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Autore: BabaYagaIsBack    05/07/2020    0 recensioni
● Book II ●
In una notte Aralyn ha compiuto nuovamente l'impossibile, mettendo in ginocchio l'intero clan Menalcan. Ha visto ogni cosa intorno a sé macchiarsi del colore del sangue e andare distrutto - forse per sempre. Così, in fuga dai sensi di colpa e dal dolore che le schiaccia il petto, si ritrova a essere ancora una volta l'eroina del suo branco e il mastino al servizio del Duca, ma anche il nemico più odiato dai lupi del vecchio Douglas e l'oggetto di maggior interesse per il Concilio che, conscio di quale pericolo possano ora rappresentare i seguaci di Arwen, è intenzionato a fargliela pagare.
Ma qualcuno, tra i Purosangue, è disposto a tutto pur d'impedire che la giovane Aralyn Calhum venga punita; anche mettere a punto un "Colpo di Stato".
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Triangolo
Capitoli:
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12. Home

Casa non equivaleva più alla Tana. Il casermone ristrutturato in cui aveva passato gli ultimi anni era stato sostituito da un cascinale trasandato sui primi e lievi pendii liguri, lì dove la salsedine riusciva comunque ad arrivare e pizzicare il naso - un dettaglio che, sfortunatamente, non le piacque affatto. Il mare, ormai, aveva per lei un significato tutt'altro che piacevole e al posto di metterle il buonumore, glielo toglieva con fin troppa facilità.

Aralyn alzò gli occhi verso le finestre più alte, lì dove tende bianche si muovevano tra il dentro e il fuori dell'edificio facendosi cullare dal vento. Osservò quelle fessure nella speranza di veder spuntare un viso familiare, una voce amica, ma a parte qualche suono confuso in lontananza non riuscì a cogliere nulla. Ovunque i suoi occhi si posassero, non vi era niente che potesse definire come "familiare". Era straniera in terra estranea, eppure era proprio in quel posto che doveva tornare.

Storcendo le labbra notò come, sotto all'intonaco scrostato delle facciate, si potessero intravedere mattoni di un arancione slavato che i rampicanti avevano invano tentato di nascondere e, qua e là, alberi da frutta e qualche uliveto spiccavano rigogliosi, testimoniando l'assenza di inquilini da almeno un paio di primavere.

Arwen accanto a lei tirò un sospiro, catturando la sua completa attenzione. Doveva essere esausto, pensò, dopotutto con la sua gamba così rovinata guidare era più difficoltoso di quello che ci si sarebbe potuti aspettare e, seppure da metà viaggio in poi lei fosse riuscita ad accantonare per qualche momento i pensieri legati alla conversazione con Killian, non poteva certo affermare di essere stata di grande compagnia. Nelle poche soste gli aveva concesso un breve riposo, qualche tenera carezza o timido bacio, giusto per convincerlo a resistere sia al dolore sia al sonno, ma sapeva da sé che il tutto gli aveva richiesto uno sforzo non indifferente, soprattutto quando si erano trovati a fare i conti con il traffico e il gioco di freno e acceleratore era diventato fondamentale.

In punta di dita gli sfiorò lo zigomo, allontanando una ciocca. I suoi capelli altro non erano che fili di seta, accarezzavano l'epidermide solleticandola e tentando di fuggire, ma con premura lei riuscì a fissarli dietro la curvatura dell'orecchio, lì dove si accorse della mancanza di tutti gli orecchini che suo fratello era solito portare. I buchi erano spariti, come ci si sarebbe aspettato dalla guarigione repentina di cui il loro corpo soffriva, ma in un punto, uno solo, l'elice perdeva la sua rotondità per lasciare spazio a una frastagliatura - durante uno degli ultimi allenamenti con Dominick, quando ancora vivevano con il Duca, quell'idiota aveva attaccato l'amico con il chiaro intento di fargli male e, il risultato, era stato quel rovinoso ricordo.

«Casa?» chiese in un sussurro, sperando ancora di poter rivedere la stanza che per anni aveva chiamato sua. In qualche angolo di sé, la giovane sperò che allo sguardo successivo il cascinale tramutasse, diventando più simile alla Tana.
Arwen le afferrò le dita, portandosele alle labbra: «Casa» le assicurò, mandando in frantumi le sue speranze.

«Per quanto?»
«Finché non troveremo un'alternativa. Può essere qualche mese, oppure un paio d'anni».

Aralyn storse le labbra: «Questa zona dell'Italia non va bene per noi. Il confine con i territori di Ophelia è vicino, inoltre non ci sono molte aree boschive. Come faremo durante la Lu-»
«Ehi, frena!» Le sopracciglia di lui si corrugarono appena, e la sua espressione si fece tenera in un modo quasi innaturale, eppure armonioso con i suoi tratti: «L'Alpha sono io, è mio compito pensare al branco. Tu non devi far altro che goderti del meritato riposo».
«Okay, ma è colpa mia se-»
«Se nulla, Aralyn. Io ho la responsabilità di ognuno di voi, soprattutto di te, quindi accetta questo posto e il fatto che ora sei colei che ha spezzato l'egemonia dei Menalcan. Gioisci di questa vittoria e dimentica il resto, tutto il resto». 
Già, lei era la donna che aveva ucciso Douglas, la beniamina del Clan, la punta di diamante del Duca e, purtroppo, la lupa che sarebbe stata giudicata colpevole di aver agito contro il volere del Concilio - seppur inconsapevolmente e per una buona causa.

Peccato che di mezzo ci fossero solo leggi atte a difendere i Puri.

Mordendosi il labbro provò a convincersi di poter ignorare almeno qualcuno dei mille problemi che sembravano vorticarle attorno; in fin dei conti se Garrel, Marion e Fernando avevano scelto quel posto, in loro assenza, certamente non lo avevano fatto ignorando determinate necessità - dopotutto nessuno di loro era un inetto, facevano parte di quel branco da abbastanza tempo per conoscere ogni sua sfaccettatura. 
Poggiando i polpastrelli sulla maniglia e voltando lo sguardo verso la portiera,  Aralyn prese un lungo respiro, sforzandosi di scendere dalla vettura e abbandonare l'illusione di rivedere i luoghi che tanto le erano diventati cari; aveva sopportato tutte quelle ore di viaggio per arrivare sin lì, si era esposta ai pericoli peggior per rivedere ognuno di loro, perché esitare, quindi?

Suo fratello le lasciò muovere i primi passi fuori dall'abitacolo in totale solitudine, concedendosi ancora qualche istante di riposo e, quando lei si girò a guardarlo, lo vide rivolgerle un timido sorriso. I suoi tentativi di assecondarla erano così ovvi che per un attimo volle tornare indietro e dirgli di andare via, di restare soli ancora un po', in modo da ripagarlo per tutto ciò che stava facendo. Se lo meritava. Dopo tutte le peripezie a cui avevano fatto fronte, le lacrime versate e le pugnalate che si erano tirati era giusto che anche lui godesse di qualche gioia - mere soddisfazioni prima che lei sparisse per sempre dalla sua vita -, ma prima che potesse dirgli qualsiasi cosa, come uno scossone, un richiamo la riportò violentemente al presente.
Una voce acuta, rotta solo dalla commozione, la chiamò con eccessiva intensità.

Non le servì voltarsi per riconoscerne l'origine, in fin dei conti quel suono lo aveva udito decine di volte durante la sua vita; inoltre, non ebbe nemmeno modo di agire perché la stretta di Marion arrivò prima che lei potesse realmente rendersene conto.

L'impeto con cui le si scagliò contro quasi la sbatté contro la carrozzeria dell'auto a noleggio, ma ciò non fermò la donna dall'avvolgerla sia tra le sue braccia sia nella sua irruente chioma bionda. Il profumo di gelsomino divenne l'unico sentore capace di riempire le narici della lupa e l'umidità di un viso rigato dalle lacrime si fece inconfondibile premendosi contro il suo: «Ara!» La gioia dell'amica era palpabile, concreta quanto il suo corpo e Aralyn non poté impedirsi di essere sopraffare da una sensazione calda, un piacevole conforto che le fece socchiudere le palpebre e aggrapparsi a quegli avambracci abbronzati.

Era vera, si disse.
Era lì con lei, sana e salva - quanto poteva essere grata agli Dèi per una simile benedizione?

«I-io... t-t-ti credevo...» nonostante il caratteraccio e quella corazza con cui si vestiva ogni giorno da quando era diventata un licantropo, Marion si lasciò andare al pianto come una bambina. Nemmeno alla morte di Luke, o di qualsiasi altro suo spasimante, aveva mai versato così tante lacrime e soffocato i singulti - e finalmente, in quell'istante,  Aralyn seppe di essere tornata a casa. Lei, quel calore e chiunque si trovasse all'interno del cascinale erano il suo "posto", il luogo a cui avrebbe voluto far ritorno.

D'un tratto, altre braccia si unirono a loro, cingendole entrambe e stringendo sempre più. Il profumo di Garrel si unì a quello della bionda e per un lunghissimo momento rimasero lì, zitti a godersi la presenza l'uno dell'altro.

Quanto aveva desiderato tutto ciò? Quanto aveva voluto ritrovare un po' di serenità? Più di quello che si era resa conto.

«Voi due!» Chiamò Arwen: «Non stritolatela troppo, è ancora degente!» 
Li apostrofò con velata ironia, avvicinandosi abbastanza da venir inaspettatamente acciuffato dalle enormi mani dell'amico e compresso a sua volta nel gruppo, parte anche lui del sollievo collettivo. Fu forse la prima volta che un gesto di tale commozione e tenerezza coinvolse tutti loro, persino l'Alpha, eppure parve la cosa più naturale del mondo. La ragazza si crogiolò in mezzo a tanto affetto, si beò di ogni istante finché, infine, non venne il momento di separarsi.

Marion le accarezzò il viso, guardandola con occhi rossi di felicità e un sorriso tanto grande d'arrivare quasi alle orecchie: «Ce l'hai fatta, tesoro. Sei qui».
«Lo dubitavi?»
E a quella domanda, nuove lacrime presero a scendere copiosamente lungo le guance della donna che, visibilmente colpevole, annuì. Come darle torto, del resto? Chiunque, vedendo Aralyn, avrebbe dubitato che una cosetta soffice e delicata come lei potesse abbattere uno tra i licantropi più temuti degli ultimi cinquant'anni, eppure, anche se solo per fortuna, c'era riuscita - un miracolo, avrebbe detto qualcuno, e certamente lei non avrebbe potuto obiettare.

Aralyn le prese le mani tra le proprie: «Dopo sei anni di missioni insieme credevo avessi più fiducia in me!» Rise poi, cercando in tutti i modi di alleggerire il malumore che sembrava star provando ad avere la meglio e, quando le parve di esserci più o meno riuscita, con lo zaino in spalla e le dita dell'amica intrecciate con le sue prese ad arrancare verso l'edificio. Aveva voglia di rivedere anche gli altri, di stringersi ancora al corpo di qualche compagno e sentirsi bene, al sicuro.

Così, avanzando tra i ciottoli e i ciuffi d'erba, la giovane scorse altri piacevoli dettagli: alcune delle vetture che erano sempre state parcheggiate nel cortile del Clan, i panni stesi lungo fili di nylon, due tavoli ampi, coperti da tovaglie dalle fantasie differenti e, annessa, una moltitudine di sedie ora vuote - che fine aveva fatto il branco?

«Dove sono tutti?» chiese, buttando lo sguardo oltre la propria spalla, in modo da raggiungere gli uomini dietro di lei, visto che Marion pareva tutto, tranne che nelle condizioni per risponderle, troppo occupata a tirar su con il naso.
Garrel mosse lo sguardo altrove, verso quello che pareva essere un fienile: «C'è chi dorme, chi è in paese a cercare lavoro e chi invece non ha fatto ritorno, inoltre qui c'è solo la parte di noi che ha lottato».

I piedi di Aralyn si fermarono e lei, con le palpebre spalancate, si volse del tutto nella direzione dell'uomo: «Abbiamo avuto perdite? Molte? E... e gli altri?»
Lo sguardo dell'energumeno andò a terra, poi su Arwen. Si fissarono qualche istante in silenzio, cercando di interpretare l'espressione l'uno dell'altro e dopo, con uno sbuffo stanco, si volse verso di lei: «Meno di quelle che avremmo potuto, ma non così scontate come avremmo sperato. Il resto del branco è in viaggio con gli uomini di Carlyle. Lui... può proteggerli meglio di noi al momento».

Il cuore della lupa parve farsi pesante, un macigno in mezzo al petto. Per un attimo temette di ritrovarsi senz'aria: «Che intendi dire?»

La bionda al suo fianco le accarezzò un braccio, provando a farle interrompere il contatto visivo con Garrel: «Dolcezza, ne parliamo poi. Siete stanchi, dovete sistemarvi e -»
Ma Aralyn non demorse e, strappandosi via dalla presa di lei, tornò alla carica: «Sono i gemelli? E' successo qualcosa a Eike e Hugo?»

L'uomo tacque, anche se il suo viso si lasciò piegare in una smorfia tutt'altro che rassicurante.

No, pensò. Non voleva credere all'idea che qualcuno dei suoi più cari amici fosse morto per lei, per ciò che non aveva potuto far altro che subire, per il tradimento fatto ad Arwen - e inevitabilmente il suo sguardo calò sull'albino. La stava fissando. Oro nell'oro. Algido come lo aveva visto essere in decine di occasioni, suo fratello era tornato a vestire i panni dell'uomo che, nel Clan, era sempre stato. Non una smorfia ne tradiva l'austerità, non una lacrima accennava a cadere. Era freddo e distante, esattamente come lei non avrebbe mai voluto che fosse, soprattutto in quel momento.

Sprogendosi, si aggrappò con le unghie alla t-shirt di Garrel. Lui le avrebbe risposto. A furia di esortarlo e di fronte ai suoi occhi umidi non si sarebbe mai tirato indietro, avrebbe rivelato ciò che di così tragico le stavano nascondendo, ne era certa.

«Garrel, ti prego! Stanno bene?»

Lui si morse il labbro, forse costringendosi a resistere: «Abbiamo tempo, per parlare delle perdite» soffiò, visibilmente turbato, ma per lei non ci sarebbe stata alcuna fine sino al momento in cui le avrebbero risposto - era suo diritto conoscere la verità.
«Chi cazzo è morto, Garrel!?» La voce di Aralyn tuonò nel portico, riecheggiando nello spazio che avevano attorno. La sua domanda parve squarciare la tranquillità in cui quel cascinale se ne stava, arrivando forte e chiaro a chiunque si trovasse lì.

Lei doveva sapere, si disse.
Doveva conoscere coloro che aveva condannato insieme a sé stessa. Sentiva l'annichilante necessità di prendersi le proprie responsabilità, piangere i caduti, dar loro i giusti onori e pregarli di non odiarla.

Come potevano negarglielo?

E poi, dal nulla più assoluto, fu proprio la voce di uno dei due fratelli Vogel a confessare: «Fernando. Lo ha ammazzato Gabriel Menalcan».

Fernando.

Assordante, il silenzio provò a farle scoppiare la testa.

La giovane sgranò gli occhi, tanto da sentirli bruciare.
Non poteva essere vero, non doveva.

Lui l'aveva salvata dai nemici, l'aveva protetta. Lui si era stretto a lei e aveva pianto il suo dolore sotto al getto bollente di una doccia, si era fatto complice di un vuoto che Aralyn non voleva sentire e di cui non sapeva come liberarsi. L'aveva coccolata, allenata. L'aveva sorridere persino nei giorni più tristi - non poteva essersi fatto uccidere così.

Furente, si lanciò contro Hugo: «Puttanate!» sbraitò, ottenebrata dall'incredulità e dal troppo dolore interiore per avvertire la pelle tirarsi e i pochi punti presenti nella carne spezzarsi. Non voleva credere che lui, proprio lui, fosse stato l'uomo a subire gli effetti collaterali di uno scontro iniziato a causa sua - perché seppur avessero rischiato l'osso del collo altre volte, quella era diversa, non c'erano gli ideali perbenisti del Duca a scusare simili sacrifici, ma solo i suoi sbagli.
Con i connotati distorti da una mezza mutazione, la lupa l'afferrò per il bavero della camicia, schiacciandolo al muro: «Non osare dire simili puttanate!»

Stringeva e ringhiava.
Tremava di rabbia e scongiurava ogni divinità di far sì che si trattasse solo di un pessimo scherzo.

«Non lo sono!» Controbatté lui, senza però reagire all'aggressione - dopotutto, forse meglio di lei, si rendeva conto della situazione in cui si trovavano: «Dannazione, Ara, non lo sono!» Inoltre, da umano, Hugo non avrebbe mai osato sfiorarla nemmeno con un dito, troppo riconoscente per permettersi una simile mancanza di rispetto.

«M-ma... Fernando... lui...»

Non era una bugia, si rese sempre più conto. Lo sguardo del ragazzo era tanto duro da parlare di pura e semplice realtà - perché la sofferenza non mente mai, le ricordò la mente.

Fu come ricevere un pugno al centro del petto, Aralyn poté quasi avvertire l'impatto.

Chi aveva creduto non potesse essere abbattuto era stato, invece, seppellito - e chi aveva pregato morisse, era vivo e vegeto e le stava stringendo il cappio intorno alla gola.

Come aveva fatto a non pensare a quell'eventualità? Come aveva fatto a credere che sarebbe tornata e tutti, ma proprio tutti, l'avrebbero accolta e festeggiato con lei?
Fernando aveva cercato di proteggerla dal maggiore dei figli di Douglas, l'aveva allontanato per permetterle di fuggire o aiutare Arwen; perché, quindi, quando aveva visto Gabriel tornare verso di lei, muovendosi senza grosse difficoltà sulle proprie gambe, non aveva ricollegato i fatti?

Lenta, allentò la presa sul ragazzo, tornando poi alla forma più umana di sé. Rimase immobile e confusa, incapace di concretizzare realmente quella notizia - anche se sapeva essere vera - e poi, a strapparla dallo stato di momentanea trance in cui era caduta, tornò la voce di Hugo: «Merda! C'è sangue. Aralyn? Aralyn, stai perdendo sangue! Arwen, non so che succede!» La preoccupazione era palpabile, risuonava attorno a lei con eccessiva forza, così abbassò lo sguardo nella medesima direzione in cui lui era rivolto e, sul grigio della maglia, nella parte bassa, vide una piccola chiazza scura. Forse aveva fatto male a lasciarsi trasportare a quel modo, eppure non era riuscita a fare altrimenti. Ad ogni modo però, quel futile dettaglio parve non destare in lei alcuna reazione; in fin dei conti cosa erano poche gocce, se confrontate allo scempio che doveva essere stato il corpo di Fernando dopo lo scontro?

   
 
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