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Autore: Ghostclimber    07/07/2020    7 recensioni
Credevo che dopo il lungo discorso di qualche giorno fa sarebbero cambiate le cose.
Credevo che dopo quello che abbiamo condiviso tu l'avresti lasciata perdere.
Evidentemente mi sbagliavo.
HanaRu
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Haruko Akagi, Kaede Rukawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciaossu, bellissime bellezze!

Chiedo scusa per il ritardo sul solito appuntamento del lunedì: finalmente ieri sono riuscita a tornare ad arrampicare e mi hanno dovuta tirare giù dalla roccia con il piede di porco perché non ne avevo mai abbastanza (infatti oggi ho più dolori di un ottantenne dopo una lezione intensiva di Pilates, ma dettagli).

Spero vi piaccia questa fic e questo Rukawa in versione drama queen... diciamocelo, però, se non si fa la drama queen da adolescenti quando si può fare? (e non ditemi a trent'anni, perché conosco una che fa così e mi sale l'istinto della sberla da venti megatoni ogni volta che apre bocca)

Come sempre, battete un colpo se gradite!

XOXO

 

 

 

 

 

“Never knew I could feel like this,

like I've never seen the sky before...”

 

 

 

 

Credevo che dopo il lungo discorso di qualche giorno fa sarebbero cambiate le cose.

Credevo che dopo quello che abbiamo condiviso tu l'avresti lasciata perdere.

Evidentemente mi sbagliavo.

 

È colpa mia.

Colpa mia, che continuo a credere in una storia che già fa fatica ad ingranare, figuriamoci poi a continuare per anni e anni come vorrei che facesse.

Colpa mia, che mentre ieri entravi dentro di me ho voluto credere che lo stessi facendo anche ad un livello più profondo, mentale e sentimentale.

Colpa mia, che ti metto sempre al primo posto relegando me stesso e tutto il resto del mondo al secondo, anche quando mi tratti male e sbraiti parole che mi feriscono.

 

Ma non rifarò più gli stessi errori.

Oggi resterò da solo, seduto come un imbecille su questo scoglio sferzato dal vento, a chiedermi come ho potuto essere così idiota da lasciarti entrare così a fondo.

Ho sempre ripetuto a me stesso che permettere a qualcuno di avvicinarsi tanto da toccarmi è un rischio, che chiunque può toccarmi può anche ferirmi, ma mi sono arreso di fronte all'intensità delle sensazioni che mi dava il contatto con il tuo corpo, l'essere al centro del tuo campo visivo, bersaglio delle tue provocazioni che mi illudevo fossero un modo per entrare in relazione con me ma che, ora lo capisco, non erano altro che insulti buttati lì tanto per dire, dettati da una certa qual forma di invidia, un risentimento che neanche si può definire odio.

Mi sono convinto di cose che non esistevano, come una delle ragazzine che mi sbavano dietro e che tanto disprezzo: ma ora sono costretto ad ammetterlo, sono uguale a loro: come loro trasformano le mie occhiatacce in uno speranzoso “Rukawa mi ha guardata”, io ho trasformato le tue saette di astio in altrettanti speranzosi “Sakuragi mi ha considerato”.

Mi passo una mano tra i capelli quando vorrei invece coprirmi la testa. Fa freddo, qui, ma non è nulla in confronto al gelo che mi sento nelle ossa da quando, questa mattina, ti ho visto abbracciare Haruko in un'aula vuota.

 

Avreste dovuto mettervi in un punto che non fosse visibile dall'esterno, così non vi avrei scoperti.

O è una tattica studiata appositamente per farti vedere da me?

Forse, hai fatto apposta a metterti davanti alla finestra, nella speranza che io ti vedessi e traessi da solo le mie conclusioni, così da toglierti l'incomodo di dovermi spiegare che non ti piaccio, che ieri è stato un errore da non ripetere, che non sai come dirmelo senza ferirmi... no, questo no. Non te ne è mai importato un fico secco di ferirmi, lo fai di continuo con i tuoi commenti sferzanti e caustici, con le mani chiuse a pugno che si abbattono sul mio corpo e lo costellano di lividi e ferite.

Probabilmente hai pensato solo al tuo tornaconto: ti sei evitato di sprecare fiato, di sopportare la vista di un Rukawa abbattuto e ferito, hai scansato il rischio di essere preso a pugni in faccia nell'eventualità che la mia rabbia fosse esplosa in quel senso e il rischio di vedermi in lacrime e non sapere cosa fare, se cercare di consolarmi o andartene con la sola amara compagnia dei tuoi sensi di colpa per avermi abbandonato a singhiozzare in un angolo dello spogliatoio, da solo.

 

Guardo l'orologio.

A quest'ora vi sarete senz'altro accorti che non ho intenzione di partecipare agli allenamenti.

Forse domani, non lo so.

Oggi no di sicuro.

Ad ogni cambio di direzione avrei davanti qualcosa che mi ricorda te, il tuo viso, le tue spalle, i tuoi amici, la tua voce... Haruko.

Solo pensare a lei mi fa salire la bile.

Lei, che pur non essendo nulla di particolare è comunque riuscita a colpirti così a fondo da non lasciare spazio per me, e solo con un paio di parole.

Lei, che nonostante abbia detto chiaramente chissà quante volte di amare me e non te non è riuscita a soffocare quel che provi nei suoi confronti, forte della consapevolezza che lei non mi conosce affatto, che se mi conoscesse la disgusterei, e che tu con la tua personalità puoi darle molto di più di una stupida cotta a senso unico.

 

Chissà se mi stai pensando.

Chissà come mi stai pensando.

Chissà se sei felice che io non sia venuto; sicuramente non eri entusiasta all'idea di affrontarmi. Magari hai passato il resto della mattinata a chiederti come avresti dovuto comportarti, ideando un piano d'azione dietro l'altro, uno più stupido e assurdo del precedente.

Chissà se sei preoccupato, se hai capito che vi ho visti e ora ti chiedi se non ho commesso qualche cavolata melodrammatica; forse con un po' di malignità troverai conforto a questa idea, non dovresti più avere a che fare con me se mi fossi ammazzato.

 

Comincia a fare davvero freddo.

Pioviggina, quella bruma che sa di Irlanda e che mi ricorda le prese in giro dei nostri compagni di squadra quando ti sei lasciato sfuggire che sei in parte irlandese.

Tra Miyagi che ti chiedeva se pisci verde e Mitsui che voleva l'esatta ubicazione della pentola d'oro, non so come tu abbia fatto a riderne, sapendo quanto detesti essere preso in giro.

Tira vento, un'aria violenta e gelida che mi ricorda quella volta che hai retoricamente chiesto perché non mi fossi rotto una gamba da piccolo.

E lo scoglio è duro e scomodo, come duro e scomodo è stato cercare di incrinare la tua barriera di ostilità mentre al contempo mi sforzavo di accantonare quella timidezza che mi assale non appena mi ritrovo senza il pallone da basket tra le mani, mentre tu opponevi una strenua resistenza.

 

E che stupido sono stato, a credere al tuo imbarazzato borbottio quando hai detto che va bene, potevamo fare l'amore, ma non sapevi se fidarti a stare sotto a causa della schiena.

Certo, la schiena.

Ti ho creduto come un coglione quando avrei dovuto capire che semplicemente non volevi stare sotto, volevi poter dire “mi sono scopato Rukawa”, perché suona decisamente meglio rispetto a “mi sono fatto scopare da Rukawa”.

E nonostante tutto, se tu ora venissi qui e mi raccontassi un'altra palata di bugie credo che non potrei fare a meno di crederti.

 

Una figura imbacuccata si avvicina dalla spiaggia.

È lontana, non capisco se sei tu.

Da un lato non ci spero nemmeno, da un lato lo temo.

 

È troppo piccola per essere te.

Mi volto dall'altra parte, in caso sia qualcuno che mi conosce o qualche passante che vuole attaccare bottone con il bel ragazzo tutto solo su uno scoglio.

-Rukawa.- chiama la voce di Haruko. Trema. Non la guardo.

-Rukawa, per favore, posso parlarti?

-No.- rispondo, e spero di essere stato abbastanza chiaro. Se non fossi così stanco, così triste, le chiederei come osa venire a parlare con me, il ragazzo che lei dichiarava di amare, dopo avermi portato via il fidanzato. O il tale da cui mi sono fatto scopare e di cui sono stupidamente innamorato, se vogliamo mantenere un accenno di realismo.

-Perché non sei venuto agli allenamenti?- insiste, chiede.

-Da quando sono fatti tuoi?

-Non sono fatti miei ma sono fatti di Hanamichi. E i fatti suoi sono fatti miei.- Non posso trattenermi ed emetto uno sbuffo sarcastico; questa era la conferma che non avrei mai voluto avere.

-Senti!- la voce di Haruko trema ancora di più, ma al contempo è permeata da una strana forza. Nonostante tutto mi sento obbligato a girarmi per guardarla in faccia, ma non so interpretare quello che leggo sul suo viso; sembra molto confusa, arrabbiata ed emozionata: -Che c'è?

-Prima fate l'amore, poi non gli parli per tutto il giorno e non ti fai vedere agli allenamenti! Mi dici a che gioco stai giocando?- sbarro gli occhi a questa sua affermazione.

-Cosa pensavi?- chiede Haruko, aggressiva, -Che non me l'avrebbe detto?

-Io...- riesco a dire prima che mi interrompa, ma la risposta sincera era ovviamente che pensavo avrebbe sepolto l'esperienza sotto ad un cumulo di scorie per dimenticarsene.

-E sì, un po' lo odio per questo,- ammette Haruko, e ora nella sua voce c'è appena una punta di amarezza, -Ma lui è il mio migliore amico e...

-Il tuo migliore amico?- sbotto. È una definizione parecchio retrò.

-...e sono contenta che lui sia felice, o almeno lo ero fin quando non l'ho visto uscire dallo spogliatoio venti minuti fa con le lacrime agli occhi.- cade il silenzio, persino il vento sembra aver smesso di soffiare furibondo anche se lo sento mordermi la pelle esposta del viso.

-Cosa?- sussurro. Non credo neanche che lei mi abbia sentito, vuoi per il volume, vuoi perché sembra davvero infervorata.

-Adesso vai a cercarlo e gli spieghi cosa diavolo ti passa per la testa!- urla Haruko, puntando il dito verso l'entroterra con un gesto aggressivo. Trema come una foglia, io tremo come una foglia, e non oso credere alle sue parole.

Nonostante mi abbiano sempre ripetuto che con l'impegno posso ottenere qualsiasi cosa, finora questo è stato confermato solo nel basket. In tutte le altre cose, dalla matematica ai rapporti sociali, rimango ancora un impedito completo.

Statisticamente parlando, l'amore avrebbe una buona probabilità di rientrare nella categoria “non c'è niente da fare”.

-MUOVITI!- urla Haruko, e la sua voce echeggia nell'aria umida e nella mia coscienza.

-È vero quel che hai detto?- chiedo, un'ultima conferma.

-No, sono venuta qui a congelarmi per uno stupido scherzo. Non sarò un fenomeno, Rukawa, ma non sono nemmeno una cretina completa!- mi alzo in piedi e la fronteggio. La sovrasto, e lei fa un passo indietro, intimorita; non la biasimo, non sono mai stato socievole e più di una volta ho dimostrato di avere un temperamento un tantinello aggressivo.

La abbraccio.

Non so perché, ma la abbraccio. Forse perché finalmente vedo qualcosa in lei, qualcosa di grande, enorme. Enorme e di uno splendore abbacinante: il coraggio di mettere il bene di una persona a cui si vuole bene di fronte al proprio. Io sono un egoista nato, figlio unico di genitori ricchi e compiacenti, e fin quando non sono arrivato al liceo non ho saputo cosa volesse dire non riuscire ad avere tutto su un piatto d'argento: mai e poi mai riuscirei ad essere tanto buono da gioire per la felicità di una persona cara quando essa mi provoca dolore.

Vorrei dire qualcosa, dirle che ha dimostrato di non essere come tutte le altre galline, che non merita me ma merita comunque il meglio, ma sono pur sempre io: la pianto lì e corro via, verso la scuola, sperando di essere ancora in tempo per intercettare Sakuragi prima che se ne vada a casa, o in qualche sala giochi, o in qualche altro posto sperduto dove non potrei ritrovarlo. E non voglio fargli passare la notte con l'idea che io non lo ami, non voglio passare la notte a rigirarmi nel letto pensando che domani mi lascerà perché non sono riuscito a trovarlo e lui nel frattempo ha deciso che la soluzione migliore era ricominciare ad odiarmi a morte.

 

Eccolo.

Cammina da solo, con le spalle curve, appena fuori dal cancello della scuola.

Dentro al cortile intravedo le meste figure dei suoi amici, riuniti sotto due ombrelli appena sufficienti a coprir loro le teste, fermi e sperduti nell'incapacità di consolare il loro rosso preferito.

-Hanamichi!- chiamo, ed è la prima volta che dico il suo nome a voce alta. Ieri gliel'ho sussurrato all'orecchio mentre mi prendeva, e tuttavia era la prima volta che lo pronunciavo. Siamo sempre stati rudi, grezzi, troppo impegnati a coprire i nostri sentimenti per non rischiare di essere presi in giro per permetterci di gustare qualche piccola dolcezza condivisa.

Si gira al mio richiamo, e la mia corsa è fuori controllo: mi schianto contro di lui, sento l'aria che lascia i suoi polmoni in uno sbuffo improvviso, sento la sua divisa zuppa di quell'irritante pioggia che si appiccica alla mia, altrettanto bagnata e molto più fredda.

Non ricambia il mio abbraccio, ma io non demordo. Le parole di Haruko mi fanno sperare che la sua sia solo una mancata reazione per essere stato colto di sorpresa, e non un implicito rifiuto.

Ma in fondo al cuore, mentre lunghi secondi passano e le sue braccia non si alzano, ecco crescere il terrore di aver sbagliato tutto, di aver fatto passare quel minuto di troppo.

Conficco il viso nella curva del suo collo, respiro il suo odore mascolino, stringo il suo torace contro il mio in una presa convulsa che rivela quanto io sia spaventato: la paura cresce, sale e si inanella su se stessa come i primi soffi di vento di una tempesta, e soffoca ogni ragionamento logico. D'improvviso mi sento convinto che questa sarà l'ultima volta che potrò assaporare la consistenza del suo corpo e desidero con tutto me stesso di morire, qui ed ora, per non essere costretto a tirare avanti per tutti gli altri giorni della mia vita con solo il ricordo di questa sensazione, che sbiadisce ogni giorno che passa come una vecchia fotografia all'allume di potassio che si fa via via più sfocata per la reazione della luce.

È come se avessi visto il cielo per la prima volta, salvo poi scoprire che è anche l'ultima. L'idea che potrei non godere mai più del privilegio di perdermi in questo magnifico spettacolo mi spezza il cuore, lo fa battere più forte contro la cassa toracica, e io penso irrazionalmente che se continua così tutto il sangue che ho si riverserà fuori dalle mie vene e io morirò. Se l'alternativa dovesse essere vivere senza di lui, non sarebbe neanche un male: realizzo nel momento peggiore che lui non ha rubato la mia solitudine, l'ha solo riempita con se stesso. E il suo peso è dolce.

Poi, la sua voce, rotta e debole come non avrei mai voluto sentirla: -Dove sei stato, Kaede?

-Sono un cretino. Non avevo capito niente. Ti amo.- lo sento trattenere il respiro tutto d'un colpo. Vorrei avere la capacità di articolare un discorso ben strutturato, spiegargli che cosa ho frainteso e fargli un lungo elenco di epiteti con cui potrà chiamarmi da ora in poi, ma non sono capace. Resto zitto, che è la cosa che mi esce meglio, e spero che lui capisca quello che voglio dirgli.

-Mi hai visto con Haruko?- chiede. Annuisco contro il suo collo.

-Mi spiace. Non volevo. Cioè, non ci ho proprio pensato.- finalmente, dopo quella che mi è sembrata una vita intera, sento le sue braccia che si alzano a circondarmi le spalle. Esalo un respiro che non mi ero accorto di trattenere, poi la sua guancia si strofina contro la mia tempia.

Mi rilasso poco a poco, e per una volta me ne frego di quello che potrebbe pensare la gente di passaggio: siamo in mezzo alla strada, sì, ci stiamo bellamente abbracciando alla faccia delle convenzioni sociali, di nuovo sì, ci amiamo... beh...

-Ti amo anch'io, Kaede.- dice. Sì. Ci amiamo.

-Non dubitare di me.- aggiunge. Non esattamente la più facile delle richieste, e di nuovo eccomi a maledire la mia incapacità di mettere in piedi più di quattro parole in croce. Alzo il viso, lasciando il caldo rifugio del suo collo, lo guardo negli occhi e spero capisca.

Abbassa il mento, appena appena, e so che è un invito.

Lo bacio, lì davanti al mondo intero, o almeno quei pochi fuori di testa che sono in strada nonostante la pioggerellina si sia ormai trasformata in un piovasco vero e proprio.

Avverto lo sguardo dei suoi amici sulla schiena, ma per una volta non sembrano intenzionati a uscirsene con una delle loro solite chiassate.

Respiro nella bocca di Sakuragi, lui respira nella mia, e io lascio che in me si spanda la quieta calma di una nuova consapevolezza: vorrei svanire in questo bacio, sono terrorizzato all'idea che il mio amore per lui continui a crescere imperterrito, ma per lui sono pronto a reggere il peso di questo sentimento troppo grande per me. Non sono altro che un ragazzino invasato per il basket, una femminuccia che ha imparato a fare a botte, un principino viziato che vuole giocare a fare il re, ma per lui sono pronto a impegnarmi seriamente e prendere con calma i miei scatti di rabbia, le mie idiosincrasie e i miei pensieri sospettosi.

Ci proverò, con tutto me stesso, ma non sono sicuro che ci riuscirò sempre. Ma la sua lingua che impone alla mia un ritmo più lento di quello della danza che avevo cominciato a intrecciare parla chiaro: lo sa, e sopporterà.

Verranno litigi, lunghe sere buie in cui non faremo altro che coprirci di insulti, ma se riusciremo a prenderci per mano ci saranno anche infinite notti per fare la pace, notti illuminate da un palco di stelle lucenti con i grilli a frinire in sottofondo, notti in cui fare l'amore con la finestra aperta per lasciar entrare il vento che sussurrerà i nostri nomi, il vento che dirà che succeda quel che succeda, io questo ragazzo lo amerò per sempre.

Ci stacchiamo, ansimanti, come se avessimo corso, e un po' mi sembra di averlo fatto. Abbiamo corso insieme lungo quelli che potrebbero essere i sentieri della nostra vita futura, abbiamo lanciato una rapida occhiata a ciò che ci circonda e abbiamo deciso che vale la pena tornarci con calma per godere del paesaggio.

Ci saranno giorni di sole in cui cammineremo mano nella mano lungo strade dritte e ampie, giorni di pioggia in cui ci avventureremo su sentieri sconnessi e lugubri, indicandoci a vicenda questo o quell'altro cespuglio; io lo chiamerò per fargli notare il leprotto che saltella nell'erba alta alla nostra destra, lui mi strattonerà per farmi passare più lontano da un serpente, che quasi di certo non è velenoso ma potrebbe esserlo.

In altre parole, ci vivremo l'un l'altro, provando e sbagliando ogni giorno.

-Ti amo, Hanamichi.- ribadisco.

-Devo essere scemo, ma ti amo anch'io, Kitsune.

-Do'aho!- ride, snuda i denti in una curva giocosa e mi rifila un pugno sulla spalla che è più una pacca, e di nuovo io so.

Succeda quel che succeda, lo amerò fino al mio ultimo respiro.

 

 

 

 

“How wonderful life is,

now you're in the world...”

 
   
 
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