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Autore: benedetta_02    07/07/2020    0 recensioni
Agata Giordano è una giovanissima ragazza che ha avuto l'onore di partecipare alla resistenza italiana che ora però ha solo bisogno di tornare nella sua città, Torino, per ricongiungersi con la sua famiglia e le sue vecchie conoscenze. Ma quello che troverà sarà solo morte, fame, terrore e così decide di ripercorrere passo passo la sua esperienza da partigiana attraverso i ricordi. Amori impossibili, segreti inconfessabili e un ruolo della donna sempre più di maggiore spicco, una donna stanca del passato e che ha un solo sogno: andare via.
Genere: Guerra, Malinconico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Torino, 25 aprile 1951
 
Come ogni anno ritorna puntuale questa famigerata data. Il 25 aprile. Ormai non riuscivo più a provare le stesse sensazioni che provavo i primi anni. Non ero più eccitata, soddisfatta e fiera come lo ero all’inizio, adesso avevo quasi rilegato in un angolo semivuoto del mio cervello quel periodo tanto angosciante e avevo tenuto stretti a me solo i ricordi che meritassero di essere ricordati. Come i ricordi con i miei amici, i ricordi con Michele e i ricordi di quella mia inconsapevole gravidanza. Adesso, per me il 25 aprile rappresentava una data come tante altre. Sebbene, mi luccicassero comunque gli occhi mentre ripensavo ai momenti di gloria, avevo capito che ora ero una madre, dovevo iniziare a pensare al lavoro. L’età del gioco selvaggio era finita.
 
Io che avevo sempre temuto di diventare una donna come tante altre. Una donna anonima, imbacuccata da vestiti sfarzosi e gioielli, che parla sempre delle solite sciocchezze. Temevo che gli anni della gioventù, in cui ero semplicemente libera, giovane e rilassata fossero finiti con la nascita di Michele. Ma non me ne pento. Una volta avrei detto che piuttosto che vivere per sempre invecchiando, vorrei morire giovane. Ma ora se morire invecchiando vuol dire gustarmi il mio bambino fino all’ultimo respiro, lo farò.
 
Non bisogna mai smettere di credere in se stesse, non bisogna mai finire di lottare. Ma con calma, in modo che nessuno si faccia male. Ecco cos’è l’amore per me ora. Fare la cosa giusta evitando che qualcuno possa farsi male o possa soffrire, che mio figlio possa rimetterci in qualche modo.
Ormai era passata una settimana esatta che avevo sostenuto la discussione di laurea. Ero andata benissimo. 108 su 110. Penso che mio padre sarebbe stato fiero di me anche se non lo avrebbe mai ammesso pubblicamente, ma avrebbe accolto tutti i complimenti sul mio conto. Alla mia seduta di laurea avevo tenuto che ci fossero tutti quanti, e come sospettavo rispettarono la mia richiesta tranne Rocco e Lila, poiché l’America non è dietro l’angolo.
 
 La mia tesi aveva riscosso tanto successo quante le critiche a riguardo. Erano personaggi della vita accademica torinese a non avere idea di quello che stessi dicendo, personaggi che mio padre portava su un piatto d’argento. Saffo, eroina della emancipazione femminile, dei diritti umani, dell’omosessualità. E nemmeno lo sapeva. Eppure lei continuava a scrivere, inconsapevole che un giorno sarebbe diventata la regina dell’eresia, la poetessa più pazza della storia. Ma io, come tanti altri pronti al cambiamento, la amavamo.
 
Io, come lei, avevo continuato a scrivere la mia opera. Seppure Milena aveva smesso di parlarmi delle sue esperienze da prostituta, il mio libro procedeva a gonfie vele. Avevo metabolizzato ogni sua parola, ogni suo pensiero più intimo, ogni sua paura e ogni sua gioia. Fin quando finalmente era finito. Milena aveva finito il suo ciclo. Ora era una donna vera, una donna a 360°, era riuscita a formarsi da sola, aveva un figlio che cresceva bene e lei era altrettanto preparata alla vita. Anche se lei questo ancora non lo aveva capito. Se ripenso alla Milena che avevo conosciuto anni prima, quando ero ritornata nella mia città impaurita da tutto, anche da un fruscio di foglie che mi sembrava inusuale, mi sembra una sconosciuta. Quella Milena che involontariamente avevo insultato solo perché meridionale, quella Milena che ho visto piangere, urlare, dimenarsi ma anche sorridere, commuoversi, divertirsi. Anche se ho avuto bisogno di anni per capirlo, Milena era diventata la mia perfetta metà. Milena aveva preso il posto di Emilia, di Giovanni, di Ginevra, di Lila. Eravamo io e lei, come mi disse lei un tempo, ‘semu fimmine sule’. Ed aveva ragione, eravamo e siamo donne sole, ma insieme siamo più forti di una qualunque famiglia.
 
Io e la ragazza dalle sottovesti strappate e i lunghi ricci rossi, siamo diventate una famiglia, certamente inusuale, ma pur sempre una famiglia che sa volersi bene più di qualunque altra. Ed ora che la sua storia era completa, io volevo che tutti conoscessero la bella persona che è Milena. Lei meritava un lieto fine col botto, volevo rendere un libro quella quattro pagine buttate lì a caso. Volevo che tutta Torino, tutta l’Italia, anzi tutto il mondo sapesse le disgrazie che un essere umano può patire ma allo stesso tempo trovare il coraggio di alzare la testa, dire basta e provare a cambiare vita. Perché non sempre la famiglia Toscano dei Malavoglia è destinata a vendere solo lupini. La vita è infatti una dura lotta per la sopravvivenza, e quindi per la sopraffazione: un meccanismo crudele che schiaccia i deboli e permette ai forti di vincere. Ma chi ha detto che deve finire così?
 
“Posso?” Milena bussò alla porta mezza aperta della camera che ormai condividevo con Michele, mentre già aveva poggiato un piede all’interno.
 
Io che ero poggiata al davanzale della finestra le feci un cenno con la mano di avvicinarsi.
 
“Come stai?” Mi disse lei sedendosi sul davanzale dietro le tende, continuando a fissarmi.
 
“Meh, così così.” Risposi io guardandola con un’aria di tranquillità.
 
“Ma che hai Agatì? Sei così da qualche giorno. È la data che ti mette ansia o angoscia?” Disse lei, sollevandosi e poggiandomi una mano sul braccio destro.
 
“Ma no. È sempre la stessa cosa Milè, lo sai.”
Milena ritrasse la mano ed incrociò le braccia sul petto, rimettendosi seduta. Poi poggiò le mani sul freddo davanzale in marmo bianco, accavallando le gambe e continuando a guardarmi. Poi sospirò, un po’ come si fa in una situazione di imbarazzo.
 
“Vieni qua.” Mi tirò il braccio e mi fece sedere accanto a lei.
“Io posso immaginare nemmeno un decimo di quello che puoi provare, anzi credo che nessuno possa capirti se non chi c’è passato. Ma capisci quello che sto per dirti: le persone aiutano le persone , Agatì. Se tu rimani da sola, se tu passi tutto il tuo tempo chiusa in te stessa, nelle tue paure e nel tuo passato, tu non volterai mai veramente pagina. I tuoi amici sono tutti bravi e simpatici per carità, ma vuoi provare a non soffrire ancora per Michele? E allora fatti nuovi amici, e allora esci ancora. Vuoi smettere di soffrire per Giovanni? Non vedere più la sua famiglia. Vuoi smettere di soffrire per Ginevra? Non chiamarla più. Tutte queste persone, in un modo o nell’altro hanno scelto di andar via, tu non puoi biasimarti. Sei triste, sei stanca, devi rialzarti da questa situazione di stallo Agatì. Io ho paura che tu possa fare un brutto scherzo.”
 
“Mi sta chiedendo di dimenticarli? Di dimenticare Michele?”
 
“Le persone non si dimenticano Agata, io ti sto chiedendo di guardare avanti, di provare a fare un passo avanti verso la nuova vita che ti aspetti. Parli sempre di fare il cambiamento, di attuare un innovazione. Ma come pretendi di cambiare, se in primis non cambi tu?”
 
“Hai ragione Milè, ma è più semplice a dirsi che a farsi.”
 
“Ci hai mai provato?”
 
“No, non ho mai provato.”
 
“E allora?”
 
“E cosa dovrei fare?”
 
“Esci, stai lontana dai posti che possono ricordarti queste persone, incontra gente nuova, fai nuove cose.”
 
“Grazie Milè.”
 
“E per cosa?”
 
Mi abbracciò tenendomi stretta come se temesse che da un momento all’altro sarei scappata come una gazzella. Milena non aveva la minima idea del progetto che avevo in mente per lei, per noi.
 
“Agatì, un’altra cosa. Ma tu sei proprio sicura di non voler andare in America?”
 
Avevo avuto il coraggio di dirglielo, sebbene la mia indecisione sia stata lunga. Non avevo la minima idea su quale fosse la cosa migliore da fare ma alla fine dei conti decisi che era meglio restare, rimanere, non andare da nessuna parte e farlo partire da qui il cambiamento tanto atteso. In fondo, Torino era la mia città.
 
“No Milè, te l’ho già spiegato. Non ha senso. Fondamentalmente siamo senza una lira, Salvatore e Michele mi sembra si trovino bene qui, io sto cercando il modo per fare il concorso e in più questa cosa che bisogna necessariamente sposarsi con un cittadino americano per vivere in America, non è che mi piace più di tanto. E poi tu ti ci vedi sposata? Adesso? Con un uomo che nemmeno ami. Ma non se ne parla proprio. Pensiamo a lavorare un po’ di più, pensiamo a mettere qualche soldo da parte e ci prendiamo un appartamento in centro, io e te. Così lasciamo questo convento una volta per sempre.”
 
“Anche se ho dei ricordi meravigliosi qui dentro. E Suor Costanza mi mancherà.”
 
“Ma è qui che si palesa la nostra indipendenza economica, innanzitutto, ma anche personale.”
 
“Ma si. Hai ragione, poi in fabbrica ora guadagno molto di più, con la politica mi trovo molto bene, anche se sto Togliatti a me non la racconta giusta.”
 
“Ma si ma dagli il tempo, non sono nemmeno 10 anni che è segretario.”Dissi io spingendole la spalla verso dietro e ridendo.
 
“Eh, ma ti dirò.” Mi rispose lei di botto.
 
“Senti Milena devo dirti una cosa.”
 
“Non mettermi paura, dimmi.”Disse portandosi una mano al petto.
 
“No tranquilla, non dovresti preoccuparti.”
 
“Cioè?”
 
“Milena io ho scritto un libro.”
 
Milena senza dire una parola sorrise e mi abbracciò fortissimo.
 
“Brava Agatina, brava Agatina. Sono così fiera di te. Sono sicura che sarà un succ..”
 
“Su di te.” Le dissi io interrompendola.
 
Milena si staccò lentamente da me tenendomi ancora le mani su entrambe le spalle, e continuando a guardarmi con uno sguardo palesemente preoccupato. Rimanemmo in silenzio per un po’, fin quando non decise di scuotere la testa come se dovesse riprendersi da un brutto sogno e si poggiò le mani sulle cosce, strofinandole avanti ed indietro.
 
“Su chi Agata?” Disse lei, alzando lentamente il capo e scandendo piano le parole in modo che mi rimanessero impresse in testa.
 
“Su di te.” Ripetetti io, alzandomi verso la scrivania per cercare nei vari cassetti il ‘manoscritto’ della sua storia, quando finalmente lo trovai, mi avvicinai lentamente verso di lei con tutti quei fogli in mano, mentre lei continuava a guardarmi esterrefatta tendendomi una mano. Le posai il manoscritto tra le mani e lei iniziò a leggere le prime pagine. Il libro era come una specie di storia inventata. Inizialmente avrei voluto strutturarla come delle lettere o come un diario segreto, ma mi resi conto che sarebbe stato un po’ noioso e non sarebbe mai diventato il “Pamela” di Richardson, e allora decisi di fare una vera e propria trama. Una storia nella storia, con uno scenario ben chiaro e definito, uno sfondo realistico ma con una vena di finzione, ma la reale protagonista dell’opera doveva essere lei, doveva rimanere una donna, che iniziava la storia da sola con delle convinzioni, ma finiva sempre da sola ma soddisfatta della donna che era.
Questo volevo dal mio libro, volevo spingere le ragazze a farcela, volevo far capire loro che se ce l’aveva potuta fare una donna come Milena che aveva sofferto e che era partita dal nulla, possiamo farlo anche noi borghesi.
 
Lasciai Milena leggere quelle pagine per un po’. Non lesse tutto il libro ma soltanto il primo capitolo, quello centrale e quello finale. Milena era convinta che sarebbero bastati quei 3 per capire se valeva la pena leggerlo o no. Leggendo le ultime pagine dell’ultimo capitolo, vidi una lacrima scendere dall’occhio sinistro di Milena. Poi lo chiuse e me lo riconsegnò. Continuava a guardarmi allibita, poi mi abbracciò di scatto continuando a piangere ininterrottamente con singhiozzi.
 
“Ti è piaciuto?”
 
“Sì, Agatì. Ma ti devo fare una domanda.”
 
“Dimmi.”
 
“Chi è Filomena?”
 
“Una vecchia amica.”
 
In fondo questa storia era anche un po’ di Ginevra, era il finale alternativo che avevo progettato per lei. Era la storia che avevo in mente per lei, per la mia amica speciale, che però non siamo mai state capaci di attuare. Questo libro lo dedicavo a Milena e a Ginevra, ma con due scopi diversi. A Milena, che la nostra amicizia possa durare negli anni. A Ginevra, per dirti grazie e addio.
 
Avevo finalmente siglato la fine della nostra amicizia con la stesura di quel libro e ne avevo realmente bisogno, sentivo una necessita incostante di staccarmi definitivamente da lei. Sentivo che come in passato lei mi facesse bene indirettamente, adesso lei mi stava distruggendo. Aveva ragione Milena, dovevo andare avanti e fare questo passo avanti.
 
Decisi di portare il libro al professor Marini, che da anni era il mio più grande ammiratore ed il mio più grande mentore. Come avevo fatto per anni, entrai in quell’università, salii le scale che portavano al suo covo e bussai alla porta del suo ufficio.

”Signorina Giordano, già le manca l’università?”Disse lui inalando da quel sigaro maleodorante.
 
“No professore, sono qui per chiederle un consiglio.”
 
“Paterno o accademico?”
 
“Entrambi.” Gli consegnai il manoscritto e lui lo prese immediatamente fra le mani, guardandolo con attenzione.
 
“Lei non smette un giorno di stupirmi signorina. Ha un titolo?”
 
“Veramente ancora no. Quanto ci mette a leggerlo?”
 
Iniziò a sfogliarlo continuando a fumare, poi lo chiuse e posò gli occhi su di me “Un’ora, massimo due.”
 
“Allora ripasso più tardi.”Dissi io alzandomi e tendendogli la mano in attesa che me la stringa.
 
Lui si alzò dalla sedia, spense quel sigaro che una volta spento emanava ancora più puzza e mi tesa la mano stringendomela.
 
“Lei è ambiziosa e questo le fa onore. Ma la avverto ,se il libro fa schifo, non fingerò.”
 
“Com’è giusto che sia.”
 
Ripresi la mia giornata normalmente. Cercando lavoro da istitutrice in attesa dei concorsi, badando a mio figlio e iniziando a fargli capire qualcosa della scuola primaria, e insegnando a leggere e scrivere alcuni operai che frequentavano il partito. Mi sentivo bene nel farlo. Alla sera, ci stavamo finalmente mettendo a tavola e proprio mentre Suor Costanza stava iniziando a recitare la consueta preghiera con l’altra suora, squillò il telefono e Milena si alzò per andare a rispondere.
 
“In questi ultimi anni questo convento ha perso anche la religiosità.” Disse Suor Costanza con tono lamentoso.
 
“Agata è per te, è il professore Marini.” Disse Milena affacciandosi appena nella cucina.
 
Mi alzai di scatto, sistemandomi bene come se dovessi incontrarlo di persona. Attesi un attimo prima di prendere la cornetta, dovevo metabolizzare quello che stesse accadendo. Se avessi avuto la benedizione del professor Marini, il mio libro sarebbe stato certamente pubblicato dal migliore editore di Torino, e me lo avrebbe finanziato lui. Avevo bisogno del suo consenso.
 
“Pronto professor Marini. Sono Giordano.”
 
“Signorina ma lei deve essere completamente pazza.”
 
Ecco qua.
 
“Mi dispiace professore, sono consapevole che possa essere un libro molto crudo, molto nudo anzi. Sicuramente non tratta di tematiche usuali, ma sentivo la necessità di farla, la rilegherò come prima esperienza.”
 
“Signorina ma cosa sta dicendo? Proprio perché è pazza che a me piace. Questo libro è l’elogio della vergogna, della violenza carnale, della passione e dell’erotismo malato. Questo libro merita di essere letto da tutti, specialmente da quei 4 benpensanti e damerini che sono rimasti in circolazione.”
 
“Ma è serio?”
 
“Mai stato più serio di così. Lei conosce Giulio Einaudi?”
 
“Certo che lo conosco, è uno degli editori migliori di Torino. Anzi del Piemonte.”
 
“Lui è un mio caro amico, ed era anche amico di tuo padre, eravamo tutti al circolo. Domani mattina andiamo, non preoccuparti.”
 
“Domani mattina?”
 
“Sì, domani mattina. Passo a prenderti io. Sta iniziando il suo cambiamento signorina Giordano.”
 
E attaccò. Rimasi spiazzata. Avevo immaginato molte volte questo momento, ma mai avrei immaginato che sarebbe potuta andare veramente così. Mio padre mi diceva sempre che bisogna sperare nel meglio, aspettandosi il peggio. Eh papà, hai visto che poi alla fine torno sempre da te.
 
“Che ha detto?” L’irrequietezza di Milena era simbolo di una profonda eccitazione e curiosità.
 
“Ha detto che domani mattina andiamo dall’editore.”
Milena mi abbracciò ancora fortissimo, non potevo crederci nemmeno io. Il mio nome, Agata Giordano, sarebbe apparso in tutte le librerie di Italia. Agata Giordano stava cambiando.
 
Torino, 25 giugno 1951
 
Il mio libro era nelle librerie già un mese esatto. “Una donna come me”era tra i libri più venduti del periodo, uomini e donne, ragazzi e ragazze erano affascinati dal mio libro, ma più che altro erano incuriositi di leggere una cosa simile. Ma non mi importava, il mio libro vendeva e non poco. Io e Milena vivevamo già da una settimana in un appartamento in affitto nel centro di Torino. Non era grandissimo ma era tutto quello che volevamo in quel momento. Con l’uscita del mio libro mobilitai tutti quanti. Mia sorella Emilia, non perse tempo ad arrivare a Torino per festeggiare la sorellina ambiziosa che in qualche modo ce l’aveva fatta. Lila e Rocco lessero di me nel giornale italiano per caso e Lila promise che quanto prima sarebbe venuta in Italia per prenderne una copia, ma glielo avrei spedito io quanto prima. Anna e Crusca mi chiamarono almeno una volta al giorno per aggiornarmi delle considerazioni in merito, ma anche le buone recensioni sui giornali mi rendevano fiera.
 
E proprio quel giorno il professore mi aveva preparato un convegno con i più rilevanti intellettuali, studiosi, scrittori, critici, professori, mecenati, era il mio grande passo in società. Io, il signor Giulio Einaudi e il professor Marini dietro quella grande scrivania, di fronte a quelle sedie che stavano iniziando a riempirsi, sembravamo minuscoli. Gli sguardi truci e severi delle persone, le conversazioni a voce bassa, chi rileggeva le alcuni parti del mio libro che aveva commosso, sconvolto e fatto sognare. Chi la avrebbe avuta vinta fra di loro? Qual era la fazione più numerosa?
 
“Ringrazio tutti per essere venuti qui.”Il primo a prendere la parola fu il professore, come da consueto. Anche nei convegni universitari era sempre il primo a parlare, perché diceva di essere bravo nel richiamare l’attenzione. “Oggi siamo qui, non per accusare o celebrare una donna. Siamo qui per ammirare il coraggio di una persona. Uomo o donna che sia. Siamo qui per capire che il mondo si evolve e che ci sono persone che hanno il coraggio di ammetterlo. Hanno il coraggio di dire ‘si stiamo cambiando, ben venga’. Allora che cosa dobbiamo fare miei cari colleghi? Dobbiamo continuare a nuotare controcorrente o iniziamo a prendere l’onda come viene?” Poi si fermò un momento, mi posò una mano sulla spalla e mi guardò sorridendo e io gli ricambiai il sorriso. “Io me la ricordo questa donna. Io la ricordo quando era piccolissima e ronzava al circolo in cerca di libri e voleva a tutti i costi odorare il rum perché innamorata dell’odore. Chi è di Torino, e credo la maggior parte, ricorderà sicuramente questa peste. Io la ricordo andare in contrapposizione con le nostre figlie e con sua sorella, ma anche con suo padre. Io lo avevo capito da anni che questa ragazza avesse qualcosa di completamente diverso dalle altre. Era una donna nuova. Quando l’ho vista entrare in quell’aula enorme, composta da soli uomini, la avevo riconosciuta subito. Non poteva che essere lei. Quando mi si è avvicinata per la prima volta, ne ho avuto la certezza. E ora se Leone Giordano potesse vedere di che stoffa è fatta sua figlia, verrebbe da noi colleghi e la vanterebbe come ha sempre fatto. Agata Giordano, non solo porta il cognome di suo padre, Agata Giordano ha la stessa tenacia, la stessa forza e la stessa voglia di vivere di Leone, anzi di più. ”
 
Tutti applaudirono e il professor Marini si ricompose al suo posto e successivamente si alzò il signor Einaudi che tesse le lodi di mio padre e dando piccole lezioni editoria. Nel mentre io mi avvicinai al professore.

”E lei quando voleva dirmelo?”
 
“Cosa?”
 
“Che mi conosce da tutta la vita.”
 
“Agata, tu per me sei sempre stata la figlia che non ho mai avuto, poi i rapporti con tuo padre si sono persi e quando ti ho rivista, per me è stato come rivedere mia figlia.”
 
Gli sorrisi e gli presi una mano, stringendola.
 
“Anche lei per me è un padre, professore.”
 
Quel momento di intimità inaspettata venne bruscamente interrotta da un critico, che si alzò chiedendo di poter dire una cosa.
 
“Io sono Paolo Simari, sono piemontese ma non di Torino, quindi non ho avuto il piacere di vedere la signorina Giordano crescere, ma conosco di nome suo padre. Ora, aldilà dell’albero genealogico della ragazza e della sua infanzia, io vorrei concentrarmi sul libro. Sicuramente è scritto bene, c’è una bella forma e l’italiano è giusto. Ma signorina, le pare il caso? Io, come molti altri, crediamo che questo libro sia un’offesa alla decenza. Nemmeno D’Annunzio, che è stato da sempre nella storia della letteratura etichettato come un ‘pervertito’ è mai stato così truce, basti pensare alla sua Pioggia del Pineto. Allude a delle considerazioni senza mai apparire volgare o schifoso. Ma lei signorina ha scritto cose veramente vergognose, cioè chi crede di voler impressionare parlando di violenze carnali? Lei pensa di sconvolgere il mondo se mi racconta di una poco di buono che viene pagata per fare quello che fa ed è felice, perché non mi venga a raccontare che una prostituta soffre, è una scelta signorina Giordano. Una scelta. L’unica cosa che personalmente trovo sconvolgente è che questa donna creda di poter vivere da sola, di poter campare da sola. Questo è quello che penso del suo libro signorina Giordano, torni a scrivere quando avrà una maturità diversa.”
 
Ero sul punto di scoppiare. Vedevo Milena infondo alla stanza guardarlo impietrita con le lacrime agli occhi, non poteva credere che una persona la avesse definita in quel modo, non poteva credere fino a che punto l’ignoranza delle persone potesse arrivare ma lo avevamo appena scoperto tutti insieme. Si era creato un brusio fastidioso nella stanza, mentre il critico Paolo Simari se ne stava poggiato con aria fiera sulla sua sedia attendendo il mio contrattacco, ma il professore riuscì a farmi calmare. Ma mentre il professore si stava alzando per rispondere alle accuse infondate del critico, un uomo dalle ultime file parlò e mentre io stavo alzando la testa per vedere il mio prossimo aguzzino in faccia, lui si alzò. Non ci potevo credere.
 
“Io ho letto il libro della signorina Giordano, e devo ammettere che non sono un grande amante del genere. Ma questo libro mi ha coinvolto, non mi vergogno nel dire che mi ha commosso, che mi ha emozionato e in alcuni punti mi ha fatto anche ridere. Credo sia un libro pronto a 360°, credo sia il libro perfetto per quest’epoca. Le donne vogliono cambiare, le donne sono stanche di essere soprammobili, sono stanche di essere usate e gettate. Questo libro è un inno e la Bibbia per tutte le donne stuprate, violate, zittite, sfruttate, picchiate o non valorizzate. Attraverso la voce tremante di Filomena, la signorina Giordano si è fatta il megafono di tutte le donne. Il consiglio che voglio dare io a lei invece, signor Simari, è che se parla con la stessa maturità con cui scrive, io le consiglio di smettere di scrivere. E basta.”
 
Grazie Signor C.
 
   
 
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