CAPITOLO UNDICI
“Di qualunque cosa
siano fatte
le nostre anime,
la mia e la tua
sono fatte della stessa
cosa”.
Emily Bronte.
Sono le stesse, identiche scene che si susseguono. Come se,
ancora una volta, la mia vita fosse un loop.
Il trio di sconosciuti che di recente la stanno influenzando
di più? G, anche se a distanza e lo vedo raramente. Però lo penso in
continuazione. Alice e Mario, due persone con cui non ho nulla da condividere
se non una piacevole mezzoretta di vuoto sesso di tanto in tanto.
Nel complesso, nessuno ancora che lasci un segno tangibile in
me. Ed io che devo cambiare, che lo desidero ora più che mai, poiché ho toccato
il fondo della mia giovane vita senza morale e senza valori, fatta di carne e
solitudine e ben a secco di sentimenti veri e magari reciproci.
Ma… se nulla di tutto ciò fosse come sembra? Se questo fosse
un teatrino fatto di personaggi in carne ed ossa, e non solo di maschere che
nascondono esclusivamente i visi?
Alice sembra che inizi a sbottonarsi con me. Dopo un inizio
di rapporto basato solo sul bisogno di entrambi di fare certe cose, e a seguito
della mia lotta interiore per controllare la mia bisessualità, la donna sembra
che sia riuscita a trovare a sua volta un equilibrio interiore.
È entrata in intimità con me e non importa la differenza
d’età, mi considera un suo pari.
Da quando mi ha fatto riflettere su quanto io sia coglione a
concentrarmi solo sulla mia sofferenza interiore, e su quante altre persone
abbiano dei vuoti dentro come i miei, o addirittura più abissali, mi ritrovo a
pensare che non solo sono molto egoista, ma ho anche un bel paraocchi.
Forse non era davvero una fine, la mia; forse non so nemmeno
cosa sia una fine.
Resta il fatto che lei mi dà fiducia e di recente ha sempre
più bisogno di me. Passa spesso nel negozietto, la incrocio durante le mie
camminate, la vedo al bar, mi passa a salutare quando sono nel campo.
Ora io voglio solo mantenere una discreta freddezza, lei ha
già una famiglia e finché tutto resta su un piano carnale può andar bene, ma se
si va oltre no. Non può esserci nulla tra noi.
Eppure, Alice sembra non darmi un attimo di tregua, di
recente.
Sono nel campo a raccogliere le verdure mature, ma lei non si
fa scrupoli di saltare il fosso che ci separa e a raggiungermi. Noto
immediatamente che qualcosa non va; gli occhi sono gonfi e arrossati, il viso
tirato. Non è il solito volto sereno e spensierato, da giovane donna, che la
caratterizza.
“Alex, c’è una cosa che non ti ho mai detto e che invece
vorrei dirti. Penso che sia il momento giusto” esordisce, mentre ancora io la
osservo con perplessità.
“Non ora, non qui” sancisco con la mia solita freddezza,
tornando a chinarmi sugli ortaggi.
“Adesso e qui”.
Con forza si china su di me e mi strattona, per farmi alzare
in piedi.
Ci resto malissimo.
Rialzandomi e allontanando il suo contatto, all’inizio provo
un forte senso di rabbia e vorrei solo urlarle cazzo vuoi, vattene, o robe
così. Poi mi rendo conto di quanto sia sconvolta e di quanto stia soffrendo; è
evidente che ha davvero bisogno di dirmi qualcosa. Tanto vale che l’assecondi,
così me la levo al più presto dalle palle, prima che qualcun altro possa
vederci e mugugnare.
La nostra realtà è piccola e bigotta, anche i muri hanno
occhi e orecchie. Tutto può essere pericoloso.
“Dimmi, allora” mugugno, tenendo a freno il mio nervosismo.
“Ti ho già detto che ho qualcosa che mi fa male, che mi brucia
dentro, come fosse un cancro che mi prosciuga” narra, imperterrita.
Resto ancora di pietra.
“Vieni con me” sembra ripensarci. Perde motivazione a parole,
però mi prende per mano e mi incita a seguirla verso il vicino fienile.
Lì, al riparo da occhi indiscreti, mi abbraccia e inizia a
piangere.
“Ti ho detto che ti amo, Alex, ricordi?”
Non attende una mia risposta.
“Ti amo perché tu mi dai ciò che il mio compagno non mi offre
più. Sei così bello e giovane, così com’era lui solo qualche anno fa, prima che
la nostra favola si tramutasse in un incubo”.
Trovo la forza per stringerla a me, lasciandola sfogare.
“Sono vittima di violenze domestiche” dice, infine, tra le
lacrime.
D’improvviso avverto tutto il dolore con cui mi ha detto
queste parole, eppure così desiderose di essere pronunciate, e capisco quanto
Alice debba tenere a me. Non so bene in che senso, non so se si fida soltanto,
oppure ha bisogno di parlare ed io sono il primo che le è capitato a tiro, ma
penso di no… inizio a credere che qualcosa per lei sia cambiato verso di me, e
ciò mi spaventa.
“Non devi dirlo a me, allora. Io non posso aiutarti, se è così.
Denuncia” affermo, cercando di dimostrarmi ancora una volta piuttosto
distaccato, ma non so se ci riesco.
“Credi che sia facile? Mio marito è un uomo che ha la
mentalità di una volta. La donna deve essere sottomessa e stare in silenzio. Se
lo denuncio, mi ammazza sicuramente”.
“Non dire così, so che sei forte”.
“Lui lo è di più”.
Affossa la sua testa nel mio petto e smette di piangere.
Finalmente la sento più serena.
“Ora va meglio?”
Ma lei non mi risponde; mi bacia.
“Andrà meglio quando torneremo a vederci…” estrae un piccolo
specchio dalla tasca dei calzoni e controlla il viso, sistemandosi i capelli,
“…tu sei la mia ancora di salvezza. Non cambiare mai” e se ne va, lasciandomi
così in sospeso.
La vedo allontanarsi di corsa, sperando magari che suo marito
non sospetti nulla e che i vicini o qualche passante non ci abbiano visti
assieme. La vita è molto triste e spietata, molte volte.
Resto ancora per qualche istante a fissare la sua figura in
allontanamento, già lungo la strada, a passo svelto…
… Alice è un personaggio rivelazione nella mia vita. Va a
finire che si mostra appieno a me, al costo di condannarmi a condividere con
lei le sue pene.
Che vuol dire essere vittima di violenze domestiche? Al
giorno d’oggi, la violenza purtroppo assume tante forme.
Che suo marito la picchi? Non ho mai notato lividi sul suo
corpo, ma è anche vero che lo facciamo in fretta e mai totalmente nudi. Chi lo
sa.
Però… ora ci sto male per lei, e anche se non vorrei, la
penso spesso e penso anche alla sua condizione. Ciò mi rende particolarmente triste,
più di quel che già sono per natura.
“Stare con te mi riporta indietro nel tempo”.
E’ Mario a parlare, questa volta. E come dargli torto? Lui
l’anima l’ha perduta anni fa, oppure forse non l’ha mai avuta. Ha la passione
per lo svestirsi, non so se lo fa anche con sua moglie o è solo una perdizione
rivolta agli uomini.
Quando può si sveste e mi stringe forte a sé, avverto l’odore
della sua pelle, che di sera è sul sudaticcio. Ma non mi dispiace affatto.
“Sei una boccata di aria fresca per me, Alex. Non mi
stancherò mai di dirtelo”.
“Tu non mi sfrutti a dovere; ogni tua parola per me sarebbe come
un ordine” aggiunge, al cospetto del mio silenzio costante.
“Io non voglio niente da te” sussurro, amichevolmente.
“Lo so che sei buono e generoso, ma fatti furbo o non farai
mai carriera” e così dicendo mi picchietta dolcemente le dita sulla testa. Lo
lascio fare.
Se per fare carriera intende diventare un marito fedifrago e
infedele, oppure prostituirmi per avere qualcosa in cambio, allora si sbaglia
di grosso. Sono una merda di persona, certo, ma non fino a questo punto.
“Ti amo tanto e tu nemmeno te ne accorgi…” queste le sue
ultime parole, prima di stringermi a sua volta a sé. Una magia che mi infonde
una dolcezza che da quell’uomo di ghiaccio mai mi aspetto.
Anche i suoi occhi cambiano, quando è con me. Non so questo
quanto sia dovuto alla lussuria, eppure sembra che anche lui sia molto affezionato
a me, più di questa stretta tra corpi.
Va a finire che sia lui e sia Alice sono i due personaggi
rivelazione di questo mio teatrino corrotto, che non funziona. E chissà se mi
faranno affondare nelle sabbie mobili che li circondano, dato che tutti e tre
in fondo stiamo giocando col fuoco del Destino.
Eppure, vorrei dire a entrambi che in fondo io resto fedele
al mio G… il fantomatico G, che tanto raramente incontro e che tanto mi ha
segnato…
Rientro a casa, ceno
con la mia famiglia e mi accingo ad andare a letto.
Inutile ripetermi che
sono vinto da ciò che è accaduto. Io in quella clinica non ci metterò mai più
piede, è un luogo dell’orrore. Ci credo che il povero senatore si è suicidato
subito.
Senza più alcuna spinta
per andare avanti, lascio che i miei figli vadano a letto e do la buona notte
anche a mia moglie; tutti loro hanno capito che qualcosa è andato storto oggi,
dal mio mutismo e dalla mia rassegnazione, però nessuno ha avuto il coraggio di
chiedere qualcosa a riguardo. Sono contento che loro mi capiscano e mi
rispettino così tanto.
Mentre guardo la tv da
solo, la notte si fa fonda.
E… qualcuno bussa alla
porta.
M’irrigidisco, ma il
mio istinto da agente mi spinge subito a dirigermi verso di essa. Con
circospezione e con il cuore che batte forte, guardo attraverso l’apposita
lente.
Quello che scorgo non è
un ladro, né un vicino e neppure uno sconosciuto. È un viso che riconosco
facilmente; il volto dell’infermiera della clinica psichiatrica, che mi ha
fatto entrare ad ambo le mie visite.
Apro subito la porta.
“Non sono qui per delle
chiacchiere, agente speciale Barley. Tenga e ne faccia buon uso…” la giovane mi
porge un plico duro di fogli e materiale vario. “…la chiave del suo caso”.
Stringo tutto al petto
e lei già mi volge le spalle e corre via, singhiozzando.
“Ma che accidenti
succede…” mugugno, poi scrollando la testa richiudo immediatamente la porta
alle mie spalle.
Appoggio il plico sul
tavolino a fianco dell’ingresso e trovo subito un foglietto con una scritta
chiara e dalla parvenza femminile, pure sottolineata.
Qualcuno di potente la
sta aiutando tantissimo, agente speciale Barley. Faccia buon uso di questi
documenti e utilizzi il cervello.
Poche parole, frasi
nette.
Con le mani che tremano
mi metto a sfogliare alcuni fogli dalla parvenza innocua, ma leggendo solo alcune
righe qua e là resto colpito da ciò che riportano. All’improvviso, mi rendo
conto dell’infinita portata di ciò che mi è stato consegnato.
Ma quella ragazza come
faceva a sapere dove abito? Perché poi consegnarmi tutto ciò? Le mie domande
passano subito in secondo piano, poiché tutta la mia attenzione si concentra su
ciò che ho tra le mani; la svolta, qualcosa di sensazionale.