Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Duchessa712    06/07/2020    1 recensioni
-La canzone dell'amore perduto, che parla soprattutto di promesse infrante e sogni spezzati, di un tradimento così grande da portare quasi alla follia-
-No, mia signora, non la conosco-.

Ad Approdo del Re, Sansa è sola, senza famiglia, senza amici, ostaggio dal valore inestimabile, il giocattolo preferito di Re Joffrey.
Ma cosa succede quando trova un'improbabile alleata proprio in Cersei, che nasconde più di un segreto e possiede ancora un cuore e una coscienza?
Cosa succede quando nessuna delle due è più capace di prevedere cosa accadrà, proprio nel momento in cui c'è il rischio di perdere tutto?
Fino a che punto saranno disposte a spingersi la Lupa e la Leonessa per proteggere se stesse e lo strano sentimento (pietà? comprensione? amicizia? amore?) che nasce, prepotente ed esplosivo e pericoloso tra di loro e sembra legarle sempre di più l'una all'altra?
(La storia, eccetto il primo capitolo, inizia dopo la morte di Ned e prima che Myrcella parta per Dorne.
Come penso si sia capito da questa introduzione i personaggi, Cersei in particolare saranno OC).
(Sansa/Cersei)
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash, Crack Pairing | Personaggi: Cersei Lannister, Sansa Stark
Note: Lime, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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III atto

Fu la voce squillante di Myrcella a farle sollevare la testa, a mostrare gli occhi rossi di pianto e stanchezza.
La Principessa le corse incontro, seguita dal fratello, sempre sotto lo sguardo attento di Cersei, che Sansa non aveva più visto dall’accaduto di due giorni prima.
La presenza della Regina fu quasi sufficiente a convincerla ad andarsene, trovando una scusa, inventando una bugia, come stava imparando a fare sempre meglio da che era giunta nel Sud, sempre comunque mai all’altezza della Regina e di Ditocorto.
Poi pensò che Cersei non aveva fatto nulla, non l’aveva mandata via, non aveva richiamato i figli. Aveva lasciato che Myrcella la chiamasse e la invitasse a unirsi a loro, e dal suo sguardo trapelavano solo minaccia e curiosità. La silenziosa promessa che fosse accaduto qualcosa ai bambini mentre lei era presente ne avrebbe pagato le conseguenze.
-Lady Sansa, è bello vedere che stai meglio. Nostra madre ha detto che stavi poco bene-
-Si, Principessa, ma non è stato nulla di grave, fortunatamente-.
Un sorriso tirato le feriva le labbra, le mani stringevano la stoffa del vestito, la paura continuava a governare e dettare ogni sua mossa.
Potevano essere bambini, dolci, buoni, potevano averle offerto la loro amicizia, ma erano fratelli di Joffrey ed era per lui che non era riuscita a uscire dalla sua stanza per due giorni, per lui che camminare risultava ancora doloroso, per lui che la vita era diventata un incubo.
Avrebbe dovuto odiarli tutti, desiderare di vederli bruciare tra le fiamme dei Sette Inferi, ma erano bambini, erano innocenti, l’avevano fatta sedere tra loro e le avevano offerto una fetta di torta.
Il profumo inebriante del limone, più dolce di qualsiasi miele, più stordente di qualsiasi vino, più doloroso di una coltellata, delle torture che il Re le faceva patire.
Grande Inverno e le sue brughiere, i metalupi sul tappeto davanti al camino, suo padre e la sua barba ispida, le sue mani ruvide, a volte sgarbate, impacciato con lei, soprattutto con lei che fra tutti i figli era quella che capiva meno. I capelli rossi di sua madre, le ballate e le canzoni del Sud, racconti di una terra invasa di fiumi e di sole e di amore, la spazzola tra le sue mani, meravigliose ed elaborate acconciature che prendevano vita fra le sue dita. E poi i suoi fratelli, Jon e Robb che si sfidavano a duello, e Theon che li insultava, li chiamava bastardo e mio signore, ridevano e scherzavano e si volevano bene. I bambini che si rincorrevano insieme ai metalupi, Bran che scalava le mura del castello nemmeno dovesse assaltarlo, Estate la sua ombra sulla terra, la sua più fedele sentinella mentre lui sfidava il cielo, e Rickon, piccolo, terribile, sempre in movimento, sangue di lupo quasi quanto Arya, che però aveva pianto vedendola partire. Arya stessa, i loro litigi, le loro incomprensioni, gli insulti e gli scherzi. Cosa avrebbe dato, adesso, per sapere dove si trovava.
Vane illusione che scomparvero nel giro di poco, la riportarono a una realtà in cui non era al sicuro, in cui era circondata da leoni che avevano messo su di lei gli artigli e giocavano a spartirsi i suoi resti.
-Sansa-.
Secco, duro, irritato. La Regina l’aveva chiamata e lei stava impiegando troppo tempo a rispondere. Stupida, stupida sciocca con sogni ancora più sciocchi e impossibili!
Alzò lo sguardo su Cersei che la osservava attenta, in un modo che tradiva nervosismo e preoccupazione.
-La Principessa ti ha fatto una domanda-.
Si voltò verso la bambina che ripeté, diligente e senza perdere il sorriso, rubando un pezzo di dolce dal piatto del fratello, - Ti piace la torta? -
-Si, Altezza. È molto buona-.
Il minimo indispensabile per non essere definita scortese, per non insultare la persona di una reale, per soddisfare la curiosità di una bambina troppo intraprendente.
-Myrcella non rubare il dolce a Tommen-
-Ma non lo stava mangiando-
-Myrcella-.
Sotto gli occhi seri della madre fu costretta a cedere e restituire la refurtiva al piccolo Principe che increspó appena le labbra in un sorriso. – Grazie Myrci-.
Erano bambini e come tali si comportavano. Non avrebbe fatto nessun male soddisfare la loro muta richiesta e passare le giornate in loro compagnia.
Addentando la torta le sembrava che tutto fosse ancora possibile e immaginò che l’aria profumasse di neve.

Avrebbe dovuto saperlo, la figlia del Nord, che la neve non ha profumo, che non ha dimora nel caldo torrido del Sud, e che se ce l’ha impiega troppo tempo ad arrivare, a imporre il suo dominio.
Ma Sansa non era mai stata una figlia del Nord, era sempre una Lady, anche a tre anni, quando amava ricamare, cantare, ascoltare storie e fantasticare sul suo matrimonio con un uomo che avrebbe dovuto avere le fattezze di Rhaegar, ma con gli occhi blu dei Baratheon, fedele alla Corona, non folle come i Targaryen.
-Mia signora-.
Il sangue le si era fatto ghiaccio nelle vene, il cuore aveva perso un battito, interminabili secondi di silenzio, per poi ricominciare a battere furioso, a pompare sangue che veniva solidificato dall’orrore.
-Vostra Grazia-, una riverenza ad occhi bassi per non vederlo, per ritardare ancora un po’ l’inevitabile, per immaginare che sulle ferite che sembravano fuoco vivo si posasse il freddo benefico e salvifico della neve.
Joffrey sorrideva come deve sorridere la Morte, i denti scoperti e un angolo della bocca leggermente più alzato rispetto all’altro, il bel viso deformato dalla crudezza di quel gesto.
Quando era a casa non aveva prestato attenzione a Tyrion Lannister, imbarazzata e disgustata dalle sue fattezze che sembravano il disegno maldestro di un bambino annoiato, accecata dalla bellezza di Joffrey, dalla considerazione che aveva trovato presso la Regina, ma in quel momento fu sicura che perfino il Folletto fosse più bello del Re.
-Siamo da soli, così mia madre non potrà disturbarci-.
Non erano soli. C’erano Sandor Clegane e Meryn Trant al suo fianco e Sansa strinse i pugni fino a far sbiancare le nocche, morse la lingua fino a farla sanguinare.
Era salato, il sangue. Come le lacrime che versava di notte mentre pregava in Dei di cui iniziava a dubitare l’esistenza e la bontà.
L’inverno sta arrivando, si ripeté come un mantra, una cantilena, come se tutta la sua vita dipendesse da quello, mentre i primi schiaffi le facevano perdere l’equilibrio.
L’inverno sta arrivando, mentre fissava con odio e furia e rancore e promesse di vendetta, Joffrey che ghignava divertito.
E io sarò pronta ad accoglierlo, mentre si rifiutava di soccombere sotto alle percosse, di dare al Re e al suo mostro questa soddisfazione.
L’inverno sarebbe arrivato e Robb l’avrebbe salvata, Vento Grigio avrebbe lacerato le carni dei Lannister, avrebbe staccato la testa di Joffrey dal resto del corpo, e poi l’avrebbero messa su una picca e l’avrebbero fatta guardare alla sua famiglia come aveva dovuto fare lei.
Ci sarebbe stato sangue, interminabili pozze rosso rubino, rosso Lannister, gli occhi di Cersei e di Joffrey e di Jaime e di Tywin sarebbero stati come smeraldi opachi in fondo ad un lago. Tommen e Myrcella sarebbero stati loro prigionieri, perché erano bambini, perché erano innocenti, perché erano stati buoni con lei e lei sarebbe stata buona con loro.
Robb glielo avrebbe concesso, perché era un uomo giusto, e l’avrebbe riportata a casa, avrebbero ritrovato Arya e quella guerra sarebbe stata solo un bruttissimo ricordo.
Doveva solo aspettare come fanno i lupi prima di assalire una preda.
Aspettare e sopportare, perché sarebbero arrivati presto, suo fratello, il suo metalupo, il suo esercito e loro madre, e Sansa si sarebbe lasciata stringere tra le sue braccia, avrebbe annegato le lacrime tra le sue trecce rosso fuoco, avrebbe chiesto perdono per la sua ingenuità e la sua arroganza.
Presto.
Ma non abbastanza, mentre finiva stesa sul pavimento del camminamento deserto, il riverbero dorato del sole contro l’armatura che le faceva lacrimare gli occhi, il corpo stanco che non sentiva più nemmeno dolore.
Perché Cersei non veniva a salvarla anche questa volta?

Cersei non venne a salvarla. Fu il mastino a riportare la giovane Lady Stark nelle sue stanze, a posarla sul letto con un cortesia che stonava con la sua grandezza, il volto deturpato, le storie che ammantavano la sua figura, il personaggio di una leggenda, il fedele Cane del Lannister.
La Regina venne a sapere per caso dell’ultima bravata di suo figlio, di Sansa che dopo un giorno era ancora incosciente, di Pycelle che con le mani grasse e la barba lunga e il disgusto che le ispirava e le diceva di mandarlo il più lontano possibile, non sapeva spiegare cosa fosse accaduto alla loro pedina più preziosa, l’unico ricatto contro gli Stark.
Joffrey ascoltava annoiato, seduto scomposto sul suo Trono come se fosse una comodissima poltrona e quando fu solo fu lei a scuoterlo da quel torpore, a fargli aprire gli occhi su quanto la ragazza servisse viva e sana, su come lei lo aveva avvisato di non giocare, non con lei, perché se malauguratamente Robb Stark vincesse quella guerra e venisse a sapere del modo in cui era stata trattata la sorella avrebbe scatenato contro di loro la bestia che si portava al seguito.
Non aveva atteso la risposta del figlio ed era corsa nella stanza di Sansa, mandando via le cameriere e cercando di calmare l’agitazione e il panico che la divoravano.
Pietà e compassione germogliarono dentro di lei alla vista della ragazza, della bambina, incosciente sul letto, la pelle segnata di rosso, i capelli sfibrati, le occhiaie che la rendevano più pallida di quanto in realtà fosse.
Nemmeno Robert era mai arrivato a tanto. Forse temeva la spada di Jaime, la nomea dello Sterminatore di Re che aveva ucciso Aerys senza un motivo apparente, e chissà cosa avrebbe fatto al Re che osava violare il corpo sacro della sorella che amava più di chiunque altro.
Si sedette sul letto, timorosa di toccarla, di spezzarla con un movimento troppo brusco, e sentì le lacrime, calde e amare, solcare le guance e bagnare le labbra.
Era anche colpa sua. Era soprattutto colpa sua. Sapeva che mostro fosse suo figlio e non aveva fatto nulla, aveva lasciato una bambina indifesa tra le sue grinfie, consapevole di cosa sarebbe successo ma fiduciosa di poter controllare Joffrey, che essere sua madre valesse qualcosa.
Dove aveva sbagliato, con lui? Perché era tanto diverso dai suoi fratelli, perché somigliava tanto a quel padre assente che non lo aveva mai nemmeno ritenuto adatto a regnare?
Si asciugò le lacrime e pregò che Jaime tornasse. Aveva bisogno di lui, di qualcuno che la ascoltasse senza giudicarla, che la potesse capire, che non la compatisse per non averlo ascoltato, per aver ignorato le sue preoccupazioni perché, si, certo, Jaime era buono e le voleva bene, ma cosa poteva saperne di bambini lui che aveva preso il bianco che era ancora un bambino egli stesso?
Il prezzo delle sue colpe era davanti a lei, una rosa d’inverno colta troppo presto, lasciata ad essiccare al sole senza acqua e senza amore.
Una rosa che tanti avrebbero nominato Regina d’Amore e Bellezza, più adatta della Lupa selvatica che era stata sua zia, sicuramente più signora di lei, forse anche più bella.
Era bella, Sansa, fatta di contrasti e complementari, algida e viva, fuoco che bruciava nelle vene, il lupo che si agitava nella gabbia in cui le regole lo avevano rinchiuso.
Chissà chi era veramente Sansa, cosa avrebbe trovato scavando il suo animo, aprendo il suo cuore, frugando nel fondo della sua mente.
Sentí uno strano calore pervaderla, le sue dita che automaticamente stringevano più forte quella della ragazza, il cuore che aumentava i battiti e il sorriso che nasceva, piccolissimo e spontaneo, sulle sue labbra.
Stava per alzarsi, per uscire e rimettere ordine nei pensieri che stavano andando verso una direzione pericolosa e inopportuna, quando la sua stretta venne ricambiata e Sansa socchiuse appena gli occhi chiari ancora annebbiati.
   
 
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