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Autore: Red Saintia    04/07/2020    12 recensioni
La vita di ognuno di noi quasi mai va come la immaginiamo. Sogni, desideri, speranze… si infrangono davanti ad una realtà che troppe volte non ci aspettiamo, o alla quale non siamo preparati. Crediamo di avere tempo, tempo per rimediare, per esternare parole non dette, correggere errori commessi, realizzare aspettative di vita. Ma spesso non ci rendiamo conto che il tempo non ci aspetta, scorre inesorabile e trascina dietro di sé la corazza che sapientemente ci siamo costruiti lasciando cadere un silenzioso sipario sui nostri sospesi.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cammino lenta ma sicura nel mio incedere, e non è certo perché mi senta una novella top model alla sua prima passerella. E' solo che certi vezzi sono proprio difficili da perdere. Il tacco dodici per me è uno di quelli ai quali non potrei mai rinunciare.

Un corridoio anonimo e banale mi accoglie tra le sue braccia. Pareti asettiche tappezzate con semplici e sporadiche cornici di cui fatico persino leggere il contenuto. Di certo al proprietario di questo posto non interessa colpire l'attenzione dei suoi visitatori. Del perchè io mi sia messa così in tiro per questa sorta di incontro non riesco a capirlo. E' stata quasi un'esigenza che mi è esplosa dentro, come se volessi forzatamente dimostare di essere ancora all'altezza. Di cosa o di chi però non lo comprendo neppure io stessa.

 

Ci sono tre porte davanti a me, e pur non avendo indicazini precise busso istintivamente a quella sulla mia sinistra.

 

Avanti, si accomodi”

 

“Salve, buon pomeriggio, è lei la dottor...”


Sì, sono io, chi altri se no?” cominciamo bene, mi zittisce prima ancora che apra bocca, la cosa mi sta già sui nervi. “E' in ritardo di quasi quindici minuti lo sa?”

 

“Impossibile! Io sono sempre puntuale ad un appuntamento, è una mia prerogativa.” ma quando sollevo il polso sinistro per guardare l'ora noto che il quadrante del mio orologio è completamente rotto e le lancette ferme. Com'è possibile? E come ho fatto a non accorgermene?

 

Stavolta non lo è stata. Evidentemente voleva procastinare la nostra seduta, ma poi ha capito che non era possibile.” lo dice con una certa aria di soddisfazione e anche un piglio da perfetta stronza. Questa è una che vuole l'ultima parola, ma non ha capito che non ci metto niente a mandarla a fare in culo.

 

“Senta... non le nascondo che io neanche volevo venire qui a parlare con lei, secondo me è tempo perso. Non ho mai creduto che sdraiarmi su un lettino raccontando i fatti miei potesse aiutarmi.”

 

Allora perchè è qui?”

 

Già... perchè ero lì? Me lo stavo chiedendo anch'io per la prima volta, ma non sapevo dare quella risposta né a lei né a me stessa. Sentivo solo dentro di me che dovevo andare a fare questa cosa, che era inevitabile prima o poi. Speravo quanto meno di trarne almeno giovamento.

 

“Forse alla fine di quest'ora saprò darle una risposta. Ormai visto che sono qui tanto vale che lei faccia il suo lavoro e io il mio dovere.” Mi osservò attentamente con aria interrogativa. Probabilmente non credeva ad una sola parola di ciò che avevo detto, eppure mi indicò con la mano il lettino sul quale sdraiarmi.
Ed io lo feci. Mi misi comoda e respirai a fondo per smorzare il nervosismo. Sentivo i suoi occhi addosso e fu come se mi invitassero silenziosamente ad aprire i recessi più nascosti della mia memte.

 

Posso darti del tu?”

 

“Sì certo... nessun problema.”

 

Bene. Puoi fare altrettanto, servirà a mettere entrambe a proprio agio.”

 

Che persona atipica. Austera e sensuale allo stesso tempo, con quei capelli dai riflessi ramati che contrastavano in modo così netto con il suo completo nero che le fasciava una silhouette perfetta. Non avrei saputo dire di preciso quanti anni avesse, il suo volto aveva un che di antico misto all'innocenza di un fanciullo, era pressochè indecifrabile.

 

Allora sentiamo, cos'è che ti angoscia? Quali sono le cose che ti sei tenuta dentro e non hai mai voluto ammettere neppure a te stessa?”

 

“Io non ho sospesi ne segreti, la mia vita è come un libro aperto sotto gli occhi di tutti.”

 

Stai mentendo.” ribattè in modo secco.

 

“Cosa? Non sto mentendo. Cosa dovrei raccontarti? Della mia routine quotidiana, del mio matrimonio, dei miei figli, di come i miei sogni di ragazzina si siano pateticamente infranti quando sono rimasta incinta mandando tutto a puttane. Vuoi sentirmi buttare fango sulla mia vita e commiserarmi per poi dire quanto bene hai fatto il tuo lavoro. Beh scordatelo allora!” mi fermai di scatto serrando le labbra. Solo dopo alcuni secondi mi resi conto che avevo detto quelle cose urlando. “Chiedo scusa, non volevo alzare la voce.”

 

Lei si sciolse dalla sua iniziale postura rigida, come se avesse raggiunto il primo obbiettivo che si era prefissa.

 

Non importa, non c'è nessuno qui oggi, siamo solo io e te. Per quanto tu possa urlare... nessuno avrebbe niente da ridire.” non trovai nulla di confortante in quelle parole, ma preferii non pensarci.

 

“Senti... ma in queste sedute i medici come te non dovrebbero prendere appunti scritti o registrare le conversazioni in qualche modo?”

 

Non serve, ho buona memoria” rispose, accennando un sorriso, come se avessi detto una banalità “... tornando a noi, sei sempre stata così facile agli scatti d'ira?”

 

“Non è stato uno scatto d'ira. Mi sono solo sentita pressata dalle domande.”

 

Ma io te ne ho fatta solo una, il resto lo hai detto tutto tu.” eccola toranta lì la stronza che cerca di rivoltare le cose a suo vantaggio.

 

“Come se quelle come te non sapessero già quanto possa essere frustrante la vita di una persona che è costretta a parlare con voi pseudo dottori.”

 

Il primo passo per risolvere un problema è ammettere di averlo.”

 

“Le frasi fatte non funzionano con me, perdi tempo.”

 

Credimi... nessuno viene qui di propria volontà, ma una volta che ci arriva presto o tardi deve fare i conti con i suoi demoni. Tu li hai tenuti ben nascosti i tuoi, eppure alla fine hanno preso il sopravvento.”

 

No... non mi piace il gioco al quale questa donna vuole farmi abboccare. Continua ad osservarmi come se sapesse, come se conoscesse in anticipo se ciò che dico è menzogna o verità. Vuole che mi apra con lei per poi farmi la morale, so che è così.

“Per essere la prima volta che ci vediamo sembri sapere molto di più di quello che dai a vedere. Con chi hai parlato? Con mio marito, con mia madre?”

 

Non conosco nessuno di loro, non ancora almeno...”

 

“E' impossibile, mio marito mi ha stressata per mesi sul fatto che avrei dovuto vedere uno strizza cervelli. Se sono qui la colpa è sua.”

 

E tu non ne hai di colpe?”

 

Continuava con sottile maestria ad accusarmi velatamente, ciò mi confermava che qualcosa doveva conoscere di me, per forza.

“Non ho mai detto di essere una santa, ne una madre o moglie impeccabile. Ma ho cercato di fare del mio meglio... anche se forse non è stato abbastanza.”

 

Potevi dare di più? O potevi dare quel tanto che bastava, ma darlo meglio, con amore.”

 

“E tu che ne sai dell'amore?”

 

Molto poco in verità.”

 

“Ecco appunto. Allora non guardarmi con quell'aria accusatoria.”

 

Sto solo cercando di capire.”

 

“Beh non puoi! Non puoi se non ci sei passata. Io avevo un futuro, dei sogni, ma ho dovuto decidere. Decidere cosa fare della mia vita e di quella che portavo dentro di me. Nessuno mi ha detto come fare, nessuno mi ha detto come sarebbe stato, né una voce amica né tanto meno materna. Io ero solo una sgualdrina che doveva rimediare al suo errore...”

 

E lo è stato?”

 

“Cosa?”

 

Un errore”

 

Bella domanda quella, me l'ero chiesto anch'io, sempre. Da quando a diciassette anni smisi di uscire con le amiche e seguire i miei idoli musicali preferiti per imparare come sarebbe stato essere madre. Riposi forzati e sguardi di disappunto furono il pane quotidiano di quella mia adolescenza infranta. E neppure il matrimonio con il padre mia figlia lenì quella frattura che si era ormai aperta in me, divenendo una voragine.
Io che avrei voluto studiare lingue, fare l'interprete e viaggiare per il mondo, mi ritrovai a cambiare pannolini tutto il giorno tra poppate e tiralatte.

 

“Vuoi la verità? Sto ancora cercando di capirlo.” più cercavo di centellinare le parole più i suoi occhi verdi si piantavano addosso come non fossero mai sazi di ciò che buttavo fuori.

 

Perchè non sei onesta con te stessa? Ammettilo e può darsi che tu ti senta meglio dopo tanto tempo.”

 

“Cosa cazzo dovrei ammettere?!” si alzò dalla sedia e si diresse verso una delle ampie vetrate, cosa stesse guardando non riuscivo a capirlo, io vedevo solo una coltre pesante di nebbia che copriva qualsiasi veduta tutt'intorno.

 

Ammetti di aver riversato su tua figlia e tuo marito la tua frustrazione. Ammetti di essere una madre violenta e assente, una moglie anonima solo di comparsa. Non hai mai accettato il ruolo che ti è stato imposto e hai fatto pagare ai tuoi cari la tua perenne insoddisfazione.”

 

Stavolta fui io ad alzarmi dal lettino. La dottoressa sapeva troppe cose per essere un'anonima psichiatra, adesso toccava a me fare qualche domanda.
“Tu conosci troppo di me per essere la prima volta che mi vedi. Dimmi con chi dei miei hai parlato prima che ti mandi a quel paese ed esca da qui!”

 

Lei neanche si voltò a guardarmi “Ti ho già detto che non conosco i tuoi familiari...”

 

“Stronzate!”

 

Ma conosco te, o per meglio dire, quelle come te. Orgogliose ed egoiste fino al midollo, non ammetterai mai i tuoi sbagli o le tue colpe, meglio scaricare sugli altri i propri fallimenti. Non sei mai stata capace di vedere il buono della scelta che hai fatto, ma solo ciò che stavi perdendo. Neanche adesso il rimorso si palesa in te.”

 

“Rimorso? Ma di che parli. Ho cresciuto due figlie nel migliore dei modi, qualche sberla in più ha fatto loro solo del bene. L'amore è per i deboli, loro sono forti grazie alla rigidità che io gli ho inculcato. Non sono stata una moglie amorevole, ma neanche lui un marito fedele. Guardami... nonostante tutto non mi pare di essere da buttare, eppure per lui non ero mai abbastanza. Il rancore si è talmente radicato in me da non lasciare spazio ad altro.”

 

Neppure al perdono?”

 

“Io non devo chiedere perdono a nessuno, ne tanto meno darlo. Io sono quella che sono e non ho mai cercato di apparire migliore.”

 

Ma non hai neanche cercato di migliorarti aprendo il tuo cuore a qualcuno. Ti sei barricata dietro al tuo risentimento allontanando tutti...fino a ritrovarti da sola.”

 

In quel momento si voltò a guardarmi e per un attimo il suo viso mi trasmise un senso di vuoto e paura, come se stessi osservando il nulla sconfinato che mi ero creata intorno e che cercava di avvolgermi stritolandomi, e poi cos'era quel silenzio innaturale? Possibile che in un edificio così grande non si avvertisse il benchè minimo rumore. Ero stanca del suo giudizio, stanca di dovermi giustificare e di quel posto opprimente. Volevo andarmene...

 

“Non mi hanno voluto ascoltare quando volevo parlare con qualcuno. Si sono voltati dall'altra parte facendo finta di non vedere. Mi hanno fatto contare meno di zero, il mio era un errore da correggere e così hanno fatto. Da allora ho smesso di fare affidamento sugli altri, mi sono bastata da sola perchè da sola mi avevano lasciata. Avevo tanto amore da dare ma col tempo ho dimenticato come si fa... e adesso non ho più voglia di impararlo.”

 

Mi dispiace che tu pensi questo, e mi dispiace che tu ti sia arresa. Dovevi essere una bella persona un tempo...”

 

“Oh... ma lo sono ancora.”

 

Forse esteriormente, ma dentro sei morta da tempo.” lo disse molto seriamente, ma nella sua voce potevo percepire del rammarico. Non so cosa volesse ottenere da me, ma credo che si stesse arrendendo all'evidenza che non ci sarebbe mai riuscita.

 

“Certo che tu sai come tirare su i tuoi pazienti. Ti avevo anticipato che io non ero un tipo da psicanalizzare, però ammetto che parlare con te non è stato poi così male.”

 

Ma io non volevo psicanalizzarti. Il mio compito era un altro.”

 

“Qualunque fosse non mi interessa. Dovevo venire a parlare con te e l'ho fatto, per il resto non ho altro da dire.” non sapevo se l'ora che avevamo a disposizione fosse scaduta. Mi sembrava di essere lì da un tempo indefinito. Decisi lo stesso di raggiungere la porta, restare ancora per me non aveva senso.

 

Avevi detto che alla fine del nostro incontro mi avresti chiarito il perchè eri qui? Sei giunta ad una conclusione?”

 

Che patetico tentativo di trattenermi “Io... io non lo so, forse perchè mi è stato detto tante di quelle volte che alla fine ho ceduto.”

 

No, non è per questo.”

 

Adesso mi stava facendo incazzare davvero “Perchè credevano che parlare e aprirmi mi avrebbe fato bene.”

 

Credevano? No, non è nemmeno questo.”

 

Stavo per esplodere “Ok, lo credevo io, contenta?”

 

Già... tu lo credevi, ma quando ti metto di fronte a chi sei veramente tu cerchi sempre una scappatoia, devi sempre giustificarti. Anche adesso che non hai più tempo.”

 

Che diavolo voleva significare che non avevo più tempo? Che l'ora a disposizione era terminata? Figuriamoci... io no aspettavo altro.
“Ottimo dottoressa, se il tempo che avevamo è terminato non voglio certo rubargliene altro, quindi la saluto.”

 

Tu proprio non vuoi capire...”

 

Sospirai al limite dell'esasperazione “Cosa? Cosa dovrei capire? E chi dovrebbe aiutarmi a capire, lei? Anzi tu. Credi di poterti intrufolare nella mia testa e pasticciarci dentro come ti pare e piace. Sei l'ultima arrivata mia cara, e se non c'è riuscito nessun altro fino ad ora ci sarà un perchè.”

 

Stavo di nuovo urlando ma non mi importava, mi sentivo stanca e spossata come se stessi facendo uno sforzo incredibile. Sentivo il cuore in gola e la testa pulsare come un tamburo. Persino la sua figura, che lentamente si avvicinava, mi sembrava evanescente. Una massa scura che si muoveva in modo distorto e dalla quale distinguevo solo il colore acceso dei suoi capelli.

 

Eppure a volte è così semplice, basta davvero poco, anche un semplice 'mi dispiace' . Forse non avrebbe sistemato le cose ma avrebbe lenito la sofferenza che ti porti dentro e anche quella di chi ti sta intorno.”

 

“Ma di che parli... io non capisco?”

 

Ti ricordi come sei arrivata qui?”

 

Era una domanda ovvia, eppure feci uno sforzo immane nel ricordare cosa rispondere “Penso... si credo, no sono sicura, in macchina. Sì, in macchina.”

 

Lei mi sostenne per il braccio. Guardando e percependo il suo tocco improvviso mi accorsi che tremavo. “Ti ricordi chi c'era in macchina con te?” 

 

Ma che razza di domanda era? “Ero sola...” lei scosse la testa confutando quell'affermazione “... io non lo ero? Veramente non ricordo bene, davvero non ricordo.” e mi toccai la testa come ero solita fare quando mi riusciva difficile mettere a fuoco un evento. Una strana sensazione umida e calda drizzo i miei sensi, mi bastò guardarmi la punta delle dita per accorgermi che erano imbrattate di sangue.
“Ma cosa... cos'è questo? Da dove esce? Mi sono ferita, guarda? Guarda avanti, cosa vedi, c'è qualcosa? Parla dannazione, da dove viene questo sangue!”

 

Lei continuava a guardarmi senza dire una parola. D'improvvisò mi abbracciò, ed io smisi di agitarmi e tremare nonostante percepissi un insolito freddo.

 

Vieni seguimi. Possiamo anche uscire da qui adesso, il nostro tempo è finito.”

 

Fu lei a condurmi dolcemente verso la porta dalla quale ero entrata. Io mi mossi come un automa, sospinta da qualcosa che non comprendevo ma che sentivo inevitabile. Dovrei essere ferita eppure non percepisco nessun tipo di dolore, mi sento solo stanca, svuotata.

La porta si aprì e il corridoio che avevo percorso in precedenza adesso mi sembrava infinitamente più lungo di come lo ricordavo, come se non avesse fine.

 

“Dove stiamo andando?”

 

A casa” mi rispose, ed io sentii che potevo perdermi in quegli occhi così ipnotici.

 

“Chi c'era in macchina con me? Tu lo sai?” le chiedo

 

Sì lo so, ma lo sai anche tu. Solo che non vuoi ammetterlo a te stessa.”

 

Sì lo sapevo, l'avevo saputo fin dall'inizio. Da quando guardandomi il polso avevo visto l'orologio rotto. Io sapevo, ma negavo, io ho sempre negato.
“Anche lei tornerà a casa con me?”

 

No, lei resterà dov'è adesso. Non vi rivedrete tanto presto, mi dispiace.”

 

“Non importa, anzi è giusto così. E' solo che avrei voluto dirle che...avrei voluto avere...”

 

Più tempo? Ma lo hai avuto. Hai lottato strenuamente, perchè tu sei una che non si arrende. Eppure con le parole non sei mai stata brava.”

 

“E adesso?”

 

Adesso il tempo si è perso e tu devi seguirmi. Chiudi gli occhi e stringi la mia mano, sarà come stringere la sua e pur non parlando lei capirà.”

 

Ed io lo feci, e finalmente mi sentii in pace. Come se tutto il rancore provato e la rabbia repressa abbandonassero il mio corpo. Lei stava bene, in qualche modo, io lo sarei stata in un altro.

Continuo a camminare stringendo la mano alla figura al mio fianco. I rimpianti e i rimorsi non mi sono mai appartenuti e di sicuro non li porterò con me.

 

Almeno di me potranno dire che sono stata coerente con il mio modo di essere fino alla fine.






Sono tornata, stavolta con un'originale. Non so bene come definire questa storia, di sicuro so che mi sono lasciata guidare dall'ispirazione del momento. Come potete vedere per la prima volta in un mio racconto non ci sono nomi. Sono due donne che hanno un ruolo ben definito. Penso che il senso si sia capito, ci si accorge dei propri errori sempre quando è ormai troppo tardi, a volte neppure in quel caso. La protagonista è una donna ostinata, che si è barricata dietro ai rimpianti di ciò che non ha potuto avere, e si è persa tutto il resto. 
Non si è pentita mai realmente, neppure alla fine, le è costata cara questa sua ostica coerenza ma era giusto terminare il racconto così. Spero che vi sia piaciuta, per qualsiasi dubbio o perplessità chiedete pure. Grazie a chiunque passi da queste parti, a presto.







 

 

 

 

   
 
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