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Autore: EleWar    09/07/2020    11 recensioni
Con l’adrenalina al massimo, in un attimo era già davanti alla porta; si appiattì di schiena, sulla parete di lato, per cogliere eventuali rumori di colluttazione, lamenti o chissà cos’altro. Finché c’erano segni di lotta o combattimento, era sicura che suo marito fosse… ancora vivo.
In questa mia nuova fic i nostri amati Miki e Falcon sono gli attori principali, ma ovvio non possono mancare anche Ryo e Kaori
Genere: Avventura, Azione, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaori Makimura, Miki, Ryo Saeba, Umibozu/Falco
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
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In attesa di postare il prossimo capitolo, the number 5, della long in corso (Una piccola promessa mantenuta) vi affido questa shottina, fatene buon uso :D
Vi lovvo
Eleonora





VITA DA SWEEPER
 
Miki inchiodò con la macchina e scese al volo. Si diresse al portone principale e, prima di entrare, si guardò intorno per controllare che non ci fossero eventuali nemici.

Entrò.

Salì le scale correndo, e nonostante avesse smesso da tempo la sua attività di mercenaria, arrivò in cima senza un accenno di fiatone; si teneva costantemente in forma e non poteva permettersi di impigrirsi, perché capitavano sempre dei momenti in cui c’era bisogno delle sue capacità, come in quello ad esempio.

Con l’adrenalina al massimo, in un attimo era già davanti alla porta; si appiattì di schiena, sulla parete di lato, per cogliere eventuali rumori di colluttazione, lamenti o chissà cos’altro; detonazioni, spari e rimbombi non si erano sentiti e non sapeva cosa augurarsi. Falcon era lì dentro, la sua jeep era ancora là di fuori. Finché c’erano segni di lotta o combattimento, era sicura che suo marito fosse… ancora vivo.

Regnava uno strano silenzio, troppo inquietante per i suoi gusti.

Conosceva il posto, ci era stata innumerevoli volte, e pianificò l’entrata. Spalancò la porta chiamando:

“Falcon! Falcon, dove sei?” per poi buttarsi a terra con una capriola e finire nascosta dietro allo schienale del divano.

Attese.

Un grugnito familiare la rassicurò sulla presenza del marito.

Cautamente sporse la testa al di sopra della spalliera e solo allora notò che la luce era ancora accesa, e fu un bene perché l’alba non avrebbe tardato ad arrivare, ma regnava ancora il buio sulla città.

Non percepiva altre presenze oltre a quella del suo partner nella stanza, e cercò d’individuare l’aura dei suoi amici, che sapeva per certo essere lì. Non sentiva il pericolo, però, e pensò che qualsiasi cosa fosse successa in precedenza, forse era già tutto finito.

Chiese:

“Falcon, sei ferito?”

Ma Umibozu rimaneva immobile al suo posto, né faceva cenno di raggiungerla. Era steso bocconi sul divano, ma a giudicare dal movimento ritmico della schiena, il suo respiro era regolare, tranquillo quasi, e la sua graziosa moglie se ne stupì.

Non si distrasse, però, dall’apparente calma dell’ambiente. Strisciando raso terra raggiunse il suo compagno d’armi, e quando gli toccò il braccio muscoloso gli sussurrò:

“Umi… cosa è successo?”

“Portami via di qui” rispose lui laconicamente.

“Ma sei ferito?” gli chiese lei, e già controllava la sua mimetica, con movimenti leggeri e decisi, a scostare la ruvida stoffa, a cercare tracce di strappi, fori di proiettili o, peggio, macchie di sangue; ma non c’era niente. Anzi! Profumava ancora di bucato. L’aiutò  a tirarsi su a sedere, mentre una strana inquietudine e un forte senso di disorientamento s’impadronivano di lei. Le domande iniziarono a vorticare nella sua testa.

Umibozu era uscito subito dopo cena per incontrarsi con la coppia di sweeper che rispondeva al nome di City Hunter, composta dalla rossa, dolce, irascibile Kaori Makimura e dal maniaco, cinico, infallibile Ryo Saeba. Dovevano discutere di un caso a loro affidato, e avevano chiesto l’aiuto del nerboruto Falcon. Ma erano passate le ore e Umi non era ancora tornato a casa. Miki l’aveva aspettato fino a notte inoltrata e aveva finito per impensierirsi, ed era altresì insolito che lui non si premurasse di avvertirla di un suo eventuale ritardo. Era di poche parole, è vero, ma aveva imparato a comunicare con lei, sua partner nel lavoro come nella vita, dopo che lei aveva preteso un trattamento alla pari e un coinvolgimento totale nelle sue faccende: niente più segreti. Quindi la bella barista si era convinta che fosse successo qualcosa di grave, così tanto da non permettere al suo uomo non solo di tornare, ma di chiamarla.

Il loro era un mondo pericoloso, ricco d’insidie, e i criminali non perdevano mai tempo a perpetrare le loro azioni malvagie, che fossero dirette a nuocere a Ryo e Kaori, o al resto della banda; c’era sempre qualche nemico che rispuntava dal passato torbido e violento di ognuno di loro, e c’era da credere che il male non si riuscisse mai ad estirpare completamente.

Senza porre altro tempo in mezzo, in tenuta da combattimento, aveva preso la macchina e aveva guidato come una folle all’indirizzo del palazzo di mattoni; forse avrebbero avuto bisogno del suo aiuto ed era pronta a tutto pur di difendere i suoi cari, la sua famiglia, rappresentati da suo marito Umi, dalla sua migliore amica Kaori, ma anche da quell’idiota del suo socio, Ryo, a cui si era inevitabilmente affezionata.

Ora era lì, in casa degli amici, di cui peraltro non c’era traccia, con il suo Falcon in stato quasi catatonico, apparentemente sano e salvo, almeno nel fisico, e non sapeva cosa pensare. L’appartamento era intatto e pulito, come sempre Kaori si premurava di tenerlo; nulla era fuori posto, anzi. Sul basso tavolino c’erano ancora le tre tazzine da cui avevano sorbito il the.

E allora?

La presenza di Miki aveva in qualche modo ridato vita al gigantesco marito, che, a ben vedere, stava lentamente riacquistando il suo solito incarnato; la donna, appena era arrivata, aveva subito notato che la testa del marito era rossa e leggermente fumante, segno di una forte emozione… di un certo tipo! Ma non gli aveva dato peso più di tanto, tutta presa a verificare di non essere sotto tiro nemico e trovarsi un riparo.

L’ex-mercenaria era riuscita a rimettere in piedi Falcon, che aveva tutta l’aria di voler andarsene via da lì il più presto possibile, ma a lei appariva tutto così strano, e aveva bisogno di tutte le risposte del caso.

Chiese:

“Ma Ryo e Kaori? Dove sono?”

E Umi fece un cenno col capo indicando il piano soprastante. Miki era sempre più stupita; si chiedeva perché suo marito fosse rimasto lì in casa loro, steso sul divano, mentre i loro amici erano di sopra dove c’erano le camere da letto; non è che i nemici erano riusciti a metterlo KO prima di raggiungerli? Allora voleva dire che…

Era già lì che si fiondava su per le scale, quando la manona del marito l’afferrò per un braccio trattenendola; lei, allora, in preda all’angoscia, si girò a guardarlo con aria interrogativa, e lui, scuotendo la testa, disse semplicemente:

“Non andare.”

Miki era esterrefatta e continuava a non capire; lui voleva forse impedirle di vedere con i suoi occhi uno spettacolo atroce? Non poteva nemmeno pensarci che già le si contorceva lo stomaco, ma di colpo si fermò quando sentì una risatina femminile provenire dal piano superiore, ed istintivamente riportò l’attenzione verso le scale.

Sgranò gli occhi.

Quella era Kaori! E rideva!

Subito dopo udì la voce bassa del suo socio: le parole erano inintelligibili, era però un mormorio strano che le fece provare un leggero brivido lungo il corpo, e che le fece pensare… cosa, esattamente? Ma fu giusto un attimo perché di nuovo si fece sentire la risatina dell’amica, condita da altrettante parole incomprensibili, il cui tono però tradiva…

D’improvviso capì.

Si voltò di scatto a guardare il marito, il cui viso stava già assumendo tutta l’ampia gamma di rossi, l’interrogò con gli occhi e poi chiese:

“Da quando?”

“Ore fa” fu la sua risposta.

E quando ripresero ben altre esternazioni da parte dei due City Hunter, Umi chiese, con la voce leggermente incrinata dal disagio:

“Portami via di qui. Ti prego!” e quel ti prego la diceva lunga, perché Falcon non era tipo da pregare nessuno, nemmeno quando era vittima di una cucciolata di gattini.

Miki si affrettò a sorreggere il gigante prima che crollasse di nuovo a terra, e lo portò in salvo fuori dall’appartamento, ripetendogli:

“Avanti, amore, respira, respira, fai dei bei respiri!” ma già il fatto che lo chiamasse amore nonostante fossero da soli, non migliorava di certo la sua situazione.

In ogni caso riuscì a trascinarlo giù per le scale, e l’aria frizzantina dell’alba diede un po’ di vigore al guerrigliero, che inspirò ed espirò profondamente, come a godere dello scampato pericolo, della libertà. Quando la moglie lo vide rasserenato e sufficientemente padrone di sé gli chiese:

“Si può sapere cosa è successo?”

Ovviamente a lei interessava il prima, perché del dopo ne aveva avuto piacevolmente dimostrazione.

Ma Falcon era ancora turbato e le disse:

“Allontaniamoci da qui.”

E sentendosi ancora debole per poter guidare, salì di buon grado sulla macchina della moglie e tornarono a casa insieme; la jeep sarebbe venuto a recuperarla in seguito… o forse mai.

Più la coppia si allontanava dal palazzo di mattoni, e più Umi si disintossicava, pur continuando a tacere; sapeva però che sua moglie pretendeva delle spiegazioni e allora, dopo un profondo sospiro, cominciò:

“Stavamo discutendo del caso, quando è successo.”

Fece una pausa. Fortunatamente Miki aveva la pazienza di un bonzo e non si lasciò scoraggiare. Il marito riprese:

“Hanno preso a litigare, non so nemmeno io per cosa, esattamente… per i soliti motivi, credo. Lui è scappato via, e lei dietro a rincorrerlo per tutta la casa, imbracciando il martello. Io me ne ero rimasto lì ad aspettare che se la finissero… Pfu… quei due idioti!” finì per esclamare.

“E poi…?” chiese timidamente sua moglie, cercando di non mettergli fretta, seppur si stesse consumando dalla curiosità.

“E poi hanno imboccato le scale e sono andati di sopra, dove hanno continuato anche lì, con il consueto strepito, le urla, le martellate, i lamenti di lui… poi…”

“…”

“Improvvisamente il silenzio…”

E sembrava che Falcon volesse imitarlo, perché non dava segni di voler proseguire il racconto. Miki si schiarì discretamente la voce, spingendolo a continuare, mentre lei divideva la sua attenzione fra la strada e le parole di suo marito che, al solito, bisognava tirargli fuori con le pinze.

“Credevo che avessero risolto i loro contrasti” disse infine Umi “e che sarebbero ridiscesi a finire di pianificare il piano. Ma non si vedevano…” poi, arrossendo al solo ricordo “In compenso si sono sentiti!” concluse.

Miki si lasciò sfuggire una risatina che era un misto di divertimento, compiacimento, stupore; finalmente si erano decisi quei due stupidi, e chissà se quella era stata la prima volta o andava avanti già da un po’? Maliziosamente si disse che avrebbe indagato, Kaori doveva dirglielo. E gongolò per la situazione. Era così contenta che per un attimo dimenticò il disagio provato da suo marito, e il fatto che era dovuta correre da lui, e recuperarlo, immaginando i peggiori scenari. Si riscosse e gli chiese:

“Ma allora perché non sei venuto via?”

“Non ho potuto” rispose, poi supponendo che la moglie avrebbe voluto saperne di più, nonostante un’ondata di vergogna lo stesse travolgendo di nuovo, aggiunse: “Credo di essere svenuto lì dove mi hai trovato. Non so quanto tempo ho passato lì, ma ogni volta che riprendevo i sensi… continuavo a sentirli… è stato orribile!” e poi “Per fortuna sei venuta a salvarmi. Grazie.” Concluse con un mezzo grugnito.

A quel punto sua moglie non si trattenne più e scoppiò in una fragorosa risata e appena poté si strinse di più a lui mormorando:

“Il mio orsacchiotto timidone!” E, schioccandogli un bacio sonoro sulla pelata, aggiunse: “Ti amo troppo!”

E nella calda luce dell’alba fecero ritorno a casa, felici per i loro amici che, evidentemente, avevano fatto il grande passo. Chissà che di lì a poco non ci sarebbe stato un altro matrimonio da celebrare? Magari non così movimentato come il loro, però! Anche se… quella era la loro vita, vita da sweeper!
   
 
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