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Autore: mask89    06/07/2020    12 recensioni
Naruto è in esilio auto inflitto, ma un omicidio, legato a delle circostanze misteriose, lo costringe a ritornare a Konoha, dove sarà costretto ad affrontare il suo passato.
Genere: Azione, Sentimentale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ino Yamanaka, Jiraya, Kakashi Hatake, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno | Coppie: Minato/Kushina, Naruto/Sakura
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Chapter VI

 
Sakura era distrutta, quel fine settimana, alla convention di medicina interna tenutasi a Suna, su una nuova tecnica di intervento in caso di infarto, l’avevano letteralmente stremata. Fortunatamente, Tsunade le aveva concesso il lunedì libero per riprendersi. Si gettò di peso sul letto. Il suo sguardo corse verso la fotografia che aveva sul comodino. Ritraeva lei e il suo ex-ragazzo, durante una loro vacanza nel sud Italia. Si ritrovò a pensare al loro rapporto, al suo tradirla con un’altra donna, per giunta, medico anche lei ed alla scoperta del tutto una settimana prima del matrimonio. Non poté impedire ad una lacrima di scorrere liberamente sul suo viso. L’asciugò furiosamente. La sua professoressa aveva ragione, piangere e struggersi per quel “figlio di buona donna” non aveva senso, era solo lesivo verso sé stessa. Prese la fotografia e, con un lancio perfetto, la scagliò nel cestino della spazzatura. Eppure, non riusciva a sentirsi libera, soddisfatta. Le lacrime ripresero a scendere, ma questa volta non fece nulla per asciugarle. Rifletté su quella relazione che era durata quasi un decennio, si trovò a chiedersi se Sasuke l’avesse mai amata realmente, oppure se fosse stata solo una lunga illusione. Si ritrovò a pensare a tutti quegli anni. I primi appuntamenti, la bellezza di fare le cose con la persona che si ama, l’invidia provata dalle sue amiche nel vederla in coppia con il ragazzo più desiderato delle scuole superiori. Lei che lo aspettava sempre dopo ogni suo allenamento in palestra. Lei che non andava al cinema se a lui un film non piaceva. Lei che rinunciava a comprare un vestito, perché lui lo riteneva troppo corto. Lei che lo seguiva ovunque andasse, anche se quelle attività non le piacevano. Lei che era sempre pronta a sostenerlo, se qualcosa non andava bene in famiglia o con suo fratello. Lei che lo aveva aspettato un interno anno, quando aveva deciso di partire da solo per visitare nuovi posti. Lei che aveva dato anima e corpo per quella relazione. Posò il dorso della mano destra sugli occhi per coprirli, per cercare di nascondere a sé stessa quelle lacrime, amare. Si chiese se lui avesse mai provato a fare una delle tante cose per lei. La risposta fu impietosa. No. Solo all’inizio della relazione aveva mostrato un vago interesse per lei, per cosa faceva, per i suoi amici, per i suoi interessi. Poi, il disinteresse più totale. Quanto era stata sciocca a giustificarlo ogni volta. È il suo carattere si diceva, è una persona introversa si ripeteva. È un lupo solitario, replicava contro quella parte del suo istinto che, inutilmente, cercava di metterla in guardia. Bugie. Stupide, sciocche menzogne che raccontava a sé stessa, per non guardare in faccia la realtà. Da quando aveva smesso di vivere per le sue ambizioni, i suoi sogni, i suoi ideali, per seguire ciecamente quelli di un’altra persona? Com’era diventata l’ombra di sé stessa? Da quando, annullarsi, era diventato un prezzo ragionevolmente buono da pagare, per amare? 
Nel vorticare di quei pensieri, il volto di un ragazzo dai capelli biondi e dagli occhi azzurri, si fece largo. Le lacrime aumentarono. Nonostante avesse “l’amore”, in quegli anni gli era terribilmente mancato. La sua presenza rassicurante, i suoi sorrisi, l’essere costantemente positivo nonostante le avversità. L’essere complici, la sua imprevedibilità nell’affrontare i problemi della vita. Dentro di sé lo sentiva. Era lei la causa del suo allontanamento da Konoha. All’inizio non ci aveva quasi fatto caso; ma con il trascorrere del tempo, si era accorta che una parte della sua vita era cambiata, in peggio. Come quando si avverte ancora la presenza di un arto reciso, ma si è consapevoli che ormai non c’è più. Aveva cercato di contattarlo più volte in quegli anni. Dapprima aveva provato a chiamarlo, ma il numero non corrispondeva più alla sua utenza. Poi aveva provato tramite i canali social, ma sembrava come se non fosse mai esistito. Si era giocata la carta dei suoi genitori, ma si erano trincerati dietro un imbarazzato muro di silenzio. In tutti quegli anni, si era convinta che lui fosse voluto uscire dalla sua vita, senza un buon motivo. Si era rifiutata di vedere la verità. Solo ora, riusciva a vedere con chiarezza la morte nei suoi occhi, quando gli aveva confessato di amare Sasuke Uchiha, il suo migliore amico, suo “fratello”. Ora comprendeva la sofferenza che gli aveva procurato con quella stupida confessione. Aveva distrutto la sua vita, poteva sopportarlo, poteva biasimare solo sé stessa. Il male che inconsciamente aveva causato, a quello che lei reputava essere il suo migliore amico, no. Non riusciva a tollerarlo. Ormai era troppo tardi per chiedere scusa. Esausta si addormentò.
 

La raccolta dei dati era la parte che più odiava del suo lavoro, ma era ben consapevole che, fosse una parte determinante, nella buona riuscita di un’analisi corretta. Aveva passato tutto il fine settimana a lavorare, giorno e notte. Ormai aveva perso il conto di quanti caffè ed energizzanti aveva bevuto, con buona pace dei tic nervosi che gli erano venuti. Ma lui era fatto così, che si trattasse di un allenamento o di una missione, ci metteva tutto sé stesso, anche a costo di rimetterci fisicamente. Certo, se Jiraiya gli avesse facilitato un po’ la vita, sicuramente ci avrebbe messo meno tempo, ma non poteva fargliene una colpa. Aveva provato per portare a casa il risultato nel più breve tempo possibile. Aveva mosso tutte le leve immaginabili ma, la burocrazia, ha delle ragioni che la ragione fa fatica a comprendere. Nel suo caso, un’autorizzazione di massimo livello che, avrebbe impiegato giorni affinché fosse presa in esame e poi concessa. Ma lui, Naruto Uzumaki, non era mai stato un tipo a cui piaceva molto aspettare. Certo, gli mancavano un bel po’ di dati importanti, che avrebbe potuto ottenere, se solo avesse forzato la mano, ma preferiva non esagerare. Nello stato di subbuglio in cui si trovava l’agenzia, un tentativo, eufemismo di intromissione, brutale di accesso ai sistemi, avrebbe sortito un effetto contrario e in quel caso, avrebbe potuto dire addio alla piena autorizzazione e con quello alla sua personale indagine.
Non che non fosse capace di penetrare un sistema senza far scattare gli allarmi, ma sapeva, molto bene che, sarebbe stato impossibile non lasciare tracce poiché, in quel momento, tutti i “fari” dell’agenzia illuminavano a giorno i dati che passavano per i server. Aveva preferito lavorare ai limiti della legalità, per ottenere alcuni dati che, gli avrebbero permesso di fare delle ipotesi più efficaci. Quei giorni di raccolta delle informazioni, gli avevano consentito di elaborare una duplice strategia su come affrontare il problema. Dapprima, aveva elaborato un software capace di analizzare in contemporanea le timbrature e i volti di chi obliterava, ma avrebbe dovuto aspettare il giorno successivo per verificare se ciò che aveva creato funzionasse bene. Il secondo punto della strategia era capire come si fossero infiltrati nel sistema della portineria e ricercare eventuali tracce. Quella era la parte che lo preoccupava maggiormente. Dai primi dati che aveva potuto verificare, anche se incompleti, si era fatto un’idea abbastanza precisa. Non erano dei criminali informatici di basso livello. Sapevano come comportarsi, trovare una falla, nel loro piano, non sarebbe stato facile. Certo, il software in dotazione a quelle povere guardie giurate non era di certo il massimo della sicurezza. Soltanto ad un primo sguardo aveva trovato bug sulla sicurezza abbastanza preoccupanti. Per non parlare degli ID e delle password fornite al personale per accedere all’interfaccia grafica. Alla tenera età di otto anni era stato capace di creare chiavi d’accesso molto più complesse. Sorrise beffardo, probabilmente, mettere come parola di accesso il cognome di quegli operatori, avrebbe reso agli hacker la vita un tantino più complicata. Si stropicciò gli occhi con le mani, da quante ore era vicino a quello schermo? Troppe. Posò lo sguardo sull’orologio da polso. Un cronografo di gusto discutibile, poiché, il quadrante richiamava le fattezze di un rospo. Ma a lui piaceva. Vi era un particolare legame con quell’oggetto. Era il regalo che i suoi genitori gli avevano fatto appena compiuto sei anni. Nonostante ai suoi non mancassero certo i soldi, visto che suo padre era dirigente di una grande azienda di sicurezza, mentre sua madre una funzionaria di una multinazionale di informatica, non lo avevano mai viziato con regali costosi o facendolo “vivere sugli allori”. Gli avevano insegnato il senso del dovere. Sul lavorare duro, per migliorarsi costantemente. Solo su una cosa non avevano mai lesinato, sull’amore incondizionato che gli avevano costantemente fatto sentire per tutta la vita. Vide che era mezzanotte inoltrata, era meglio andare a coricarsi. Si doveva svegliare presto, il primo giorno da professore universitario lo aspettava e, di certo, non voleva fare brutte figure, come ad esempio arrivare in ritardo alla sua prima lezione.
 

Gli occhi le bruciavano, con il dorso della mano si asciugò una lacrima che le era sfuggita dall’occhio sinistro. Se ne pentì subito, il guanto in lattice non aveva fatto altro che aumentare l’irritazione. Se li sfilò, frustrata. Quel cadavere stava mettendo a dura prova la sua pazienza, oltre che la sua autostima. Sentiva che c’era qualcosa che non tornava, che aveva tralasciato. Diamine lei era Shizune, la miglior anatomopatologa della nazione. Solo Tsunade le era avanti, la quale per altro, le aveva insegnato tutti i trucchi del mestiere. Uscì dal laboratorio per prendere una boccata d’aria. Chissà, forse, magari schiarirsi le idee le avrebbe fatto bene. Prese il pacchetto di sigarette dalla sua borsa rosa, a forma di porcellino. Sapeva bene quanto fosse ridicolo quell’oggetto, ma a lei piaceva. L’aveva custodito fin dalla più tenera età e accompagnata in tutte le fasi della sua vita.
Cominciò a fumare nervosamente. La brace rossa della sigaretta, che lentamente si consumava ad ogni boccata, in quel buio, sembrava più ardente che mai. Da quante era si trovava in quel maledetto posto? Era sicura solo di una cosa, di essere entrata lì quando il sole era appena sorto, mentre nel cielo si stagliava un magnifico gioco di luci e colori. Ora invece, era buio pesto e, i lampioni dell’ospedale universitario, rischiaravano a sufficienza il viale di accesso all’obitorio. Ma lei doveva sbrogliare quella matassa. Nessuno commetteva un omicidio perfetto, era il prima assioma che aveva assimilato, quando aveva intrapreso la carriera di medico legale. Si arrovellò il cervello, che avesse sbagliato qualcosa? Che non avesse esaminato con perizia qualche particolare? Impossibile.
Rientrò furiosa in laboratorio, più decisa che mai a risolvere quel rebus. Tirò, nuovamente, fuori tutto il materiale del caso che aveva personalmente prelevato da quel corpo. Quello che ancora si rifiutava di spedire al laboratorio scientifico, per le analisi di rito. Poi si diresse verso la cella frigorifera; quel corpo gli doveva delle risposte, e anche subito. Riesaminò un’altra volta tutte le ferite che gli erano state inferte, ma nulla. Oltre al taglio ben eseguito, non c’era niente di nuovo che potesse esaminare o aggiungere. Certo, era un taglio che lasciava un’impronta molto particolare sulla carne; ma solo un’analisi comparata in laboratorio, avrebbe potuto dare la certezza di quale arma fosse. Passò al busto, ma anche lì, nulla di nuovo da segnalare. Sentì la frustrazione aumentare ogni minuto che scorreva, ma decise di non demordere. Si accinese a riesaminare la testa. La parte esterna non le aveva dato molta soddisfazione, anche il riesame dei seni nasali non le diedero nuove informazioni. L’ultima spiaggia era la bocca, ma ormai le sue speranze erano “ridotte al lumicino”. Stava quasi per arrendersi, quando notò qualcosa di strano sulla faringe. Senza perdere tempo, illuminò quel piccolo orifizio con una lampada più potente. Come aveva fatto a non notare prima quell’elemento anomalo? Con irruenza prese le pinze che si trovavano sul carrello. Le infilo con forza ed estrasse ciò che aveva attirato la sua attenzione. L’esaminò con interesse sotto la luce, sembrava una foglia. La campionò e la mise assieme all’altro materiale da spedire al laboratorio della scientifica. Non sapeva spiegarsi il perché ma, finalmente, si sentiva soddisfatta.


Spazio autore:

Ciao a tutti! Ecco il nuovo aggiornamento!
Spero che la storia vi appasioni sempre di più!
Come sempre, mi farebbe veramente piacere conoscere la vostra opinione.
A presto, spero!
   
 
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