PRIMA
PARTE
THE
FALL
PROLOGO
Anatlon.
Regno del Sud.
Snowing
Castle, la capitale di Anatlon, il regno del sud, bruciava.
Le
strade acciottolate della città si erano trasformate in un
frastuono
assordante, fatto di urla di dolore, di grida di terrore e panico.
Nell’aria si
era diffuso un orribile odore di fumo, di sangue e di carne bruciata.
Le
fiamme, divampate all’interno del castello, ora si levavano
verso il cielo
grigio, come le braccia di un mostro fatto di fuoco. Intorno alla
dimora dei sovrani
e dentro, nelle sale che avevano ospitato la famiglia reale e tutta la
servitù,
infuriava ancora la battaglia tra i soldati di David e Mary Margaret e
i nemici,
chiusi nelle loro nere armature, i visi interamente coperti dagli elmi
a tre
rostri, che permettevano di vedere solo i loro occhi assetati di morte
e
distruzione.
Quando
avevano attaccato la città, puntando dritti verso il
castello, sembravano in
netta minoranza rispetto alle truppe dei Blanchard. Eppure, quando
questi
uomini venivano abbattuti, altri prendevano il loro posto, comparendo
dal
nulla, forse partoriti dalle tenebre o dagli Inferi stessi. Cavalli
dalle nere
gualdrappe volavano sopra gli sbarramenti come fantasmi, lame vivide e
scintillanti come fulmini seminavano morte tra la gente in fuga.
Erano
gli uomini della regina di Mehlinus. Lo stemma era ovunque sugli scudi,
cucito
sui mantelli e inciso sulle armature: il melo su sfondo blu.
-
Che sia maledetta, la Regina del Nord! Che sia maledetta lei e tutta la
sua
gente!
Rumori
di spade che cozzavano, di metallo contro metallo, voci che impartivano
ordini,
scalpiccio sulle scalinate, colpi di tosse di chi cercava, invano, di
liberare
la gola e i polmoni dal fumo nero che ormai inghiottiva tutto, fracasso
di
oggetti che andavano in frantumi.
David,
con ancora l’immagine della sua amata che scompariva tra le
fiamme appiccate da
quegli infami impressa nella mente, aveva perso il conto degli uomini
che aveva
ucciso. Aveva continuato a mulinare la spada come un folle, aprendosi
la
strada. La lama era coperta di sangue. Tra affondi e fendenti, il re
aveva
liberato il passaggio e, pur essendo ferito a sua volta, aveva
strappato la sua
bambina di appena nove anni dalle mani di un uomo che aveva
già alzato l’ascia
per staccarle la testa. David, ignorando il dolore, si era avventato
sulla
belva e l’aveva trafitta, beandosi
dell’incredulità dipinta nei suoi occhi,
beandosi del rantolo che gli era uscito dalla bocca, beandosi del
sangue che era
stillato copioso dallo squarcio al centro della schiena.
L’uomo si era
afflosciato lentamente.
-
Padre! - gridò Emma, gli occhi verdazzurri spalancati. Tese
le braccia.
David
la prese e la strinse a sé. Sentì il corpicino
caldo della bambina contro il
suo, fremente di sofferenza e rabbia.
Correndo
attraverso stanze e corridoi, falciando gli ultimi uomini che cercavano
di
sbarrargli la strada, il sovrano di Anatlon uscì dalla sua
dimora, si gettò nel
giardino interno del castello, percorse un breve tratto di strada fino
alle
mura che erano state bianche come neve e che adesso erano annerite.
Scavalcò cadaveri,
alberi abbattuti, avvertendo su di sé lo sguardo vuoto dei
suoi cavalieri, di
coloro che erano morti per difendere la famiglia reale. Intorno solo il
crepitare del fuoco, l’odore acre del fumo, le grida.
-
David! – In sella ad un robusto cavallo marrone, Graham
guardò David
sopraggiungere, correndo. Dietro di lui veniva un uomo in armatura
nera, che lo
inseguiva, brandendo una lunga spada. Akela, il lupo grigio che lo
accompagnava, ringhiò ferocemente, appiattendo le orecchie e
mettendosi in
posizione d’attacco. Graham prese una freccia dalla sua
faretra. Un attimo dopo
quella freccia colpì il soldato al collo.
-
Sei ferito! – disse al re di Anatlon, quando l’uomo
lo raggiunse.
-
Non preoccuparti per me. Prendi mia figlia! - E gli passò la
bambina.
-
Padre, no! Non andartene! Non lasciarmi! - gridò Emma,
disperata, le lacrime
che già le bagnavano le guance.
Dalla
porta occidentale si levavano urla, gli echi di una lotta accanita,
colpi sordi
che scuotevano le mura.
-
Devi andartene, figlia mia. Morirai se resterai con me!
-
Non voglio abbandonarti! Vieni con me! Ti prego!
-
Emma... - David si avvicinò al cavallo e prese la mano della
figlia. – Fidati
di Graham. Adesso ti porterà al sicuro, lontano da qui. Il
castello è perduto.
Purtroppo non possiamo fare niente per salvarlo...
-
E mia madre?
David
la fissò, sentendosi trafiggere dal dolore della perdita
come se si fosse
trattato della lama di mille spade.
-
Emma... – riuscì a dire lui. Ma non
poté aggiungere altro.
Emma
pianse più forte. – No, papà... Per
favore... Ti prego... Dimmi che non è
vero...
-
Oh, Emma...
La
bambina gridò: - No! Ti prego, dimmi che sta bene! Dimmi che
non è vero!
Graham
la fissava con gli occhi sempre più sbarrati. Il giovane
aveva capito che stava
accadendo qualcosa a Snowing Castle quando aveva sentito
l’odore del fumo.
Cresciuto
con i lupi, veri lupi della foresta che considerava la sua unica
famiglia,
Graham aveva imparato a vivere come loro, a cacciare insieme a loro e
anche a
sentire come sentivano loro. Per questo, pur essendo lontano qualche
lega dalla
capitale di Anatlon, aveva avvertito il fumo ancora prima di vederlo
davvero. E
aveva cercato di raggiungere Snowing Castle il più in fretta
possibile. Conosceva
i sovrani e loro conoscevano lui, sebbene avesse sempre vissuto con il
suo
branco. Era riuscito a prendere un cavallo imbizzarrito, ma
miracolosamente
illeso e a domarlo, in modo da potersi muovere più in
fretta. Poi aveva cercato
i sovrani, sperando di trovarli ancora vivi per portarli via da
lì.
-
No, no, no, no... – Emma agitava la testa, frenetica. Le sue
ciocche bionde
sbattevano di qua e di là.
-
Mi dispiace. Devi andare, ora, Emma.
-
No, no, no... No!
-
Graham, voglio che porti mia figlia a Camelot. Parla con il re, digli
che ci
hanno attaccati. A tradimento! Chiedigli di proteggere Emma. Non
fermarti. Non
guardare indietro. Conto su di te.
-
Sì. Non temere!
-
Padre... - mormorò Emma. - Non lasciarmi...
David
si sfilò la spada. Gliela porse, con tutto il fodero.
-
No! Non la voglio! - gridò Emma.
-
Prendila. Ti servirà! - disse David. - Un giorno, quando
sarai abbastanza
forte, tornerai. Vendicherai me e tua madre. Il regno sarà
tuo! Ma adesso devi
andare con Graham. Se rimani qui, morirai e tutto sarà
davvero perduto! Fallo
per me, figlia mia.
-
Un giorno...
-
Sì, un giorno. Presto... Presto verrà il tuo
momento. Lo so. Non può essere
altrimenti. Allora tornerai e tutto questo sarà tuo! Tutto!
Il trono che ti
appartiene di diritto sarà tuo! Le terre saranno tue! I miei
uomini saranno
tuoi!
Emma
afferrò la spada che il padre le aveva dato e la strinse. Il
ciondolo che
portava al collo, un ciondolo a forma di cigno, che era anche il
simbolo
impresso sullo stemma del regno, brillò un istante.
Guardò suo padre un’ultima
volta, poi David disse a Graham di andarsene subito; gli
ripeté di non guardare
indietro e di non fermarsi mai. Gli disse di proteggere Emma anche se
ciò
avesse voluto dire sacrificare la vita.
-
Emma sarà al sicuro! - E detto ciò, il Figlio dei
Lupi gridò per spronare il
cavallo, che partì al galoppo.
Emma
ebbe modo di lanciare un’occhiata da sopra la spalla di
Graham. Vide suo padre
che ricambiava lo sguardo, poi lo vide girarsi per affrontare altri
soldati
nemici che lo stavano raggiungendo per ucciderlo.
Padre...
Fu
l’ultima volta che lo vide.
Camelot.
Regno di Elohim. Est.
L’acqua
veniva giù dal cielo pesante, compatta, un vero diluvio.
Appollaiata su
un’altura a strapiombo sul mare come un nido
d’aquile, circondata da mura
chiare e frustate dal vento, la città di Camelot incombeva
sulla valle,
ombreggiata dal castello del re Artù, una dimora austera,
costruita con pietre
rosse e grigie ora striata dai lampi, ai quali facevano seguito
violenti colpi
di tuono. La bandiera sulla quale era impresso il drago dorato su
sfondo rosso
della famiglia Pendragon sventolava, sbatacchiata dalle folate
impazzite.
Graham
aveva cavalcato a lungo e ininterrottamente come gli aveva chiesto di
fare
David; nonostante la stanchezza e la fame non si era fermato quasi mai
e teneva
la bambina avvolta in un mantello per proteggerla dalla pioggia. Il
cavallo che
aveva preso a Snowing Castle non aveva retto al ritmo che gli aveva
imposto e
il giovane era stato costretto a deviare il suo cammino, entrare in un
villaggio
e rubare un altro cavallo.
-
Vanargandr! – aveva urlato il pover’uomo che se lo
era visto piombare addosso,
accompagnato da Akela, con i suoi inquietanti occhi di colore diverso e
le
fauci spalancate. Non aveva cercato di fermarlo. Si era fatto da parte
e aveva
lasciato che prendesse uno dei suoi animali.
Era
notte quando giunse alle mura. Oltre il frastuono della pioggia
battente,
riusciva a sentire le onde che si schiantavano contro le scogliere.
Lanciò
delle grida e dei fischi per farsi udire. Gli uomini in piedi sui
bastioni e
nelle torri di guardia mandarono segnali ai soldati giù in
strada. Questi
sollevarono la grata e calarono il ponte levatoio, urlando e grugnendo.
Graham,
bagnato fino al midollo, gli occhi rossi e accesi di furia,
spronò il suo
destriero ormai sfinito lungo la piazza rettangolare della
città, lungo la via
centrale, verso il castello. Affrontò l’ultima
salita, arrivando davanti alla
dimora del re. L’animale schiumava, aveva gli occhi sbarrati
e iniettati di
sangue.
-
Chi siete? – urlò un uomo di guardia sui
camminamenti.
-
Devo passare! Devo parlare con il Vostro re. È successa una
cosa terribile a
Snowing Castle!
Pochi
istanti ancora e le porte vennero aperte. Non appena Graham
smontò, il
destriero emise un nitrito sofferente e si piegò sulle
ginocchia, per poi
accasciarsi e sdraiarsi su un fianco. Gli stallieri, fradici e nervosi,
accorsero.
All’interno
del castello serpeggiavano l’agitazione e il fermento.
Graham, senza fiato,
entrò nella sala del trono. Non si inginocchiò
davanti al re, che sedeva sullo
scranno, le mani strette ai braccioli. Si limitò a chinare
il capo. Lui e il Branco
non avevano re.
-
Qual è il tuo nome? - Artù si rivolse al giovane
con la voce che tremava.
-
Mi chiamano Graham. – rispose l’uomo con i capelli
castani e lo sguardo
infiammato. Il lupo grigio si accucciò accanto a lui.
– Vengo da Snowing
Castle.
-
Dimmi che cosa succede. Mi sono giunte voci molto infelici dalle
Τerre del Sud.
Puoi dirmi se è tutto vero?
-
È tutto vero, purtroppo - disse Graham. Scostò il
mantello per mostrare la
bambina che aveva portato con sé. Tutti i presenti la
fissarono, sbigottiti.
Emma
li guardò con gli occhi grandi e increduli, spaventati.
-
Ma... - Persino Artù aveva perso la voce. Quella bambina era
meravigliosa. Era
sicuro di non aver mai visto una bambina più bella. Aveva
lunghi capelli biondo
oro, che ricadevano sulle spalle come tante onde. E gli occhi... erano
grandi e
pieni di terrore, eppure anche limpidi, le iridi erano del colore del
mare, tra
il verde e l’azzurro.
-
Ecco la figlia... la figlia dei sovrani di Anatlon. Sono morti. Loro
e... E
molti altri. - Graham storse la bocca in una smorfia e
spiegò al re e ai
cavalieri ciò che aveva visto a Snowing Castle.
Ripeté le ultime parole di
David.
-
La regina...? Sei sicuro che fossero i suoi uomini?
-
Sì. Io non sono cresciuto con gli uomini e non ho mai avuto
né re né regine, ma
conosco gli stemmi. Ho visto il melo sugli scudi e sulle armature nere.
Anche
sugli stendardi.
La
sala del trono si riempì di grida e imprecazioni.
-
Tradimento! - urlò Sir Agravain, uno dei cavalieri della
Tavola Rotonda,
levando il pugno e poi sguainando la spada. Alto e massiccio, con le
spalle
larghe, i capelli rossi lunghi e sciolti sulla schiena, la barba a
punta e lo sguardo
pieno di sgomento e collera, Agravain digrignò i denti. - A
morte, la regina
del nord! Quella megera! Sire, datemi tutti gli uomini di cui
disponete. Andrò
a Nord e ci penserò io a quella strega! Questo è
un affronto! Vendetta!
-
Vendetta! Vendetta! - urlarono tutti.
-
Silenzio! - gridò Artù. - State spaventando la
bambina!
Tutti
tacquero, fatta eccezione per qualche bisbiglio. La regina Ginevra,
seduta
accanto al marito, si coprì gli occhi con le mani, lasciando
che i capelli le
ricadessero sul viso e lo nascondessero. Alla sinistra di
Artù, su un alto
scranno, sedeva il consigliere del re, il druido Merlino. In una mano
reggeva
un lungo bastone ricurvo. Con l’altra, invece, si accarezzava
la lunga barba
bianca con fare pensoso.
-
Agravain, ti darò gli uomini che ti servono, ma non andrai a
nord, andrai a Snowing
Castle e farai quello che puoi per aiutarli. Se è ancora
possibile aiutarli.
-
Certamente! Non temo nessuna stregoneria. - urlò Agravain.
-
Per favore, vuoi stare calmo? - Uno dei suoi fratelli, Sir Gawain,
posò una
mano sulla spalla di Agravain.
Vendetta,
vendetta, a morte...
Emma,
che non parlava ma ascoltava tutto, bevve queste parole e una vocina
interiore
cominciò a ripeterle. Rivide il viso di suo padre, gli occhi
di sua madre prima
di sparire tra le fiamme. Non aveva mai incontrato la regina di
Mehlinus ma già
sapeva che gliel’avrebbe fatta pagare. Già sapeva
che un giorno il Nord avrebbe
pagato caro quell’affronto.
Vendetta.
Vendetta. A morte.
-
Agravain, fa ciò che ti dico. – riprese
Artù, in tono grave. - Parti
immediatamente e vai più veloce che puoi. Fammi avere un
messaggio il prima
possibile. Ma ti prego: non dire a nessuno che la principessa
è viva. Potrebbe
essere in pericolo.
Sir
Agravain chiamò a sé i suoi tre fratelli, i
cavalieri e uscì dalla sala del
trono, imprecando ferocemente.
-
E la bambina? – chiese Graham.
-
Emma qui sarà al sicuro. Non qui a Camelot, ma... So
già dove può andare.
Saranno i miei compagni d’armi a proteggerla. Fino a quando
sarà necessario. Nessuno
deve sapere che è viva... Nessuno, chiaro?
Graham
non aveva dubbi che fosse la soluzione migliore.
Emma
non voleva essere protetta. Emma non voleva essere una principessa.
Voleva
combattere. Voleva diventare un cavaliere e avere una spada come gli
altri.
-
Figlio dei Lupi, ti prego di accettare degli abiti asciutti, del cibo
caldo e
un luogo in cui riposare questa notte. – disse
Artù. – È il minimo che io possa
fare per te.
-
Siete molto generoso. Vi ringrazio – borbottò
Graham, sorridendo stancamente.
-
Sire... - mormorò Emma.
-
Sì, dimmi. - Artù scese dal trono e si
inginocchiò davanti alla bambina. - C’è
qualcosa che desideri? Da mangiare, forse? Ti farò preparare
qualcosa dalla
servitù...
-
Ho la spada di mio padre.
-
Lo vedo.
-
Voglio imparare. Voglio imparare ad usarla.
Artù
spalancò gli occhi, trasecolato. - Vuoi...?
-
Sì, per favore, Sire.
-
Ma sei una principessa. Io ho il dovere di proteggerti, non posso...
-
Vi prego.
Artù
alzò la testa per guardare Graham, che non disse niente.
Stava per crollare a
causa della stanchezza. Guardò ancora Emma.
Incrociò i suoi occhi per la prima
volta; in essi vedeva il dolore, la paura, l’orrore, tutte
cose che non
avrebbero dovuto esserci nello sguardo di una bambina così
piccola. Eppure vide
anche determinazione, fermezza, una caparbietà che aveva
trovato negli occhi di
certi uomini, tra i quali anche i suoi Cavalieri, ma che lo sorprese
comunque
perché, dopo quello che le era accaduto, non avrebbe mai
immaginato che avrebbe
trovato la forza di reagire.
Artù
si riscosse. - D’accordo. Ora però ascoltami bene,
Emma. È molto importante.