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Autore: FrenzIsInfected    06/07/2020    4 recensioni
Ucraina, 2009.
Un'apocalisse zombie costringe sei persone a trovare rifugio nella Zona di Esclusione di Chernobyl. Quello che sembrava una normale missione di salvataggio, però, si rivelerà per alcuni di loro un ritorno al passato.
- Seconda classificata e vincitrice del premio "Survival" al contest "Gli ultimi di noi" indetto da zenzero91 sul forum di EFP.
Genere: Drammatico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Primo capitolo

1

 

 

 

Dytyatky, Ucraina.

7 Novembre 2009.

Frontiera della Zona di Esclusione di Chernobyl.

09:47.

Anatoli Zelenko, Boris Volkov, Vassili Karavaev, Serg. Olga Petrova, Sergei Kabakov, Irina Kabakova.

Il gruppo deve raggiungere la città di Chernobyl.

 

 

 

Un cielo grigio copriva quell’angolo di mondo conosciuto come Oblast’ di Kiev. Le nuvole, accompagnate da una leggera brezza, non facevano presagire un imminente miglioramento. Le piogge autunnali dei giorni precedenti avevano coperto di pozzanghere l’asfalto della strada statale che conduceva in uno dei posti più pericolosi d’Europa e del mondo intero: la Zona di Esclusione di Chernobyl.

Il silenzio innaturale che regnava sulla via era spezzato soltanto da un furgone che procedeva spedito verso nord.

Ad un tratto, il mezzo iniziò a rallentare, per poi fermarsi del tutto. L’autista imprecò.

«Che succede, Anatoli?» chiese una voce maschile dietro di lui.

«Benzina finita, signori. Ho fatto male le mie valutazioni» rispose l’uomo al volante, un contadino robusto sulla sessantina, col volto segnato dalle rughe.

«E adesso?» fece la giovane donna mora in mimetica al suo fianco.

«Si prosegue a piedi. Non siamo distanti dal nostro obiettivo.»

«Sentito, Irina? Si scende» disse un’altra voce maschile nel vano posteriore.

«Non sono sorda, papà» rispose una voce femminile, stizzita.

Dal mezzo uscirono sei persone, quattro uomini e due donne, armati con fucili d’assalto e pistole. Ognuno di loro volse il proprio sguardo nell’area circostante, costituita da immensi campi un tempo coltivati, ora lasciati all’abbandono.

«Hai preso anche Masha?» domandò uno degli uomini, di mezza statura e tarchiato, a quella che doveva essere Irina, una ragazza dai lunghi capelli biondi dall’aspetto quasi fanciullesco.

Lei annuì, mostrandogli il piccolo orsacchiotto bianco che teneva in mano.

«Niente zombie. Per ora» disse il più giovane dei quattro uomini, un ragazzo smilzo con i tratti tipici da slavo, sistemandosi lo zaino in spalla.

«Per ora, Boris. Per ora» ripeté la donna con la mimetica, scartando un lecca-lecca.

Anatoli Zelenko posò gli occhi poco lontano, in direzione di un piccolo agglomerato di case di campagna. Erano nelle vicinanze di Dytyatky, il paesino dove viveva.

«Chi l’avrebbe mai detto che sarei stato contento di rivedere questo posto un’ultima volta?» sussurrò.

 

 

Due mesi prima, il famigerato “virus Z” era uscito allo scoperto. Non si sapeva da dove fosse arrivato e chi l’avesse portato. Alcuni davano la colpa ai russi, altri agli americani, altri ancora a qualche scienziato pazzo. Quello che tutti poterono constatare, però, fu che in una trentina di giorni il mondo si ritrovò ad essere popolato per più di tre quarti da morti viventi.

Tre settimane prima, a Kiev, Anatoli stava vendendo i prodotti della sua terra al mercato, quando gli zombie iniziarono ad arrivare dai quartieri a sud della città. L’uomo cercò di fuggire a bordo della sua station wagon, ma, nella fuga generale, fu colpito da un’auto della Militsiya che stava andando a respingere i non morti. A bordo, insieme al conducente, c’era l’agente Vassili Karavaev, un trentaduenne di Bila Cerkva, da poco trasferito a Kiev. L’uomo soccorse Anatoli, e fece per portarlo al campo medico dell’esercito più vicino, ma al momento di risalire in auto, si accorse che il suo collega era morto nello schianto, e si era già trasformato. Così, i due fermarono un’auto, ordinando al conducente di raggiungere il cordone sanitario più vicino. A bordo, c’erano Sergei Kabakov, un quarantenne di Ivankov, sua figlia Irina, ventiseienne, e l’amico coetaneo di lei, Boris Volkov. Giunti sul posto, trovarono il caos. La zona era già stata raggiunta dai non morti, e l’esercito stava lentamente soccombendo sotto la superiorità numerica e la velocità d’azione degli zombie, che si rivelarono essere più veloci e aggressivi di quelli “romeriani”. Nel trambusto generale, una giovane sergente dell’esercito, Olga Petrova, cercava di respingere come meglio poteva l’orda, mentre vedeva i suoi commilitoni morire uno dietro l’altro. Vassili trovò il coraggio di uscire dalla macchina e prestarle soccorso, aiutandola a mettere fuori gioco gli zombie. La donna seguì poi il poliziotto a bordo dell’auto di Sergei, e la fece rannicchiare nei sedili posteriori della macchina, sopra le gambe degli altri passeggeri. In quelle condizioni, sotto consiglio di Vassili, trovarono rifugio al centro di addestramento della Militsiya a Stoyanka, poco fuori Kiev, evacuato dopo l’arrivo degli zombie. Lì, Olga, che era anche dottoressa, curò Anatoli, mentre il resto del gruppo prendeva armi e munizioni e decideva il da farsi. Ognuno di loro proveniva da città differenti dell’Oblast’ di Kiev, con la soldatessa e Vassili che avevano l’ordine di proteggere qualunque civile con cui fosse in contatto, fino al ricongiungimento con altri membri dell’esercito o della Militsiya. Boris, che quel giorno aveva visto i propri genitori morire per mano degli zombie mentre passeggiava con loro assieme a Irina e Sergei, chiese di essere portato a Katyuzhanka, sessanta chilometri a nord di Kiev. Magari il nonno, un veterano della seconda guerra mondiale, era riuscito a fregare anche gli zombie. Anatoli viveva più a nord, ma non aveva nessuno a casa ad aspettarlo, e ottenne il permesso di Boris per unirsi a lui, assieme a Vassili ed Olga. Sergei e Irina, invece, sarebbero tornati a Ivankov, una ventina di chilometri a nord-ovest di Katyuzhanka, dove abitavano, rifiutando l’aiuto del poliziotto e della soldatessa. Il giorno seguente, all’alba, il gruppo fece un pezzo di strada assieme, per poi dividersi quando Boris e i suoi compagni giunsero a destinazione. Clamorosamente, nonno Yuri e nonna Luba erano sopravvissuti al passaggio degli zombie, e il veterano, per difendersi, aveva tirato fuori il suo vecchio Mosin, con il quale aveva ucciso centinaia di tedeschi a Stalingrado e Berlino. Lì, Vassili e Yuri insegnarono a Boris come sparare, usando una Makarov presa a Stoyanka. Olga, invece, passò gran parte del tempo a cucinare con Luba, preparando provviste per un eventuale viaggio. I maschi vennero mandati nei supermercati vicini a prendere cibo, acqua… e lecca-lecca alla menta, per i quali la soldatessa andava matta. Questo clima idilliaco durò solo due settimane. Un giorno, una mandria di zombie giunse a Katyuzhanka, costringendo il gruppo a fuggire a bordo di un furgone. Luba e Yuri coprirono la fuga del nipote e degli altri ospiti, che si diressero a Ivankov, dove salvarono Sergei e Irina, braccati da un gruppo di non morti che stava diventando sempre più grande. Dopo essersi allontanati, e aver chiesto consiglio ad Anatoli, quest’ultimo ebbe un’idea tanto pericolosa quanto potenzialmente geniale.

 

 

«Zombie a ore dodici» disse Olga, spostando il lecca-lecca con la lingua.

Il sestetto aveva da poco oltrepassato una vecchia pensilina, giungendo in uno spiazzo devastato. Un autobus era stato abbandonato, e, attorno ad esso, una decina di zombie vagava confusa. Più avanti, un cancello con due sbarre ostruiva il passaggio. Sparsi, vi erano diversi cartelli di pericolo.

I sei, appena furono abbastanza vicini, aprirono il fuoco sui non morti, abbattendoli con facilità.

Boris si girò verso Sergei, non avendolo sentito sparare.

«Siete stati troppo veloci» disse l’uomo, alzando le spalle.

«O forse non hai voluto sparare.»

«Piantala, ragazzino. Non farmi la predica.»

«Che posto è questo? Ci sono diversi colleghi della Militsiya» chiese Vassili, guardando i cadaveri.

«Benvenuti al "Checkpoint Dytyatky". Il primo dei posti di controllo della Zona. Per quanto riguarda i cadaveri... prendetegli le munizioni. Io andrò a cercare dei dosimetri» fece Anatoli, dirigendosi verso il posto di controllo accanto al cancello.

«Dosimetri? Non vorrai mica dire…»

«Sì, Sergei. Entriamo nella Zona di Esclusione.»

«Sei pazzo, per caso? È pericoloso!» esclamò il padre di Irina.

«Più pericoloso degli zombie? Non credo proprio» rise Boris.

«Chernobyl non è mai stata evacuata dopo il disastro.» intervenne il poliziotto. «Potremmo trovare altri soldati e membri della Militsiya lì.»

«Un motivo in più per andare» aggiunse Olga.

Anatoli tornò dal posto di controllo con il bottino, distribuendo gli strumenti di rilevazione agli altri.

«Lasciate che vi guidi» disse. «Oltre a essere un contadino… sono uno stalker

Stalker, in quel luogo, era il termine che veniva usato per indicare le persone che si introducevano illegalmente nella Zona di Esclusione per svariati motivi. Chi per rubare oggetti contaminati e di valore storico, altri solo per vedere posti non normalmente visitati dai nascenti tour operator della Zona.

«In altri tempi, ti avrei arrestato immediatamente» disse Vassili. «Ma, in questa situazione, non posso far altro che ringraziare il cielo. Fai strada.»

Anatoli accennò un breve sorriso, e scavalcò il cancello, iniziando a guidare il gruppo nella Zona di Esclusione.


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Ciao, gente!

Era da un po' che volevo scrivere una storia ambientata a Chernobyl, specie dopo la visione della miniserie HBO. Mi sono informato a lungo e a fondo su quei fatidici giorni del 1986, e su come sia la Zona oggi. Spero di aver ricostruito fedelmente le ambientazioni descritte.
I fatti si svolgono nel 2009 per un mero fattore estetico: infatti, in quell'anno, non erano ancora iniziati i lavori per il NSC (New Safe Confinement), l'immensa struttra che avrebbe ricoperto l'ormai vecchio sarcofago costruito pochi mesi dopo il disastro e avrebbe costretto alla demolizione anche l'iconico camino bianco e rosso.

Voglio ringraziare zenzero91, organizzatrice del contest "Gli ultimi di noi" nel forum di EFP, senza la quale questa storia non avrebbe mai visto la luce.

Alla prossima,

Frenz
  
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