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Autore: Pervinca95    07/07/2020    6 recensioni
Nora Gigli frequenta l'ultimo anno del liceo quando decide di trovarsi un piccolo impiego come babysitter per aiutare sua mamma con le spese.
Peccato che, troppo tardi, si renderà conto che i bambini di cui dovrà prendersi cura sono i fratelli di Riccardo Sodini, il ragazzo per cui la maggior parte del genere femminile della sua scuola ha un debole.
*
Dalla storia:
Appena si fu girato gli feci una boccaccia. Fu un impulso al quale non potetti resistere.
"Come hai detto che ti chiami?"
Mi bloccai con un piede già fuori dalla porta. Che mi avesse beccata?
Virai con lo sguardo su di lui, fermo a fissarmi con le mani nelle tasche dei jeans.
Evitai di fargli notare che non ci eravamo ancora presentati. "Nora", risposi guardinga.
Abbassò un attimo gli occhi mentre si mordeva il labbro inferiore per trattenere una risata. Quando li rialzò, l'azzurro delle iridi luccicava di spasso. "Fossi in te, Nora, mi darei un'occhiata" affermò con un sottile tono schernente. "Prendilo come un consiglio" aggiunse senza risparmiarmi il suo sorrisino. Poi ruotò di nuovo le suole e si avviò verso la cucina.
Quando uscii da quella casa mi prudevano le mani.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Colpo Basso





















Ero una persona orribile, della peggior specie, un parassita. 

Se mia mamma avesse saputo cos'aveva combinato mi avrebbe spedita in un riformatorio, ed io non avrei opposto resistenza. 

Ma Sodini era più parassita di me. A pensarci bene non avevo fatto poi così male a rigargli la macchina. 

Una stupida carrozzeria non valeva più dei miei sentimenti feriti. 

Volevamo ricordare la figura pietosa che mi aveva fatto fare con la Fantucci? 

Pur di salvarsi la faccia aveva montato un castello di bugie. A mie spese. 

Era giusto che pagasse il prezzo delle sue malefatte. Anche se forse avrei potuto trovare un altro modo per vendicarmi, forse ero stata troppo crudele.

Ma quale crudele? Lui era il pezzo di sterco che aveva calpestato la mia dignità, umiliandomi più e più volte. 

Non avevo certo agito per partito preso, solo perché mi stava antipatico, ma per delle valide motivazioni. 

Alternavo quel genere di pensieri da tutta la mattina. Passavo dall'esaltarmi come una prode eroina allo sprofondare nell'auto-demolizione psicologica.  

Il mio umore aveva degli sbalzi paurosi, da schizofrenica.  

Mi ero imposta di fare il possibile per evitare Sodini in quegli ultimi giorni di scuola prima del fine settimana, al lunedì ci avrei pensato a tempo debito.

Ero così decisa in quell'impresa da aver supplicato mia mamma di firmarmi il permesso per entrare alla seconda ora, così non avrei incrociato il sorcio nemmeno nel vialetto. 

Probabilmente quello stupido non sospettava di me, ma le precauzioni non erano mai abbastanza. Gli sarebbe bastato guardarmi in faccia per un millesimo di secondo per leggerci la verità, perciò era saggio evitarlo come la peste. 

Aspettai che la campanella suonasse prima di varcare l'ingresso del liceo. 

Salii le scale con aria circospetta, come una ladra, accertandomi che quella faccia da schiaffi non fosse nei paraggi. Sgattaiolai lesta su per la mia torretta, per poi lanciarmi in classe ed esalare un sospiro di sollievo.

Pericolo scampato. 

Giacomo mi studiò con un sorriso scaltro, in piedi accanto a Ruggero che invece era seduto sul banco. << Forca, eh? Ma hai fatto bene, ti sei risparmiata una noiosissima spiegazione di storia. >> 

Sorrisi inebetita. << Ah, eh, già. Che fortuna. >> Non potevano minimamente immaginare il motivo per cui ero stata costretta ad entrare un'ora dopo. 

Percepii gli occhi di Ruggero fissi sul mio volto. << Sei strana... e pallida >> aggiunse aggrottando le sopracciglia. << Ti senti bene? >> 

Annuii con vigore, timorosa che potessero smascherarmi. Mi sentivo talmente in colpa da immaginare cose impossibili, come che avrebbero potuto scoprire cos'avevo combinato con un solo sguardo.

Giacomo ridacchiò. << Sembra che tu abbia gli sbirri alle calcagna. Ci nascondi qualcosa, Nora? >>

Oh cavolo

Sgranai gli occhi, sconvolta. Ero così leggibile? 

Le mie amiche sopraggiunsero sulla scena mentre io scuotevo il capo come una pazza.

<< Ma che dici? >> Risi istericamente. << È tutto... normale. >> Talmente normale che stavo sudando come un porcello solo a parlare con loro. 

Sodini mi avrebbe scoperta subito. 

A ricreazione avrei dovuto rifugiarmi in bagno o avrei rischiato una morte violenta.  

Per mia fortuna, prima che mi potessero rivolgere altre domande scomode, fece il suo ingresso il professore di scienze.

Svicolai dai loro sguardi e corsi al mio banco.

Vanessa si sedette accanto a me e mi rivolse un'occhiata interrogativa. 

Avrei voluto gettarmi a terra e confessare la mia malefatta, ma me ne vergognavo troppo. Non ero psicologicamente pronta a sorbirmi degli eventuali rimproveri, anche se li meritavo. 

Decisi di scuotere il capo e simulare un verso di dolore nel basso ventre.

Lei aprì la bocca e annuì, per poi sorridere solidale. << Se vuoi ho delle pasticche per i dolori. >> 

Arricciai il naso, mentre la mia mente mi ricordava che ero una pessima bugiarda. << Magari più tardi. >>

Il senso di colpa stava rischiando di schiacciarmi. Avevo rigato una macchina, nascosto la verità a mia mamma e mentito alle mie amiche. 

Era colpa di Sodini se mi ero ridotta ad essere una teppista che raccontava balle. 

Di mia spontanea volontà non sarei mai arrivata a tanto, la sua influenza su di me produceva effetti deleteri. 

Ma non dovevo pensarci, avrei dovuto scacciare il ricordo della sera prima dalla mente. 

Mi bastava passare inosservata per quei due giorni e poi lunedì, se mi avesse detto qualcosa, avrei dissimulato sapientemente.

Ero un'attrice più talentuosa di quanto credessi, dovevo solo fare un po' di pratica. 

Fu proprio per quella ragione che, non appena suonò la campanella della ricreazione, mi stampai un'espressione rilassata e, in netto contrasto con ciò che volevo mostrare, andai a nascondermi in bagno. 

O almeno ci provai. 

Finii di scendere di volata l'ultimo gradino quando i miei occhi misero a fuoco un paio di scarpe bianche della Nike. 

Il mio cuore perse un battito nel momento in cui, con una lentezza estenuante, alzai il capo per scontrarmi con il viso di Sodini.

Indossava una felpa grigia con una scritta nera che non ebbi modo di leggere, il cappuccio tirato sopra la testa e gli occhi in fiamme.

<< Quanta fretta >> sibilò con un tono da brividi.

Non ebbi il coraggio di proferire parola, mi limitai ad esaminare come i ciuffi biondi gli coprissero la fronte, incorniciando il suo sguardo torbido e tagliente. 

Notai che la sua mascella era più serrata di una morsa d'acciaio un attimo prima che mi stringesse il gomito e mi strattonasse verso il corridoio semibuio e deserto che conduceva ai laboratori.

Approdai con la schiena al muro, picchiando lievemente la testa. 

Mi toccai la nuca con una smorfia di dolore mentre puntavo lo sguardo nel suo. << Cosa vuoi da me? >> dissi seccata, optando per la negazione delle mie colpe.

Era fuori discussione che rivelassi di mia iniziativa la verità. 

<< Come accidenti ti sei permessa di toccare la mia macchina? >> gettò fuori, alzando un angolo del labbro superiore inferocito. 

Sfoderai un'espressione innocente. << Non so di cosa tu stia parlando. >>

Inspirò a pieni polmoni e strinse le mani a pugno fino a far sbiancare le nocche. 

Ringraziai il cielo di essere una ragazza, se fossi stata un maschio non mi sarebbero stati risparmiati due occhi neri e un naso rotto. 

Sempre che Sodini non decidesse di accapigliarsi anche con me. 

<< Sai benissimo di cosa sto parlando >> disse tra i denti, avanzando di un passo.

Ingoiai un bolo d'ansia mentre tentavo di fondermi col muro. 

Lanciai uno sguardo alla porta a vetri che segnava il confine tra il corridoio nel quale eravamo e la libertà. 

<< Non pensarci nemmeno >> mi precedette lui, piazzando un braccio accanto al mio viso per precludermi quella via di fuga.

Sprofondai con gli occhi nei suoi: freddi quanto il colore che li permeava e infuocati per la rabbia che gli irrigidiva i tratti. 

Nella semioscurità il suo volto spiccava in un gioco di contrasti: i capelli biondi, le iridi chiare, le labbra rosate. Il cappuccio che aveva calato sopra la testa, poi, creava dei chiari scuri quasi affascinati sui suoi lineamenti più marcati per via dello stato d'animo.

Incrociai le braccia sul petto. << Non avrei motivi per scappare dato che non ho fatto nulla. >> 

Sulle sue labbra si distese un sorriso inquietante. << Non sai mentire. >> 

Mi trattenni dallo spalancare la bocca. 

Lo sapevo, accidenti. Nonostante mi sforzassi di mantenere un atteggiamento di distanza dai fatti non riuscivo a mascherare del tutto la cosa. 

La mia faccia era un libro aperto che puntualmente mi fregava. 

Issai le sopracciglia. << Perché non cominci a stare attento a come guidi invece di riversare la tua frustrazione su di me per... per non so cosa? >> mi ripresi in corner. 

Mi diedi della stupida per l'avventatezza con cui avevo parlato. 

<< Perché non lo dici? C'eri quasi >> mi spronò lui, lesto a cogliere quel mio breve momento di esitazione. Mi parve di sentire la pelle graffiarsi sotto il suo sguardo linciante. << Credi sia tanto cretino da farmi fregare da te? C'è la tua firma su quell'incisione. Hai idea di quanto mi costi la carrozzeria? >> 

E lui aveva idea di quanto mi fosse costata la sua bugia? 

Inarcai un sopracciglio. << Dovrebbe importarmi? >> dissi, scimmiottando la sua risposta del giorno prima.

Serrò la mascella, per poi girare un attimo il viso e sputarmi addosso un insulto con un sorrisetto sprezzante.

La rabbia mi fece formicolare le mani, oltre che rizzare i capelli. 

Come osava offendermi dopo tutto quello che mi aveva fatto? Se ero stata spinta a tanto era unicamente colpa sua. 

<< Dovresti chiudere quella fogna, potrebbero entrarti le mosche >> ribattei acida. 

I suoi occhi ripiombarono su di me in un battito di ciglia. 

Gli scoccai un'occhiata di sfida; non mi sarei fatta intimidire dal suo sguardo gelido o da qualsiasi altra parolaccia mi avesse riversato addosso. 

<< E tu dovresti tenere le manine a posto >> soffiò a pochi centimetri dal mio viso.

Avvertii distintamente il suo fiato caldo contro la pelle, ma m'imposi di non muovere un solo muscolo. 

Ressi il suo sguardo per una quantità di tempo indefinita. 

Ebbi persino modo di notare che, attorno alla sua pupilla, si annidava una pagliuzza dorata non presente nell'occhio sinistro. 

La campanella trillò sopra le nostre teste, decretando la fine del nostro contatto visivo perché spostai gli occhi sulla porta a vetri. 

Sodini si diede una spinta col braccio e si tirò su dritto, per poi retrocedere di qualche passo senza scollarmi lo sguardo di dosso. << Fossi in te terrei gli occhi aperti >> disse calandosi meglio il cappuccio sul capo.

<< Mi stai minacciando? >> domandai con un sorriso di beffa. 

Fece spallucce, per poi increspare un angolo delle labbra. << Prendilo come un consiglio >> mi canzonò prima di voltarsi e sparire dalla mia vista, le mani calate nelle tasche dei pantaloni e il passo svelto. 

Strinsi i pugni ed emisi un lungo sbuffo. 

Quello era Riccardo Sodini, il tipo per cui tutte perdevano la testa. 

Quel maleducato, borioso, stupido e quanto di peggio esistesse era il tanto ammirato e amato ragazzo del mio liceo. 

Avrei voluto aprire gli occhi ad ognuna delle povere disgraziate che perdevano tempo ad ammirarlo e rivelare loro quanto fosse spregevole. 

Perché ne avrei avute di cose da raccontare. Eccome, avrei potuto scriverci un libro. 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                   *  *  *

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Martedì mattina era il primo giorno di Novembre e, com'era consuetudine nel mio liceo, iniziava la sciocca tradizione della raccolta voti per Miss e Mister Liceo. 

Le candidature avevano luogo nella terza settimana di Ottobre, al termine della quale venivano raccolte e ingrandite le foto fornite da chi si proponeva e creati i cartelloni che sarebbero stati affissi per tutta la scuola.

Era un modo per scimmiottare la tradizione americana, dato che non esistevano balli di fine anno in cui eleggere Re e Reginetta.

Da che avevo messo piede in quel liceo, dal secondo anno in poi, aveva sempre vinto Sodini tra i ragazzi.  

Quella mattina, quando entrai in classe, trovai le mie amiche intente a rimirare qualcosa nel cellulare di Vanessa. 

<< Cosa state combinando? >> chiesi loro con un sorriso, saltellando per vedere lo schermo. 

Francesca si portò le mani sul cuore, lo sguardo stralunato. << Stiamo ammirando il nostro amore >> confessò nel momento in cui Vanessa mi mostrò la foto che avevano scattato alla foto di Sorcio Sodini presente nel cartellone di quella mattina. 

Mi stampai una mano sulla faccia. 

Anche quella era una tradizione, almeno per le mie amiche.

Da quando lo stupido era entrato a far parte di quella competizione loro, ogni anno, immortalavano la sua foto per conservarla gelosamente. Dalla terza superiore, quando Linda si era aggregata al duo delle spasimanti, era diventato un rituale irrinunciabile e consacrato.

Guai a chi toccava loro quelle foto. 

Presi posto sulla sedia e piantai un gomito sul banco. << Tra le ragazze c'è qualcuna che conosciamo? >> chiesi per allontanare il discorso da Sodini.

Sentivo le orecchie andare in fiamme solo a sentir pronunciare il suo nome. 

Linda scosse il capo. << Ancora non hanno esposto i cartelloni delle candidate, credo lo stiano ultimando. Ma ho sentito dire che si è proposta Beatrice >> bisbigliò con un sorriso. << Dice che vuol sapere se Ruggero la voterà. >> 

Ridacchiai divertita. Cosa non si faceva per amore. 

<< Si comincia a votare a ricreazione, vero? >> s'intromise Francesca. << Perché voglio essere la prima a dare il voto a Sodini, se non avete niente in contrario >> aggiunse dando un'occhiata prima a Linda e poi a Vanessa. 

<< Tanto verremo con te >> rispose quest'ultima, stringendosi nelle spalle. 

<< Ragazze, proprio voi cercavo. >> La voce di Giacomo mi colse alle spalle prima che raggiungesse Francesca, in piedi davanti al mio banco, e le appoggiasse un avambraccio sulla spalla. 

Lei lo guardò fissa. << Sputa il rospo. >> 

 << Che ne dite di andare al cinema sabato? >> propose scrutandoci una ad una. << Ieri io e Ruggi eravamo fuori coi ragazzi della 5ªD e si pensava di organizzare una serata cinema. Perché non venite anche voi? >> 

<< Ci sto >> esordì di slancio Francesca.

<< Anch'io >> si aggregò Vanessa.

Non riuscii a trattenere un sorriso. Era bastato che Giacomo nominasse la sezione del sorcio perché a quelle due si illuminassero gli occhi. 

Spostai lo sguardo su Linda che mi stava fissando interrogativa. Nelle sue grandi iridi verdi vidi riflesso il desiderio che Vanessa e Francesca avevano espresso apertamente. 

L'unica differenza era che lei, prima, si voleva assicurare che anche a me andasse bene. 

Sapevo che se avessi risposto negativamente lei avrebbe scelto di stare con me, rinunciando a tutto il resto. 

La mia antipatia per Sodini passava in secondo piano di fronte a quella manifestazione di sincera amicizia. 

Annuii risoluta nella direzione di Giacomo. << Va bene anche per noi >> dissi. 

Immediatamente scorsi le labbra di Linda stendersi in un ampio sorriso, così mi voltai a farle una linguaccia affettuosa che la fece ridere. 

<< Andata >> sentenziò lui, sollevando il pollice. << In settimana vi fornirò altri dettagli. >> 

Francesca gli scoccò un bacio sulla guancia che per poco non gli fece venire un colpo. << Grazie >> gli disse dolcemente. 

Lui si grattò la nuca imbarazzato e si schiarì la voce. << Di niente. >> 

Ero rimasta piuttosto sorpresa anch'io dato che Francesca, in classe, non lo aveva mai sfiorato con un dito. Non l'avevo mai vista rivolgergli un gesto carino o che esprimesse affetto. 

In genere era lui che compiva quel tipo di gentilezze nei suoi confronti.

Durante educazione fisica l'avrei bombardata di domande per scavare più a fondo in quella faccenda. 

Il professore di filosofia entrò in aula al suono della seconda campanella, quella per i ritardatari, per poi rifilarci un'intera ora di spiegazione della quale capii poco e niente. 

Mi domandavo perché fosse necessario studiare una simile materia se si trattava di idee, pensieri e supposizioni poggiate su fondamenta indubbiamente instabili. 

La trovavo estremamente inutile. 

La seconda ora toccò a letteratura inglese, che invece adoravo. 

Mi godetti tutta la lezione senza un solo calo di attenzione, ero rapita dalla poesia e dal tono caldo con cui la professoressa esprimeva i concetti importanti. 

Il trillo della campanella, purtroppo, ruppe la bolla di pace ed estasi in cui ero racchiusa, ricordandomi che toccava all'ora di ginnastica. 

Con una voglia che sfiorava il sottosuolo, mi diressi con tutta la classe al piano terra, dove si trovava la palestra. 

La professoressa Trotti ci accolse con un largo sorriso. << Oggi corsa, ragazzi. Preparatevi, si va fuori alla pista dei cento metri >> annunciò su di giri, battendo le mani. << Fate veloce a cambiarvi, su. >> 

Se non altro non avrei dovuto sorbirmi un nuovo gemellaggio con la classe di Sodini. 

Quel pensiero bastò a farmi apprezzare persino l'idea di correre, tutto era meglio che rivedere la faccia di quel sorcio.

Giunte nello spogliatoio, adagiai la borsa sulla panca e lanciai uno sguardo a Francesca. 

<< Cos'era quel bacio sulla guancia a Giacomo? >> le chiesi muovendo rapida le sopracciglia, per prenderla giocosamente in giro. 

Lei sorrise e si passò una ciocca di capelli dietro l'orecchio. << Solo un modo per ringraziarlo >> disse facendomi una linguaccia. 

Mi sporsi per guardarla bene in viso, piegata com'era ad allacciarsi le scarpe, e sorrisi alla vista del colore vermiglio delle sue guance. 

<< Non sarai mica arrossita? >> la punzecchiai divertita.

Francesca si tirò su dritta e cominciò ad arrotolare la maglietta che si era tolta. << Nora Gigli credo che tu debba essere disciplinata >> affermò con un ampio sorriso. 

Non ebbi il tempo di fuggire che mi beccai una sferzata sul sedere che mi fece scappare un urlo da gallina strozzata. 

Linda, Vanessa e la mia carnefice scoppiarono a ridere come se avessero assistito alla scena più spassosa della loro vita mentre io mi massaggiavo il punto colpito con sguardo accigliato. 

<< Non sono d'accordo con questi metodi terapeutici >> asserii, ma ormai nessuna faceva più caso alle mie parole tant'erano impegnate a sbellicarsi. 

Ed io non ero riuscita a cavare un ragno dal buco sulla situazione sentimentale di Francesca. 

Dieci minuti più tardi eravamo in pista. 

Durante il breve tragitto tra lo spogliatoio e il punto di ritrovo con la mia classe, le mie amiche avevano individuato Sodini e compagnia bella nel campetto di calcio. 

Gli avevo riservato solo una breve occhiata, giusto per vedere se sarebbe inciampato sulla palla, ma purtroppo niente. 

<< Allora, ragazzi, cominciamo con un po' di riscaldamento >> esordì la Trotti, issando le braccia. Peccato che con quel gesto improvviso le schizzò via il cronometro che, dopo una breve parabola, si schiantò a terra. 

<< Oddio >> esclamò lei, correndo a raccattarne i pezzi. << Oh, Giacomo, andresti dai bidelli a chiederne un altro? Questo ha cessato di vivere. Veloce, per favore. >> 

<< Troppo entusiasmo, prof >> commentò Ruggero. 

Mi scappò da ridere, così misi le mani nelle tasche della felpa e alzai lo sguardo sul mio compagno di classe che, con mia sorpresa, mi stava già guardando. 

Gli sorrisi imbarazzata e abbassai velocemente la testa per concentrarmi sulla punta delle mie scarpe. 

Per fortuna la Trotti vide bene di cominciare a farci riscaldare con dello stretching, almeno non mi sarei sentita gli occhi di Ruggero addosso. 

Ero lusingata dalle sue attenzioni, ma non sapevo come comportarmi. Mi sentivo ancora più impacciata di quanto già non fossi.

Giacomo tornò poco dopo con un nuovo cronometro, lo sguardo pervaso di uno stupore incomprensibile. Soprattutto se si considerava che quello stupore pareva rivolto a me. 

Avevo forse qualcosa di strano in testa? Mi toccai i capelli e controllai che la mia alta coda di cavallo fosse ancora lì, poi passai ad esaminare i miei vestiti. 

Sembrava tutto nella norma: la felpa blu non aveva macchie, lo stesso valeva per la maglietta bianca e i pantacollant neri. 

Forse erano i colori a stonare? Non sapevo che Giacomo fosse così sensibile agli accostamenti di colore. 

<< Bene, cominciamo dalle ragazze. Bellezze andate a disporvi sulla linea di fondo e aspettate il mio segnale prima di partire >> dichiarò la Trotti. << Voi, ragazzi, disponetevi su un lato e non distraetele. Forza, andate. >> 

Girammo i tacchi e prendemmo a camminare lunga la pista. 

<< Ho qualcosa in faccia? >> chiesi toccandomela. 

Le mie amiche si sporsero per scrutarmi. 

<< Nulla, per...>>

<< Nora! >> Giacomo spuntò al mio fianco, facendosi spazio con foga. Un ciuffo di capelli gli cadde sugli occhi spalancati dalla sorpresa. << Quando l'ho visto non ci potevo credere, ma... cavolo, perché non ce l'hai detto? >> 

Corrugai la fronte. Che si stesse riferendo all'incisione sulla macchina di Sodini? 

<< Parla chiaro, Giacomo >> lo reguardì Francesca. 

Lui si voltò a guardarla. << Nora si è candidata per Miss Liceo! >> 

Mi bloccai sul posto e sgranai così tanto gli occhi da rischiare di farmeli scappare.

Il cuore mi perse una serie infinita di battiti mentre i palmi cominciavano a sudare. 

<< Cosa? >> La mia voce uscì flebilmente intanto che la rabbia mi montava nello stomaco. 

Ruggero mi si accostò. << Che succede, ragazzi? Avete delle facce scioccate. >> 

Non riuscii a rispondere, mi sentivo ribollire il sangue nelle vene. Perché sapevo chi era stato tanto squallido da rifilarmi quel colpo basso. 

<< Ragazzi, forza, muovetevi! >> ci urlò dietro la professoressa.

Lo avrei ucciso. Ero stata fin troppo clemente fino a quel momento. 

Avrei dovuto rigargli l'intera macchina, demolirgliela, ridurla in cenere come successivamente avrei fatto con lui. 

Linda mi prese sottobraccio e mi sospinse a camminare, immediatamente Francesca e Vanessa si strinsero attorno a me. 

<< Com'è possibile che tu sia finita tra le candidate? >> domandò Vanessa, allibita. 

<< Lo ucciderò >> sputai tra i denti. 

<< Ucciderai chi? >> intervenne Giacomo. 

Presi posto sulla linea di fondo e allungai lo sguardo verso il campetto da calcio. 

Era finito. Le mie mani reclamavano a gran voce la sua faccia e i suoi capelli per strapparglieli uno ad uno. 

Ero consapevole delle occhiate stranite e preoccupate dei miei amici, ma non riuscivo a staccare gli occhi da quel maledetto campetto dove al momento stava giocando quel simpatico cretino. 

<< Pronte... >> 

Il mio corpo fu attraversato da una scarica di adrenalina. 

Mi chiedevo dove avesse trovato una mia foto da far affiggere al cartellone. 

Di sicuro aveva corrotto qualche demente per poter candidare qualcun altro che non fosse sé stesso, dal momento che il regolamento non lo permetteva. 

Come se una piccola e insignificante incisione potesse valere quanto una perdita di dignità di fronte a tutta la scuola.

Aveva superato il limite.

<< Via! >> 

Scattai in avanti di slancio, sospinta dalla rabbia che mi incendiava i muscoli. 

Ero così furiosa da desiderare di avere qualcosa da rompere sotto le mani, possibilmente la sua testa.  

E più lo guardavo giocare spensierato, più mi montava la rabbia. 

Chiunque avrebbe potuto vedere la mia candidatura, mentre solo lui avrebbe visto quella minuscola incisione sulla sua stupida carrozzeria. 

Era infido e maligno. 

Prima la menzogna alla Fantucci, ora questa. 

Non gli era bastato umiliarmi di fronte alla professoressa, adesso aveva mirato all'intero corpo decenti e studentesco. 

Ero stufa di lui. I suoi dispetti da quattro soldi mi aveva già causato fin troppi danni. 

<< Bravissima No... Nora, dove vai? >> La voce stranita della Trotti mi sfiorò un orecchio prima che virassi verso il campetto da calcio.  

Non sarebbe rimasto impunito. Oh no, neanche per sogno.

Se pensava che dopo quell'ennesimo colpo basso avrei abbassato il capo, si sbagliava di grosso. 

Corsi in direzione del cretino macinando asfalto sotto le suole, le urla della professoressa erano un lontano sottofondo di cui non mi curai. 

Rallentai finché non mi aggrappai con le dita alla rete protettiva attorno al campetto, il fiato corto per la folle corsa. 

<< Sodini >> gridai per attirare la sua attenzione. 

Il primo a girarsi non fu certo lui, troppo concentrato sul suo stupido gioco, ma il suo professore. 

<< Sodini è richiesto in presidenza >> mentii di fronte alla sua fronte fitta di rughe. 

Ciuffini mi si avvicinò a braccia conserte, ancora palesemente dubbioso. << Come mai hanno mandato te a chiamarlo? >> 

<< La vicepreside mi ha fermata nel corridoio per chiedermi di mandarle Sodini della 5ªD, ma poi mi sono scordata di avvertirlo >> inventai su due piedi. 

Ero una frana nel raccontare bugie, perciò mi sorpresi nel constatare come la rabbia mi avesse sciolto la lingua. 

Il professore sembrò cascarci dato che un istante dopo aveva fermato il gioco col fischietto. 

Dentro di me sfoggiai il diabolico sorriso del gatto di Cenerentola.

<< Riccardo, vieni qui. Voi altri continuate a giocare >> urlò con dei cenni della mano.

Sodini dapprima riservò un'occhiata di sufficienza solo a Ciuffini, poi mise a fuoco la mia figura sprizzante rabbia. 

Avanzò con indolenza, visibilmente seccato da quell'interruzione. 

Il suo atteggiamento mi urtò ancora di più. Come osava mostrasi persino infastidito dopo quello che aveva fatto? 

Avrebbe dovuto coprirsi il capo di cenere e camminare sulle ginocchia. 

<< Che c'è? >> chiese, prima di sollevare la maglietta per asciugarsi il viso sudato. 

Una buona porzione del sue ventre fu reso visibile dai pantaloncini bassi sui fianchi. 

<< La vicepreside ti ha mandato a chiamare >> gli spiegò sbrigativo Ciuffini. 

Gli spalancò la porta del campetto e lo incitò a muoversi con urgenza. 

Gongolavo all'idea di avere Sodini tra le grinfie, non vedevo l'ora di afferrargli quei dannati capelli e ridurlo calvo. 

Il sorcio mi seguì senza proferire parola, mentre io procedevo spedita verso la palestra. 

Una volta aver messo piede nel corridoio e dopo che il portellone si fu chiuso alle nostre spalle, mi voltai a fronteggiarlo.   

Il demente issò un sopracciglio, l'espressione neutra. 

<< Come ti sei permesso di candidarmi? >> soffiai fissandolo truce. 

Un angolo della sua bocca si stese divertito, gli occhi azzurri assunsero una luce consapevole. 

<< Non so di cosa tu stia parlando >> mi scimmiottò. 

Peccato che la sua faccia fosse in netta contraddizione con le sue parole. 

Le mani mi formicolavano così tanto che fui tentata di mollargli uno schiaffo e correre a rigare la sua preziosa auto. 

Strinsi gli occhi. << È uno scherzo patetico, per cui tu, adesso, andrai a ritirare la mia candidatura. >> 

<< Cosa ti fa pensare che io stia scherzando? >> chiese in tono schernente, come se io fossi una povera demente. 

Il desiderio di riempirgli il viso di schiaffi fu quasi irresistibile. 

Quelle iridi cerulee mi fissavano con un misto di arroganza e sfida, un connubio che trovavo particolarmente snervante. 

<< Il fatto che tu ricorra a questi stupidi metodi per farti vendetta dimostra quanto tu sia piccolo >> sputai avanzando di un piccolo passo. << Un totale imbecille, per usare termini più appropriati. >> 

Non ero più disposta a trattenermi dal dirgli chiaro e tondo cosa pensassi di lui per timore che mi facesse licenziare. 

Il confine della civile sopportazione era stato di gran lunga oltrepassato. 

La sua espressione mi fece ribollire il sangue nelle vene: era il dipinto dello spasso. 

Mi faceva davvero sentire una pazza isterica che inveiva sul primo capitato a tiro.

Il suo sorriso si stese beffardo. << Invece di prendertela tanto dovresti ringraziarmi per averti regalato un po' di popolarità. >> 

Era un idiota. Non nutrivo dubbi su quel fatto scientificamente provato dalle sue parole. 

Avrei voluto urlare, pestare i piedi e urlare ancora. 

Mi sentivo prossima ad un esaurimento nervoso. 

La mia palpebra sinistra ebbe un tic, prima che ruotassi leggermente il capo e schioccassi la lingua al palato. << Sai una cosa? Al tuo cofano donerebbe molto una bella incisione a caratteri cubitali. Tutti dovrebbero sapere chi guida quella macchina. >> E detto ciò, gli diedi le spalle e presi a marciare in direzione del parcheggio. 

I passi che riuscii a mettere in fila, purtroppo, furono decisamente pochi. 

Mi acciuffò per il cappuccio della felpa e mi strattonò all'indietro, rischiando di strangolarmi. Anzi, ero più che certa che quello fosse il suo obiettivo primario. 

Nello stesso istante udimmo il portellone aprirsi. Sodini mi mollò di scatto, tanto che persi l'equilibrio e finii per schiantarmi a terra.  

Atterrai sui palmi e le ginocchia, accusando non poco dolore alle giunture. 

Rimasi per un attimo immobile, ferma a fissare il pavimento livida di rabbia, il cappuccio calato sulla testa per il contraccolpo.

<< Cosa sta succedendo qua? >> chiese guardinga la mia professoressa di ginnastica. 

Mi voltai fulminea per rivelarle la verità, ma il sorcio fu più veloce di me.

Sfoderò un amabile sorriso, falso quanto una banconota da sette euro, e si piegò sui talloni, accanto a me. << Non si sentiva molto bene, così mi sono offerto di accompagnarla in infermeria >> mentì con una scrollata di spalle. Scorsi un angolo della sua bocca stirarsi nel consueto ghigno beffardo. 

<< Non... >> Venni interrotta dal suo braccio che si era mollemente appoggiato sulla mia testa, pesandomi non poco.

<< Ma come può notare, ha rifiutato il mio aiuto ed è caduta >> proseguì disinvolto. 

Questa poi, come se il pensiero di aiutare qualcun altro all'infuori di sé stesso gli avesse mai sfiorato il cervello.

La Trotti, purtroppo, si bevve quella sporca bugia. Mutò istantaneamente la sua espressione in una più preoccupata e compassionevole. 

<< Nora, ti senti la febbre? Se è così bisogna chiamare subito tua mamma. Avresti dovuto dirmelo, così non ti avrei fatta correre >> iniziò a dire in tono concitato, in preda all'ansia.

Espirai seccata dal teatrino che quel cretino aveva montato su. 

Perché nessuno riusciva a vedere quanto fosse spregevole e subdolo? 

<< Non deve credere ad una sol... >> Il braccio di Sodini mi avvolse il collo per stringere appena, poi la sua mano mi sfiorò la fronte. 

Spostai il mio sguardo colmo d'odio sul profilo del suo viso. 

<< Ha decisamente la febbre >> asserì prima di guardarmi con un sorrisetto vittorioso. Le sue iridi cerulee luccicavano di una muta presa in giro, sfidandomi a fare di meglio. 

Se solo la Trotti non fosse stata presente non ci avrei pensato due volte a mollargli un pugno in faccia. 

Peccato che non potessi fare poi molto, limitata com'ero dalle sue menzogne costruite ad arte. 

<< Allora, per favore, portala a misurarsela >> disse la professoressa, la fronte contrita per la preoccupazione. << Io mi devo occupare del resto della classe. >> 

Sorcio Sodini slacciò il nostro contatto visivo per annuirle con la sua finta maschera rassicurante. 

Era più falso di Giuda. 

Nel momento in cui rimanemmo soli, mi premette il braccio sulla testa e fece leva per issarsi. 

Mi alzai sulle ginocchia e gli rifilai uno schiaffo sulla gamba, per poi scattare in piedi e sistemarmi il cappuccio. << Sei un bugiardo, oltre che un grandissimo infame >> ringhiai scostando pure un ciuffo sfuggito alla coda. 

Incrociò le braccia sul petto e alzò un sopracciglio mentre il solito sorrisetto gli affiorava sulla bocca. << Sei in vena di complimenti. >> 

Ridussi gli occhi a due fessure. << Non credere di averla fatta franca. La Trotti molto presto ascolterà la verità >> dissi prima di slanciarmi in avanti, verso il portellone.

Ciò che sentii dopo fu piuttosto strano. 

Il mio stomaco sembrò accartocciarsi e la mia pelle pizzicare per il braccio con cui Sodini mi stava sbarrando il passaggio. 

Perché quel dannato arto era contro la mia maglietta e la sua mano piantata sul mio fianco, sotto la felpa aperta. 

Mi aveva presa del tutto in contropiede. Non mi era mai capitato di avere un contatto tanto ravvicinato con un ragazzo, a meno che non si trattasse di un rapido abbraccio con un amico. 

A quello non ero psicologicamente pronta, soprattutto considerato il soggetto. 

Ruotai il capo di lato alla ricerca dei suoi occhi per imbattermi in un sorrisetto da schiaffi. 

Le sue iridi azzurre erano pervase di una finta pietà che sfociava nella pungente ironia. << Fossi in te, Nora, terrei la bocca chiusa >> dichiarò inclinando la testa. 

Dei ciuffi castani gli scivolarono sulla fronte e adombrarono leggermente il colore freddo dei suoi occhi. 

Notai che la linea del suo collo era tesa per la posa del capo, le ampie spalle apparentemente rilassate e il braccio rigido contro il mio ventre. 

<< Altrimenti? >> soffiai in tono di sfida. 

Mi resi effettivamente conto della sua vicinanza solo in quel momento. 

Come il giorno prima individuai la pagliuzza dorata accanto alla sua pupilla destra mentre il suo respiro regolare mi sfiorava le ciglia. 

Era strano e del tutto fuori luogo, ma il pensiero che se solo mi fossi alzata sulle punte le nostre bocche sarebbero potute coincidere mi fece provare di nuovo una stretta allo stomaco.

Ero così nuova a quel genere di contatto, di cui avevo letto solo nei libri, che la mia fantasia galoppava come quella di una stupida ragazzina.

Sarebbe stato decisamente più soddisfacente tirargli una testata e fargli cadere tutti i denti. 

A riportarmi coi piedi ben piantati per terra ci pensò il suo mezzo sorriso irrisorio. << Dubito che tu voglia avere altri problemi con la Fantucci >> asserì mellifluo. 

Contrassi la mascella, colpita e affondata dalle sue parole. 

Era frustrante ammetterlo, e mi costava uno sforzo esagerato, ma aveva vinto quella battaglia. 

Non potevo permettere che quel demonio mi cacciasse in altri guai con la Fantucci, o sarei stata spacciata. 

Avrei sistemato la faccenda della candidatura per conto mio, senza richiedere l'intervento della Trotti. Ma lui avrebbe fatto bene a dormire con un occhio aperto.

Bramavo vendetta. 

Scacciai il suo braccio con stizza, provocando l'estendersi del suo tedioso sorriso.

Era evidente quanto ci tenesse a sbattermi in faccia la sua vittoria ottenuta in modo subdolo e sleale. 

Allontanai in fretta lo sguardo e presi a camminare verso lo spogliatoio. 

Avevo bisogno di stare sola, magari a fantasticare su vari tipi di dolorosa vendetta oltre che per depurare il mio cervello dalla sua vista.

Prima che abbassassi la maniglia della porta, però, mi voltai per linciarlo con un'occhiata. 

Il babbuino era ancora piantato lì, a fissarmi con un'espressione che avrebbe strappato gli schiaffi di mano persino ad un santo. 

<< E comunque >> iniziai a dire, il tono acido. << Nora è un nome, non un insulto. >> Abbozzai un sorrisino falso e mi chiusi la porta alle spalle, per poi appoggiarmici e prendere un profondo respiro. 

Odiavo il modo in cui pronunciava il mio nome. Sembrava stesse sputando la peggiore offesa, sempre con quell'atteggiamento superiore, come se in confronto a lui fossi una cerebrolesa.  

Non esisteva niente in lui che non fosse snervante. 

Com'era possibile che gli altri non lo notassero? 

Scossi il capo per scacciare quei pensieri che ruotavano ancora attorno a lui. Avevo altro di cui occuparmi, primo fra tutti: rimuovere la mia candidatura. 

 

 

  
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