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Autore: Luana89    09/07/2020    0 recensioni
La vita spesso s’annoia, s’aggroviglia, si lega ai destini degli altri senza neppure lasciartelo intendere, se non quando ormai i giochi sono conclusi e le carte totalmente voltate. A volte districa quei nodi, slega quei destini, lasciandoti tornare a una placida e noiosa calma. [...] Il bigliettino stropicciato venne sospinto da una folata di vento più aggressiva delle altre, dimenticato su quella fermata che delineò tre destini. Indissolubilmente.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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La pioggia cadeva fitta e violenta, provocando un sordo rumore ogni volta che sbatteva contro l’ombrello. Lo sollevò appena fissando il grande cancello e la targhetta in metallo che annunciava l’arrivo nella clinica privata dall’apparenza sfarzosa e opulenta, Tate si decise a proseguire ignorando l’ambiente attorno a se, sfocato a causa della fitta pioggia, arrivando fin quasi all’ingresso notando solo in quel momento la sagoma al riparo sotto la tettoia, la fissò riconoscendola subito.
«Tate! Non ti vediamo da un po’, pensavo fossi impegnato con il college.» L’infermiera sorrise accarezzandogli il braccio attraverso la stoffa della felpa constatando quanto fosse zuppa. «Questi dannati ombrelli inutili, sei fradicio.»
«Dov’è lui?» I suoi occhi neri quel giorno apparivano più stanchi del solito, rimarcati dalle occhiaie quasi a volerne enfatizzare lo stato d’animo. La donna non sembrò turbata dalla domanda ruvida e priva di inutili convenevoli, dopo due anni passati a guardarlo crescere aveva ormai preso atto della natura chiusa e schiva del giovane, provandone ogni volta profonda tristezza. Indicò con un cenno il gazebo sul retro.
«Lo sai com’è fatto, neppure la pioggia lo ha convinto a desistere.» Il ragazzo annuì distrattamente come se fosse già passato oltre, come se avesse totalmente superato la sua presenza e pochi istanti dopo avanzò a passo svelto lungo il giardino curato arrivando al luogo indicatogli con un sospiro. L’uomo stava lì seduto, nella medesima posizione assunta ogni volta, le mani serrate tra loro in mezzo alle gambe appena schiuse e il viso proteso a osservare il cielo.
«Ehi, papà..» la sua voce solitamente monocorde assunse sfumature affettuose dal retrogusto amaro, mentre prendeva posto accanto a lui senza smettere di fissarlo. Dylan lo guardò come spaesato, sbattendo le palpebre, da qualche tempo i medicinali di quel posto iniziavano a provarlo rendendolo perennemente stanco.
«Ti sei perso ragazzino? Hai sbagliato persona.. non sono tuo padre.» Tate serrò la mascella fermando il tremolio delle labbra, il magone in gola non voleva saperne di scendere giù e dargli tregua, permettergli di respirare, di fingere come sempre quella stupida commedia. C’era un qualcosa di tragicomico in quelle parole che l’uomo gli rivolgeva ogni singola volta, il suo presupporre di non essere il genitore che Tate cercava si avvicinava così tanto alla realtà da provocargli dell’ilarità involontaria.
Dylan Vaughan era arrivato nella sua vita quando di anni ne aveva poco più di due, gli aveva dato tutto ciò di cui un bambino aveva bisogno. Una casa, una stabilità, dell’amore, il proprio cognome. Sposò la madre dopo la morte del primo marito, amò quel figlio con la quale non condivideva neppure una goccia di sangue come fosse proprio. E adesso cos’era rimasto? Ogni volta che lo guardava, che vedeva quelle rughe spaccare sempre di più il suo volto, continuava a domandarsi quando il filo della propria vita si fosse spezzato e riannodato così male. Così malato. Così tossico.
«Prenderà freddo sotto questa pioggia, perché non rientra?» Mise insieme un sorriso allungando una mano come a volerlo toccare, desistendo all’occhiata spaesata del padre.
«Non posso, sto aspettando mio figlio.. vuoi vederlo?» Tate annuì consapevole di cosa avrebbe visto, una sua foto ormai vecchia che lo ritraeva sopra le spalle dell’uomo, all’età di cinque anni. Osservò quell’istantanea con un sospiro tremulo, leccando le labbra improvvisamente secche.
«E’ un bel bambino.. sono sicuro verrà presto a trovarla.» L’uomo scosse il capo sconsolato riprendendosi la foto, il tremolio alle mani adesso più evidente mentre asciugava una lacrima solitaria dalla guancia.
«Non verrà, mi ha dimenticato..» Un padre. Un figlio. Un amore viscerale. Tate era la prova di quanto non fosse necessario avere un legame di sangue con qualcuno per sentirsene legato indissolubilmente, non era necessario che un figlio avesse il tuo stesso sangue per amarlo in maniera totalizzante. E adesso cos’era rimasto? L’inesistenza.
 
«La preside ha chiamato, ancora.» Il tono severo del padre fece calare improvviso il silenzio a tavola, a quel tempo la sua malattia era ancora agli inizi e Dylan possedeva ancora quell’aura forte e compunta che il figlio aveva sempre ammirato.
«E’ stato solo uno scherzo innocente, non ricapiterà più.» Il pugno sbatté sul tavolo, Karis sobbalzò appena incenerendo il figlio con un’occhiata. Non sapeva fare altro da che ne avesse memoria, il suo tragico errore era da sempre porre limiti, divieti, rimproveri e umiliazioni senza mai spiegarne le ragioni. Ristretta nella mente così come nella vita, castrando quel figlio che adesso sembrava essere esploso tutto d’un colpo.
«Versare un secchio di piscio a uno studente è per te uno scherzo innocente? E’ così che ti ho educato, Tate? Ti ho per caso insegnato a umiliare gli altri per il tuo patetico divertimento?» Il sedicenne soffocò uno sbuffo, la sua mente d’adolescente non riusciva ad ammettere i propri errori ma allo stesso tempo sentiva d’essere turbato dall’umiliazione dilagante dentro di se. Perché si, era consapevole dei propri sbagli ma non del peso che questi avevano nelle vite degli altri probabilmente. Versare urina sulla divisa del secchione di turno era qualcosa di goliardico, qualcosa per cui ridere, ma per Trevor (il malcapitato) lo era allo stesso modo? Si grattò la nuca sospirando in silenzio, la filippica del padre non sarebbe finita tanto presto. Matthew ne avrebbe ricevuta una simile? Probabilmente no, il padre era troppo impegnato a coprire i suoi di scandali e come tale faceva con quello dei figli. I due si conoscevano praticamente da sempre, avevano frequentato tutte le scuole insieme, fuorché le elementari, divenendo un nucleo indissolubile. Propensi alla leadership, detenevano dominio assoluto nel loro liceo, compiendo spesso atti che molti avrebbero giudicato illegali oltre che pericolosi.
«Un’altra cazzata del genere e il viaggio a Naples te lo scordi.» Bastò quella parola a fargli scattare in alto la testa fissando rancoroso l’uomo, alzandosi con furia.
«Non ricattarmi, non sei mio padre.» Karis sbatté la mano sul tavolo alzandosi di rimando, piantandogli un ceffone che ammutolì tutti e tre. Tate respirò affannosamente toccandosi la pelle adesso incandescente.
«Sei sempre stato un cane irriconoscente, tutto tuo padre.»  Quello biologico.
 

La pioggia aveva smesso di cadere, ma il cielo restava ugualmente nero come a presagire chissà quali disgrazie a incombere su di loro. Dylan si alzò e Tate allungò immediatamente le braccia per sorreggerlo e aiutarlo.
«Grazie.. sei un bravo ragazzo.» Cosa determinava l’essere bravo o cattivo? Potevano le vecchie azioni essere dimenticate? Potevi in qualche modo rimediare ai tuoi errori? Tate arrancò lungo il vialetto desiderando che la pioggia tornasse a cadere coprendo le sue lacrime che come gocce acide corrodevano le sue guance fin nelle ossa.
 
 
«Possiamo parlare?» Le dita di Matthew si serrarono sul braccio della ragazza, i suoi occhi verdi in pieno tumulto mentre la trascinava lontano incurante della sua risposta. Parecchi ragazzi al campo parlavano della tipa misteriosa di Tate, e altri avevano riconosciuto in lei Hansel provocando la sua reazione furibonda. Era sempre lui. Sempre in mezzo alla sua vita. Sempre a ricordargli il passato, a ricordargli il suo odio, il suo carattere orribile che non riusciva in nessun modo a mitigare.
«Lasciami andare, mi stai facendo male.» Hansel sbottò irata scrollandosi da quella presa, massaggiandosi la pelle adesso arrossata. Ancora una volta quei repentini cambi d’umore la portavano a pensare se conoscesse davvero il ragazzo per la quale aveva avuto la sua prima vera cotta adolescenziale, se le persone non cambiassero col tempo in maniera radicale, o se peggio camuffassero la loro essenza.
«Cosa c’è fra te e Tate.» Arrivò così a incombere, a bruciapelo provocando nella ragazza una scossa che la costrinse a retrocedere. La sua espressione confusa sembrò calmare il biondino che mitigò il tono fino a quel momento rude. «Eri in quella doccia assieme a lui?» A quanto pare le voci correvano e piuttosto in fretta, ma soprattutto come aveva detto Julia di volta in volta venivano abbellite di particolari.
«Non penso di doverti dare alcuna spiegazione in merito, ma giusto per sfatare queste abominevoli cazzate.. è stato tutto un equivoco.» Spiegargli dello scherzo fatto dalle senior gli provocò i medesimi sentimenti di stizza che in qualche modo aveva provato a soffocare in quei giorni, ripetendosi mentalmente che tutto andava bene e che ogni cosa sarebbe tornata alla normalità.
«Mi dispiace per poco fa.. non volevo aggredirti, ma questa storia mi fa incazzare come una bestia.» Arruffò i capelli sedendosi su una delle panche del vialetto, a quell’ora il via vai di gente era meno intenso del solito a causa delle lezioni all’interno della struttura. Allungò una mano per afferrare quella della ragazza, stavolta gentilmente, invogliandola a venirgli vicino, sorridendole.
«Sei geloso?» Un sentimento parecchio ambivalente, che riusciva a essere sia positivo che negativo a seconda dell’intensità e della persona contro cui si abbatteva. Hansel si sentiva lusingata, ma dall’altro lato le sue reazioni non rientravano comunque tra quelle che avrebbe definito ‘’piacevoli’’.
«Non è solo questo..» sembrò in difficoltà mentre sceglieva con cura le parole. «Non farti ingannare dalla sua aria silenziosa, Tate è un vero bastardo. E non è un santo come pretende di essere.» In poco più di dieci giorni si era ritrovata a sentire i medesimi discorsi ma da due prospettive diverse, eppure quella volta giudicò inopportuno lanciarsi in una filippica per difendere Tate, sarebbe stato da ipocriti viste le cattiverie che gli aveva riversato contro nella sua mente.
«Ne parlate tutti come fosse una specie di mostro, ma nessuno che si sprechi a spiegare cos’ha mai fatto. Questo io lo definisco: strano.» Incrociò le braccia al petto sentendo improvvisamene quelle mani circondarle i fianchi costringendola a ricadere sulle sue gambe seduta, provocandole una momentanea confusione dovuta alla sorpresa.
«Alle superiori era il mio migliore amico, lo era davvero.» La sorprese sentirsi confermare qualcosa che sapeva già, ma dalla sua bocca. «Facevamo tutto insieme, persino il viaggio a Naples, dove ti ho incontrata..» il suo sorrisino malizioso la fece avvampare costringendola a sviare lo sguardo altrove, ma le sue dita la forzarono a fissarlo, mentre il pollice le accarezzava le labbra con desiderio. «Eravamo dei ragazzini stupidi, facevamo gli stronzi con altri studenti.. e lui mi denunciò, rischiando di rovinarmi la carriera a pochi mesi dal diploma.» Hansel restò in silenzio elaborando quelle parole, a giudicare da ciò che aveva visto usare il tempo verbale al passato per definirsi ‘’stronzi con altri studenti’’ lo giudicava inappropriato, ciò non toglieva che Tate era stato un vile traditore nei confronti di quello che giudicava il suo migliore amico. Le dita scivolarono tra i capelli biondi e lievemente ondulati del ragazzo, ne apprezzò la consistenza.
«Mi dispiace, deve essere stato orribile essere traditi dalla persona che reputavi più importante..» Le tornò in mente Charlie, e Matthew sembrò turbato da quelle parole come se faticasse a trattenere quell’espressione composta e sprezzante nel ricordare l’amico. Un respiro profondo prima di baciare le labbra morbide di Hansel, e i pensieri scivolarono via come degli abiti lasciandolo nudo di emozioni. Intensificò quel contatto stringendola a se, ricordava ancora quel sapore che non sembrava cambiato per niente, nonostante adesso vi fosse più malizia e consapevolezza nei suoi gesti, nel suo ricambiarlo con la medesima intensità. Quando l’aria venne meno la fissò attentamente.
«Mi fai uscire fuori di testa, seriamente.» La risata femminile e cristallina lo portò quasi involontariamente alla medesima ilarità.
«Calma i bollenti spiriti Reed, ho una lezione tra poco, quindi..» gli scoccò un bacio rumoroso sgusciando via dalla sua presa in un momento di distrazione, allontanandosi consapevole di quegli occhi che le stavano praticamente mandando a fuoco la schiena.
«Ma dove diamine eri finita?» Julia masticò voracemente un biscotto osservando con interesse l’amica.
«A quanto pare la mia scorribanda nel bagno maschile ormai è di dominio pubblico.» Si lasciò cadere su uno dei gradini in marmo spalmandosi le mani sulla faccia rumorosamente, tralasciando i risvolti romance con Matthew era comunque una notizia di merda quella.
«Come diavolo è potuto accadere?» Ottima domanda, il punto era proprio quello.
«Già, se io non ho parlato..» sollevò di scatto il viso a occhi sbarrati, mentre un’idea le sfiorava il cervello come un proiettile a velocità, la biondina di fronte a lei intuì quell’intenso lavorio scuotendo appena il capo.
«Sei folle, che senso ha salvarti per poi andare a dirlo in giro? Okay, Tate può essere una merda e lo abbiamo appurato, ma .. il senso?» Magari aveva voluto tirarle un brutto scherzo, farle pagare la loro discussione di quella sera? Allora perché non raccontare anche il post doccia nella sua camera? Non che fosse successo qualcosa, ma era comunque equivoco restarci in stanza da sola, avrebbero avuto di che parlare quelle iene sbavanti. Il soggetto delle loro ciarle passò in quel momento, Hansel osservò i jeans e il modo in cui aderivano alle cosce e la semplice maglia bianca che tirava all’altezza delle spalle.
«Ehi tu, bastardo.» Quella voce supponeva l’avrebbe ormai riconosciuta tra mille, considerando che ne aveva sentito ogni sfumatura per sua disgrazia, quindi quando si voltò non fu stupito nel trovarsi di fronte Hansel con la sua migliore occhiata omicida.
«Non c’eravamo accordati per ignorarci? Mi stava piacendo il proseguo della cosa.» Julia rise bloccandosi all’occhiata incendiaria dell’amica, insomma non si poteva neppure scherzare un po’.
«Hai detto tu alla gente cos’è successo nella doccia?» Tate inarcò un sopracciglio sistemando lo zaino sull’unica spalla con la quale lo teneva.
«E se anche fosse?»
«Oh andiamo, sei stato sul serio tu?» Julia sembrava la più incredula mentre lo afferrava per il braccio costringendolo a fissarla, non riusciva a crederci semplicemente. Stava diventando un pazzo insensato?
«Ho detto: e se anche fosse? Cosa pensi di fare al riguardo, sono curioso.» Si avvicinò ad Hansel chinandosi appena con un sorrisino ironico, costringendo la ragazza a retrocedere a ridosso dei gradini. Perché diamine quegli occhi neri la confondevano in quel modo? Perché sentiva quella perenne sensazione quando lui le bazzicava attorno?
«Non farei nulla, sei patetico già così.» Sembrò colpito da quella risposta raddrizzando la schiena per lasciarla finalmente libera, Hansel si rese conto di non aver praticamente respirato.
«Pranzi con me?» Il repentino cambio d’argomento la scioccò mentre lo fissava rivolgersi a Julia con uno sguardo che non le piacque, cos’è adesso voleva provarci con lei? Assottigliò le palpebre incredula.
«Okay, ho voglia di cibo spazzatura. Ma paghi tu.» Sorrise civetta lasciando che Tate passasse un braccio sulla sua spalla, portandosela via. Voltò appena il viso per fissare l’amica sillabandole un ‘ci vediamo dopo’ che non servì granché a mitigare il suo malumore che sprizzava palesemente dalle iridi cangianti.
 
«Quindi ricapitolando, vi siete baciati ma non state insieme, giusto?» Sembrava come se fosse di fronte a un’equazione complessa piuttosto che a un semplice e comune caso di limone duro. Hansel sbuffò ormai prostrata dall’interrogatorio a cui era stata costretta ore prima, non aveva neppure aperto la prima pagina del suo libro e sentiva lo stomaco aggrovigliarsi per la fame.
«Perché ne sembri stupita? Ti fidanzi con ogni ragazzo che baci?» Mordicchiò la matita con un mezzo sorrisino, consapevole di quale sarebbe stata la risposta. Julia era uno spirito libero, un po’ selvaggia nelle sue idee e nella sua concezione di autonomia, per questo le piaceva.
«Figuriamoci.. però Matthew mi sembra abbastanza preso da te. E tu anche, o vuoi negarlo?» Ma per cortesia, le si leggeva in faccia che avesse una cotta stratosferica per quello stronzo dal sorriso stupendo. Bisognava capire fino a che punto però, inoltre dopo la rottura con Charlie non voleva imbarcarsi subito in una nuova relazione.
«Non lo nego, ma penso di volermi godere il college.. se capisci cosa intendo.» Si fissarono furbamente dandosi il cinque, feste, ragazzi, divertimento, a che pro privarsi di tutto? Lo avrebbe fatto, quando magari avrebbe capito di volerlo davvero.
«Piuttosto ho bisogno della stanza per un po’, mi devo vedere con una persona..» Hansel la fissò scocciata indicandola con la matita.
«E quindi? Hai la tua camera per scopare, perché dovrei andarmene?» Una logica inoppugnabile a suo dire, avevano entrambe una camera che manteneva la totale privacy, e anche quando volesse scopare proprio su quel divano poteva benissimo essere Hansel a chiudersi nella propria fino al giorno dopo. Julia però sembrava in evidente imbarazzo, e questo la fece sospettare parecchio.
«Si lo so.. però ecco.. dovrei parlare a questa persona, e mi serve della privacy. Non ti chiedo molto, massimo due ore.» Lo stomaco di Hansel brontolò spezzando quel momento, sospirò sollevando i lunghi capelli in un chignon scomposto che verteva da un lato della nuca, fermandolo con la matita rosicchiata alzandosi per accontentare l’amica. Era evidente non le avrebbe detto altro.
«Hansel, ma dove cazzo vai conciata in quel modo?» Si bloccò fissandosi, indossava dei pantaloni da tuta sformati e di un rosso abbastanza scolorito, e una felpa con cerniera del medesimo colore, il tutto contornato da una linea bianca ai lati di maniche e cosce, e ovviamente oversize. Una specie di copia brutta dell’adidas per capirci, presa in un mercatino a dieci dollari. La tenuta studio di Hansel, come la chiamava lei, quella con la quale si sentiva a proprio agio, ma che la faceva apparire una specie di scappata da casa con tendenze psicotiche.
«Ho notato che fuori il college ci sta una specie di minimarket aperto H24, vado a comprare del cibo, perché?»
«Perché fai schifo?» Julia sorrise come se di fronte avesse una malata mentale, e per tutta risposta l’amica scrollò le spalle chiudendosi la porta alle spalle. Qual era il problema dell’uscire con quell’abbigliamento ‘’lievemente’’ trascurato? Non doveva mica vedersi con Matthew, o andare a rimorchiare qualcuno. A volte era semplicemente bello prendersi una pausa dal piacere a tutti i costi, dal voler sempre apparire al meglio, e fare la randagia.
Il cassiere era sicura fosse minorenne, e quella barbetta spelacchiata non gli aumentava di certo l’età, mentre fissava la bocca sottile ma spalancata masticare una gomma in maniera disgustosa. Hansel si riscosse osservando le vivande battute una per una, pagando con un mezzo sorrisino incerto per poi dirigersi fuori dove prese posto in uno dei tavolini in plastica completamente vuoti a quell’ora. Scartò per prima cosa il gelato iniziando a mangiarlo con gusto, godendosi la brezza serale e il panorama notturno. A volte quando si soffermava a pensare le risultava incredibile essere sul serio a New York, una delle metropoli più belle e ambite del mondo, di essere una studentessa alla Columbia, la sua giovinezza non era mai stata più evidente e presente di quel momento. Le faceva venire voglia di godersela senza rimpianti.
«Stavo per lasciarti l’elemosina, pensando fossi una barbona.» Quella voce. Le andò di traverso la panna del gelato, tossì battendosi una mano sul petto e quando sollevò gli occhi la tragicità del suo presentimento le si confermò in tutta la sua bellezza dai capelli corvini e liscissimi.
«E quando hai confermato non lo fossi, perché non hai proseguito dritto lasciandomi in pace? Chiedo per pura curiosità.» Sorrise falsamente restando sbigottita nel vederlo sedersi al suo tavolino iniziando a rovistare nella busta, prendendo una confezione di patatine che ricordiamoci aveva comprato per se stessa.
«Penso dovremmo diventare non dico amici, ma piacevoli conoscenti.» Quel repentino cambio d’opinione non la stupì, o meglio non più del solito, ormai era abituata a quelle uscite assurde da parte dell’altro.
«Sei proprio un bugiardo, sei solo convinto che gironzolandomi intorno Matthew si incazzi.» Scosse il capo mostrandosi impietosita da quella conclusione, lasciandosi ricadere contro lo schienale, tornando a leccare il gelato stavolta con meno enfasi e piacere.
«Sei tu convinta che il mio mondo giri attorno a lui, comprensibile d’altronde.» La indicò in maniera eloquente come a mettere in discussione nuovamente la sua capacità d’intendere e volere, Hansel respirò profondamente cercando di mantenere la calma.
«Non sono io quella che ha raccontato a tutti della doccia solo per infastidire Matthew.» Con un movimento improvviso poggiò i gomiti sul tavolino, chinandosi verso di lei per fissarla con attenzione.
«Che motivi hai per pensare queste cose di me? A parte ciò che ti racconta il tuo fidanzatino? Il problema è questo, hai già deciso chi nella tua patetica storiella romantica sia il buono e chi il cattivo, se corrisponda alla realtà è indifferente.» Quelle parole colpirono come uno schiaffo dritto in faccia facendola avvampare, aprì la bocca come a voler rispondere ma le frasi brillanti e piccate non uscirono. Perché aveva come la sensazione d’essere stata svergognata senza pietà? Che motivi aveva effettivamente per odiarlo ed etichettarlo come il cattivo, se non le parole di Matthew?
«Se pensi questo che ci fai seduto qui? Dovresti andare via, non sono una ragazza degna di nota a quanto pare.» Il sorriso di Tate balenò nella penombra facendole perdere un battito, una sfilza di denti bianchi e dritti, le labbra carnose incurvate e schiuse.
«Ti è mai capitato di guardare qualcuno e pensare di averlo già incontrato? Di conoscerlo in un certo senso.» La brezza serale scompigliò i suoi capelli, fissava quel viso dai tratti dolci ed eleganti e quegli occhi così particolari che era sicuro avessero il potere di rimescolarti dentro se solo lo avessero voluto.
«Parli di me .. e te?» Ricordava per caso l’incontro a Naples? L’aveva guardata per quelli che erano stati pochissimi secondi, era possibile che quel ragazzo che sembrava preoccuparsi solo di se stesso l’avesse ricordata? Hansel non ricevette risposta, ma una semplice scrollata di spalle osservandolo ricadere contro la sedia mangiando tranquillamente le patatine.
«Un amico del giornale mi ha detto che hai chiesto di poterci lavorare.» A quelle parole il gelato divenne un lontano ricordo, mentre si scioglieva più velocemente di quanto riuscisse a mangiarlo, troppo presa dal fissarlo.
«Fammi indovinare, gli hai detto di lasciarmi perdere?» Sarebbe stato il minimo visti i loro precedenti e il modo in cui lei l’aveva trattato e bollato, eppure il ragazzo sembrò quasi confuso da quelle parole mentre aggrottava la fronte, la patatina sospesa tra le labbra.
«Ovviamente no, gli ho detto che hai la lingua abbastanza affilata e lui ha detto che ti avrebbe presa in considerazione.»
«Vuoi qualcosa in cambio?» La sua diffidenza non sembrava conoscere limiti, e si domandava perché con lui saltasse subito all’erta.
«Voglio che la pianti coi tuoi pregiudizi. Di tutte le ragazze di Matthew mi sembri quella con più neuroni.» Si stoppò masticando una patatina guardando distrattamente l’interno del minimarket chiedendosi cosa prendere da bere e forse cercando da qualche parte anche la voglia di alzarsi.
«Poco fa hai detto che ho già etichettato te come il cattivo e lui come il buono.. quindi è il contrario?» La sua risatina echeggiò tra loro lasciando la ragazza con un vago senso di vuoto alla bocca dello stomaco, qualcosa di freddo colò tra le sue dita rendendosi conto che il gelato ormai era andato perso. Leccò le dita ignorando gli occhi neri che sembravano divenire via via più maliziosi gettando il resto del cono nella pattumiera lì accanto.
«Quindi? Sto aspettando una risposta.»
«Perché sei così schematica? Come se esistessero persone solo buone o solo cattive, vivi nel mondo delle favole Hansel? Ne porti il nome effettivamente, ma non devi essere così banale.» Il suo nome venne pronunciato per la prima volta da quella voce, le piacque. «Sono stato abbastanza chiaro?» In parole povere era evidente ci fossero molte più cose dietro tra quei due, così com’era evidente che Matthew avesse raccontato la propria versione, non per forza vera. Ma neppure per forza falsa e questo Hansel non poteva sopprimersi dal pensarlo, che motivo aveva di non credergli? Tate si alzò rientrando dentro il negozio, uscendone pochi minuti dopo con due lattine di birra, una delle quali andò dritta tra le mani della ragazza che stava lì seduta a chiedersi perché non avesse approfittato di quella momentanea lontananza per andare via. Forse perché la sua compagnia in fondo non le dispiaceva, le piaceva quel suo modo di parlare, come snocciolava i pensieri e come la guardava. Non pensava degli occhi nocciola potessero essere così espressivi. 
«A volte capita.» La lattina a mezz’aria, i suoi occhi che la fissavano incuriositi da quella frase apparentemente casuale.
«A volte capita, cosa?»
«Di vedere qualcuno, avere la sensazione di averlo già visto..» si mantenne vaga senza un reale perché, non capiva cosa la spingesse a non parlargli di quell’incontro fortuito a Naples, forse l’imbarazzo di apparire come una specie di psicopatica che lo aveva riconosciuto dopo una ben misera occhiata davanti una fermata dell’autobus?
«Quindi è una tregua questa?» Hansel osservò la mano protesa nella sua direzione, le dita lunghe e affusolate sembravano attendere stoiche e immobili.
«Tregua.» Quando strinse la mano di Tate sentì una scossa spalancarle ancora una volta quel buco al centro esatto dello stomaco, l’aveva sentita anche lui? A giudicare dall’espressione beffarda si. Come l’avrebbe presa Matt vedendola parlare con l’unica persona che sembrava odiare oltre ogni logica o ragione? Non lo sapeva, e quando fissò la sedia ormai vuota accanto a se percepì un senso di sconsolata rassegnazione. Perché doveva andare sempre a ficcarsi in quelle situazioni surreali?
  
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