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Autore: zippo    14/08/2009    3 recensioni
Sono passati diversi mesi dalla morte di Dark Threat, Rebecca sta per diventare un angelo bianco e al suo fianco c’è Gabriel. Ma non sempre le cose sono così semplici come appaiono. In un angolo, in un respiro, in una lacrima…il Male è continuamente presente. E se lui non fosse morto? E se ritornasse? Il potere, dopotutto, è piacevole…e per corrompere l’animo innocente di una ragazza bastano poche finte promesse.
Il sequel di: Angelus Dominus - Il Bene -
Il secondo capitolo della saga: ALONE IN THE DARK. 
Genere: Romantico, Azione, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cap. 15 - LONTANA DAL PARADISO -

[Tutto ciò per cui sto vivendo,
tutto ciò per cui sto morendo…
volevo solo di più.

Chiudo l’ultima porta aperta,
i miei fantasmi stanno guardando a distanza.

Pensavo che avrei cambiato il mondo.
Dovrebbe far male amarti?
Dovrei chiudere l’ultima porta aperta?]

Evanescence - All that I’m living for -



***



Le soppraciglia di Salazar erano così aggrottate che sembravano formare un grande arco increspato. Si sentì piombare addosso un fastidioso disagio, che non presagiva niente di buono. Osservò le mani di Rebecca chiuse a pugno, la sua postura dritta e autoritaria, i suoi occhi profondi e scuri, la sua bocca incurvata in un ghigno. Gli parve di vederla per la prima volta, non aveva notato prima queste sue fredde e aguzze fattezze.

Senza pensarci, guidato dal cieco istinto, tentò di leggerle la mente. Rebecca camminava e non sembrava accorgersi di nulla. Voleva vedere cosa c’era sotto quella pelle, quel corpo, cosa nascondeva, se c’era qualcosa di buono o di cattivo. Fece appena in tempo a sfiorarla che lei se ne accorse.

Con un gesto velocissimo, la mano di Rebecca andò a circondare il collo di Salazar mentre l’altro braccio gli bloccò il torace e lo spinse indietro. Salazar venne sbattuto con una forza inaudita contro il muro di pietra. La mano della ragazza lo teneva ancora saldamente al collo.

“Che fai?” sembrava perplessa più che arrabbiata.  

Salazar provò a liberarsi ma né la sua forza fisica né la sua magia riuscirono a vincere contro di lei. Rebecca lo lasciò andare ma rimase con uno sguardo acido e minaccioso.

“Perché l’hai fatto? Non farlo mai più”

Salazar rimase a bocca aperta. Un uomo come lui, saggio e potente come lui, venne messo a tacere. Improvvisamente si sentì terribilmente debole e piccolo. Rebecca lo stava fissando e pareva triste.

“Andiamo” gli disse e riprese a camminare.  

“Scusami” disse Salazar ad un certo punto sbattendo le palpebre. “Non volevo”

Rebecca sbuffò. “È solo che non mi và”

“Perché?” si ritrovò a chiedere stupidamente.

“Perché quello che sta dentro di me, rimane mio”

Salazar ghignò. “Hai molta forza” poi aggiunse: “Per essere una ragazza di…”

“…diciannove anni” lo guardò. “Sono arrivata a Chenzo che ne avevo diciassette”

Salazar annuì. “Deve essere stato difficile”

“Che cosa?”

“Vivere per diciassette anni con una famiglia, in una casa, con degli amici, con una determinata tradizione e poi cambiare tutto, radicalmente. Sei qui a Chenzo da soli due anni e dubito che tu ti sia già ambientata”

“Alcune volte mi capita di ripensare alla mia vecchia vita, a quando ero ancora…” strinse forte i denti. “…umana”   

“E ti manca quella vita?”

Rebecca sospirò e guardò la strada davanti a sé. “Apparte poche persone che ho amato veramente…non penso che ritornerei là. Ormai ho capito che il mio posto è questo, è sempre stato questo, solo che non lo sapevo”

“Sai, le voci corrono…”

La ragazza sorrise. “Sì, ne so qualcosa. Quando hai vissuto abbastanza tempo sulla Terra per conoscere affondo i giornalisti capisci che la privacy di certe persone è un optional”

“Mi è giunta notizia che tu e l’angelo Gabriele vi unirete presto in matrimonio”

Gabriel, no Gabriele, avrebbe voluto puntualizzargli, ma si trattenne.

“Sì, infatti, è vero”

“Non ho mai conosciuto quel ragazzo ma più di una volta mi è capitato di percepire la sua aurea. Una volta per esempio, viaggiando, si è fermato per poche ore nel nostro villaggio e subito, io ero a casa, ho avvertito la sua presenza. La sua aurea speciale in effetti risaltava molto rispetto alle altre”

Rebecca si voltò verso di lui e lo guardò con uno strano cipiglio interrogativo. “Tu vedi le nostre auree?” e con quel “nostre” intendeva proprio tutti.

“Sì. Interessanti sono i bagliori di luce che esse emanano. Possono cambiare colore in base all’umore ma il colore finale, quello che vedo, è dato dall’insieme, dal miscuglio, di tutti i colori che caratterizzano le emozioni di una persona. Quando ho visto Gabriele la sua aurea era bianca, leggermente sfumata di grigio” disse con un leggero sorriso che gli incorniciava il volto rugoso.

“E che significa? È un bene, no?”

“Basta pensare che il bianco è il colore della purezza” si spiegò. “Ovviamente, più una persona è buona, solare, generosa, più i suoi colori saranno luminosi, calorosi. Più una persona è cattiva, triste o perversa, più i suoi colori saranno scuri”

“E il grigio?”

“Il grigio è il colore della stabilità, dell’equilibrio e della saggezza. È un colore molto sensibile e raffinato il grigio, solo poche persone sono così eleganti e nobili da possederlo nella loro aurea”

Questo spiegava perché Gabriel ce l’avesse, il grigio.

“Hai mai conosciuto Mortimer?” la domanda le uscì involontaria. “Dark Threat” aggiunse la ragazza a mo di spiegazione.

Il viso dell’uomo si oscurò. “Sì che l’ho conosciuto, ho avuto la sfortuna di imbattermi un giorno sul suo cammino”

“E com’era la sua aurea?”

Rebecca, Rebecca, da dove viene questa tua perversa ossessione per tuo padre?

Rebecca notò che Salazar contrasse la mascella e s’irrigidì. “Molto interessante”

“Io sono…” cominciò la ragazza.

Si erano entrambi fermati in mezzo alla strada e stranamente non c’era nessuno intorno a loro. Il cuore di Rebecca cominciò a batterle velocemente nel petto. Salazar le era di fronte e aveva uno sguardo impassibile, celava la sua impazienza sotto quella figura rigida e diritta.

“Chi sei?”

“Sono sua figlia”

La mascella di Salazar parve spostarsi in avanti mentre serrava i denti.

Rebecca si avvicinò a lui di un passo e sussurrò: “E ora dimmi, di che colore era la sua aurea?”

Salazar ne rimase profondamente colpito. “Nera. Come la tua”

“Tu lo sapevi?”

“Non sapevo che foste imparentati”

“Dannazione! Lo sanno tutti! Era mio padre” sibilò con rabbia Rebecca. “Ecco perché hai cercato di leggermi nella mente: non capivi cosa ci collegasse”

Salazar alzò il mento, per nulla intimorito. “Tu non sei cattiva come tuo padre ma il colore e la forza che emani ti fanno assomigliare moltissimo a lui”

“Pensi che ci possa essere una possibilità…” dirlo ad alta voce era molto peggio che pensarlo. “…che io diventi come lui?”

Salazar ridusse gli occhi a due fessure. “Sicuramente metà del suo patrimonio genetico è racchiuso in te”

“Non posso essere punita per i suoi peccati, non è colpa mia se, portandosi dietro metà inferno, una parte l’ha lasciata a me”

“Tu stai sfidando il destino, ragazza”

“Detesto quando mi dicono che il mio destino è già stato scritto” ribattè lei con freddezza.

“A volte le persone si incazzano quando le cose non vanno come desiderano, bestemmiano e maledicono il destino ma quando arriva la fine non resta che mollare”

Quando arriva la fine non resta che mollare.

Chissà perché quelle parole continuarono a rimbombarle in testa. Era molto scossa, ma non lo diede a vedere. Quell’uomo parlava per aforismi e su di lei avevano un grande effetto.  

La ragazza continuò per la sua strada. Riconobbe la via principale dalla quale era arrivata. Senza che il suo protetto le dicesse niente si avviò verso il portone. Presto sarebbe uscita da quell’assordante villaggio. Una farfalla le svolazzò attorno e lei la scacciò via muovendo fastidiosamente le mani. Si era irritata, lo sapeva, non era un gran bel giorno.

Salazar l’affiancò. Lei lo guardò malissimo.

“Comunque, come facevi a non sapere che era mio padre?”

Era?

O sarebbe meglio dire: “è”?

“Ultimamente sono stato impegnato, ho viaggiato molto e mi sono perso le ultime notizie”

Arrivarono al portone e le stesse guardie di prima li fecero passare per uscire. Riconobbero Salazar ma, stranamente, invece di salutarlo o inchinarsi si limitarono a fissarlo, impassibili e leggermente distaccati, come se stessero osservando qualcosa di pericoloso, temuto e sconosciuto. Rebecca sapeva bene che certi umani guardavano la magia come un qualcosa di oscuro, più forte di loro e dannatamente indomabile.

A lei invece le guardie riservarono un trattamento ben diverso: fecero un profondo inchino e quando rialzarono la faccia le sorrisero in modo un po’ troppo invadente. Se solo avesse potuto si sarebbe girata e avrebbe vomitato.

“A chi lo dici” sbuffò la ragazza. “Questo mondo è un casino, possibile che Dio non esista qui?”

C’aveva pensato molte volte: Dio esisteva? E, se esisteva, perché non aiutava quel pianeta soffocato dal Male?

Lei era un angelo, tecnicamente era una Sua inviata. Possibile che Lui non ci fosse?

Alla fine arrivò alla conclusione che forse non esisteva affatto. Altrimenti non ci sarebbe stata lei ad eseguire tutti i Suoi compiti.

Tutto un tratto Salazar la bloccò per il polso. Rebecca si irrigidì a quel contatto e tolse immediatamente la mano.

“Non sei ancora riuscita a superarla” la guardò con un’espressione triste.

Aveva perso il filo del discorso. Un attimo.

“Non so di cosa stai parlando. Ora, se non ti dispiace vorrei teletrasportarci a casa” Rebecca scostò la testa per non incontrare i suoi occhi.

“La morte di tuo padre ancora non ti fa dormire la notte”

Rebecca arrossì di rabbia.

Come si permetteva?

Lei aveva ucciso suo padre, se solo non avesse voluto ucciderlo non l’avrebbe fatto. La morte di Mortimer era stata una sua responsabilità e non si vergognava, né tantomeno, si dispiaceva.

Era qualcos’altro che la teneva sveglia la notte. Qualcosa che stava cercando disperatamente di tenere nascosto al mondo intero.

Non gli disse ciò che pensava. Lo scrutò con uno sguardo impassibile e quasi lo incenerì con gli occhi.

“Ti sbagli”

“Allora perché continui a soffrire in questo modo se la morte di tuo padre la desideravi e il matrimonio con Gabriele dovrebbe essere una gioia?”

Rebecca trattenne la rabbia più forte che potè e strinse i pugni lungo i fianchi.

“Io non soffro”

“Strano, quando guardo i tuoi occhi è il dolore che vedo, non la felicità”

“Gabriel, provo tanto dolore” gli disse una notte.

“Non è dolore, tesoro: è amore”

“Qualsiasi cosa sia non è affar tuo, razza di mago ficcanaso” incrociò le braccia al petto, a dir poco irritata. “Andiamo al mio villaggio?”

“Preferirei farla a piedi”

Rebecca strabuzzò gli occhi. “Stai scherzando, vero? Saranno giorni di viaggio! Se hanno mandato me sarà anche perché ho le possibilità di accorciare questo maledetto viaggio!”

“Come vuoi” fece spallucce.

“Mago” lo ammonì lei, come se stesse parlando con un demente. “Sbaglio o la tua dedizione consiste nel coltivare la magia? Allora, per favore, lascia che sia la magia a portarci a casa. Eviteremo giorni di cammino, fermate inutili e assalti improvvisi. Non so te ma io sono abbastanza famosa e ricercata da queste parti”

“Da chi sei ricercata?”

La ragazza boccheggiò, prese un bel respiro e fece finta di parlare con un bambino duro di comprendonio, alla soglia dei suoi primi perché. “Forse perché ho ammazzato il più grande esponente del Male ora ho tutti i suoi seguaci alle calcagna, no?”

Salazar sorrise. “E perché ti vogliono?”

Rebecca impallidì. Veloce, velocissima, arrivò a capire dove il mago stava andando a parare. E prima ancora che potesse rispondergli, o anche solo trovare la forza di mascherare le sue paure, una vocina dentro di lei echeggiò ripetendole all’infinito: lui sa.

Mi vogliono perché, tutto sommato, non sono poi tanto diversa da loro.

Infondo, non sono poi così buona.

“Mi vogliono per uccidermi, ovviamente. Che domanda stupida” borbottò.

“Allora sarà meglio tornare a casa con il teletrasporto” disse alla fine il mago.

Dentro di sé Rebecca tirò un sospiro di sollievo.

“È quello che ho detto io”

“Ce la farai?” domandò Salazar.

“Non ho mai provato con un’altra persona e nemmeno da una distanza così lunga. Posso provare, mal che vada mi farò male io”

“Non ti conviene fare una piccola pausa? A metà strada? Conosco un posto, nel bosco, è perfetto”

“Ok, va bene” lo guardò di sottocchio. “Ma non mi rompere le palle più del dovuto”

Salazar rise, meravigliato. “Per tutti i cieli! Non sapevo che avessi un linguaggio così scurrile! E anche un bel caratterino, a quanto vedo”  

“Sì, beh, ammetto di non essere il massimo del bon ton” grugnì lei. “L’eleganza l’ho mandata a quel paese nel momento in cui ho dovuto impugnare una spada e indossare una tuta”

“Oh, non ti preoccupare! Io le ragazze le preferisco molto di più così: sfacciate e piene di fuoco”

Rebecca si ripromise di raccontarlo a Gabriel. Sorrise, immaginando la scena.

“Ce l’hai fatta a portare il mago. Come è andata?”

“Bene, tornando a casa ci ha provato con me”

Le parve di vedere la faccia del suo ragazzo arrossire per il fastidio.

“Non sei un po’ vecchio per me?” lo schernì la ragazza con un ghigno ironico.

Salazar schioccò le dita come un colpo di bacchetta magica. “Non si è mai troppo vecchi, né troppo giovani”

“Non voglio morire, sono ancora troppo giovane”

“Non si è mai troppo giovani per morire, Rebecca”  

La ragazza scrollò il capo. Prese per mano il mago e richiamò a sé la magia.



***



Se c’era una cosa che irritava Atreius più della bontà d’animo era il ritardo. Ormai non sapeva più come intrattenere il tempo, al castello. All’inizio era stato entusiasta del piano ma ora la sua felicità era stata tramutata in noia mortale e passività. Pensava che la sua “sorellina” sarebbe arrivata prima, sperava che suo padre fosse riuscito a tornare, che la sua solitudine fosse stata ben presto sostituita da un nuovo, oscuro, quadretto famigliare.

“Signore” la guardia entrò nella sua camera senza bussare, cosa che lo irritò non poco.

“Che c’è?”

Per fortuna la guardia non poteva vederlo in faccia altrimenti avrebbe capito l’errore madornale che aveva appena commesso. Atreius socchiuse le palpebre e guardò il sole tramontare dalla ristretta fessura dei suoi occhi, dando liberamente la schiena alla sua guardia.

“Sono stato informato da…”

“Avanti, parla” disse Atreius in malo modo.

Inconsciamente la guardia indietreggiò. “Ancora nessuno sviluppo, sono desolato”

Il ragazzo dovette tenere a freno la rabbia. Appariva disinteressato, calmo e impassibile ma dentro di sé urlava, scalciava e fremeva per l’impazienza.

Con quello che gli parve il giusto tono di voce, congedò la guardia.

Da dietro la colonna in legno del suo grande letto a baldacchino comparve la testa tonda e squamosa di Vezzen, suo ormai fidato tirapiedi.

“Oh signore, mi dispiace!” sembrava veramente in pena per il suo giovane padrone.

Atreius si liberò del mantello e sospirò. Per un breve istante pareva essere tornato il solito ragazzo insicuro e vivace di un tempo. “Non ne posso più, Vezzen. Dico sul serio. Sto facendo del mio meglio per gestire questo inferno in attesa che ritorni mio padre con mia sorella ma…” strizzò gli occhi per la stanchezza. “Se non dovessero tornare?”

“Ritorneranno, ne sono sicuro” si avvicinò lentamente zoppicando, stringendo tra le mani uno straccio vecchio e macchiato. “Dobbiamo solo avere un altro po’ di pazienza”

“È solo che pensavo che mio padre fosse più forte, ecco” disse, fissando il cielo dalla finestra aperta.

“Vostro padre è forte” lo corresse Vezzen, poi abbassò gli occhi. “Solo che vostra sorella è ancora più forte” disse con imbarazzo.

Vezzen sussultò nel sentire la risata forte e cristallina di Atreius.

“Chi l’avrebbe mai detto?” gli occhi di Atreius brillavano. “Rebecca si è dimostrata imprevedibilmente un osso duro. È io che pensavo che fosse un semplice angelo troppo ingenuo ed inesperto, ero convinto che ci sarebbe cascata subito. Devo ammettere invece che è dannatamente furba e dotata” esclamò con una profonda nota di ammirazione.

A Vezzen sembrò di scorgere qualche altro sentimento nella voce di Atreius, oltre che all’ammirazione, ma non ci fece caso. Non gli era concesso sapere più del minimo indispensabile, né fare troppe domande, anche se ultimamente il suo padrone si era confidato sempre più spesso con lui e Vezzen non poteva che esserne onorato, appagato.

“Ma signore, secondo lei, quanto dovremmo aspettare?”

“Conosco mia sorella abbastanza per poter affermare in tutta onestà la sua debolezza verso il lato oscuro. Siamo molto simili, per certi aspetti. Avrà fatto parecchie storie all’inizio, la sua forza addirittura potrebbe essere stata maggiore di quella di Mortimer, sicuramente l’avrà sottomesso, eclissato. Ma mio padre deve aver cambiato tattica con lei, ecco perché ora sta cedendo. Ecco perché entro breve tornerà qui strisciando”

“E il consiglio?”

Il ghigno di Atreius fu spaventoso. “Gli ho scacciati, quegli incompetenti. Avevano un unico compito: quello di servire mio padre nella sua rinascita, ma hanno miseramente fallito. Non sono stati in grado di fare niente. Niente! Oltre ad essere stati tremendamente lenti ed esasperanti cominciavano a chiedere troppo: troppo potere, troppa attenzione, troppi privilegi. Cosa penserebbe mio padre se, tornando, venisse a sapere che ho diviso il nostro potere con una congrega di maghi incapaci? Sicuramente, come minimo, mi diserederebbe”  

“Quindi…”

“Quindi ho dovuto affidarmi ad un uomo. In realtà, questa persona, è un vecchio amico di famiglia, si è gentilmente offerto di tenere d’occhio la ragazza e di mandarci costantemente un resoconto piuttosto soddisfacente. Forse lo conosci, si chiama Heidger”    

Le orecchie di Vezzen si fecero diritte e attente, come quelle dei cani in ascolto. “Oh sì, sì, che lo conosco”   

“Gli ho chiesto di fare le cose in assoluta segretezza e finora non è mai stato scoperto. Davvero ammirevole, quell’uomo. Non capisco solo una cosa, come mai mio padre lo cacciò?”

“Heidger si era fatto troppo pericoloso”

“Pericoloso?” chiese il ragazzo inarcando il sopraciglio.

“Nel senso che, con tutto il potere accumulato e il prestigio offertogli dal signore, divenne pretenzioso, arrogante, feroce. Vostro padre lo bandì per sempre dalle sue terre nel momento in cui Heidger tentò di ucciderlo, molti, molti anni fa, prima che voi nasceste”

“Non sapevo queste cose” disse il ragazzo sedendosi sul suo letto e stravaccando le gambe. Mise le braccia dietro la testa e si sistemò meglio tra i cuscini. “Come mai tentò di ucciderlo?”

Vezzen lo guardò, come se il motivo fosse ovvio. “Perché voleva il suo potere. Ve l’ho detto, era diventato troppo affamato di gloria. Io me le ricordo le liti che scatenava e gli atti che faceva in pubblico, era matto, dico sul serio”

“Era così potente?”

“Beh, era a capo dell’esercito di Dark Threat”

“Uhm…” Atreius si leccò le labbra. “Abbiamo a che fare con un generale ben addestrato”

Vezzen rimase in silenzio e poi fece per chiedere qualcosa ma arrossì furiosamente. “Signore, come…c-come avete fatto a ripescarlo dal suo esilio? Se non sono troppo invadente”

Gli occhi grigi e freddi del ragazzo si posarono sul servitore. Alcune volte era difficile capire cosa stesse pensando Atreius, era così misterioso…

“Quando ho chiesto a quell’idiota di guardia di trovarmi qualcuno di valido per controllare Rebecca ha pensato bene di organizzarmi un incontro con lui. Evidentemente sapeva della sua esperienza, tutti lo sapevano, per questo la maggior parte mi ha appoggiato in questo piano. Ignoro, comunque, dove si trovasse prima di essere richiamato”

“E quando la ragazza arriverà al castello…lei…”

Di colpo Atreius di mise seduto. “Mi aspetto che le riserviate un trattamento speciale, degno di una regina”

Vezzen annuì immediatamente e con vigore. “Certo, era ovvio!”   

Il ragazzo si morse il labbro inferiore. “Lei…spero solo che arrivino in fretta” concluse leggermente impacciato.   

“Sì signore, lo speriamo tutti. Abbiamo investito molto in queste speranze”

“Non ti preoccupare Vezzen, presto saremmo come un tempo, molto presto ritorneremo alle antiche glorie e nulla potrà fermarci. Potremmo vantare di avere un trio formidabile” ghignò.

“E l’angelo Gabriele, mio signore? Ho sentito che lui e la ragazza sono…” sembrò cercare le parole giuste. “…intimamente legati”

Atreius gli scoccò un’occhiata gelida. “Se mio padre riuscirà a portarla dalla nostra parte, allora vedrai che non le interesserà più quello smidollato”  

Vezzen non aveva mai visto il suo padrone infervorarsi in quel modo per una persona. Colpito da tanto rancore sbattè le palpebre, impaurito. “S-Sì, certo, come ho fatto a non arrivarci prima?” fece un sorriso tirato.

Atreius sbuffò e ritornò ad affacciarsi alla finestra. “Gabriel si ritroverà da solo contro tre, sarà la sua fine e con lui moriranno per sempre quegli sdolcinati ideali di pace e di bene che mi fanno venire la nausea, se non il diabete addirittura”

Vezzen era molte cose (alcune cose erano imbarazzanti per la loro semplicità) ma non era stupido. Sapeva dare un nome al sentimento impetuoso e violento che il suo padrone provava ogni qual volta si facesse il nome di Gabriele. Anche ora, guardandolo dal letto, giurava di vederglielo stampato in faccia.

Ne era sicuro: era gelosia.



***



“…ma ci sono veleni che non permettono alla vittima di guarire. Alcuni veleni, infatti, vengono trasmessi nel sangue della vittima senza che lei se ne accorga e il loro effetto non sempre è visibile sotto chiare manifestazioni di sintomi. I veleni oscuri, per esempio, erano in voga nei primi anni ed erano usati da potenti stregoni o creature infernali per poter dar vita a nuovi gruppi o seguaci: è noto come il veleno che non uccide corrompe irrimediabilmente l’animo di una persona. Un tempo, le tenebre, si servivano di questi veleni per affiancarsi di seguaci, costringendoli ad abbandonare la via del Bene per…”  
 
Il libro cadde pesantemente dalle mani rigide di Denali facendo un gran rumore. Il suo tentativo di passare inosservato fallì miseramente. Sulla soglia della porta, appoggiata allo stipite, c’era Rosalie che lo guardava torva.

“Che stai facendo? Ti ho cercato per tutta la casa”

Denali raccolse il libro e lo tenne stretto tra le mani. “Avevo voglia di leggere un po’”

La ragazza aggrottò la fronte. “Ma per piacere, Denali. Sappiamo tutti e due che non entri mai in questa stanza: tu odi leggere” diede un’occhiata cupa alla piccola biblioteca.

Schioccò la lingua e tenendo le braccia incrociate al petto raggiunse il suo compagno che era rimasto fino a quel momento in piedi, rigido come un palo di legno.

“Che cosa stavi leggendo?” Rosalie allungò il collo per sbirciare la copertina. Il titolo era nascosto dalle grandi mani di Denali e lei non riuscì a leggerlo. “Avanti, fai vedere”

Molto infastidito il ragazzo spostò le dita e le permise di leggere il titolo. Subito la ragazza alzò la testa per incontrare i suoi occhi, pareva curiosa.

“Come mai ti interessa? Nessuno è stato avvelenato” poi aggiunse, lentamente: “Che io sappia”  

Con uno sbuffo Denali lo rimise al suo posto, sullo scaffale impolverato. La scritta in oro saltava agli occhi rispetto agli altri libri vecchi e anneriti. “Rimedi efficaci contro ogni tipo di veleno o droga”.  Denali gli lanciò un’ultima occhiata prima di incamminarsi verso l’uscita. Non sentì i passi di Rosalie che lo seguivano e si voltò a guardarla: stava ancora fissando quel libro e sembrava triste, preoccupata.

Denali sentì lo stomaco contorcersi spiacevolmente.

Rosalie teneva lo sguardo basso, ora. “Mi stai nascondendo qualcosa?” chiese, cercando di dare un po’ di voce al suo tono debole.

Gli dispiaceva vederla così.

Dio, faceva così male…

“No, certo che no. Perché dovrei?”

Denali era bravissimo a mentire.

All’inizio Rosalie aveva giudicato questa sua capacità affascinante, aveva il potere di confonderla, piacevolmente. Ora però ne provava timore, paura. Non erano più ragazzini, adesso lei era una madre, era adulta. E lei voleva soltanto delle sicurezze, non più delle bugie.  

“In questi ultimi mesi sei diverso” le tremò la voce. “Alcune volte mi sveglio durante la notte e tu non ci sei, il posto accanto a me nel letto è vuoto. Allora mi alzo e vengo a cercarti, e ti ritrovo qui” con una mano toccò lo scaffale. “Leggi, sembri concentrato, attento, sfinito, ma appena il giorno dopo ti domando qualcosa…mi racconti una bugia”  

“Sto solo facendo delle ricerche” disse con innocenza.

La ragazza fece una smorfia. O era un sorriso? “Sì, certo”

“È la verità” sussurrò Denali in un soffio.

“Sei malato?”

“Oddio, no che non sono malato” stancamente si strofinò la fronte con la mano, aveva un tremendo mal di testa. “Lo so che al momento ti sembrerà strano ma ho bisogno che tu ti fida di me”

Rosalie avvampò e con un gesto violento si portò le braccia al petto stringendo la vestaglia. “Fidarmi di te? Ho solo bisogno di sapere se quello che stai facendo è qualcosa di brutto o no!”

“No” scosse la testa. “Io sto solo…”

La magia lo bloccò. Non poteva parlare.

Rosalie lo vide ammutolire e fece un sospiro esausto. “Stai aiutando qualcuno?”

Il ragazzo annuì, troppo in colpa per guardarla in faccia, vergognoso dei suoi segreti, del suo modo brusco e freddo.

Rosalie gli fu vicina e gli prese il viso tra le mani. Lo costrinse a guardarla negli occhi e Denali, perso nei suoi occhi blu, smise di respirare. Lei lo baciò teneramente, in punta di piedi.

“Ti chiedo solo di stare attento, ok? Io mi fido di te” lo baciò ancora, più profondamente.

Denali strinse le mani sui suoi fianchi e strizzò gli occhi fino a farsi male.

Ci sono veleni che non permettono di guarire.

Trasmessi nel sangue…

Ciò che non uccide corrompe l’animo.

Servono ad alimentare l’odio, costringendo ad abbandonare la via.



***



Un vento di polvere ed erba si alzò a spirale non appena Rebecca toccò il suolo con il teletrasporto. L’onda magnetica, in realtà, non era stata causata dal teletrasporto quanto piuttosto dall’intensità dei suoi poteri. Salazar rimase ancora aggrappato a lei per il braccio.

“Come sapevi che volevo portarti qui?”

Rebecca inarcò le sopracciglia. “So leggere nel pensiero, sai?” si guardò ammirata le mani, come se si aspettasse di veder comparire un enorme magia.

Elegantemente mosse un dito all’altezza del suo collo e la sua divisa da viaggio lasciò il posto ad un paio di comodi jeans e ad una felpa bianca con il cappuccio peloso color caramello. Un paio di scarpe basse sostituirono gli stivali. Fece un movimento circolare del collo e i lunghi capelli si raccolsero in una crocchia composta. I ciuffi ribelli che le incorniciavano il viso la rendevano ancora più bella e graziosa.

“Questa…” disse Rebecca indicandosi i vestiti. “…è la nostra moda, Salazar. I terrestri hanno uno stile diverso per ogni tipo di occasione” sorrise.

Il mago sembrava accigliato. “E questa che occasione sarebbe?”

“Jeans e felpa: per stare semplici, comodi e al caldo. Non vedo perché dovrei indossare quella specie di tuta da sub, ora non sono mica in campo di battaglia. Adoro Chenzo, veramente, ma in fatto di vestiti non ci sapere proprio fare”

“Noi non abbiamo bisogno di impressionare nessuno” borbottò Salazar lisciandosi la veste.

“Anche questo è vero!” disse Rebecca puntigliosamente con il dito. “Ma dopo anni che indossi i jeans fai fatica a perdere il vizio di portarli sempre, sia benedetta la persona che gli ha inventati”

“Sembri diversa”

Rebecca sorrise e ciondolò sul posto. “Mi sento diversa”

“Sembri più…” esitò. “…umana”  

Rebecca scoppiò in una risata. “Mi conforta tornare alle origini ogni tanto”

“Già” bofonchiò il mago.

“Non pensavo che al primo colpo sarei stata in grado di teletrasportare entrambi” ammise la ragazza, incamminandosi per stare dietro al mago.

Salazar si stava addentrando nella foresta.

“Io non avevo dubbi”

“Io ne ho avuti, un po’, all’inizio”

“Sono molto stanco”

“Mi dispiace, questo tipo di magia attinge la forza dalle energie di chi è dentro il raggio. Ho cercato di fare in modo che non la prendesse dal tuo corpo ma evidentemente è stato necessario per la lunghezza del tragitto che abbiamo fatto”

“Mi sembra che tu stia bene” non era una domanda.

“Beh, sì, diciamo che mi tengo sempre allenata, ogni giorno. Ormai raramente mi ritrovo senza forze o senza energia. Sono diventata una specie di pozzo senza fondo, non so quanto mi possa far piacere” rise lei.

Sembri più umana.

Rebecca si adombrò e tossì. “Dove stiamo andando?” schivò un ramo che rischiò di colpirla in testa. “Possibile che passo più tempo in mezzo alla foresta che non tra la civiltà?”

Il mago rise. “Cosa pretendi di trovare qui? Praticamente viviamo in un’enorme foresta, è come se la vegetazione ricoprisse l’intero pianeta”

“Non esattamente: il terreno dove sorge la fortezza di Mortimer è deserto”

“Sì…” la guardò incerto. “Ma dopotutto là è impossibile che una creatura riesca a trovare un modo per poter vivere. Intorno a quelle lande desolate non c’è nient’altro che morte”

Ma non era alla morte che Rebecca pensava quando ricordava casa, semmai l’immenso potere e grandezza che si ergevano intorno ad essa.

Se ricordava casa.

Casa.

Non si era accorta neppure di aver pensato a quel luogo come ad una casa. Alla sua casa. Si portò una mano sul cuore, nella speranza di calmarne i battiti, di guarirlo dalle profonde ferite, di pulirlo dal veleno. Si rese conto con stupore che non batteva. In preda al panico premette più forte la mano contro il petto e bloccò i suoi passi. Salazar si voltò a guardarla.

“Che stai facendo?”

Rebecca si accorse che era tutta sudata in fronte, mentre cercava disperatamente di sentirsi i battiti. Tastava e continuava a spostare la mano. Alla fine lo sentì, un lieve e debole battito le batteva contro il petto nel punto in cui il palmo della sua mano premeva. Tirò un sospiro di sollievo.

Quando i suoi occhi incontrarono quegli allarmati di Salazar si sentì mancare il respiro.

“Come?”

“No, stavo dicendo, che stai facendo? Perché ti sei fermata? E perchè ti colpisci il cuore con la mano?”

Rebecca scoppiò in una risata ma sembrò più un urlo agonizzante. “Ah! Mi è successa una cosa incredibile! Pensavo di avere un insetto schifoso dentro la felpa” mostrò i denti in un sorriso troppo tirato.

Salazar indicò la sua fronte.

“Sei tutta sudata”

Con un gesto brusco la ragazza si asciugò la fronte imperlata di sudore. “Odio gli insetti. Ora continuiamo, abbiamo già perso troppo tempo”  

Continuarono per altri diversi minuti e poi Salazar le fece cenno di fermarsi. Sembrava tranquillo, a suo agio, come se quei posti lo confortassero, o anche solo lo facessero sentir bene. Si sedette accanto ad un grosso albero e appoggiò la schiena contro la dura corteccia. Rebecca osservò il paesaggio intorno, stizzita e un po’ infastidita, non ci trovava niente di confortante. Era solo una foresta, con degli alberi e un placido ruscello azzurro. La foresta che circondava la sua casa era decisamente molto più bella: con quella cascata e lo specchio d’acqua.

“Che stai facendo?” il tono che le uscì era acido, non lo fece apposta.

Imbarazzata, incrociò le braccia al petto e si diede un’aria austera.

“Mi riposo, sua altezza. Sono stanco, non ho più il fisico di una volta” le rispose, come se stesse parlando con una bambina.

Rebecca sbuffò a quel “sua maestà” e bofonchiando si sistemò vicino a Salazar, attenta comunque a mantenere le giuste distanze da lui. La inquietava, quell’uomo. E non capiva, inoltre, come facesse ad essere stanco se neppure aveva camminato. Cominciò a strappare con un po’ troppa foga le erbacce che le stavano attorno. Stava per strappare un fiore dal suo lungo gambo quando una mano la fermò.

La ragazza alzò lo sguardo e incontrò gli occhi quieti del mago.

Lui le sorrise dolcemente. “Non farlo, non strapparlo. Non ti ha fatto niente”

Con riluttanza Rebecca tornò al proprio posto, lanciando delle occhiatacce a Salazar che lui prontamente ignorò.

“Non ti capisco” esclamò ad un certo punto.

“Cioè?” domandò lui, con calma.

“Come puoi passare una vita così: da eremita? Come puoi stare a guardare le persone che ti fanno male senza reagire? Dopo tutta la cattiveria di questo mondo come fai a mantenere la calma? A far finta che tutto vada bene?” parlò serrando i denti. “Anche ora, qui, con me. Ti stai rendendo cieco, ecco”

Salazar non era stupito. Osservò con amore il bastone bianco stretto tra le sua mani. Era davvero molto vecchio, molto…vissuto. “Secondo te sono cieco?”

“Sto solo dicendo che non tutto è come sembra” gesticolò con le mani.

“Stai cercando di mettermi in guardia da qualcosa, ragazza?”

Il suo tono di voce le mise i brividi. Mantenne uno sguardo basso e indifferente. La magia stava già premendo contro i suoi tentativi di svelargli la verità. Una forza oscura le impediva di parlare, quando si trattava di quel segreto. E anche suo padre poneva resistenza, l’aveva sottovalutato. L’aveva sempre sottovalutato.

Come aveva fatto a sottovalutarlo?

Da quanto tempo aveva abbassato la guardia?

L’unica cosa positiva, in tutto questo, era che Mortimer aveva smesso da tempo di parlarle frequentemente. Di rado si intrufolava nella sua testa per esprimere i suoi commenti o le sue opinioni sprezzanti.

“Da tutto ciò che ci circonda. Dopotutto non è un caso se io sono qui e tu sei qui con come. Ci servi, servi al mio villaggio per capire cosa stanno tramando al castello”

“E cercherò con tutto me stesso di soddisfare le vostre aspettative”

“Già” mormorò.

“Non mi sembri entusiasta”

Dovrei esserlo?

Prima regola: evitare di dire la prima cosa che viene in mente.

“Non vedo perché dovrei esserlo. Ti porto al mio villaggio per consegnarti a Bastian, dopodichè io avrò portato a termine la mia missione. Io non centro niente in tutto questo” abbassò gli occhi troppo in fretta e lui se ne accorse.

Seconda regola: dire meglio le bugie.

Salazar scrollò le spalle. “Pensavo invece che ti interessasse sapere cosa sta accadendo”

Idiota, lo so già!

Terza regola: moderare il linguaggio.

“Bastian me lo dirà”

Il mago assunse un’espressione seria, reverenziale. “Non capisco se questo tuo disinteressamento alle sorti del mondo derivi proprio da un tuo freddo menefreghismo o dalla consapevolezza di sapere già cosa ci aspetta”

A quelle parole Rebecca scattò in piedi. “Come ti permetti? Mi stai accusando?”

“In realtà ho spiegato due possibili cause del tuo comportamento, se tu ora stai parlando di accusa vuol dire che la seconda osservazione era quella giusta” la sua voce era come sempre calma, pacata ma questa volta aveva anche un’incrinatura velenosa.

Rebecca rimase a bocca aperta, senza più parole. “Tu non sai niente. Non sai niente di me” sibilò, e strinse i pugni con tanta forza che sentì le unghie entrarle nella pelle.

Anche Salazar si mise in piedi. Nessuno rideva più. Mentre si preparavano a fronteggiarsi un pesante gelo si abbatté su di loro. L’intera foresta parve rabbrividire di freddo.

“Sin da quando sei arrivata a casa mia ho sospettato che c’era qualcosa di strano, di inquietante in te. Speravo che non fosse così” sembrava deluso, più che spaventato.

“E come sarebbe?”

“I tuoi continui cambiamenti d’umore mi hanno insospettito: il tuo viso dapprima felice si trasformava di punto in bianco in una faccia minacciosa, terrificante. E lo stesso vale per il tuo sorriso, il colore degli occhi, la voce”

“Osservazione molto arguta” ghignò.

“E poi quando ho visto la tua aurea, così simile a quella di tuo padre, non ho potuto non accorgermi quanto, una parte di te, chissà quale, assomigliasse a loro”

“Loro?”

“Le creature delle tenebre, e non parlo di quei mostri deformi, stupidi e brutti. Mi riferisco ad angeli neri, demoni che controllano gli elementi, vampiri, draghi antichi e altre bestie dotate di una spietata intelligenza. Non tutte le divinità sono buone, alcune scelgono il Male, pur restando degli dei. Tu sei come loro, sei bella e affascinante come loro”   

Rebecca tremò. Quando qualcuno la minacciava o la metteva in pericolo, la parte irrazionale, cattiva e latente di lei veniva fuori. E succedeva sempre così. Con prepotenza esplodeva, schiacciando la ragazza buona che c’era in lei.

“Se lo sapevi, perché non hai fatto niente per fermarmi? Perché non mi hai uccisa? Ti saresti risparmiato questo banale tentativo di farmi ragionare”

Salazar indietreggiò, sconvolto. Praticamente Rebecca aveva appena ammesso ciò che lui sospettava. Ora, poteva avere paura di lei.

“In realtà speravo di arrivare prima al tuo villaggio, per smascherarti” tanto valeva dire la verità fino alla fine.

E per fine, intendeva proprio la sua fine.

Rebecca sentì la rabbia montarle dentro, come una vampata di fuoco che le fece tremare i muscoli e incendiare il sangue nelle vene. Questo proprio non l’avrebbe permesso.

“Non te lo permetterò, loro non devono sapere”

“Loro potrebbero aiutarti” le disse il mago, con una tale compassione che, invece di calmarla, la fece imbestialire ancora di più.

“Ti sembro malata? Ho qualcosa che non va? Mi credi pazza? Ti sembra che io abbia bisogno del loro aiuto?” sbraitò, facendo scattare il corpo in avanti come se volesse attaccare. “Non ti sei chiesto che, forse, è questo ciò che voglio?”

“Vuoi davvero diventare come tuo padre? Vuoi davvero condurre una vita vuota, solitaria e infelice? Rinunceresti per sempre all’amore del tuo ragazzo, all’affetto della gente?” era incredulo, Salazar non capiva come lei potesse accettare un tale prezzo in cambio del potere.

Lei ringhiò. “Quello che voglio è un po’ di riconoscimento! Devono rispettarmi, non trattarmi come una bambina piccola”

“Ma dovrai dire addio a coloro che ami, ne saresti disposta?”

“Non ti sei chiesto che magari è questo il mio destino? Sono nata da due angeli purosangue e mio padre è il signore delle tenebre, in me scorre il suo sangue! Sono nata per essere come lui, era inevitabile, sono una macchina da guerra! Sono nata per questo, per fare questo!”

“Ma puoi sempre non seguire le orme di tuo padre!” esclamò con esasperazione il mago. “Non devi per forza seguire la via del Male!”

Rebecca ora appariva svuotata, gli occhi presero a luccicarle. “Non capisci? È l’unica strada che posso intraprendere” mormorò con voce rotta, senza speranza.

“No! Non è vero!” gridò Salazar, fece per avvicinarglisi con le braccia tese, pronto per abbracciarla, quando lei lo bloccò alzando le mani.

“Per favore…” piagnucolò. Era ritornata la solita ragazzina, bella e fragile. Salazar sentì il cuore spezzarsi dal dolore e dalla compassione. “T-Tu non capisci…è impossibile per me tornare indietro, posso solo accettarlo, andare avanti”

“Ti posso aiutare”

“Come?” si accigliò, un briciolo di speranza baluginò nei suoi occhi vitrei e cupi.

“Vieni con me, torniamo a Primo e vedrai che riuscirò a guarirti”  

Rebecca si nascose il volto tra le mani. “Nessuno può aiutarmi…”

“Qualcosa mi inventerò! Te lo prometto” le disse e allungò una mano verso di lei. “Prendi la mia mano e fammi contento, salverai te stessa e milioni di innocenti”

Per un attimo la ragazza osservò quelle mani, erano invitanti, le offrivano la libertà, la pace dell’anima. Ripensò a quello che aveva detto e la verità delle sue stesse parole la fece stare ancora più male. Una parte di lei voleva il potere, voleva essere forte come suo padre. Non sapeva più che fare. Poi, tutt’un tratto, l’immagine di un volto sereno le comparve nella mente.

Gabriel.

Staccò una mano dal suo viso e la mosse verso quella di Salazar.

Tutto successe improvvisamente, troppo velocemente perché lei potesse capirne il senso. La voce allarmata di suo padre urlò; vide la propria mano tirarsi indietro; il viso di Salazar impallidì; sentì la rabbia di poco prima tornarle in corpo più forte che mai; gli occhi cambiarono colore.

Non si rese neppure conto che la sua mano, a velocità disumana, era saettata attorno all’elsa della sua spada e che ora la stringeva con rinnovata ferocia. Nella foresta, una lama sferzò l’aria.



***



Uff, troppo difficile terminarlo... :)
sono sempre stata impegnata e la voglia o l'ispirazione non c'erano!!!

Ringrazio tutti quelli che mi seguono, cioè, veramente, grazie..

Non ho tempo (mi dispiace) per rispondere o dare dettagli del prossimo capitolo,
me ne vado lasciando la promessa di aggiornare il prima possibile!!

Buone vacanze a tutti, un bacio..

Il prossimo capitolo: "LA RIVOLTA DI ARES"











 





  
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