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Autore: Moonfire2394    05/07/2020    0 recensioni
I genitori di Leona e Gabriel vengono uccisi brutalmente da un trio misterioso di vampiri in cerca delle mitiche "reliquie". Dopo il tragico evento, verranno accolti al campo Betelgeuse, un luogo dove quelli come loro, i protettori, vengono addestrati per diventare cacciatori di creature soprannaturali. In realtà loro non sono dei semplici protettori, in loro alberga l'antico potere dei dominatori degli elementi naturali: imedjai. Un mistero pero' avvolge quell'idilliaco posto e il subdolo sire che lo governa: le strane sparizioni dei giovani protettori. Guidata dalla sete di vendetta per quelli che l'avevano privata dei suoi cari, Leona crescerà con la convinzione che tutti i vampiri siano crudeli e assetati di sangue. Fino a quando l'incontro con uno di loro, il vampiro Edward Cullen, metterà sottosopra tutto quello in cui ha sempre creduto facendo vacillare l'odio che aveva covato da quando era bambina. Questo incontro la porrà di fronte a una scelta. Quale sarà il suo destino?
Una storia di avventura, amicizia e giovani amori che spero catturi la vostra attenzione:)
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio
Note: Movieverse | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Precedente alla saga
Capitoli:
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CAPITOLO 32 – La prova dello scrigno

«Ma guardati, una così giovane e bella ragazza ridotta ad un abulico involucro privo di emozioni. Pensavo che una figura a te familiare ti avrebbe messa a tuo agio, invece non fai che ingrigire i tuoi occhi ricolmi di sfiducia e odio…» pigolò la sovrana bivaccandosi elegantemente su una roccia incavata a ridosso di una rupe. La luna che imperava sul cielo color malva offuscato da un corridoio di nebbia, gettò fievoli lame di luci argentate sulle sue guance. Il profumo resinoso di abeti risvegliò l’olfatto di Leona, portandola ad acuire tutti i suoi sensi.
«Non hai forse gradito rivedere tua madre?» le domandò mellifluamente. Leona dovette fare appello a tutta la sua buona volontà per non scoppiare in lacrime di fronte alla sovrana. Rivederla non aveva che risvegliato in lei l’antico ricordo che solo lei e Edward conoscevano. Delilah, delusa dal suo silenzio, la incalzò ancora «Io non sono tua nemica, ragazza. E’ bene che tu lo riconosca» l’avvertì.
Leona sorrise forzatamente «Perdonatemi non è nulla di personale, non concedo facilmente la fiducia al primo che incontro, va guadagnata. E finora non credo che siamo partite col piede giusto» articolò tributandole un’occhiata velatamente malevola.
«Non dovresti abusare così della tua audace sfrontatezza, sul tuo cammino non incontrerai facilmente persone incline alla pazienza come me, ed io di pazienza ne ho accumulata nei secoli…»
Nel guazzabuglio di emozioni che oscillavano come la spola di un pendolo fra l’istinto omicida e il razionale impeto di autoconservazione, Leona piantò gli occhi nelle sue pupille all’essenza di nocciola cosparse di pagliuzze dorate. «Io invece l’ho esaurita tutta…» sfuriò la protettrice acquattandosi ferinamente con il fiume e la foresta che stormivano alle sue spalle. La protettrice sembrò scalfire la sua maschera d’imperturbabilità.
«I miei amici in questo momento sono schiavi delle loro passioni a causa di quella stupida pozione…È questa l’accoglienza che riservate agli stranieri? Mettete fine a questa assurdità ve ne prego».
«Iris…» la regina rise col nome di sua figlia in bocca «L’effetto svanirà fra non molto, acquieta il tua animo, non li stiamo mica avvelenando? E poi non trovo nulla di male nel divertirsi un po’. Per come la vedo io, è un’occasione più unica che rara per ritrovare il coraggio di svelare i veri sentimenti celati nel cuore umano». Nel dirlo, il viso lunare della regina non permise a nessuna equivoca espressione di riaffiorare in superficie, proprio come l’astro notturno avrebbe mostrato soltanto una delle sue facce quella sera.
«Mi permetta di dissentire sua maestà» la sferzò Leona lanciando frecce affilate fra le fessure delle palpebre «la pozione ha effetto sui nostri più reconditi impulsi che ci distinguono dagli animali. Quello» disse indicando la festa in lontananza «potrà valere per voi. I nostri concetti di morale sono ben diversi l’uno dall’altro. Una volta che sarà finito, non tornerà tutto come era prima, ne rimarranno devastati. Se solo potessero dimenticare come è accaduto a me…»
«Con le quantità che hanno assunto credo sia impossibile. A proposito» rifletté la bella Delilah ravvivandosi la chioma dorata per poi accavallare le gambe nude sotto la veste bianca in una posa seducente «Come avete scoperto il trucco di mia figlia?».
«Semplice» sminuì Leona incrociando le braccia «né io né Fabiano abbiamo bevuto dalla coppa. E anche se lo avessi fatto, il mio metabolismo accelerato lo avrebbe consumato in fretta».
«Sembra proprio che tu ne abbia avuto un assaggio mia piccola medjai». Ovviamente le sue illazioni erano più che corrette, ma Leona non volle sondare in profondità quell’argomento.
«E che mi dici del figlio del Sire? Non sarebbe stato più semplice se avesse bevuto? Non sarebbe stato più accondiscendente nei tuoi confronti?»
«Ritengo che sua maestà si stia facendo un’idea sbagliata. Fabiano ed io siamo buoni amici e compagni di caccia, niente di più. E poi lui è stato promesso ad un’altra».
Delilah derise quel dettaglio per lei irrilevante. «Oh mia cara, so riconoscere lo sguardo di una ragazza innamorata quando lo vedo, lo sono stata anch’io in un tempo così lontano che mi rincrescere ammettere, non mi alletta il pensiero di essere diventata così vegliarda» esclamò tastandosi il giovane viso immacolato alla ricerca di rughe inesistenti.
«Non c’è spazio per cose frivole come l’amore quando il mio popolo soffre a causa sua, mia signora» l’accusò apertamente. Leona risuonò burbera alle sue stesse orecchie. Pensare a ciò che provava per Fabiano le faceva troppo male, a volte l’intensità dei suoi sentimenti la spaventava a morte. Con lei era tutto così: o tutto o niente, bianco o nero, non esistevano inframezzi o zone grigie. In quel momento però, credeva davvero alle sue parole. Non c’era nulla di più importante di portare a termine la sua missione. Il cuore che le pompava il sangue nelle vene irradiandosi dal suo petto, profuse un fiotto di determinazione ad ogni palpitazione.
«Suonano davvero tristi queste parole sulla tua bocca». Il sorriso della regina sfociò in un lugubre ghigno. Lasciò il suo giaciglio di rocce e si fece più vicina alla ragazza facendo danzare leggiadramente i suoi piedi snudati sull’erba «Avevo incaricato mio figlio di rivelarvi tutto riguardo alla questione protettori…Non ha portato a termine il suo compito?» si volle accertare svelando finalmente la sua espressione dubbiosa.
«Questione…» la motteggiò Leona con la sua lingua acuminata come quella di una spada «Che cosa credevate? Che avrei discolpato con tanta leggerezza i vostri crimini? Posso comprendere le ragioni che vi hanno spinta ad agire in quel modo, ma ciò non giustifica il risultato. Vi siete fatta abbacinare dai membri corrotti del mio popolo senza nemmeno cercare un’alternativa, senza nemmeno valutare la possibilità di rivolgervi a chi ancora crede nell’istituzione dei protettori e nel suo credo…».
«Non avevo molto tempo e poi non sono in cerca della vostra assoluzione, bambina. Io sono una regina, non mi piego di fronte a nessuno. Tu non sei il mio giudice…». Il ninnolo che portava al collo cominciò a brillare di una luce polverosa e rubiconda, calda come i raggi del sole, segno che la regina faceva fatica a smaltire la rabbia per l’offesa recatole.
Leona non ne fu intimorita, ma non era nemmeno tanto sciocca da sfidare la sorte. Perciò decise di fare un passo indietro, in fondo non conosceva ancora bene il potere del ciondolo…
«Lo avete fatto ancora…» le disse con voce querula.
Leona inarcò un sopracciglio. «Cosa?» le domandò sinceramente confusa dalla sua affermazione.
«Il ciondolo. Anche questo pomeriggio lo fissavate intensamente» disse portando le mani a coppa sul gioiello come a volerlo proteggere dalle occhiate invasive della ragazza.
«Sbaglio o non mi avete rivelato ancora la vera ragione per cui voi tutti vi siete intrufolati nelle mie terre? Vi avverto, nessuno dei vostri poteri a disposizione potrà portarmelo via, ne è immune».
Leona tacque di fronte a quell’accusa, limitando i respiri allo stretto indispensabile.
«Trovo che sia molto bello» lo esaltò con una scrollata di spalle «ma non è quello di cui ho bisogno per salvare il mio popolo».
«Salvare il tuo popolo? Gesto encomiabile bambina mia, ma non sapevi che l’incantesimo è irreversibile? Non esiste nessun…». D’improvviso Delilah parve ricordarsi qualcosa d’importante e portò ancora una volta le mani al ciondolo, cullandolo fra le sue dita.
«Chi ve ne ha parlato? In pochi conoscono la leggenda». Non era necessario dirlo ad alta voce, le due si erano intese tacitamente.
«Che importa. Si tratta davvero di una leggenda oppure esiste davvero?». La bella sovrana arricciò le labbra sferzandola con uno sguardo malizioso.
«Oh esiste eccome, ma temo sia irraggiungibile al momento. Chi vi ha informato del potere del ciondolo della luna di mia sorella, vi ha anche detto di quanti nel tentativo di recuperarlo hanno perso la vita?»
«Se servirà a guarire la mia gente, non temo la morte mia signora».
«E tu getteresti così la tua vita per coloro che ti hanno tradita e ripudiata?»
«Tutti meritano una seconda possibilità e poi c’è chi non ha avuto scelta». Leona si compiacque di aver fatto virare la discussione a suo favore. Era stufa dei ghiribizzi di quella donnina viziata troppo cresciuta e dell’ampollosità dei suoi giri di parole, tipici delle fate. Quelle dannate creature non arrivavano mai al dunque!
«E così sei venuta da me mettendo in pericolo te stessa e i tuoi compagni per aver prestato ascolto alla voce di un mito…».
«Come si dice? Chi non risica…» ci scherzò su la protettrice. Delilah si specchiò nel riflesso del fiume ammirando a lungo la sua figura bellissima e longilinea.
«Sarà oltremodo pericoloso ma non posso certo impedirtelo. Sia chiaro non mi pento di ciò che ho fatto per il mio popolo, lo rifarei ancora e ancora. Per certi versi noi due siamo simili…Dall’altro canto però vorrei poter rimediare almeno in parte alla mia colpa, forse così dormirò sonni più tranquilli…». Leona si fece sospettosa, non credeva di convincere così facilmente la sovrana.
«Oh, per le moire! Non vado fiera di aver abusato della magia nera, è come se mi sentissi sporca dentro…quei sortilegi ti macchiano a vita, a volte credo di sentire il sussurro dell’oscurità che mi reclama nel suo mare di tenebre» rabbrividì la regina. «Il padre del tuo Fabiano è stato fin troppo convincente e poi provavo un gran pena per lui… quell’uomo è stato spezzato dal dolore».
Leona schioccò la lingua infastidita dalla incomprensibile tenerezza che lesse negli occhi di Delilah «É un mostro, lui odia per il gusto di farlo…» sputò d’un fiato. Non avrebbe mai perdonato ciò che aveva fatto subire al figlio, non le importava nulla se la morte di Sara lo avesse reso folle, non poteva essere cambiato a tal punto da accanirsi in quel modo su chi gli voleva bene e quasi lo ammirava…Il marcio in quell’uomo era preesistente, era nato con lui, o Leona non si sarebbe mai spiegata tutta la crudeltà e la facilità con cui aveva venduto come carne da macello i suoi stessi fratelli protettori. Il fatto che avesse trovato appoggio nel consiglio, non era stata che una sfortunata coincidenza. Era lui a muovere le fila di tutto ne era certa…
La regina guardò la protettrice con severità «Ci sono cose che nemmeno il tuo bel Fabiano conosce di suo padre. Non lo giudicheresti con tanta asprezza altrimenti».
«Il problema sta proprio lì, mia signora. Io non tollero giustificare gli atti scellerati di quell’uomo. Non è sempre possibile discolpare i nostri peccati. A volte sono così pantagruelici da non poter sperare in nessuna forma di perdono o misericordia. Non è possibile compatire chiunque, bisogna anche assumersi la responsabilità ed avere la forza di scrutarsi nel profondo e ammettere di aver sbagliato senza tuffarsi alla ricerca di una possibile spiegazione che possa aver motivato quella determinata azione. Una volta che il vaso è rotto, è sì possibile raccoglierne i cocci e ricongiungerli fra di loro ma resteranno sempre le crepe a ricordarti ciò che gli è accaduto. Perciò non importa cosa possa averlo turbato. Si ha comunque una scelta: o imparare ad essere migliori guardando quelle fratture o sfruttare l’eco di quel dolore per legittimare il nostro odio e generare altro male, proprio come un serpente che si morde la coda». Leona non sapeva perché avesse detto quelle cose a Delilah. Forse era solo stanca di tutta l’ipocrisia di cui gli adulti si servivano come scudo contro cui fra rimbalzare i propri errori. Avrebbe voluto lasciarsi mollemente permeare dai rumori del bosco e non pensare più a nulla.
«Pare che fra voi e il Sire non corra buon sangue» postillò Delilah vagamente divertita.
Leona ritenne superfluo rispondere a quella provocazione, si vedeva da un miglio che la regina tenesse in serbo per sé qualche succulento pettegolezzo di cui la ragazza era all’oscuro. Delilah si fece scura in volto una volta soffermatasi sulla macchia violacea spalmata sul bell’abito da cerimonia. «La cosa non mi sorprende più di tanto» aggiunse facendo molleggiare al vento i suoi liscissimi capelli d’oro.
Allora la protettrice le scoccò un’occhiata perentoria, invitando la regina a spiegarsi più dettagliatamente circa la sua affermazione.
«Oh cielo!» esclamò portandosi una mano sulle labbra «Voi non lo sapete?».
«Cosa dovrei sapere?» chiese esacerbata al limite del possibile pur mantenendosi distaccata.
«I primogeniti del Sire…sono morti quando ancora erano in fasce. Sua moglie Barbara era una Portatrice, proprio come vostra madre. Ricordo ancora la cerimonia della benedizione, poveretti che destino crudele». Leona stentava a crederle, ma la donna davanti a lei le parve sinceramente afflitta, come se avesse vissuto quella perdita in prima persona, sulla sua pelle. Oltre ad essere una regina, era anche una madre. Non c’era alcun bisogno di dilungarsi oltre, la protettrice sapeva perché i gemelli di Tiziano non erano riusciti a sfuggire alle grinfie di quel terribile destino, e si sentì stringere il cuore.
Smise per un attimo di esserle ostile e si fermò a riflettere «Volete dire che la madre di Fabiano partorì dei medjai?». Delilah assottigliò lo sguardo, sfarfallando le lunghe ciglia sulle gote rosee, e annui solenne. Gli ingranaggi all’interno del cervello di Leona presero a frizionare fra loro, inceppandosi. Fabiano non gliene aveva mai parlato, perché glielo aveva tenuto nascosto? Leona rimase ad osservare sbigottita le lucciole che attorniavo la loro bella regina indorando di un’aura lucente  la sua figura eterea stagliata nella notte.
«Be’ ora capisco perché ci odia…me e mio fratello. Noi siamo sopravvissuti, è questa la nostra colpa» concluse la ragazza, angosciata per quelle due innocenti vite spezzate.
«Non tediarti per il passato mia cara, non c’è proprio nulla che tu possa fare, siamo entrambe impotenti, non abbiamo alcun potere sul tempo». 
«Avete ragione vostra maestà» disse sbrogliando i pugni lungo i fianchi «ma posso sempre intervenire sul futuro, so di poterlo fare» si sentì fiduciosa.
«Credi di essere pronta per il ciondolo della Luna? Di resistere al fascino del suo potere?»
«No, probabilmente andrà tutto a puttane» rise lei stessa della sua insolenza. «Non posso attendere il momento giusto, non mi è stato concesso questo lusso. Io ho il dovere di provarci».
«Perché proprio tu? Pensi di essere stata investita di un compito superiore da qualche entità divina per portare a termine tale impresa in qualità di medjai?»
«So che si potrebbe pensare che pecchi di presunzione, ma non è così. La vera domanda è: perché non io? Qualcuno deve pur farlo. Prima di essere una medjai sono una protettrice ed è in nome di quella fratellanza che nonostante tutto voglio ancora proteggerli, perché è questo quello  che facciamo».
«Ho conosciuto pochi cuori puri e sinceri come il tuo» proferì Delilah soavemente rigirandosi fra le dita gli alamari della sua mantellina «Ma nell’ombra, un leone ruggente di oscurità risiede in te, eppure tu sei riuscita a domarlo. Per quanto a lungo terrai a bada la tua sete? Se prima non l’affronterai, se prima non conoscerai la creatura tenebrosa che alberga in te, non potrai mai trovare te stessa». Leona non seppe replicare le parole profetiche che la regina le aveva rivolto. Un sentore, un pulsazione sorda dentro di lei, sapeva che le stava dicendo il vero ed ebbe paura di se stessa e del potenziale mostro in cui si sarebbe potuta trasformare.
«Allora» esordì la regina battendo le mani per riportare l’attenzione su di lei «prima di condurti nel nascondiglio del ciondolo, dovrai affrontare una piccola prova». Ancora un’altra? Leona aveva l’indigestione a forza di essere messa alla prova, prima o poi i suoi poveri nervi avrebbero ceduto.
Delilah sorrise e schioccò le dita proprio come suo figlio durante la festa. Appostati dietro i cespugli si nascondevano degli gnomi con dei capelli così rossi che facevano venire in mente la fiammata di un caminetto. Si fecero spazio fra la vegetazione trascinando con loro un tavolinetto dalle volte ogivali placcato in bronzo e uno scranno con l’imbottitura di vermiglio vellutato. La regina prese posto come prima spettatrice dello spettacolo mentre i suoi servi allestivano un piccolo banchetto privato  in giardino. In realtà oltre alla tovaglia ricamata con motivi broccati, non vi erano che due scrigni, uno d’oro, l’altro di semplice ottone, disposti dinanzi alle due uniche commensali che si soppesavano vicendevolmente da un capo all’altro del tavolo. Leona credette erroneamente che una fosse per lei, l’altra per la sovrana, ma quest’ultima non accennava a scollarsi dal suo comodo trono.
«Adesso dovrai scegliere lo scrigno giusto. Rifletti bene mia cara ragazza, perché avrai una sola possibilità. Uno contiene una ampolletta con qualche goccia del mio sangue e  ti darà il potere di risvegliare il Divoratore di Segreti che sta a guardia della stanza dove è ubicato il ciondolo. Senza di quello non potrai mai accedervi. L’altro, invece, è la custodia di uno dei più velenosi serpenti esistenti nel mio regno. Un solo morso e avrai i minuti contati. Non esiste alcun antidoto e non ci sarà nulla che tu possa fare».
Il sorriso che nacque sulle labbra della ragazza dai lunghi capelli neri volle ridicolizzare quell’improvvisata da quattro soldi. Perché tutti quelle castronerie e  raggiri infantili? Si annoiavano così tanto alla corte nelle fate? Leona si arrestò di fronte a lei e finse di riflettere a lungo per darle sue nervi. Se aveva tanta voglia di baloccarsi con la vita altrui le avrebbe reso pan per focaccia. Lo sguardo sparviero della donna che mal si addiceva al suo volto serafico si fece inquieto come quello di una puledra pronta a scalciare. Nessuna delle due aveva intenzione di spezzare quel nodo gordiano di silenzio inestricabile.
La monarca dall’aria ingrugnata si mostrò stizzita. «Ebbene!» esplose perdendo del tutto la sua peculiare leziosità. Tamburellò nervosamente le unghia sul bracciolo abbellito da motivi ieratici aspettandosi una reazione dall’impassibile statua interrata su quel piedistallo d’erba.
La voce della ragazza si fece tetra «Solo del sangue? Niente di più? Perché rischiare quando posso risparmiarmi la fatica e prendermi ciò che mi serve con la forza» dedusse mostrandosi delusa a quella possibilità. «Cosa m’impedisce di tagliarle la gola, ora, seduta stante e fare riversare il suo sangue reale su queste mani?». 
Delilah la assecondò «Non ti reputo così sciocca da commettere una tale e inutile avventatezza che si concluderebbe inevitabilmente con la tua morte e quella dei tuoi compagni. Nessuno verrebbe a reclamare i vostri corpi nelle mie terre. Ma la tua perplessità è lecita. In verità ho taciuto un piccolo particolare proprio per gustarmi la tua reazione» disse puntellando i gomiti affilati sulle ginocchia e adagiando il mento sulle nocche.
«Il sangue deve essere ceduto col mio consenso o non funzionerebbe in ogni caso» le rivelò mordicchiandosi le labbra. Un’ombra sinistra tracciò il profilo del viso dividendolo a metà.
Leona si era aspettata una qualche clausola occultata accuratamente per indurla in errore, ma lei sapeva mutarsi all’occorrenza in una fredda calcolatrice ed era stata con quella provocazione che aveva costretto la regina a svelarle di più sul quel bizzarro gioco di scrigni. Un gioco che lei probabilmente avrebbe perso se non avesse avuto quell’informazione scritta frettolosamente con quella calligrafia bislacca su un fogliettino di carta spiegazzato dai numerosi tentativi di rimpicciolirlo.
Il bigliettino di Noah riportava una sola e semplice parola: oro, il più nobile fra i metalli. L’enigma era risolto, aveva vinto così facilmente che le parve fin troppo sospetto. La protettrice prese un bel respiro e si concedette il tempo necessario per compiere quella scelta difficile. Le prudevano le mani e una strana sensazione di  irrequietezza sgusciò fuori dal turbinio dei suoi pensieri contorti. Fidarsi ciecamente di uno sconosciuto non era di certo una delle mosse migliori per una paranoica patologica come lei. Le sue paure riguardo all’identità del viaggiatore del tempo la frenarono dall’aprire lo scrigno da lui consigliato. Perché Noah era così sicuro che Leona avrebbe scelto l’altro? Cosa avrebbe fatto senza il suo aiuto? Quale ragionamento infine l’avrebbe spinta a commettere l’errore che le sarebbe costata la vita? Leona guardò entrambi gli scrigni e ci rimuginò sopra. L’ampolletta contente il sangue di Delilah era un oggetto fin troppo indispensabile, e proprio per la sua preziosità era anche facilmente associabile ad un metallo altrettanto pregiato: l’oro. Ma cosa le diceva che non fosse tutto un raggiro di psicologia inversa?  No, non avrebbe aperto quello d’oro, sarebbe stato troppo scontato, aveva tutta l’aria di essere stato architettato appositamente per farla sbagliare. Alla fine avrebbe scelto l’ottone senza alcuna ombra di dubbio. Non aveva diffidato della sua predizione ma non poteva fidarsi di quel ragazzo, non era da lei eseguire un ordine senza farsi domande. Non poteva permettersi alcun margine d’errore. Allungò il braccio con calma studiata verso la sua scelta, combattendo la recalcitrante voglia di farla subito finita. Lo gnomo grassottello con il collo sepolto da una fisarmonica di menti le offrì la chiave d’ottone osservandola a malapena sotto quella foresta grigia di sopracciglia. I suoi occhi di un azzurro slavato erano passivamente fissati su di lei. Inserì la chiave nella serratura e un gelo crudele le fece accapponare la pelle.
Leona in genere riusciva ad entrare in sintonia con quasi tutti gli animali, ma i serpenti costituivano un’eccezione. Non aveva mai compreso il loro linguaggio criptico. Era una delle poche creature capace di farla tremare di paura. La ragazza non poteva fare a meno di farsi indebolire da quella fobia tipicamente umana, sebbene cosciente di quanto irrazionale fosse. Nessun problema con le bestie feroci quali puma, orsi, o perché no, un lupo mannaro o ancora addirittura una mostruosità marina come Nessie…quei rettili, però, erano tutt’altra storia.
Deglutì sforzandosi di apparire sicura di fronte alla regina aggrappata con forza ai braccioli della sedia col busto lontano dallo schienale e le dita dei piedi affogate nel terriccio.
Senza che si fosse appellata al suo istinto, Leona esitò. Per qualche assurdo motivo le tornò in mente l’incontro con Noah e indugiò sul ricordo della sua voce calda e preoccupata per la sua sorte, come se non ci fosse niente che contasse di più per lui.
Noah non era un ragazzo qualsiasi, quelle emozioni scaturite da quel semplice tocco erano state così intense e reali che non aveva dubitato nemmeno per un secondo della loro autenticità. La chiave le sfuggì di mano e cadde con un tonfo insonoro in quel tappeto verde sfilacciato da fili d’erba.
«Datemi la chiave d’oro» si decise infine. Leona non vide chi le avesse consegnato l’oggetto che pareva pesarle come un macigno nonostante le piccole dimensioni. Ruotò la chiave  e spinse il coperchio aspettandosi il viscido sibilo di un serpente.
Ma non accadde nulla.  Leona riaprì gli occhi, sbriciando cauta i volti inespressivi di chi la circondava, compreso quello disilluso della regina, e l’umile ampolletta che era adagiata su un soffice cuscino di crinolino. L’elisir color cobalto, raccolto dalle vene della fata, si adattava  al ventre rigonfio del vasetto di vetro risalendo lungo il collo stretto terminante con un semplice tappo di sughero. La protettrice fu grata per la lunghezza del vestito che aveva nascosto il pietoso tremolio delle sue ginocchia.
«Molto bene» si congratulò Delilah «il premio è tutto tuo giovane medjai». Il sorriso smielato che le mostrò le fece venire le carie ai denti.
«Ma…posso chiederti perché hai cambiato idea?» insistette.
«Puro istinto» si limitò a risponderle Leona. La spiegazione non soddisfò a pieno le curiosità di Delilah, anzi presero a frullarle ancora più domande di prima.
«E questo ha avuto altro scopo se non allegrare la vostra serata tediosa?» le domandò stavolta la protettrice. La regina ponderò avvedutamente la replica da rifilare a Leona, storcendo le rosee labbra nella forma di un cuore.
«Non posso nasconderti di essermi divertita» ammise afferrando l’ampolla dal suo cofanetto. Delilah si espose alla luce denudante della luna e Leona la trovò ingiustamente bella quando le consegnò il suo meritato premio. Poi, appropriandosi di un’inopportuna familiarità che la protettrice non le aveva ancora concesso, le sfiorò il viso così delicatamente da fare invidia alla leggerezza del battito di una farfalla e le disse sottovoce «volevo sapere quanto quel ciondolo fosse importante per te». Nel suo sguardo Leona lesse che aveva interpretato molto di più di quello che lei aveva disperatamente cercato di tacerle. Qualunque cosa avesse rubato dai suoi pensieri segreti, la regina decise i tenerli in custodia per sé. Tutto ciò che le disse fu «Un patto è un patto». E la regina ordinò alle nebbie  di avvallarsi in riva al fiume permettendole di abbracciarla fra le sue spirali incorporee. Sbuffi lattescenti punteggiati di diamanti le volteggiarono tutt’attorno per andarsi a depositare nello spazio che le divideva, strascicandosi in volute capricciose. Serpeggiarono svogliatamente fino a formare un cerchio perfetto, all’interno nel quale uno specchio tremolante rifletté per un attimo il profilo della protettrice. Il riverbero durò poco, e il riflesso della ragazza si opacizzò, increspando la sua immagine come se qualcuno avesse voluto cancellarla da quella superficie cristallina. La ragazza osservò quell’insolito fenomeno magico più attentamente, aspettando che il turbamento che aveva raggrinzito lo specchio passasse. Quando la bruma fatata si diramò, Leona avanzò sporgendosi in avanti per toccare il quadro nitido racchiuso all’interno della circonferenza, incorniciato da quella caligine lucente. Al di là di quello che pareva un dipinto, vi scorse un paesaggio completamente differente rispetto all’ormai familiare rigogliosa giungla viva e verdeggiante  del regno delle fate. Un altopiano sassoso, scosceso e ricoperto di sterpaglia ingiallita e bruciata dai cocenti e impietosi raggi del sole caratterizzava quel terreno arido, brullo e deserto. In fondo alla collina, per lo più spoglia e priva di verde o tracce di vita umana, si andava delineando all’orizzonte i contorni di una vecchia tenuta fatiscente e abbandonata.
«Ma come…?» si stupì Leona.
«A cosa credessi servisse la polvere di fata?» le domandò carica di un tono volutamente retorico la regina. Quello che aveva davanti a lei era un portale. La protettrice non ne aveva mai visto uno, ne aveva solo sentito parlare in qualche vecchia storia dimenticata sulle leggende delle fate. Era così che viaggiano i fatui, si ritrovò a cavillare colta da quell’epifania più che prevedibile.
«Lo troverai lì, il ciondolo» le spiegò «in quell’orrenda casa che ha tutta l’aria di cadere a pezzi da un momento all’altro. Ovviamente si tratta solo di un’illusione per scoraggiare le bravate di qualche teppistello umano, non è quello il suo vero volto».
Non poteva credere che per tutti quei secoli quel reperto dal valore inestimabile fosse stato proprio sotto il loro naso, nel mondo degli umani, lì alla portata di chiunque. In effetti qualunque cosa fosse davvero quell’ammasso di legna da ardere e instabili fondamenta, era ben camuffata. Contro ogni aspettative, la protettrice trovò che fosse un ottimo nascondiglio, di certo la bella regina non mancava di arguzia. «Niente è come sembra ragazza, dovrai fare molta attenzione. Il percoso è pieno di insidie e tranelli, non potevo permettere che non fosse adeguatamente protetto. Non è consentito l’ingresso a nessun essere sovrannaturale, ovviamente. La barriera che la circonda è persino più impenetrabile delle vostra» si inorgoglì lei, essendone l’autrice.
Leona rimirò il portale con il rinnovato interesse di un audace esploratore di rovine e cultore di misteri. Proprio adesso che era così vicina, a un soffio, dall’ottenere ciò che desiderava, le mancò il coraggio, rendendosi conto di non voler affrontare il resto del viaggio da sola.
«Sua maestà…io» fece per dirle prima di essere interrotta dagli schiamazzi di un trio di guardie reali,  anticipato dallo stridio delle loro maglie di cotta che cozzavano contro l’armatura.
«Sua eccellenza!» urlò uno dei tre con urgenza, affaticato e imperlato di sudore «tradimento, tradimento!» aggiunse la fata dalle orecchie smussate col fiato mozzo.
«Generale Zolfus, cosa è accaduto?» chiese lei limpidamente turbata. Non sarebbe mai potuta rimanere indifferente di fronte a quella parola che tanto la sovrana temeva per gli orribili trascorsi con la sorella Frieda.
«La festa…» esalò prima di ossigenarsi i polmoni «si è appena trasformata in una esecuzione. Una dei protettori ha derubato la principessa Iris! Vostro figlio si è adirato e ha condannato a morte l’autrice del furto, ha ordinato la decapitazione immediata».
«Cosa? Chi?» si affrettò a domandare Leona. Ma nessuno la degnò di risposta.
Una rabbia divoratrice si appropriò del viso d’angelo della sovrana illuminato dai fasci di luce vermigli irradiati dal ciondolo del sole «Voi…» sibilò basita, puntandole il lungo dito affusolato contro «Confiscatele l’ampolla e prendetela!» ordinò in preda ad un vortice di furie e sgomento. La protettrice, intontita e demoralizzata, non ebbe la possibilità di difendersi e lasciò che le guardie le portassero via la sua tanto ambita ricompensa.
«Conducetela alla sala da ballo, voglio che assista al processo e che dia una valida spiegazione a questo affronto! Siete venuti in casa mia a violare le sacre leggi del popolo fatato. Non resterete impuniti, nessuno di voi!» li minacciò sgolandosi come una cornacchia.
Leona però non aveva prestato attenzione alle feroci intimidazioni della regina della fate. Costretta in una morsa di preoccupazione asfissiante che non le dava tregua, voleva soltanto  scoprire perché, ancora una volta, la talpa che si nascondeva fra di loro stava tentando di ucciderli, uno per uno.
   
 
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