Storie originali > Drammatico
Segui la storia  |       
Autore: Luana89    07/07/2020    0 recensioni
La vita spesso s’annoia, s’aggroviglia, si lega ai destini degli altri senza neppure lasciartelo intendere, se non quando ormai i giochi sono conclusi e le carte totalmente voltate. A volte districa quei nodi, slega quei destini, lasciandoti tornare a una placida e noiosa calma. [...] Il bigliettino stropicciato venne sospinto da una folata di vento più aggressiva delle altre, dimenticato su quella fermata che delineò tre destini. Indissolubilmente.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
La vita spesso s’annoia, s’aggroviglia, si lega ai destini degli altri senza neppure lasciartelo intendere, se non quando ormai i giochi sono conclusi e le carte totalmente voltate. A volte districa quei nodi, slega quei destini, lasciandoti tornare a una placida e noiosa calma. Insomma, s’annoia sempre e comunque, e a rimetterci sono i malcapitati che bazzicano su questa terra.
Hansel soffocò uno sbadiglio, l’ennesimo da quando s’era costretta a lasciare il letto, guardandosi attorno alla ricerca dell’oggetto dei suoi pensieri. Quell’estate Naples non aveva portato solo i soliti turisti rumorosi, fonte di guadagno per l’albergo della madre, ma anche Matthew. Scorse i capelli ancor più imbionditi dal sole estivo, e i suoi occhi verdi si poggiarono immediatamente su di lei come attirati da un silenzioso ma persistente richiamo. Lisciò le pieghe della sua gonna, i suoi quindici anni mai evidenti come in quel momento, mentre sorrideva nella sua direzione alzando una mano in segno di saluto. Matthew di anni ne aveva quasi diciassette, ed era stata la ventata di novità che l’aveva strappata dalla solita estate passata tra amicizie ormai consolidate e i lavoretti extra a cui la madre la sottoponeva, tediandola e provocandole i classici sbuffi che ogni adolescente si premurava di compiere nell’arco delle sue giornate.
«Ciao!» Schiuse le labbra lucide a causa del gloss, l’altezza del ragazzo l’aveva intimorita inizialmente ma adesso era solo un punto in più a quel fascino che non sapeva staccarsi di dosso.
«Aspetti da molto?» Sempre gentile, premuroso quasi, nonostante a volte apparisse sbruffone in maniera quasi fastidiosa. Ma a quindici anni queste cose le perdoni, anzi ti appaiono come medaglie al valore, qualcosa che ti attira inevitabilmente. Avevano passato ogni giorno di quel mese insieme, a lui aveva dato il suo primo bacio, i primi approcci sulla spiaggia, per lui il cuore aveva battuto talmente forte da toglierle il sonno la notte facendole chiedere se prima o poi sarebbe tornato a un ritmo regolare. Ma come ogni cosa bella, anche quella avrebbe avuto la sua fine, il giorno dopo sarebbe tornato a San Francisco e chissà quando l’avrebbe rivisto. Hansel non era molto romantica, nonostante la giovane età spesso la portasse a essere completamente succube delle sue emozioni, giudicava impossibile una relazione a distanza per due adolescenti senza mezzi come loro. Eppure quel pomeriggio quando Matthew la baciò, strinse tra le mani il biglietto contenente il numero del ragazzo, mentre fissava i suoi occhi verdi che giurò non avrebbe dimenticato mai.
Il tramonto infuocava il cielo mentre Hansel seduta su un muretto ne sembrava totalmente disinteressata, mentre gustava il proprio gelato cercando di ritardare il più possibile il rientro in albergo, dove la madre l’avrebbe probabilmente schiavizzata (così drammatica) affidandole i soliti noiosissimi compiti. Gli occhi pigri si poggiarono sul lato opposto della strada, la brezza calda scompigliò i capelli raccolti in una treccia, il ragazzo stava proprio lì poggiato alla fermata immerso nell’ascolto di chissà quale brano. I capelli nerissimi incorniciavano un volto severo, e gli occhi (della quale non riuscì a distinguere il colore) fissi su un punto non ben definito ai suoi piedi. Perché era così incuriosita? L’autobus arrivò in quel momento, rumoroso e quasi affaticato persino lui da quel caldo torrido, oscurandole la visuale.
«Oh andiamo.» Sospirò stizzita allungando il collo come a voler vedere meglio, ed ecco che lo sconosciuto tornò nuovamente a occuparle la vista, camminava tra le file di sedili fino a piazzarsi davanti uno dei finestrini sporchi e solo in quel momento sembrò fissarla. Fissarla davvero. Un rivolo di sudore scivolò lungo la schiena facendola rabbrividire senza motivo. L’autobus partì e quel momento esplose in una bolla di sapone composta dal nulla più assoluto. Il silenzio tornò a fare da padrone in quella strada, la gente camminava ignorandola, il cellulare squillò in quel momento facendola sobbalzare e le urla della madre la convinsero che forse era arrivato il momento di rincasare.
 
Il bigliettino stropicciato venne sospinto da una folata di vento più aggressiva delle altre, dimenticato su quella fermata che delineò tre destini. Indissolubilmente.
 

 
three years later:
 
La punta della scarpa batteva ritmicamente contro il cruscotto, seguendo il ritmo della musica messa a volume eccessivo. Lo sbuffo della madre fece sorridere Hansel che la ignorò di proposito, iniziando a cantare a squarciagola per tutta risposta provocando l’ovvia reazione della genitrice.
«Sei indemoniata o cosa?» Il suo cattivo umore era comprensibile, dopo anni passati l’una in simbiosi dell’altra effettivamente separarsi era stato un duro colpo. E se l’animo da sempre un po’ spigoloso di Hansel non sapeva dimostrarlo appieno, quello perennemente romantico e materno di Meredith invece sapeva farlo eccome.
«Dovresti essere felice, la tua preziosa figlia è stata ammessa in una delle università più prestigiose della nostra cara America.» Imitò un tono solenne, o qualcosa che giudicava tale, beccandosi l’ennesima occhiata in tralice e infine uno spintone seguito da una risata esasperata. Dopo il divorzio dei genitori, avvenuto quando Hansel aveva circa sei anni, si erano trasferite a Naples e la madre dal nulla aveva costruito un futuro per entrambe. Non aveva un cattivo rapporto col padre, anzi, lo amava. Però le sue continue assenze, sia per la distanza che per il lavoro, avevano contribuito a formare quella sorta di imbarazzo che solitamente si intravedeva nei legami appena formati. Insomma, era suo padre, il legame non doveva essere qualcosa di indissolubile e ovvio? Forse no, forse non bastava avere il medesimo sangue per tenere a qualcuno senza se e senza ma.
«Ma mi hai sentito?» La voce della madre la trascinò nuovamente dentro quell’auto, la fissò confusamente scuotendo il capo. «Ti ho chiesto se vuoi parlare di Charlie.» A quel nome il viso pallido si adombrò apertamente. Tra qualche mese avrebbe compiuto diciannove anni, e si ritrovava con il cuore pressoché infranto da un bastardo che aveva pensato bene di tradirla con la sua (ormai ex) migliore amica. Insomma degno delle più scadenti telenovele, no? Eppure quelle cose accadevano davvero, e non c’era molto che si potesse fare a parte raccogliere i cocci di se stesse e ripartire nuovamente da zero. La sua età glielo permetteva in fondo, aveva una vita davanti, un brillante futuro nel campo del giornalismo e tantissimi amori falliti da vivere. Non ci avrebbe messo molto a trovare un sostituto per quel lombrico con i muscoli, Hansel era consapevole della sua bellezza. Lunghi capelli castani incorniciavano un viso dai tratti eleganti, labbra ben disegnate e per finire un ‘’difetto’’ che aveva scoperto quanto potesse avvantaggiarla nella vita: l’eterocromia. Un occhio castano e l’altro per metà verde. L’unica cosa che seriamente odiava erano le sue tette, se le strizzò sbruffando e la madre la ignorò come ogni santa volta.
«Come diamine è possibile che tu abbia una quarta, e io una misera seconda? Voglio capire, seriamente.»
«Ti prego, non ricominciare con questa storia. La tua seconda è assolutamente adorabile.» Adorabile? Assolutamente no. Le tette non dovevano essere adorabili, cosa diamine erano dei gadget? Dei pupazzetti da coccolare? Dovevano essere sexy, esplosive. Ma supponeva non fosse il caso di dirlo alla madre, nonostante fosse da sempre parecchio aperta e di vedute larghe. S’affossò allo schienale della sedia osservando il panorama sfrecciare fuori dal finestrino, era quasi a NYC, Dio il sogno di tantissimi giovani. E il cuore si strinse appena per l’ansia. L’ansia di fallire, ma anche di farcela, e l’ansia dell’incognito, di tutte le infinite possibilità che le si stavano per spalancare davanti. Il sorriso divenne una risata bassa, mentre il cielo faceva sfoggio del suo azzurro migliore.
 
Hartley Hall, il primo dormitorio ufficiale della Columbia, si stagliò di fronte a lei. Soffiò via una ciocca ribelle sfuggita alla coda sollevando il viso con espressione curiosa.
«Sai cosa mi piace di questo posto? Puoi trovare il ricco figlio di papà, e il modesto figlio dell’operaio, magari nella stessa stanza. Nessun dislivello tra classi sociali.» La madre la fissò sorridendo divertita da quelle nozioni che ormai sentiva a ripetizione di due ore, da quando la lettera aveva comunicato loro l’ingresso all’università. Il momento dei saluti arrivò, Meredith l’abbracciò forte piagnucolando.
«Lo sai che puoi tornare quando vuoi? Qualsiasi cosa succeda..»
«Lo so, lo so, non devo esitare a chiamarti.» L’abbracciò nuovamente ignorando gli sguardi dei ragazzi, non pensava dovesse vergognarsi nel voler prolungare quel momento con l’unica donna che sapeva l’avrebbe amata sempre e comunque incondizionatamente. E quando la vide sparire oltre i cancelli asciugò le lacrime tirando su col naso, trascinando valigia e borsone alla ricerca della propria camera.
 
«Hansel Nelson?» Osservò la ragazza che sorrideva affabile porgendole una mano, l’afferrò stringendola senza troppa enfasi a causa della sorpresa. «Io sono Julia, la tua compagna di stanza, non ti ha accolto nessuno?» Scosse il capo in segno di diniego, e la biondina non sembrò sorpresa dalla cosa, forse il sistema d’accoglienza non funzionava come avrebbe dovuto.
«Sei anche tu del primo anno?» Julia mosse l’indice in maniera eloquente aiutandola con le valigie, cosa che ricordò ad Hansel di essere ancora bloccata all’ingresso.
«No, sono del secondo, facoltà di legge e anch’io come te l’anno scorso non sapevo che diamine fare. A quanto pare Tate non ha ben capito che il suo compito qui è portare le matricole a destinazione.» Tate? Hansel inarcò un sopracciglio senza indagare oltre, troppo presa a osservare il luogo nella quale avrebbe vissuto per i prossimi anni. In tutto e per tutto simile a un appartamento, una sala comune e due porte che probabilmente conducevano alle loro camere. Quando aprì la propria la sensazione di vuoto non la destabilizzò particolarmente, avanzò sollevando la tapparella come a voler scacciare il senso d’oppressione dovuto alla desolazione di quel posto.
«Ti abituerai presto, alla Columbia sappiamo come divertirci vedrai.» Il suo sorriso accattivante strappò una risatina alla ragazza che scrollò le spalle con indolenza. Un sordo bussare alla porta strappò entrambe da quel momento, seguì la coinquilina con curiosità e dall’altro lato della porta si palesò un ragazzone dai ricci biondi e il sorriso di un bambino, età media: due anni. Così lo etichettò Hansel mentre a braccia incrociate assisteva allo spettacolino.
«Andiamo Jules non fare la rompicoglioni come tuo solito, vieni è divertente.» Provò a strattonarla beccandosi un calcio da parte della ragazza che sembrò improvvisamente ricordarsi di lei, voltandosi immediatamente per presentarle lo sconosciuto.
«Lui è Jonathan, un coglione.» Hansel mimò un ‘’wow’’ con le labbra, le sembrava il massimo in quel frangente, non capitava tutti i giorni che un uomo le venisse presentato con l’appellativo di nascita. Okay, frase sessista e prevenuta, ma dopo l’esperienza con Charlie amava crogiolarsi nella sua fase: gli uomini fanno tutti schifo.
«Questo coglione è il fratello della svitata con la quale avrai la disgrazia di condividere ossigeno.» Allungò la mano e stavolta la sua risata coinvolse anche lei, l’inizio non era poi così male.
«Beh, quindi? Dov’è che andate?» Jonathan sembrò ricordare in quel momento il motivo per la quale si trovava lì, e tornò ad afferrare la sorella per il polso.
«I ragazzi stanno dando il benvenuto alle matricole, ci sarà da ridere.» Solitamente quella frase precedeva il disastro, e per l’appunto Hansel si ritrovò poco dopo nel cortile ad assistere a una scena che aveva del potenziale trash. Ragazzi nudi come vermi completamente fradici, più che uno scherzo quello aveva tutta l’aria d’essere del puro e semplice bullismo camuffato da ‘’accettazione’’. Un gavettone si schiantò a pochi metri da lei facendola imprecare, osservò la propria camicia adesso inzuppata all’altezza del fianco alzando lo sguardo per incenerire chiunque avesse osato fare una cosa a suo dire stupida. Ciò che vide le tolse completamente la facoltà di parola, il ragazzo biondo intento a schernirla si bloccò fissandola a bocca aperta.
«Matthew?» Quel nome non l’aveva dimenticato, nonostante fossero passati tre anni abbondanti, così come non aveva mai dimenticato quell’estate assolutamente fuori da ogni logica. L’inverno successivo lo aveva passato a maledirsi per aver perso il suo biglietto, chiedendosi perché la sfiga si fosse accanita così tanto con lei, con la mente piena dei classici ‘’what if’’ adolescenziali nella quale si spalancavano tanti scenari possibili se quel dannato bigliettino non fosse andato smarrito (tutti dal medesimo e prevedibile finale, ovvero fiori d’arancio e abiti nuziali, era un adolescente come tante in fondo).
«Cristo, Hansel.. non ci posso credere.» Le parole passarono per un secondo in secondo piano, distratta dal fisico imponente e bagnato del ragazzo. Stava per caso concorrendo per il titolo di mister maglietta bagnata? E quindi dove diavolo era la sua maglietta? Leccò le labbra improvvisamente secche, ma Julia interruppe quel momento piazzandosi accanto a lei con espressione corrucciata.
«Scusate se interrompo l’idillio, ma che diamine è questa cafonata?» Indicò i ragazzi nudi con espressione sprezzante, e Hansel pensò le avesse tolto decisamente le parole di bocca. Matthew però non sembrava del medesimo avviso, e nemmeno Jonathan con la quale si scambiò una pacca amichevole sulla spalla.
«Cos’è questa la settimana in cui ti batti per i diritti umani? La scorsa qual era? Ah si, quella in cui sventolavi cartelloni per salvare gli animali.» Schioccò le dita come se avesse appena avuto una mistica rivelazione, l’aria da sbruffone evidentemente non era per nulla cambiata ma anzi sembrava addirittura peggiorata.
«Molto divertente, mister coglione, dov’è quell’altro imbecille della cricca?» Il biondino scrollò le spalle, Hansel percepì un mutevole cambio nei suoi occhi verdi che sembrarono scurirsi appena, adombrarsi.
«Non sono la sua balia, se ti interessa tanto perché non lo cerchi?» Jonathan fissò Hansel facendole l’occhiolino.
«E quindi tu sei il nuovo acquisto dell’università? Ti hanno presa a un casting di modelle?»
«Ma queste frasi solitamente funzionano, o?» Hansel lo fissò senza scomporsi e Julia scoppiò a ridere dandole il cinque.
«Ignoralo, è perennemente arrapato come se il giogo tossico degli ormoni non lo mollasse dai quattordici anni. E non è l’unico.» Abbastanza palese si riferisse a Matthew che non diede cenno di averla sentita, continuando a fissare la ragazza come se stentasse a credere di averla lì di fronte. Quanti anni erano passati? Tre? Ricordava d’aver provato una strana sensazione amara nell’osservare il telefonino muto, nell’attesa di una sua chiamata. Le emozioni di quell’estate era certo di non averle sognate, di non essere stato l’unico a viverle, quindi perché quel silenzio? Alla fine come per tutte le cose si trova la rassegnazione, le cose ti scivolano via come l’acqua sulla pelle e ti ritrovi a macinarne altre andando avanti per la tua strada. A volte però il destino era così beffardo da riportarti nuovamente indietro, sbalzarti completamente in tempi che pensavi ormai sepolti e rimescolare nuovamente le cose. Afferrò il polso di Hansel trascinandola da parte, nell’androne del dormitorio, gli schiamazzi adesso sembravano ovattati, la fissò senza spiccicare parola per quelli che sembrarono attimi infiniti, sorridendo solo all’ultimo.
«Perché non mi hai mai richiamato?» Interessante spunto di conversazione, ma anche alquanto pericoloso. Confessare di averlo perso avrebbe potuto essere frainteso come mancanza voluta d’attenzione. Hansel si schermì, tentennò e alla fine cedette raccontando la verità che venne accolta con una risata divertita e quasi rincuorata. «Pensavo mi avessi semplicemente archiviato.»
«Come se avessi potuto..» le parole uscirono quasi spontanee, se ne pentì all’istante sviando i suoi occhi verdi ed eccessivamente magnetici, la presa sul proprio polso si strinse un po’ di più come a voler attirare la sua attenzione. Quando gli sguardi si incrociarono sentì nuovamente quella stretta allo stomaco, si rese conto di quanto i loro visi fossero adesso vicini e il respiro le si spezzò per qualche istante.
«Potreste amoreggiare da un’altra parte? Dovrei passare.» Una voce frantumò in mille pezzi quel momento, il tono appariva scocciato. Basso e modulato, era sicura di non averlo mai sentito prima quel timbro. Quando i suoi occhi incrociarono quelli dello sconosciuto sentì un brivido familiare, qualcosa che non riuscì inizialmente a catalogare negli anfratti della sua mente. Risalì con lo sguardo osservando i capelli corvini, dai riflessi bluastri, e gli occhi di una tonalità appena più chiara. Aggrottò la fronte continuando a sentirsi spaesata, come alla ricerca del suo personalissimo filo, che l'avrebbe condotta alla matassa.
«Perché non passi e ti togli direttamente dai coglioni?» Il tono brusco di Matthew la costrinse a spianare la fronte muovendo un impercettibile passo indietro, lo sconosciuto sbatté le palpebre fissandolo senza la minima emozione, era come se le sue parole gli fossero scivolate completamente addosso.
«Tate, sei proprio un coglione.» Julia rifece la sua comparsa spingendo il ragazzo che adesso aveva finalmente un nome. Tat
e. Hansel lo sillabò senza rendersene conto, a volte si domandava quanto i nomi dicessero di una persona, forse tutto o forse nulla. In fondo erano semplici nomi, potevi chiamarti anche Sempronio ed essere l’essere vivente più spettacolare mai creato. I suoi occhi scuri rotearono annoiati posandosi poi sulla bionda tutto pepe.
«Che cazzo vuoi, esattamente?» Era evidente si conoscessero tutti, probabilmente i loro rapporti erano nati lì dentro, e lei? Ne avrebbe creati lei?
«Sbaglio o eri tu incaricato di scortare i nuovi alle camere?» Tate tornò nuovamente a fissarla, i suoi occhi la mettevano in soggezione, e ancora quella strana sensazione di familiarità.
«Ed è ciò che ho fatto, era stato chiaramente detto di presentarsi alle sedici davanti ai cancelli.»
«Dove?» L’espressione confusa di Hansel supponeva fosse abbastanza per scagionarlo da qualsiasi colpa. Scrollò le spalle come se fosse già saturo di quelle conversazioni e dopo un’ultima occhiata a Matthew che continuava a somigliare a un cane rabbioso, salì le scale sparendo dalla visuale.
«Non fare caso a Tate, a volte penso non sia un caso se porti il nome di uno psicopatico seriale.» Jonathan mosse l’indice in circolo sulla tempia, citando con ovvietà un personaggio di AHS, strappando una risatina all’amico, risatina che non coinvolse le due ragazze. Gli occhi di Hansel si poggiarono un’ultima volta lungo le scale, prima che la voce di Matthew non si frapponesse ancora una volta ai suoi pensieri distraendola.
 
Come dicevo, la vita a volte s’annoia. C’è da capirla.
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: Luana89