le mani sul cornicione del palazzo. 

“Una volta mi hai salvato.” si lascia scappare a quel punto Adrien, “Mi salvi ogni giorno ovviamente, ma quella è speciale, perchè ero senza constume e tu hai salvato proprio me.” gliel’avrebbe detto subito, confessato quello stesso secondo, ma s’è sempre sforzato di tenerlo per sé. 

Ladybug sorride, scuotendo il capo, “Avrò salvato metà della Francia.” s’affretta a dire tranquilla. 

“Per quel che vale, sono felice che tu mi abbia salvato quel giorno.” Adrien distoglie lo sguardo, cercando la luna mentre sussurra: se lo ricorda perfettamente la sensazione del costume dell’eroina sotto le sue dita. Morbido, caldo, sicuro. Scuote il capo: lui che è modello, lui che ci lavora con la moda, sa che il calore e la sicurezza non sono aggettivi assimilabili ad un pezzo di tessuto e allo stesso tempo non si può dire neanche che un vestito sappia di casa. Eppure il costume di Ladybug lo è stato, lo è sempre. Non riceve una risposta, non a parole per lo meno e prima che si giri a guardarla, sente che il capo della ragazza si appoggia alla sua spalla: l’aria che respira si riempie di cannella, ha un odore così dolce e distinto che un sorriso gli compare a forza sul volto. 

A Marinette è entrato dentro qualcosa nel cuore: vorrebbe confessarglielo in quell’istante preciso, il suo nome, che è così pronto sulla punta della lingua come gli aerei che stanno prendendo il volo, ma rimane zitta. Anche lei è grata di averlo salvato, quel giorno – qualunque giorno fosse stato, anche lei è felice di averlo ancora al suo fianco, dopo tutto quel tempo. Mentre lo pensa, appoggia la guancia alla spalla di Chat Noir, le scotta la pelle nuda del volto: il costume è caldo, morbido, sicuro, le ricorda un po’ casa.

M’Lady… ” 

“Ancora un po’.

 

 

Marinette se ne sta ferma in quel punto, quello in cui Chat Noir le ha implorato di stare per rimanere al sicuro. Lo guarda, ora che non ha il costume le sembra di essere così nuda, oh così scoperta ai suoi occhi. Se ne accorgerà? Lo capirà? Sente le mani del giovane posate sulle spalle, sono pesanti come un macigno e allo stesso tempo leggere come le ali di una farfalla. Bruciano, le bruciano così tanto e le viene da piangere, perchè scruta quegli occhi preoccupati e speranzosi di veder arrivare Ladybug. 

“Stai al sicuro, ti prego, ti prego.” glielo ripete, una mano si stacca dal suo posto e le accarezza una guancia, come se si conoscessero davvero, come se Chat Noir sapesse in qualche parte, nel suo cuore, che lei è la ragazza con cui passa più tempo di tutte. 

Marinette non lo può sapere, mentre sente di nuovo quella morbidezza che si scontra contro la sua pelle, che è Adrien che vuole proteggerla: il suo cuore di quindicenne si scioglierebbe sul posto. Ma siccome non lo puo sapere, si gode semplicemente quel tocco, ne salva la sensazione il più possibile. È l'urlo di qualcuno in fondo alla strada che la risveglia come una doccia fredda: ha del lavoro da fare, per questo lo spinge lontano con il palmo, un calore le sale lungo il braccio destro e un brivido le percorre la schiena, “Vai a salvare Parigi, starò bene.”

 

 

Marinette se ne sta ferma, in piedi su quel cornicione del palazzo a notte fonda e aspetta, aspetta così tanto che le piante cominciano a farle male, gli occhi a chiudersi. Sono cinque sere che si mette lì e si convince che prima o poi Chat Noir si farà vivo, anche solo per dirsi addio. Dopo sei anni, dopo sei lunghissimi anni, almeno un addio lo desidererebbe. 

Non immagina, non che sparisca così dopo aver sconfitto Papillon: per questo lei torna sempre, costantemente ogni sera da quando lo hanno consegnato alla giustizia. Ma che giustizia è quella di strappargli via i poteri? Che giustizia è vedere piangere un uomo disperatamente, che giustizia è sentire le scuse di qualcuno che ha agito per amore? Scuote il capo, mentre l’intensità del cielo stellato la colpisce ancora. Quella giustizia è l’unica a cui si sarebbe appoggiata, non avrebbe mai consegnato Gabriel Agreste alla polizia, non avrebbe potuto farlo, non ad Adrien.

Si appoggia al camino del palazzo, incrociando le braccia al petto: Chat Noir non sarebbe venuto nemmeno quella volta, vero? 

 

 

Sarebbe venuto, prima o poi – precisamente si sarebbe presentato quarantasette giorni dopo. 

“Pensavo mi avessi abbandonato.” Marinette sussurra appena, la maschera che copre il suo evidente imbarazzo. 

Chat Noir scuote il capo, un sorriso gli riempie il viso come sempre, come se niente fosse, “Abbandonarti? Come potrei mai abbandonarti, M’Lady?” 

“Non sei più venuto.” 

Ladybug guarda il cielo, per questo non s’accorge che lo sguardo del giovane si intinge di una tristezza senza età: come poteva tornare, dopo aver scoperto che suo padre, proprio suo padre, è quello che ha terrorizzato Parigi negli ultimi sei anni? Con che coraggio le avrebbe ancora parlato, lui che ha giurato di proteggerla, che non s’è nemmeno accorto di avere un mostro sotto lo stesso tetto? 

“Ho avuto qualche contrattempo.” le spiega calmo, mentre la sua coda si muove innervosita, “Ho ricevuto una notizia che avrei preferito… Lascia stare.”

“L’ho detto a Volpe Rossa e a Carapace.” all’inizio Adrien non collega, perché nella testa ha tutt’altro e per questo la guarda confuso, anche un po’ addolorato che lei non sia stata lì ad ascoltare i suoi problemi, a chiedere di più: ma chiedere equivarrebbe confessare che lui è, in verità, Adrien Agreste. 

“Detto… ” chiede un po’ spaesato, mitigando la punta di fastidio nella voce. 

“Chi sono.” spiega Ladybug facendo qualche passo nella sua direzione, “Avrei voluto dirtelo per primo, ma non ti sei mai più fatto vivo e volevo dirlo almeno a loro." Chat Noir semplicemente annuisce a quella confessione, non s’accorge che la giovane gli ha preso le mani e le ha strette nelle sue, “Sono due miei grandi amici e sono anni che mi riprometto di… È finita adesso, non ha più senso tenerlo nascosto.” 

Tra loro cala un silenzio pesante, Adrien semplicemente non ci arriva, ma forse perchè dopo tutto quel tempo davvero non ci vuole arrivare o forse non sa come arrivarci. E Marinette è semplicemente imbarazzata, semplicemente pensa che questo Chat non lo voglia, visto che sono passati quarantasette giorni, che si sommano ai già lunghi sei anni. Quanto tempo perso, quanto tempo stupidamente sprecato e buttato a caso nella Senna di Parigi, “Sempre che tu me lo voglia dire, non lo voglio forzare.” si affretta poi a spiegare, rendendosi conto della situazione, “Volevo solo dirti che me ne puoi parlare: sei arrivato qui e mi hai detto che non ti sei fatto vivo perché hai ricevuto una brutta notizia e lo so che non ci siamo mai confessati nulla di quell’altra vita, ma ora possiamo, lo vorrei sapere.”

Adrien la guarda, il cuore che salta grazie ad una gioia improvvisa, le guance che si colorano di un tenue rossorre anche se c’ha vent’anni, “Era mio padre, Papillon era mio padre.” sussurra, “Suppongo che sia, è ancora mio padre, nonostante tutto.” 

Ladybug sbatte gli occhi un paio di volte, Chat Noir non è più solo le stelle che sono in cielo, è l’intera galassia che sta là fuori. Forse, pensa la giovane, è molto più di quella, ma non si azzarda a dire una parola: si perde a sentire il cuore che si ricuce nel petto ad una velocità spaziale, quella della luce.

“Non me ne sono mai accorto e mi sento così dannatamente stupido.” continua il giovane, “Ma aveva un tunnel sotterraneo, chi diavolo può pensare che… Un tunnel sotto terra per andare a crear farfalle.” lo sa che lo sta facendo molto meno pesante di quanto in realtà sia, ma sono quarantasette giorni che ci pensa ininterrottamente e non gli spiace metterla sul ridere per la prima volta.

Adrien… ” il sussurro che esce dalla bocca della ragazza è come la medicina per la tosse quando si ha la polmonite, è l’unica cosa che comincia a curarlo. Non si stupisce nemmeno che lei lo sappia, che si chiama così, perché lui è famoso, sia dentro che fuori dal costume, eppure il nome detto dalle sue labbra non sembra nemmeno più essere il suo nome, è qualcosa che vale quanto tutte le stelle che brillano in cielo. Chat rompe la trasformazione, Plagg vola sopra i due di qualche metro per dargli privacy: perché lui, in quell’abbraccio che si danno, non ci starebbe bene, perché la stretta è solida, intima e profonda. Perché il costume di Ladybug viene a contatto con gli avambracci nudi di Adrien ed è morbido, caldo, sicuro e sa di casa, di quella casa che non ha mai avuto, che non ha e che vuole costruire. 

“Vorrei toccarti senza costume.” le dice all’orecchio, allontanandosi di scatto solo quando si accorge di quello che ha detto, “Non nel senso di… Anche se… Insomma… ”

Ladybug sorride, gli accarezza il volto con il pollice della mano sinistra, “L’hai già fatto tante volte.” gli confessa con uno strano sentimento nello stomaco: anche lei s’è messa a coltivare farfalle, farebbe una battuta se non fosse tutto così nuovo, fresco. 

“Ti conosco, vero?” Chat – Chat senza maschera, cerca di indovinare, “Perché ci sono stati giorni, e intendo tutti, in cui ho pensato che ti conoscessi: è come se tu ci fossi sempre, è come se avessi passato con te ogni ora degli ultimi sei anni. Ad esempio, la tua voce non la sento solo quando sono con te, quando hai la maschera, l’ho sentita in giro così tante volte, ma mi sono sempre detto che non avrei dovuto cercare più di quanto mi fosse concesso.” le spiega, grattandosi il collo con una mano, “Perché sarebbe stato come rompere la promessa che ti avevo fatto e non l’ho rotta anche perché pensavo che comunque ci fossi nella mia vita, da qualche parte nascosta sotto al mio naso.” smette di pensare, un semplice sorriso che gli riempie il volto come una firma, “Se devo essere sincero non mi faccio toccare da troppa gente, soprattutto con il costume, quindi devi essere per forza qualcuno di abbastanza vicino per fidarmi… Sono sempre un gatto.”

Ladybug scuote il capo e si va a sedere sul cornicione del palazzo, aspettando che anche lui le si metta accanto. Solo quando si appoggia alla sua spalla lascia andare la maschera, perdendosi a guardare quel cielo stellato. Adrien sorride, la guarda con la coda dell’occhio, non per dissipare quei dubbi che sono inesistenti ormai da mesi, ma solo per guardarla al naturale, per vedere che è bella lo stesso, che è ancora più bella alla luce della luna. Il braccio sinistro le cinge il fianco e l’avvicina ancora di qualche centimetro, si scaldano a vicenda con il calore del corpo, ora che i costumi sono dimenticati. 

“Dovremmo rientrare, si sta facendo tardi.”

“Ancora un po’.”

 

 

Lo ha già baciato una volta, ha già sentito quelle labbra pressate contro le proprie, ma le fa comunque strano. Non uno strano brutto, ma uno strano strano.  

Perché Marinette è quella che vive di cose strane, che all’età di quindici anni è diventata l'eroina di Parigi. E non è strano, che una quindicenne salvi la capitale della Francia? E non è strano che si innamori di Adrien, non è strano che Adrien sia anche Chat Noir? Scaccia il pensiero, mentre le labbra del giovane si fanno morbide sotto le sue, quel tanto per permetterle di avvicinarsi ancora un po’, ancora qualche millimetro per sentirsi una cosa sola. Le sue mani si incastrano dietro il collo del giovane, la stringe tra le braccia il più possibile, un sorriso che irrompe nel mezzo del loro bacio che diventa più malizioso, più piccante del secondo prima. Va via l’impiccio della stranezza, perché senza maschera è tutto così nudo, e torna quella cosa che sa di casa, che sa di amore e famiglia. Le farfalle nello stomaco di Marinette prendono il volo, non trasformano più nessuno, semplicemente volano via: diventano l’urlo che non può esternare con i polmoni perché ha la bocca impegnata a fare altro – a baciare la sua cotta degli ultimi sei anni. 

Adrien la solleva tra le braccia e la appoggia alla scrivania della giovane, che si lascia scappare un sospiro eccitato, presto sostituito da una nota più alta. Fa peso contro il giovane, staccando le loro labbra e guardando al suo fianco con orrore. 

Marinette?” Adrien è preoccupato, la lascia andare immediatamente e fa qualche passo indietro, come se fosse stato lui a farle male. Cerca il suo sguardo, ma nota che gli occhi della giovane sono alzati verso il cielo, “Che succede?” 

La giovane gli mostra la mano, tiene tra l'indice e il pollice uno spillo, lo spillo che ha perso mesi fa, “Lo stavo cercando da un po’.” 

“Ti sei fatta male?” 

Marinette sorride, si sente improvvisamente meno impacciata, molto più maliziosa, “Niente che tu non possa curare.”

 


Dovrei dormire? Sì, dovrei. 
Dovrei svegliarmi presto per studiare per l'esame? Decisamente. 
Però Adrien e Marinette sono carini, così tremandemente belli che a volte non ce la faccio proprio e mi viene da scrivere di loro, perchè sono quattro ship. Quattro. Dico, è una riserva infinita. 
Spero con tutto il cuore che la storia vi sia piaciuta almeno un quarto di quanto io abbia adorato scriverla, 
Accetto assolutamente consigli per migliorare,
Sia 

   
 
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