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Autore: alessandroago_94    05/07/2020    15 recensioni
Alex è un giovane uomo pieno di dubbi e di voglia di mettere in carreggiata la propria vita, che spesso gli appare senza senso. È infatti vittima di un’ossessione, quella riguardante una persona idealizzata, o forse un suo stesso personaggio inventato; il fantomatico G.
Alla ricerca costante di questa persona si aggiunge una ricerca interiore, quella riguardante sé stesso.
Nel frattempo, dall’altra parte del mondo, l’agente James Barley, prossimo al pensionamento, si ritrova immischiato in una vicenda quasi assurda. Immerso in una società dell’orrore dove regnano bugie e disonestà, e dove sono solo i soldi a fare la differenza tra gli esseri umani, indagherà a riguardo di una clinica privata in cui si effettuano strani e proibiti esperimenti.
Le due vicende si intrecciano, anche se non si incontrano mai definitivamente. Possibile che anche questo racconto sia tutta una grande bugia? Un Limbo, appunto. Un Limbo dei Bugiardi. Un luogo immaginario in cui regnano solo le maschere.
Genere: Azione, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo undici

CAPITOLO UNDICI

 

 

 

 

 

 

“Di qualunque cosa siano fatte

le nostre anime,

la mia e la tua

sono fatte della stessa cosa”.

Emily Bronte.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sono le stesse, identiche scene che si susseguono. Come se, ancora una volta, la mia vita fosse un loop.

Il trio di sconosciuti che di recente la stanno influenzando di più? G, anche se a distanza e lo vedo raramente. Però lo penso in continuazione. Alice e Mario, due persone con cui non ho nulla da condividere se non una piacevole mezzoretta di vuoto sesso di tanto in tanto.

Nel complesso, nessuno ancora che lasci un segno tangibile in me. Ed io che devo cambiare, che lo desidero ora più che mai, poiché ho toccato il fondo della mia giovane vita senza morale e senza valori, fatta di carne e solitudine e ben a secco di sentimenti veri e magari reciproci.

Ma… se nulla di tutto ciò fosse come sembra? Se questo fosse un teatrino fatto di personaggi in carne ed ossa, e non solo di maschere che nascondono esclusivamente i visi?

 

Alice sembra che inizi a sbottonarsi con me. Dopo un inizio di rapporto basato solo sul bisogno di entrambi di fare certe cose, e a seguito della mia lotta interiore per controllare la mia bisessualità, la donna sembra che sia riuscita a trovare a sua volta un equilibrio interiore.

È entrata in intimità con me e non importa la differenza d’età, mi considera un suo pari.

Da quando mi ha fatto riflettere su quanto io sia coglione a concentrarmi solo sulla mia sofferenza interiore, e su quante altre persone abbiano dei vuoti dentro come i miei, o addirittura più abissali, mi ritrovo a pensare che non solo sono molto egoista, ma ho anche un bel paraocchi.

Forse non era davvero una fine, la mia; forse non so nemmeno cosa sia una fine.

Resta il fatto che lei mi dà fiducia e di recente ha sempre più bisogno di me. Passa spesso nel negozietto, la incrocio durante le mie camminate, la vedo al bar, mi passa a salutare quando sono nel campo.

Ora io voglio solo mantenere una discreta freddezza, lei ha già una famiglia e finché tutto resta su un piano carnale può andar bene, ma se si va oltre no. Non può esserci nulla tra noi.

Eppure, Alice sembra non darmi un attimo di tregua, di recente.

Sono nel campo a raccogliere le verdure mature, ma lei non si fa scrupoli di saltare il fosso che ci separa e a raggiungermi. Noto immediatamente che qualcosa non va; gli occhi sono gonfi e arrossati, il viso tirato. Non è il solito volto sereno e spensierato, da giovane donna, che la caratterizza.

“Alex, c’è una cosa che non ti ho mai detto e che invece vorrei dirti. Penso che sia il momento giusto” esordisce, mentre ancora io la osservo con perplessità.

“Non ora, non qui” sancisco con la mia solita freddezza, tornando a chinarmi sugli ortaggi.

“Adesso e qui”.

Con forza si china su di me e mi strattona, per farmi alzare in piedi.

Ci resto malissimo.

Rialzandomi e allontanando il suo contatto, all’inizio provo un forte senso di rabbia e vorrei solo urlarle cazzo vuoi, vattene, o robe così. Poi mi rendo conto di quanto sia sconvolta e di quanto stia soffrendo; è evidente che ha davvero bisogno di dirmi qualcosa. Tanto vale che l’assecondi, così me la levo al più presto dalle palle, prima che qualcun altro possa vederci e mugugnare.

La nostra realtà è piccola e bigotta, anche i muri hanno occhi e orecchie. Tutto può essere pericoloso.

“Dimmi, allora” mugugno, tenendo a freno il mio nervosismo.

“Ti ho già detto che ho qualcosa che mi fa male, che mi brucia dentro, come fosse un cancro che mi prosciuga” narra, imperterrita.

Resto ancora di pietra.

“Vieni con me” sembra ripensarci. Perde motivazione a parole, però mi prende per mano e mi incita a seguirla verso il vicino fienile.

Lì, al riparo da occhi indiscreti, mi abbraccia e inizia a piangere.

“Ti ho detto che ti amo, Alex, ricordi?”

Non attende una mia risposta.

“Ti amo perché tu mi dai ciò che il mio compagno non mi offre più. Sei così bello e giovane, così com’era lui solo qualche anno fa, prima che la nostra favola si tramutasse in un incubo”.

Trovo la forza per stringerla a me, lasciandola sfogare.

“Sono vittima di violenze domestiche” dice, infine, tra le lacrime.

D’improvviso avverto tutto il dolore con cui mi ha detto queste parole, eppure così desiderose di essere pronunciate, e capisco quanto Alice debba tenere a me. Non so bene in che senso, non so se si fida soltanto, oppure ha bisogno di parlare ed io sono il primo che le è capitato a tiro, ma penso di no… inizio a credere che qualcosa per lei sia cambiato verso di me, e ciò mi spaventa.

“Non devi dirlo a me, allora. Io non posso aiutarti, se è così. Denuncia” affermo, cercando di dimostrarmi ancora una volta piuttosto distaccato, ma non so se ci riesco.

“Credi che sia facile? Mio marito è un uomo che ha la mentalità di una volta. La donna deve essere sottomessa e stare in silenzio. Se lo denuncio, mi ammazza sicuramente”.

“Non dire così, so che sei forte”.

“Lui lo è di più”.

Affossa la sua testa nel mio petto e smette di piangere. Finalmente la sento più serena.

“Ora va meglio?”

Ma lei non mi risponde; mi bacia.

“Andrà meglio quando torneremo a vederci…” estrae un piccolo specchio dalla tasca dei calzoni e controlla il viso, sistemandosi i capelli, “…tu sei la mia ancora di salvezza. Non cambiare mai” e se ne va, lasciandomi così in sospeso.

La vedo allontanarsi di corsa, sperando magari che suo marito non sospetti nulla e che i vicini o qualche passante non ci abbiano visti assieme. La vita è molto triste e spietata, molte volte.

Resto ancora per qualche istante a fissare la sua figura in allontanamento, già lungo la strada, a passo svelto…

 

… Alice è un personaggio rivelazione nella mia vita. Va a finire che si mostra appieno a me, al costo di condannarmi a condividere con lei le sue pene.

Che vuol dire essere vittima di violenze domestiche? Al giorno d’oggi, la violenza purtroppo assume tante forme.

Che suo marito la picchi? Non ho mai notato lividi sul suo corpo, ma è anche vero che lo facciamo in fretta e mai totalmente nudi. Chi lo sa.

Però… ora ci sto male per lei, e anche se non vorrei, la penso spesso e penso anche alla sua condizione. Ciò mi rende particolarmente triste, più di quel che già sono per natura.

 

“Stare con te mi riporta indietro nel tempo”.

E’ Mario a parlare, questa volta. E come dargli torto? Lui l’anima l’ha perduta anni fa, oppure forse non l’ha mai avuta. Ha la passione per lo svestirsi, non so se lo fa anche con sua moglie o è solo una perdizione rivolta agli uomini.

Quando può si sveste e mi stringe forte a sé, avverto l’odore della sua pelle, che di sera è sul sudaticcio. Ma non mi dispiace affatto.

“Sei una boccata di aria fresca per me, Alex. Non mi stancherò mai di dirtelo”.

“Tu non mi sfrutti a dovere; ogni tua parola per me sarebbe come un ordine” aggiunge, al cospetto del mio silenzio costante.

“Io non voglio niente da te” sussurro, amichevolmente.

“Lo so che sei buono e generoso, ma fatti furbo o non farai mai carriera” e così dicendo mi picchietta dolcemente le dita sulla testa. Lo lascio fare.

Se per fare carriera intende diventare un marito fedifrago e infedele, oppure prostituirmi per avere qualcosa in cambio, allora si sbaglia di grosso. Sono una merda di persona, certo, ma non fino a questo punto.

“Ti amo tanto e tu nemmeno te ne accorgi…” queste le sue ultime parole, prima di stringermi a sua volta a sé. Una magia che mi infonde una dolcezza che da quell’uomo di ghiaccio mai mi aspetto.

Anche i suoi occhi cambiano, quando è con me. Non so questo quanto sia dovuto alla lussuria, eppure sembra che anche lui sia molto affezionato a me, più di questa stretta tra corpi.

Va a finire che sia lui e sia Alice sono i due personaggi rivelazione di questo mio teatrino corrotto, che non funziona. E chissà se mi faranno affondare nelle sabbie mobili che li circondano, dato che tutti e tre in fondo stiamo giocando col fuoco del Destino.

 

Eppure, vorrei dire a entrambi che in fondo io resto fedele al mio G… il fantomatico G, che tanto raramente incontro e che tanto mi ha segnato…

 

Rientro a casa, ceno con la mia famiglia e mi accingo ad andare a letto.

Inutile ripetermi che sono vinto da ciò che è accaduto. Io in quella clinica non ci metterò mai più piede, è un luogo dell’orrore. Ci credo che il povero senatore si è suicidato subito.

Senza più alcuna spinta per andare avanti, lascio che i miei figli vadano a letto e do la buona notte anche a mia moglie; tutti loro hanno capito che qualcosa è andato storto oggi, dal mio mutismo e dalla mia rassegnazione, però nessuno ha avuto il coraggio di chiedere qualcosa a riguardo. Sono contento che loro mi capiscano e mi rispettino così tanto.

Mentre guardo la tv da solo, la notte si fa fonda.

E… qualcuno bussa alla porta.

M’irrigidisco, ma il mio istinto da agente mi spinge subito a dirigermi verso di essa. Con circospezione e con il cuore che batte forte, guardo attraverso l’apposita lente.

Quello che scorgo non è un ladro, né un vicino e neppure uno sconosciuto. È un viso che riconosco facilmente; il volto dell’infermiera della clinica psichiatrica, che mi ha fatto entrare ad ambo le mie visite.

Apro subito la porta.

“Non sono qui per delle chiacchiere, agente speciale Barley. Tenga e ne faccia buon uso…” la giovane mi porge un plico duro di fogli e materiale vario. “…la chiave del suo caso”.

Stringo tutto al petto e lei già mi volge le spalle e corre via, singhiozzando.

“Ma che accidenti succede…” mugugno, poi scrollando la testa richiudo immediatamente la porta alle mie spalle.

Appoggio il plico sul tavolino a fianco dell’ingresso e trovo subito un foglietto con una scritta chiara e dalla parvenza femminile, pure sottolineata.

Qualcuno di potente la sta aiutando tantissimo, agente speciale Barley. Faccia buon uso di questi documenti e utilizzi il cervello.

Poche parole, frasi nette.

Con le mani che tremano mi metto a sfogliare alcuni fogli dalla parvenza innocua, ma leggendo solo alcune righe qua e là resto colpito da ciò che riportano. All’improvviso, mi rendo conto dell’infinita portata di ciò che mi è stato consegnato.

Ma quella ragazza come faceva a sapere dove abito? Perché poi consegnarmi tutto ciò? Le mie domande passano subito in secondo piano, poiché tutta la mia attenzione si concentra su ciò che ho tra le mani; la svolta, qualcosa di sensazionale.

   
 
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