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Autore: Talitha_    07/07/2020    2 recensioni
Dopo un interminabile e pericoloso viaggio, a cui Astrid non ha potuto prendere parte, Hiccup fa finalmente ritorno a Berk. ⁣

« Rimasero qualche secondo in silenzio, un silenzio di imbarazzo e incertezza. ⁣
Nessuno dei due sapeva bene come comportarsi. Si erano cercati invano per così tanti mesi, senza mai trovarsi. ⁣
Ma ora erano lì, insieme. »
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hiccup Horrendous Haddock III
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1. 

 

 

 

Un fruscio di foglie.

Una ventata di aria fresca.

Non semplice aria fresca. Aria di lui. Di muschio e pelle bruciacchiata, di ferro e legno. 

Di Hiccup. 

Rimase ferma a guardare l’orizzonte, scuro e misterioso, troppo timida per girarsi a guardarlo. Un imperterrito rossore fece largo sulle sue guance morbide. Il cuore prese a batterle forte mentre sentiva i suoi inconfondibili passi… beh, IL passo avvicinarsi, alternato dal suono sordo della sua gamba di ferro. 

Astrid si strinse le ginocchia tra le braccia, rannicchiandosi sempre più. Desiderava non essere vista, ma sapeva perfettamente che lui era venuto lì per lei. L’aria fresca della notte - per quanto possa essere adeguato l’aggettivo fresco per una notte estiva di Berk - le scompigliava i capelli, insinuandosi dolcemente tra le sue ciocche dorate. 

Ne prese una tra le dita, e cominciò ad attorcigliarla e a molestarla fino a che un leggero mal di testa iniziò ad espandersi proprio da quel piccolo punto. Decise di smettere di tormentare i suoi poveri capelli, e tornò a poggiare il braccio attorno alle ginocchia. 

“Ehi.”

Quel sussurro così dolce e affettuoso la fece trasalire. Era passato molto tempo dall’ultima volta, e non ricordava quanto amasse quella voce, quel tono d’amore, la consapevolezza della sua presenza accanto a lei. Si sentì improvvisamente molto nervosa, come se lei e Hiccup non fossero mai stati una coppia, come se non avesse mai sperimentato quell’inarrestabile batticuore che le tempestava il petto se lo sentiva vicino, o anche solo se pensava a lui. 

Astrid si voltò piano, uno strano sorriso dipinto sulle labbra. Hiccup si sedette a terra accavallando le gambe. Il cuore di Astrid non accennava a calmarsi, anzi, aveva iniziato a battere ancor più selvaggiamente. 

Rimasero qualche secondo in silenzio, un silenzio di imbarazzo e incertezza. 

Nessuno dei due sapeva bene come comportarsi. Si erano cercati invano per così tanti mesi, senza mai trovarsi. 

Ma ora erano lì, insieme. 

Astrid ripensò a tutte quelle mattine in cui la prima cosa che non vedeva era il suo sorriso - prima che Hiccup partisse avevano preso l’abitudine di dormire insieme - , a tutte quelle volte in cui aveva un disperato bisogno di stringerlo tra le braccia, di sentire la sua voce rassicurante e incoraggiante. O quando voleva semplicemente avere la certezza che lui stesse bene. 

Senza rendersene conto, aveva iniziato a piangere. Grosse gocce le solcavano le guance, lasciando dietro di loro una leggera scia bagnata che le provocò qualche brivido di freddo. 

Allora ripensò nuovamente a tutti quei giorni vuoti, in cui si era sentita come se una parte di lei avesse preso il largo abbandonandola per sempre, cosa che era successa, più o meno. O che sarebbe potuta accadere, se le cose fossero andate per il verso storto. 

Per fortuna Hiccup era tornato a casa sano e salvo. 

Alzò finalmente lo sguardo su di lui, mentre lacrime calde correvano e correvano. Sentiva già i capelli appiccicarsi alla pelle, per cui fece per portare alcune ciocche dietro l’orecchio.

Lui la prevenne. Astrid sentì le sue dita ruvide carezzarle la guancia, percorrere tutto il profilo della mascella, e deviare infine dietro il suo orecchio. Le si mozzò il fiato. 

Non si era neanche resa conto di aver distolto lo sguardo dai suoi occhi. Sebbene fosse quasi completamente buio e riuscisse a distinguere soltanto le forme di ciò che la circondava, l’immagine degli occhi verdi di Hiccup le si proiettò nella mente, come se non fosse passato neanche un giorno dall’ultima volta che i loro sguardi si erano incrociati. 

Tuttavia, nonostante il buio, riusciva a sentire perfettamente gli occhi di Hiccup su di sé, dolci e affettuosi, che la scrutavano come per verificare se la loro memoria ricordasse bene i tratti del suo viso. 

“Mi sei mancata” disse in un sussurro. Un sussurro spezzato. Era come se nella gola di Hiccup si fosse formato un enorme macigno che premeva e premeva le lacrime di uscire. O forse erano già uscite, Astrid questo non riusciva a vederlo. 

Sentiva ancora le sue dita accarezzarle dolcemente il volto, percorrendone l’intero il profilo, come per assicurarsi che lei fosse tutta lì, sotto i suoi occhi, dopo tanto di quel tempo di separazione e incertezze.

Anche Astrid sentiva un groppo in gola, che le impediva di proferire parola. Eppure, il tatto di quelle mani callose e premurose sul suo viso, quella voce profonda che tanto le era mancata, il calore che il suo corpo emanava, le fece dimenticare tutto. E, semplicemente, si gettò tra le sue braccia. 

Sentiva finalmente il suo petto premuto sulla faccia, quel suo buonissimo e particolare odore penetrarle le narici, grandi mani che le circondavano i fianchi e la avvolgevano tutta, come fosse una bambina indifesa in cerca di coccole e protezione. 

Invece di arrestarsi, le lacrime avevano iniziato a scendere più furiose di prima, stanche di essere state represse per così tanti mesi. 

Strinse più forte la presa intorno al suo collo, incrociando le dita tra i suoi capelli, e aspirando bisognosa il suo profumo. 

“Mi… mi sei mancato anche tu” fu le uniche parole che riuscì a pronunciare. Parole strozzate e forse neanche molto riconoscibili, ma dette con un tale impeto e sentimento che commossero Hiccup ancor di più. 

A quelle parole, Hiccup cercò il suo sguardo. Lasciò la presa sulla vita di lei e le avvolse il viso tra le mani.

Un canto di un qualche animale che Astrid non si prese la briga di identificare - o di ascoltare - risuonò nell’aria, mentre alcune foglie scricchiolavano sotto la pressione dei loro corpi. 

Una volta incrociato il suo sguardo, Astrid non capì più niente. Il suo volto era talmente vicino che riusciva a scrutare il luccichio dei suoi occhi. Occhi diversi. 

Astrid era convinta di conoscere a memoria tutte le espressioni del viso di Hiccup, eppure quella le era nuova. Non aveva mai visto nel suo sguardo tutta quella durezza e dolcezza al tempo stesso. 

Come se non bastasse, il suo volto era scalfito da nuove cicatrici, le occhiaie livide e marcate. Cercò di istinto le sue mani pigiate ancora sulle sue guance, e notò la moltitudine di ferite che non si erano ancora rimarginate. 

Trasalì pensando a tutto quello che doveva aver passato per ridurlo in quello stato. 

“Hiccup, per Thor…” 

Lui la interruppe posando delicatamente un dito sulle sue labbra. 

“Shhh” mormorò guardandola intensamente “sto bene, non preoccuparti.”

Le sue dita avevano cominciato a ripercorrere leggermente il contorno delle sue labbra, quando Astrid lo fermò, cercando di non toccare i punti ricoperti dalle ferite, che, si accorse a malincuore, non erano molti. 

“Non stai bene” disse dura “guarda qui come ti hanno ridotto” e prese a tastargli il petto alla ricerca di ferite mortali. 

Hiccup sorrise, di un sorriso malinconico e dolce. Afferrò la mano di lei e la portò al cuore. Il respiro di Astrid si mozzò. 

“Ho preferito venire prima da te che recarmi da Gothi” ammise “ma forse avresti preferito non vedermi subito piuttosto che bendare qualche graffietto.”

Astrid si arrese, lasciandosi finalmente scappare un sorriso. 

“Ah, un sorriso. Mamma mia quanto ti ci è voluto, temevo quasi non fossi contenta che io sia tornato” disse con un tono canzonatorio. 

Ad Astrid salirono di nuovo le lacrime agli occhi. “Scemo, lo sai che non è vero.”

La voce le era uscita più strozzata di quando avesse sperato, per cui cercò di smorzare l’attenzione dandogli un colpetto sul petto. 

“Ahia” fece lui, strizzando gli occhi e portandosi una mano sul punto colpito dal suo leggero pugno, leggero soltanto quando si trattava di lui, che sia chiaro. 

“Oddio, mi dispiace Hiccup… io” fece per aprirgli i lacci della casacca che indossava e controllare la sua ferita, quando lui scoppiò improvvisamente a ridere. 

“Ma dai, stavo scherzando” disse, tra una risata e l’altra. 

Astrid assunse un’aria offesa, eppure dentro di sé si sentiva davvero felice per la prima volta dopo tanto tempo. Sentire la sua risata, sapere con certezza che stesse bene, le levò un enorme peso dal cuore. 

Questa volta non si trattenne, e gli diede veramente un bel pugno sul petto. Beh, forse un po' si era controllata, ma proprio poco. Quanto bastava per non rompergli una costola. E per non fargli così male.

“Scemo” ripetè, reprimendo a stento un sorriso. 

Nonostante il pugno, Hiccup continuava a ridere. Le prese le mani tra le sue, assumendo improvvisamente un’aria seria. 

“Ti ho già detto che mi sei mancata?” chiese con la voce un po' rauca per le risate, accarezzandole con il pollice il dorso delle mani. 

“Mmh” annuì lei, con un sorriso malizioso. 

In quel momento sentiva come se neanche un giorno dalla sua partenza fosse passato. Tutto quel dolore e quella solitudine cancellati in un sol colpo. E si reputò anche una stupida per essersi sentita così nervosa prima del suo arrivo, così timida sotto i suoi sguardi.

Erano vicinissimi. Talmente vicini che potevano vedersi chiaramente negli occhi, che potevano condividere la stessa aria e gli stessi respiri.

“Astrid, io…”

Il suo nome pronunciato da quella voce la fece sobbalzare. Da tanto tempo nessuno la chiamava con quel tono, che raccoglieva in sé dolcezza, amore, ammirazione, e anche un pizzico non indifferente di malinconia. 

Astrid si avvicinò un po' di più. Adesso le loro labbra si sfioravano, ora si toccavano. 

Immobili. 

L’unico rumore era quello della brezza che scompigliava le foglie, e dei loro respiri irregolari. Un brivido corse giù per la schiena di Astrid, quando il respiro di Hiccup si abbatté sulle sue guance rigate di lacrime asciutte, e le sue mani le cinsero delicatamente la vita, accarezzandola piano. 

Astrid chiuse gli occhi, godendosi quel momento bellissimo. Poggiò la sua fronte su quella di Hiccup, allontanando di poco la sua bocca. 

Lui, evidentemente non contento di questo improvviso distacco, cercò nuovamente le sue labbra. Quando le trovò, qualche istante dopo, le prese delicatamente tra le sue, calde e invitanti. Le baciò piano prima, preda di una passione repressa per troppo tempo poi. 

Astrid gli gettò le braccia al collo, ciocche di capelli tra le sue mani. Un misterioso impeto si impossessò di lei, mentre cercava con foga le sue labbra e la sua lingua. 

Hiccup la teneva stretta, per paura che quel momento finisse troppo presto. Dai fianchi risalì piano alla schiena, mentre cercava di stenderla delicatamente su quel letto di foglie sotto di loro, che scricchiolavano al ritmo dei loro movimenti. 

Astrid emise un gemito quando Hiccup, completamente sopra di lei, spostò le sue labbra più in basso, verso quel punto dietro l’orecchio che lui sapeva la faceva impazzire. Allora attorcigliò le gambe sottili intorno alla sua vita, mentre si aggrappava a lui con tutte le sue forze. 

Mentre le labbra di Hiccup si impadronivano sempre più selvaggiamente del suo collo, le sue mani impazienti continuavano imperterrite la loro risalita, slacciando i pochi lacci del suo corsetto e insinuandosi sotto gli strati di stoffa che lo separavano dalla sua pelle. 

Una volta che le mani calde e ruvide di Hiccup incontrarono la sua pancia, Astrid inarcò la schiena, in preda ai brividi. Aveva dimenticato come si sentisse ad essere toccata da lui, quando le loro pelli nude si incontravano. 

A quella reazione, Hiccup sorrise malizioso nel suo orecchio, provocando un’altra scarica di brividi giù per la schiena di Astrid. 

Si spostò a baciarla delicatamente sulle labbra, baci premurosi e dolci, che ogni tanto venivano interrotti da qualche sguardo o parola sussurrata contro di lei. 

Astrid, semplicemente, si faceva coccolare, dopo tutto quel tempo che aveva desiderato non essere per una volta la persona forte, bensì quella che ogni tanto ha bisogno di cure ed attenzioni. Sebbene avesse il corpetto completamente slacciato, non aveva freddo. Il corpo caldo di Hiccup la avvolgeva in modo talmente delicato e rassicurante che le fece perdere completamente la cognizione del mondo esterno. 

Dopo qualche minuto, Hiccup ricominciò ad accarezzarla gentilmente sui fianchi, scostando i pochi veli di tessuto che lo separavano dalla sua pelle. Le avvolse completamente la vita sottile e invitante, percorrendone tutto il profilo. Le mani di Hiccup salivano e salivano, sotto il suo corpo, in una danza di passione che solo loro due conoscevano. 

Quando raggiunsero finalmente i suoi piccoli seni, Astrid gemette. 

Con un sorriso malizioso, Hiccup la toccò come soltanto lui sapeva e poteva, con movimenti frutto di tante e tante sperimentazioni. 

Il respiro di Astrid si faceva sempre più affannoso, incoraggiandolo. Scostò le mani dai suoi seni, e un brivido di freddo assalì Astrid proprio nel punto in cui le sue dita si trovavano fino a pochi istanti prima. 

Hiccup sfilò le braccia dal corsetto di lei, lottando per liberarsene una volta per tutte. Allora si avvicinò con la testa verso il petto invitante di Astrid, che sentiva il rigonfio dei suoi pantaloni strusciarle ardente contro la coscia. 

Prese un respiro e mormorò con un sorriso: “Ma che vuoi farlo qui in mezzo al bosco?”

Lui le rivolse uno sguardo che raccoglieva mille emozioni tutte in una volta. Anche l’impazienza, notò Astrid. 

“Qualcosa in contrario?” le chiese in un sussurro. 

E poi le sue labbra si impadronirono dei suoi seni. 

 

 

 

2. 

 

Astrid teneva in mano uno di quei piccoli aggeggi che Hiccup aveva inventato per accendere il fuoco dopo la partenza dei draghi, e che lui si ostinava a chiamare “fiammiferi”. Per lei sarebbero sempre rimasti i “bastoncini-sputa-fuoco”. 

Si avvicinò piano alle piccole lanternine che teneva sparse tutte intorno alla sua stanza, iniziando ad illuminarle una ad una. 

Una mano la prese da dietro e si impossessò dei suoi fianchi, mentre Astrid cercava di dare vita ad una nuova piccola fiamma di una delle candele poggiate sopra la mensola del camino. 

Proprio accanto a quella candela aveva trovato posto un carboncino che Hiccup le aveva regalato un paio di anni prima, e che la ritraeva mentre dormiva. Quando gliel’aveva fatto vedere per la prima volta, Astrid era andata su tutte le furie. L’idea che Hiccup la osservasse mentre dormiva la imbarazzava terribilmente. Questo ovviamente risaliva ai primi tempi della loro relazione. 

Eppure, dopo la sua partenza, Astrid si era ritrovata spesso ad accarezzare con le dita i bordi di quel disegno, stando sempre attenda a non rovinarne i contorni. 

Strinse tra le sue la mano che le circondava la vita sottile, e che ora poggiava sul suo grembo. Le erano mancati terribilmente quei piccoli gesti che prima facevano ormai parte della loro quotidianità. 

“Bentornato a Berk” gli disse, mentre si voltava verso di lui per dargli un leggero bacio. Le labbra di Hiccup si trattennero sulle sue qualche secondo in più del previsto. 

“Mmh, quanta audacia” gli sussurrò lei tra i denti “mi verrebbe quasi da pensare che tu ti sia allenato con qualcuno durante questo fantomatico viaggio.”

Hiccup sorrise malizioso. 

“Forse dimentichi che ti ho sognata talmente tante volte da non smettere mai di baciarti.”

Astrid non riuscì a trattenere una risata. 

“Ah sì?” chiese in un sorriso. Lui annuì, portandole una mano, accuratamente bendata da Gothi, sulla guancia smagrita. 

Astrid si scostò, finendo di accendere l’ultima lanterna. 

Dopodiché lo prese per mano e lo condusse verso il letto della sua stanza, in cui ormai abitava da qualche anno. L’aveva presa in affitto dopo la morte di sua madre, e si trovava in una delle pochissime locande situate a Berk. Era una sola stanza, piccola ma accogliente, che permetteva ad Astrid tutto lo spazio che le serviva per condurre una vita normale. Ovviamente era sprovvista di cucina, cosa che la rallegrava non poco, dato che comunque non l’avrebbe mai usata. Non sapeva cucinare. 

Hiccup la rimproverava sempre dicendole che se non faceva pratica non avrebbe mai imparato, ma lei lo ignorava, visto che mangiava sempre nella cucina della locanda o in quella di Skarakkio. 

Si sedettero entrambi sul grande letto addossato alla parete, Hiccup sdraiato con la testa sulle gambe di Astrid. Lui prese tra le mani una ciocca dei suoi capelli dorati, iniziando a giocherellarci dolcemente.

“Dovresti provare a dormire” gli disse lei sottovoce. Hiccup la ignorò, accoccolandosi di più contro il suo ventre. 

“Ci sarà tempo per dormire, adesso voglio stare un po' con te” mormorò, col naso premuto sulla pancia di Astrid. 

Lei lo accarezzò piano sulla testa, come un bambino che vuole essere consolato. 

Passò in rassegna tutti gli istanti che avevano passato insieme dal suo ritorno, non molti, in effetti. D’altronde era tornato soltanto da poche ore. 

Sorrise pensando a quando avevano fatto l’amore sull’erba in mezzo al bosco, a come lui era stato premuroso e amorevole, sebbene desiderasse quanto lei ritrovarsi dopo tutti quei mesi. 

Rimasero in silenzio qualche minuto, il respiro regolare di Hiccup contro il suo grembo. Astrid credette si fosse finalmente addormentato. Ciononostante, continuò ad accarezzargli i capelli.  

Eppure, con un tono molto serio, Hiccup mormorò: “Ho parlato con Gothi.”

Il silenzio confuso di lei lo invitò ad aggiungere: “A proposito di te.” 

Astrid sbuffò. Non aveva per nulla voglia di parlare della sua malattia.

“Astrid” continuò lui, sollevando di poco la testa “sei dimagrita. Troppo.”

“Senti, Hiccup, non sono proprio in vena di sentire uno dei tuoi soliti pipponi, adesso.”

“Vuoi dire che non ti erano mancati?” chiese divertito, mentre si girava a pancia in su per guardarla meglio, le gambe di Astrid il suo immancabile cuscino. 

“Sì… cioè, no.” il suo tono era a metà tra il confuso e il triste. 

“Allora perché non vuoi parlarne? Non ti mangio mica, sai.”

Lei distolse lo sguardo dai suoi occhi, alzando la testa verso il soffitto di legno della locanda. Strizzò le palpebre come per scacciare le lacrime. Hiccup se ne accorse, ovviamente. 

“Ehi” mormorò, facendola stendere accanto a lui e prendendola tra le braccia.  “A me puoi dire tutto, lo sai.” aggiunse. 

Rimasero in silenzio per qualche minuto, Hiccup aspettando che lei dicesse qualcosa, Astrid concentrata sui battiti del cuore di lui contro il suo orecchio. 

Inspirò forte il suo odore, la sua presenza, ed infine disse: “Ora sto bene, è questo che conta.”

 Lui sbuffò. 

“Senti, Astrid. Io ti conosco, e a me non puoi mentire. Gothi mi ha soltanto confermato quello che temevo già.” 

Silenzio da parte di Astrid, che sperò inutilmente che lui la credesse addormentata. Allentò la presa intorno al suo petto. 

“Dannazione, Astrid.” si scostò da lei per guardarla dritto negli occhi. 

“Non devi sentirti in colpa per non avermi potuto accompagnare. E neanche una nullità perché il tuo corpo ti ha costretta a letto più tempo di quanto ti aspettassi. È successo, e la colpa non può essere attribuita a nessuno, neanche a te.” Le accarezzò dolcemente una guancia, mentre lacrime silenziose scendevano lungo il volto di Astrid, percorrendo la curva degli zigomi e del naso, e gocciolando sulle lenzuola. 

“Non puoi neanche immaginare quanto mia sia sentito impotente, io, che non potevo starti accanto, e che non avevo la garanzia di trovarti viva una volta tornato a casa…”

“E se non fossi mai tornato?” lo interruppe Astrid sedendosi di scatto, in un tono molto simile ad un grido. “Il pensiero di non poterti proteggere, di non poterti stare accanto nei tuoi ultimi istanti, di non poterti pregare di resistere soltanto per stare con me mi ha quasi distrutta. A questo ci hai pensato?” 

Non voleva piangere in quel modo davanti a lui. Non voleva che la vedesse così fragile. Eppure non riuscì a controllarsi. Non quando Hiccup la accolse tra le sue braccia, non quando le sussurrò parole dolci nel tentativo di consolarla.

Astrid si lasciò andare ad un pianto liberatorio, dando il via libera a tutte le lacrime represse durante quei mesi lunghi e bui, in cui la sua sola consolazione era quello stupido disegno che lui le aveva lasciato, insieme con la promessa che sarebbe tornato sano e salvo. 

Pianse e pianse, e si lasciò consolare. Aveva finalmente permesso che quel muro di durezza e forza che aveva eretto intorno a sé crollasse ai suoi piedi, che le parole rassicuranti di Hiccup potessero coccolarla. 

Si addormentarono così. Piangenti e felici. 

 

 

 

3. 

 

Il canto di una delle poche galline che abitavano Berk risuonò assordante. Astrid sbatté piano le palpebre. 

Sotto quelle ciglia bionde Hiccup era sicuro di poter già intravedere i suoi occhi di ghiaccio. Gli angoli della bocca gli si piegarono in un sorriso quando i loro sguardi si incrociarono. 

Astrid, ancora intontita dal sonno, si rese pian piano conto che quella visione non era affatto frutto di uno dei tanti sogni che avevano popolato la sua mente nell’ultimo periodo. Le sue gambe bianche avvolte attorno a quelle ruvide di Hiccup, il suo profumo sul cuscino, i suoi occhi verdi e scintillanti che la guardavano innamorati. 

Era tutto vero. Sorrise, in preda ad un nuovo sentimento, un miscuglio di serenità e felicità. 

Si accucciò contro di lui, che però non la avvolse tra le braccia come suo solito. 

Astrid notò che in effetti le teneva nascoste dietro la schiena. 

“Ma cos…?” mormorò incuriosita. Si alzò su un gomito e si sporse dietro il suo petto per vedere cosa nascondesse, mentre la risata cristallina di Hiccup le risuonava nelle orecchie.

“Prometti che stavolta non ti arrabbi?” chiese con tono malizioso. 

“Quando parli così non è mai un buon segno” osservò Astrid, ricadendo sul cuscino. “Magari” aggiunse, portando le sue mani delicate verso il volto di Hiccup, accarezzando la piccola cicatrice che aveva sul mento “invece che una promessa potrei darti un bacio.” 

“Ma se ti arrabbiassi non ci sarebbe gusto” protestò lui. 

“Allora il bacio te lo do prima che tu mi faccia vedere cosa nascondi.” propose Astrid. 

“Mmh” fece Hiccup, mordicchiando le dita di lei che giocherellavano con la sua bocca, facendogli fare delle strane smorfie. 

Astrid ridacchiò. 

“Se il bacio me lo dai prima credo si possa fare” concesse allora. 

“Agli ordini, Capo” rispose Astrid, che nel frattempo si era fatta pericolosamente vicina a lui. 

Hiccup non indugiò oltre, e, senza pensarci due volte, si impossessò delle sue labbra. 

Sentiva la sua lingua scivolare tra i denti, mentre suoni di baci risuonavano nella stanza. Portò una delle due mani che teneva dietro la schiena sul suo fianco, accarezzandole le natiche, la schiena, i seni turgidi sotto la veste, il collo e la guancia. 

Si spostò piano sopra di lei, tornando con la mano verso la sua vita. Con la lingua sfiorò piano il contorno delle sue labbra, schioccandole teneri baci. Astrid sentiva scariche elettriche percorrerle tutto il corpo, e si dimenticò completamente dell’oggetto misterioso che Hiccup teneva in mano. Quando però si accorse che le carezze di sole cinque dita non le bastavano, scese il profilo del suo braccio fino a trovare le altre cinque. Prese il pezzo di carta che custodivano e lo gettò via, richiedendo il loro tocco sul suo corpo. Hiccup le sorrise tra i denti e la abbracciò completamente, mentre Astrid cercava di liberarlo dalla casacca di lino bianco che Hiccup indossava. Afferrò per i lembi quel sottile strato di tessuto e fece per tirarglielo su, quando Hiccup le mormorò in un orecchio: “Mi avevi promesso un solo bacio, o sbaglio?”

Astrid arrossì leggermente, ma le sue mani riuscirono a liberare Hiccup dalla casacca. Lui le schioccò un delicato bacio sul collo, dopodiché le prese le mani tra sue e si prese qualche istante per guardarla attentamente negli occhi. Allora si sporse leggermente verso il punto in cui Astrid aveva lanciato il foglio di carta che teneva stretto tra le dita, distendendolo per bene. 

Lei alzò la testa verso quel piccolo foglietto, cercando di capire cosa andassero a formare quelle linee nere tracciate col carboncino. Linee che si intrecciavano e incrociavano, delineando un profilo di donna. Il suo profilo. 

Astrid sentì gli occhi pizzicare, ma si costrinse a trattenere le lacrime. Ne aveva versate fin troppe, nelle ultime ore. 

“Ti piace?” chiese Hiccup, gli occhi verdi ardevano di speranza. 

Astrid sorrise, percorrendo con le dita i bordi del foglietto di carta. 

“E’ bellissimo” mormorò.



 

Angolo autrice: 

Solitamente non lascio quasi mai uno spazio libero per me in fondo alle mie storie, semplicemente perché sono talmente concentrata a rivederle e correggerle che mi scordo di fare qualsiasi altra cosa ^^’

Ma ora mi è venuto in mente e ho pensato che ogni tanto non fa mai male lasciare qualche parolina per voi fedeli lettori, anche per conoscere meglio chi c’è dietro a quello che si legge. 

Comincio innanzitutto col dirvi che spero tanto che questa storia vi sia piaciuta. Siccome questa ff - come d’altronde qualsiasi altra cosa io scriva xD - è il frutto di uno dei miei innumerevoli film mentali che ho voluto mettere per iscritto, non ha molto senso, e non ha neanche una trama ben precisa, però mi piaceva l’idea di dare una forma più concreta ai miei pensieri e condividerli con altre persone con le mie stesse passioni. 

In realtà non scrivo ff da relativamente molto tempo, e neanche molto spesso. Semplicemente aspetto che mi si presenti - oltre al tempo - anche la giusta ispirazione. Non tutti i momenti sono fatti per scrivere. 

Detto questo, spero di non avervi importunato con le mie inutili parole, e ringrazio tutti coloro sono arrivati a leggere fino alla fine xD

A presto - spero!

Talitha_

 

   
 
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