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Autore: evelyn80    09/07/2020    7 recensioni
Nicoletta è una donna sposata e madre di famiglia. Dovrebbe essere contenta di quello che ha, ma nonostante tutto non riesce a fare a meno di pensare al fatto che il rapporto tra lei e il marito si è molto raffreddato negli ultimi anni.
Durante un fine settimana in cui rimarrà sola nel suo chalet di montagna conoscerà Luca, un giovane chitarrista venuto a trascorrere a sua volta il week-end in montagna per esercitarsi. Tra i due non tarderà a sbocciare una scintilla di passione, che porterà Nicoletta a vivere una nuova “stagione dell'amore”.
Quarta classificata al contest “Immergersi nell'immaginazione” indetto da Artnifa sul forum di EFP
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
- Questa storia fa parte della serie 'Luca'
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La stagione dell'amore



 

La stagione dell'amore viene e va
I desideri non invecchiano quasi mai con l'età […]
Ancora un altro entusiasmo ti farà pulsare il cuore
Nuove possibilità per conoscersi”


La stagione dell'amore – Franco Battiato

 

 

Il cielo era terso quella mattina e la temperatura era già torrida.
La sera prima, mio marito aveva annunciato che sarebbe stato fuori per lavoro durante tutto il fine settimana: una convention su un qualcosa di non ben definito e di cui a me non importava un fico secco. Mio figlio, invece, sarebbe rimasto dai nonni che avevano intenzione di portarlo in camper a un parco divertimenti. Avrei avuto, quindi, quel week-end tutto per me.
Non avevo nessuna intenzione di rimanere a casa da sola: non ero mai stata né un tipo da spiaggia, né tantomeno una donna di compagnia, ma non avevo nemmeno voglia di restare a patire il caldo della riviera.
Io e mio marito avevamo acquistato, anni prima, una piccola bifamiliare in montagna, sull'Appenino Bolognese; un posto che frequentavamo spesso ma che diventava sempre fonte di inesauribili lavoretti: l'erba da tagliare, la staccionata da ritinteggiare, gli infissi da sistemare... Questa volta, avrei approfittato dell'assenza dei miei familiari per godermi la calma e il fresco delle montagne, spaparanzata su una sdraio a leggere un libro avvolta nella penombra degli alberi in giardino.
Preparai quindi velocemente il borsone con alcuni abiti di ricambio e salii in macchina, diretta verso quel piccolo angolo di paradiso tutto per me.
Vi arrivai dopo un paio d'ore di viaggio e una breve sosta al supermercato per acquistare qualcosa da mangiare. Niente di troppo impegnativo: un piatto freddo a base di pomodori e mozzarella sarebbe andato più che bene.
Mi guardai attorno soddisfatta. Nonostante la bella stagione, infatti, ero completamente sola. Non c'era nemmeno il nostro vicino di casa, un signore settantenne dall'aria cortese ma estremamente impiccione, che di solito si trasferiva nella seconda casa durante l'estate per affrontare – in compagnia della moglie e della figlia zitella – la calura estiva.
Dopo aver sistemato la spesa in frigorifero uscii di nuovo in giardino, aprii la sedia a sdraio e mi piazzai, tomo da mille pagine alla mano, all'ombra di un piccolo abete vicino alla staccionata che separava le due proprietà. Il sole era caldo anche a quell'altitudine, ma la brezza e la chioma verde scuro dell'albero contribuivano a mantenermi fresca. Ogni tanto il venticello mi portava il profumo delle fragoline di bosco, che avevo coltivato appositamente in una striscia di terreno separata da tutto il resto e che in quel periodo erano nel pieno della maturazione. Prima di aprire il libro le fissai leccandomi le labbra. «Le raccoglierò dopo, ora c'è troppo sole», dissi riflettendo a voce alta, per poi spalancare il volume.
Avevo letto a malapena una decina di pagine quando il rombo di un'automobile in avvicinamento mi fece drizzare le orecchie. Avvertii distintamente il rumore del cancello del vicino che si apriva e sbuffai.
Ecco, è finita la pacchia”, pensai tra me, consapevole che il signor Giuseppe, il confinante impiccione, stava arrivando. Se avessi voluto continuare a leggere in santa pace avrei dovuto cambiare immediatamente zona, prima di essere subissata di domande e di discorsi frivoli e poco interessanti.
Mi alzai quindi dalla sedia e voltai le spalle al giardino confinante, intenta a chiudere la sdraio per spostarmi dalla parte opposta del giardino, lungo un ruscelletto che divideva la nostra proprietà da un pascolo pieno di mucche.
«Buongiorno Giuseppe», dissi non appena sentii sbattere lo sportello dell'auto, senza neanche curarmi di voltarmi verso di lui, ben intenzionata a fargli capire che non avevo nessuna voglia di intavolare una conversazione. Tuttavia la voce che mi rispose, acuta e leggermente nasale e che non era quella del mio vicino, mi costrinse a girarmi di scatto.
«Buongiorno... ma non sono Giuseppe. Sono suo nipote».
Rimasi a fissare quasi incantata, con la bocca semiaperta per lo stupore, il giovane uomo che mi stava davanti. Doveva avere circa una trentina d'anni, forse qualcuno in più; non era altissimo ed era magro come un giunco, nonostante la sua muscolatura fosse ben delineata sotto la maglietta attillata. Ma quello che mi colpì di più fu il suo caschetto di capelli color biondo scuro, quasi bronzeo.
Avevo sempre avuto un debole per i ragazzi biondi, e inevitabilmente non potei fare a meno di ammirarlo mentalmente prima di decidermi a parlare. Il mio silenzio sorpreso si stava protraendo troppo a lungo e rischiavo di fare la figura della cretina.
«Scusami», balbettai. «Ero convinta che fosse... tuo zio?». Esitai, incerta se dire zio o nonno, e lui annuì.
«Sì, Giuseppe è mio zio», ribadì. «Mi chiamo Luca», si presentò, tendendomi la mano da sopra la staccionata. La strinsi: il suo palmo era asciutto e le dita lunghe e affusolate, dalla presa ferrea.
«Nicoletta», risposi.
A questo punto non aveva più alcun senso spostarmi: anche se questo giovanotto avesse voluto intavolare una conversazione non mi sarei certo tirata indietro, visto che era molto gradevole da guardare; perciò mi rimisi seduta sulla sdraio e ripresi in mano il mio libro, mentre lui tirava fuori il bagaglio dalla macchina.
Alzai lo sguardo appena in tempo per vedere la custodia nera di una chitarra.
«Sei un chitarrista?», mi venne spontaneo chiedere, dimenticando improvvisamente la mia naturale reticenza verso gli estranei e attaccando bottone per prima.
Luca annuì di nuovo. «Spero non ti dispiaccia se più tardi suonerò qualcosa. Devo prepararmi per il saggio della scuola di musica e mio zio mi ha dato il permesso di venire a esercitarmi quassù», spiegò. «I miei vicini di casa, ultimamente, fanno un sacco di storie».
Feci un sorriso di circostanza, immaginando che fosse uno studente – forse un po' attempato – di chitarra che non aveva molto talento.
«È da tanto che studi la chitarra?».
Lui si mise a ridere. «No, non sono io che la studio, io la insegno! Sono uno dei maestri della Factory Music di Bologna».
Arrossii involontariamente per la gaffe, ma Luca parve non avvedersene e continuò a raccontare a ruota libera.
«Tutti gli anni gli studenti devono preparare un pezzo da proporre durante il saggio di fine corso. Ovviamente ci sono anche degli aspiranti cantanti e io dovrò suonare la chitarra in tutte le loro esibizioni. È per questo che mi devo preparare. I miei vicini sono stanchi di starmi a sentire semplicemente perché faccio parte di una Cover Band, e spesso con i miei amici suoniamo nel mio seminterrato».
Mentre parlava a raffica aveva scaricato il resto delle sue cose. Portò tutto quanto in casa e poi tornò fuori, prendendo subito in mano chitarra e spartiti.
Le sue note, per quanto dolci, disturbarono la mia lettura. Non riuscivo più a concentrarmi, così abbandonai il libro sull'erba e mi misi a osservarlo suonare. Si era seduto a gambe incrociate all'ombra di una betulla. La lieve brezza faceva stormire le foglie che, nel loro ondeggiare, ogni tanto lasciavano passare un raggio di sole. Quando i suoi capelli venivano colpiti, attorno al suo caschetto biondo si accendeva una sorta di aureola luminosa, tanto da farlo somigliare a una creatura angelica. Le sue dita lunghe e affusolate correvano delicatamente sulle corde, pizzicandole con maestria. La sua bocca era atteggiata in una lieve smorfia di concentrazione che si accentuava quando interrompeva le note per dare una rapida occhiata agli spartiti. Mi ritrovai a immaginare quanto potessero essere morbide le sue labbra, e a cosa avrei provato nel sentire i suoi polpastrelli su di me.
Forse nel sentirsi così intensamente osservato, Luca alzò gli occhi e mi sorrise. Mi sentii arrossire come una quindicenne e distolsi immediatamente lo sguardo.
Sei una stupida!”, pensai, trattenendomi a stento dal darmi un pugno sulla fronte. “Sei una donna di quarant'anni, sposata e con un figlio. Non dovresti perderti in fantasie su un ragazzo che, come minimo, ha dieci anni meno di te!”.
Chiusi gli occhi e sospirai, voltando la schiena al giovane uomo.
Ero soddisfatta del mio matrimonio? Me lo chiesi involontariamente, e la mia immediata risposta fu: “Sì, certo!”. Mio marito non mi faceva mancare nulla e mio figlio era il bambino più adorabile del mondo, nonostante a volte mi facesse arrabbiare. Ma...
C'era un “ma” grande come una casa intera: era vero che mio marito era sempre attento ai miei bisogni, ma sentivo già da un po' che il nostro rapporto non era più intenso come un tempo. Forse gli anni lo avevano raffreddato, trasformando tutto quanto – anche il sesso – in una sterile routine. Il mio cervello di donna mi diceva che dovevo accontentarmi di quello che avevo; che non dovevo lamentarmi e, anzi, essere contenta di ciò che la vita mi offriva. Ma il mio cuore di ragazzina cercava ancora quell'entusiasmo che mi avrebbe fatto pulsare il cuore e che, con mio marito, ormai era perduto. E se Luca fosse stato messo sul mio cammino dal destino? Da quello stesso destino che aveva mandato il mio consorte alla convention, mio figlio al parco divertimenti con i nonni e aveva lasciato me da sola nella nostra baita di montagna?
Scossi la testa. Che sciocca che ero! Come potevo anche minimamente pensare di poter suscitare l'interesse di un ragazzo così giovane e bello come quello che suonava la chitarra alle mie spalle? Di sicuro doveva avere una fidanzata bella e giovane quanto lui con cui io, col mio fisico appesantito dalla gravidanza, il volto anonimo e la mia età, non avrei neanche potuto competere.
Trassi un altro sospiro e mi alzai dalla sdraio, allontanandomi dalla staccionata che divideva i due giardini. Luca se ne accorse e smise immediatamente di suonare.
«Ti sto dando noia, vero? Forse dovrei andare in casa a provare».
Mi voltai a guardarlo con un sorriso tirato.
«No, assolutamente. È solo che ho voglia di sgranchirmi un po' le gambe», risposi, cercando di mostrarmi il più naturale possibile.
In quel momento una folata di vento più forte delle altre portò alle nostre narici il profumo delle fragoline di bosco. Luca mugolò di piacere e allungò lo sguardo verso il mio giardino.
«Ehi, ma sono fragoline, quelle?», chiese indicandole col dito.
Mi voltai a fissare la lunga aiuola color verde chiaro e rosso fuoco.
«Sì», risposi. «Sono mature, ormai, e avevo intenzione di raccoglierle più tardi, non appena sarà calato un po' il sole».
Tornai a posare lo sguardo su di lui appena in tempo per vederlo leccarsi le labbra, un gesto che mi fece vibrare di piacere.
«Mi piacciono da impazzire le fragoline di bosco», sospirò.
«Puoi raccoglierle anche tu, se vuoi», mi ritrovai a dire, la bocca completamente asciutta.
Luca annuì. «Allora, se non ti dispiace, quando le raccoglierai tu verrò anch'io».
Feci di sì col capo a mia volta, incapace di parlare. Tenevo gli occhi fissi sulle sue labbra grandi e morbide, di un tenue rosa scuro, appena velate – come il resto del suo volto – da un filo di barba dorata. Lui dovette avvedersi del mio sguardo perché sorrise e ammiccò.
Scrollai la testa e mi allontanai verso il fondo del giardino con un cenno di saluto. Il cuore mi batteva all'impazzata nel petto mentre mi davo di nuovo della scema. Luca aveva visto chiaramente il mio sguardo da lupa e, di sicuro, doveva avermi giudicato una tardona in cerca di un'avventura con qualcuno molto più giovane di me.
«Che figura di merda!», sibilai, buttandomi sull'amaca sistemata tra due faggi, proprio sul bordo del piccolo ruscello. «Chissà quanto riderà di me, adesso...».
Chiusi gli occhi e cercai di rilassarmi, cullata dallo scrosciare del piccolo rio e dal dondolio dell'amaca. Ogni tanto la brezza mi portava le note della sua chitarra e, complice anche il calore del sole che filtrava tra i rami e il ronzio degli insetti, ben presto mi appisolai.


Quando mi ridestai di scatto, tesi le orecchie: il suono della chitarra era scomparso. Guardai l'orologio: era quasi l'una di pomeriggio e non avevo ancora mangiato. Convinta che Luca fosse in casa a pranzare tornai lentamente verso il mio appartamento, risalendo il pendio del giardino diretta all'ingresso di casa. Quando arrivai vicino alla staccionata che divideva le due proprietà, però, la voce del giovane uomo mi fermò.
«Dormito bene?».
«Come fai a sapere che ho dormito?», chiesi, scontrosa mio malgrado.
«Innanzi tutto perché hai ancora gli occhi assonnati», rispose Luca ridendo. Mi sfregai vigorosamente le palpebre mentre lui riprendeva a parlare: «E poi perché ti ho chiamato un paio di volte per chiederti se ti andava di mangiare qualcosa con me, ma non mi hai risposto».
Lo guardai stupita.
«Sul serio?».
«Sul serio cosa?», chiese, inarcando le sopracciglia biondo scuro.
«Vuoi mangiare in mia compagnia?».
Lui si strinse nelle spalle. «Perché no? Tu sei sola, io sono solo... che senso ha mangiare ognuno per conto proprio quando possiamo fare una chiacchierata? Sempre se ne hai voglia, ovviamente», aggiunse, alzando le mani all'altezza delle spalle come se avesse voluto scusarsi.
Mi ritrovai a sorridere come una sciocca mio malgrado.
«Certo che ne ho voglia».
«Allora vieni!».
Mi porse la mano per aiutarmi a scavalcare la staccionata e solo allora mi resi conto che aveva aperto un tavolino pieghevole, lo aveva apparecchiato per due e aveva già preparato un'insalata mista, pomodori, tonno e formaggio.
«Aspetta, vado a prendere i miei pomodori», dissi incamminandomi verso la cucina, ma Luca mi bloccò.
«Domani mangeremo le tue cose. Oggi mangiamo le mie!», rispose, in un tono che non ammetteva repliche.
Accettai quindi la sua mano, saltai nel suo giardino – o meglio nel giardino di suo zio – e mi accomodai sulla sedia che mi offrì.
Mentre mangiavamo parlammo del più e del meno. Gli raccontai di mio marito e di mio figlio, e del perché non fossero presenti, e lui mi raccontò della scuola di musica in cui insegnava e della Cover Band in cui suonava.
«Di solito suoniamo canzoni di Ligabue alle sagre di paese, durante l'estate. Ma a volte ci chiedono anche canzoni internazionali, così siamo diventati un po'... versatili, ecco», disse sorridendo tra un boccone e l'altro.
«Non mi piacciono molto le canzoni di Ligabue», ammisi. «Preferisco la musica straniera».
«Chi ti piace?», chiese Luca, sinceramente incuriosito.
«Sono molto selettiva in ambito musicale». Lui sollevò le sopracciglia con fare interrogativo e io spiegai: «Quando mi fisso su un cantante, o su un gruppo, poi ascolto esclusivamente quello ignorando tutti gli altri. Di solito vado a periodi».
«E ora in che periodo sei? Magari se è un cantante che conosco posso suonarti qualcosa di suo».
Un sorriso ampio gli illuminò tutta la faccia mentre il suo labbro superiore si sollevava a rivelare due enormi incisivi centrali, simili a quelli di uno scoiattolo. Mi venne da sorridere nel vederli perché, involontariamente, li abbinai alla sua voce simile a quella di un Chipmunk.
«Perché ridi? Che ho detto di strano?», chiese stranito.
Non esitai a rispondere, a costo di passare per maleducata: «Ti ha mai detto nessuno che somigli ad Alvin di “Alvin and the Chipmunks”?».
Lui si sporse sul tavolo verso di me.
«Per via dei miei dentoni?», chiese, indicandoli.
«Non solo, anche per la tua voce», risposi, sporgendomi a mia volta verso di lui. In quel momento mi resi conto che i suoi occhi, dal leggero taglio a mandorla rovesciata, erano di un incredibile verde chiaro che virava al grigio. «Wow... che begli occhi che hai...» mi ritrovai a mormorare mio malgrado, fissando lo sguardo su di essi.
«Grazie...», rispose Luca in un soffio.
Mi morsi involontariamente il labbro inferiore mentre mi soffermavo ancora una volta sul suo volto dalla forma di ovale perfetto, sulla sua bocca larga dalle labbra carnose, sul suo naso importante e dalla punta leggermente curva verso il basso, su quegli occhi del colore del mare in inverno e su quel caschetto di capelli color bronzo.
Mi schiarii rumorosamente la gola e mi trassi bruscamente indietro, rischiando di ribaltare la sedia pieghevole e contribuendo a rendermi ancora più ridicola.
Ecco”, pensai sconsolata, “se prima, magari, non si era accorto che lo stavo mangiando con gli occhi, adesso l'ha capito perfettamente”.
Ma Luca non fece nessun commento e continuò a chiacchierare amabilmente, come se non fosse successo assolutamente nulla.
«Non mi hai ancora detto chi è il tuo cantante preferito in questo momento», disse, riprendendo l'argomento lasciato in sospeso.
«Si tratta di un vecchio gruppo americano che si chiama “Chicago”. Non credo che tu lo conosca», risposi scuotendo il capo.
Il giovane uomo mi sorrise.
«Tu dici?», chiese in tono ironico, per poi alzarsi a prendere la sua chitarra classica e mettersi a strimpellarla.
Riconobbi immediatamente le note di “If you leave me now”, uno dei più grandi successi del mio gruppo preferito. Quello che non mi aspettavo, però, era che Luca si mettesse pure a cantarla. Non era intonatissimo, ma con la sua voce acuta riuscì a imitare quasi alla perfezione il falsetto di Peter Cetera tanto che, per un istante, riuscii a immaginare di avere davanti proprio il cantante e bassista dei Chicago, che aveva in comune con Luca i capelli biondi e gli occhi verdi.
Nonostante fossi ancor meno intonata di lui cominciai a cantare a mia volta. Il nostro coretto improvvisato disturbò una cornacchia appollaiata su uno degli alberi vicini e che volò via gracchiando sdegnosa.
«Perfino quella cornacchia dice che sono stonato come una campana!», rise Luca smettendo di suonare.
Mi unii alla sua risata. «Ti faccio compagnia, in questo. Anch'io a cantare faccio schifo!».
Finito di pranzare aiutai il giovane uomo a sparecchiare e a lavare i piatti. Mentre mi passava alle spalle e mi sfiorava, stretti l'uno accanto all'altro al minuscolo lavabo, sentii un lungo brivido percorrermi la schiena. Ancora una volta mi diedi mentalmente della stupida e della cretina: come potevo immaginarmi stretta tra le sue braccia magre ma dalla muscolatura ben delineata, mentre avevo una famiglia che mi aspettava a casa?
Eppure era proprio così. Non riuscivo a smettere di pensare ai suoi occhi grigio verdi, alle sue labbra grandi e morbide che parevano fatte apposta per baciare, alle sue dita affusolate e al desiderio di sentirmele scorrere ovunque sulla pelle. All'improvviso sentii il suo sguardo su di me. Non potevo sbagliarmi: il suo era lo sguardo di un uomo curioso, malizioso e dannatamente sensuale. Lo sguardo che mio marito, ormai, non mi riservava più da anni.
Mi azzardai ad alzare gli occhi su di lui, scoprendo che le sue iridi mi stavano scrutando in profondità, come se avessero voluto perforarmi l'anima. Possibile che la stagione dell'amore stesse tornando, per me? No, mi stavo sbagliando senz'altro. Luca stava semplicemente giocando con me, conscio dell'interesse che, mio malgrado, avevo manifestato nei suoi confronti.
Mi affrettai a rigovernare.
«Ecco fatto!», esclamai quando ebbi finito di strofinare l'acquaio con una spugna per asciugarlo. «Me ne torno al mio libro, se non ti dispiace», dissi secca, cercando di smorzare quella strana tensione fisica che era venuta a crearsi tra di noi.
Luca annuì. «Più tardi, allora, posso venire a raccogliere le fragoline?».
Mi strinsi nelle spalle. «Come vuoi».
Il tono in cui pronunciai quelle ultime due parole mi fecero guadagnare un'occhiata stranita da parte del giovane uomo, che forse non riusciva a capire tutti i miei continui sbalzi di umore.
Beh, che dia pure la colpa alla menopausa”, pensai con astio, benché fossi ancora lontanissima da quel periodo della vita di una donna, avendo compiuto da poco i quarant'anni. “Sai che me ne importa!”.
Recuperai il romanzo che giaceva ancora abbandonato sull'erba e tornai all'amaca. Mi buttai su di essa e, schermandomi gli occhi con la mano, ripresi la lettura. Ben presto ricominciarono anche le note della chitarra di Luca, arrivandomi a volte nitide a volte soffuse a causa della brezza fresca che, nel pomeriggio, spirava sempre più insistentemente in quella zona dell'Appennino. A quel suono tornai con la mente alle sue dita lunghe e affusolate, ai suoi polpastrelli resi callosi dallo sfregamento continuo con le corde, alla sua espressione assorta nella musica. Cercavo di leggere le parole stampate sulla carta ma i miei occhi non riuscivano più a vederle, concentrati com'erano nel rievocare l'immagine del volto di Luca, delle sue labbra socchiuse, dei suoi occhi attenti.
Con uno sbuffo e un sibilo buttai via il libro e mi schiacciai le mani sulla faccia, frustrata.
«Smettila Nicoletta!», sibilai rivolta a me stessa. «Forse avrei fatto meglio a starmene a casa...», aggiunsi. Di sicuro, là non avrei dovuto combattere quella lotta tra ragione e sentimento.


Lentamente il sole cominciò a calare dietro gli alberi lungo il piccolo rio e l'aiuola delle fragoline fu finalmente in ombra. Scesi dall'amaca e risalii verso di essa. Anche se mi scocciava moltissimo, perché avrei voluto tenere Luca alla maggior distanza possibile da me, ormai gli avevo dato il permesso di venire a raccoglierne una parte, e se mi fossi messa a farlo senza invitarlo sarei passata davvero per una grandissima maleducata. Perciò mi feci forza e mi accostai alla staccionata, schiarendomi la gola per attirare la sua attenzione.
Lui si avvide subito della mia presenza e posò immediatamente la chitarra, alzandosi in piedi.
«Beh... io mi metto a raccogliere le fragole. Se vuoi farlo anche tu...», esordii, senza sapere bene da che parte guardare. Luca annuì semplicemente e, con agilità, saltò la barriera di legno atterrando al mio fianco.
«Hai un contenitore dove metterle?», chiesi, vedendo che non aveva niente dove poterle conservare.
Lo vidi arrossire per la prima volta.
«In realtà pensavo di mangiarmele subito», ammise, passandosi distrattamente la mano destra nel caschetto di capelli biondo scuro.
«Okay, non c'è problema. Comincia pure, allora, intanto io vado a prendere una ciotola per me».
Quando tornai di nuovo in giardino dalla cucina lo trovai intento a raccogliere i piccoli frutti più maturi. Sollevava con delicatezza gli steli carichi di fragoline, staccava le più rosse e se le ficcava in bocca a quattro o cinque alla volta. Mi soffermai per un istante a guardare le sue labbra morbide già macchiate dal succo color fuoco delle bacche, e pensai a quanto mi sarebbe piaciuto essere uno di quei piccoli frutti per poter essere divorata da lui.
Trattenni a stento un singulto mentre uno strano calore mi invadeva il basso ventre. Luca alzò lo sguardo su di me e, con un sorriso malizioso e sporco di rosso, mi invitò a raggiungerlo. Con un sospiro spezzato mi piazzai in ginocchio di fronte a lui, a raccogliere i frutti che non aveva ancora raggiunto. Con la stessa delicatezza sollevavo le foglie verdi delle piantine per portare allo scoperto le bacche celate al di sotto e, nel far così, a un tratto le nostre dita si scontrarono. Alzai immediatamente lo sguardo, un'espressione colpevole sul volto, ma il giovanotto che mi stava davanti rispose al mio sguardo con un altro sorriso. A quanto pareva lui era totalmente a suo agio, mentre io avrei voluto nascondermi in uno dei numerosi buchi lasciati dalle talpe pur di non fargli capire quanto la sua presenza mi stesse destabilizzando.
Le nostre dita si incrociarono più volte ma anch'io finsi indifferenza finché, a un certo punto, Luca lanciò un'esclamazione di sorpresa che mi fece alzare subito gli occhi.
«Guarda questa fragolina! È enorme!», disse, mostrandomi un frutto particolarmente grande per essere una fragola di bosco.
«Sì», risposi, «spesso ne trovo di molto grosse. Forse perché le ho coltivate con tanto amore...».
Il mio commento cadde nel vuoto. Luca mi porse il frutto e io avvicinai il contenitore, convinta che volesse lasciarcelo cadere dentro. Quando vidi che la sua mano, però, si avvicinava inesorabilmente alle mie labbra mi bloccai.
«Cosa...», balbettai, sentendo il volto andarmi a fuoco.
«Tieni, mangiala tu».
Feci per prenderla con le dita ma lui si allontanò.
«Apri la bocca...», sussurrò suadente, per quanto poco avesse di sensuale la sua voce da Chipmunk.
Il cuore iniziò a battermi come un forsennato nel petto. Cosa aveva intenzione di fare? Mi stava prendendo in giro oppure il suo era un interesse reale? E io, come avrei reagito? La mia mente mi diceva di strappargli il frutto di mano e di buttarlo nella ciotola, ma quell'entusiasmo che faceva pulsare di nuovo il mio cuore mi fece schiudere la bocca, sporgendomi al contempo verso di lui.
Luca lasciò cadere la fragolina tra le mie labbra per poi chiudermele con un bacio. Sgranai gli occhi, fissandoli nelle sue iridi grigio verdi. Il suo naso importante si scontrò con il mio, ma ciò non lo fece desistere. Si sistemò meglio sulle gambe accovacciate e mi passò una mano dietro la schiena, attirandomi verso di lui.
Persi l'equilibrio precario che avevo e andai a finire lunga distesa in mezzo alle piantine di fragole, tirandomelo dietro nella caduta. I nostri corpi si ritrovarono intrecciati l'uno all'altro mentre il profumo delle bacche schiacciate si sprigionava attorno a noi, in maniera tanto intensa da diventare persino tangibile.
«Luca, ma che diamine...», ansimai quando finalmente riuscii a liberare le labbra.
«È da quando sono arrivato che la tua bocca mi chiede di baciarla», mi rispose in un sussurro, gli occhi dal taglio a mandorla rovesciata – che gli conferivano un'espressione perennemente malinconica – inchiodati nei miei.
«Luca, Cristo, ho quarant'anni! Tu ne avrai a malapena trenta!», esclamai indignata cercando di liberarmi dal peso del suo corpo, ma le sue braccia mi tennero imprigionata a terra, in mezzo al verde e al rosso fuoco delle fragoline di bosco.
«Ne ho trentacinque», disse con semplicità, ma l'appurare che gli anni di differenza tra noi due erano solo cinque non mi fece sentire meglio. Ero comunque... vecchia.
Luca cercò di avventarsi nuovamente sulle mie labbra ma io riuscii a scostarmi.
«Sono una donna sposata!», cercai di nuovo di protestare benché questa volta, mi resi conto io stessa, con meno convinzione.
«Eppure, dai tuoi occhi e dal modo in cui non hai fatto altro che fissarmi, oggi, mi pare di aver capito che tuo marito non ti soddisfi più come un tempo».
Mi ritrovai a sussultare, impressionata dalla sua perspicacia: come aveva fatto a capirmi semplicemente osservandomi? Ero stata così chiara nonostante avessi cercato di trattenermi? “Certo, stupida che non sei altro!”, pensai convulsamente. “Non hai fatto altro che mangiarlo con gli occhi!
Mi agitai ancora sotto di lui nel tentativo di liberarmi e, quando oppose resistenza, sbottai: «Lasciami almeno spiegare!».
Luca mi lasciò andare e io mi misi seduta, uscendo dall'aiuola delle fragoline. La maggior parte delle piantine erano schiacciate. Le fissai con un sospiro prima di iniziare a parlare.
«Hai ragione, Luca», dissi, dopo un altro lungo respiro. «La passione tra me e mio marito non è più quella di un tempo».
Mi passai una mano sulla faccia: era strano parlare di un argomento così intimo con un perfetto sconosciuto, eppure avevo come l'impressione che quel giovanotto minuto, dagli occhi color del mare d'inverno, riuscisse a capirmi perfettamente.
«Non mi fa mancare nulla, intendiamoci», ripresi, fissando lo sguardo nel vuoto, «ma quando andiamo a letto insieme non scatta più quella... scintilla, ecco».
Luca annuì silenziosamente, invitandomi a continuare.
«Quando ti ho visto ho subito sentito qualcosa, come una specie di brivido... prendimi pure per una tardona col cervello da ragazzina, ma è andata esattamente così».
«Non sei una tardona», mi interruppe. «E io ho sempre avuto un debole per le donne più grandi di me», ammise con candore.
«Beh, ecco...», ripresi con un pizzico di imbarazzo. «Ho sentito di aver bisogno di un nuovo entusiasmo, di percepire ancora una volta quella vibrazione del cuore che si sente solo quando sei emozionato. E, stupidamente, ho immaginato di poterlo provare con te».
«Perché stupidamente?».
«Perché io non...».
Luca mi bloccò le parole in bocca, interrompendomi con un altro bacio. Le sue labbra calde e morbide premettero sulle mie con insistenza, per poi socchiudersi e lasciar spazio alla lingua. Risposi al bacio, lasciandomi cadere di nuovo tra le piante di fragoline. Il loro profumo inebriante ci avvolse ancora, quasi ubriacandomi.
Il mio cuore vibrava di passione mentre Luca lasciava scorrere le sue mani e le sue dita affusolate sulla mia pelle, insinuandole sotto la maglietta alla ricerca dei miei seni grandi e pieni. Li strizzò con dolcezza prima di farmi passare agilmente la mano dietro la schiena e slacciarmi il reggiseno. Sollevò ogni strato di stoffa che copriva il mio torso fino a raggiungerlo, avventandosi prima su un capezzolo e poi sull'altro.
Per rendere il gioco ancora più goloso raccolse un paio di frutti e li mise nel solco tra i seni, per poi tuffarsi a prenderli con la bocca, macchiando la nostra pelle del succo rosso fuoco. Gli passai le mani nel caschetto di capelli color bronzo ed esalai il suo nome in un sospiro, schiacciandolo contro di me.
Ben presto ci ritrovammo nudi, l'aroma delle fragole di bosco tutto attorno a noi. Luca si adagiò sopra di me e fissò le sue meravigliose iridi grigio verdi nelle mie. Mi persi ancora una volta a contemplare quel volto dall'ovale perfetto, quella zazzera bronzea che gli spioveva sugli occhi, quel naso importante ma dalle fattezze piacevoli, quella bocca grande e pronta a baciare. E quando, infine, entrò in me, il mio cuore prese a pulsare all'impazzata, avvinto da quell'entusiasmo che non provavo più da tanto – troppo – tempo, ormai.
Luca iniziò a danzare sopra il mio corpo, muovendosi con un ritmo lento e sensuale. La sua virilità era calda e soda, e affondava con dolcezza tra le mie carni bramose. Tenendo le braccia puntate a terra per non gravarmi col suo peso, mi penetrò fissandomi negli occhi, pronto a captare ogni più piccola espressione di piacere sul mio volto. Lasciò che l'orgasmo crescesse in me pian piano, un affondo alla volta, finché non esplosi gridando il suo nome e avvolgendogli le cosce attorno al torso. Solo allora accelerò i suoi movimenti, rovesciando indietro la testa e socchiudendo gli occhi. Il suo viso si trasfigurò in una smorfia di passione mentre il respiro gli sfuggiva dalle labbra in piccoli rantoli spezzati. Infine, raggiunse il primo dei numerosi orgasmi che avremmo provato, uscendo di scatto da me e spandendo il suo seme sul mio ventre caldo e morbido.


Ci placammo soltanto a tarda sera, quando ormai il sole era tramontato da un pezzo e la brezza cominciava a farsi fin troppo fresca.
Con la testa appoggiata nell'incavo della spalla sinistra di Luca, allungai una mano in cerca di uno dei pochi piccoli frutti sopravvissuti e me lo portai distrattamente alle labbra. Il giovane uomo si voltò verso di me e me lo strappò di bocca con un bacio; poi ne raccolse un altro, lo mise tra le proprie labbra e mi invitò a fare altrettanto. Trattenni a stento un brivido, non soltanto di freddo.
«Forse è meglio se ci rivestiamo e andiamo in casa, che ne dici?», mi chiese Luca con un sorriso.
Annuii, alzandomi in piedi a malincuore. Il sogno che avevo appena vissuto stava per finire.
«E chi lo dice?», replicò lui non appena glielo dissi. «Io resterò qui fino a domani e anche tu, vero?».
«Sì».
«E allora chi ci vieta di stare ancora insieme?».
Lo fissai incredula, il cuore che riprendeva ancora una volta a battere come un forsennato.
«Davvero lo vuoi?», chiesi, timorosa di sentire la sua risposta.
«Certo che lo voglio. Anzi, che ne diresti di cominciare con una bella doccia... insieme?».
Ammiccò in direzione dei nostri corpi, macchiati di verde e di rosso. Sorrisi, lo presi per mano e lo guidai dentro casa.


Infine, dopo aver fatto di nuovo più volte l'amore durante la notte e nel corso della mattina successiva, giunse il pomeriggio e quindi il momento di separarci. Mi persi per un'ultima volta nei suoi occhi prima di stringerlo a me in un forte abbraccio.
«Grazie, Luca», gli mormorai all'orecchio. «Mi hai fatto sentire di nuovo viva dopo tanti anni... un po' come se avessi vissuto una nuova stagione dell'amore. Non credevo di poter provare di nuovo un desiderio così intenso, dopo quindici anni di matrimonio».
«Non lo sai che i desideri non invecchiano con l'età?», rispose il giovane uomo, posandomi un lieve bacio sulle labbra.
Lo accompagnai in giardino e lo osservai saltare agilmente la staccionata, per poi guardarlo sparire nel suo appartamento.
Tirai un ultimo sospiro e tornai dentro. Dovevo rimettere tutto a posto prima di tornare a casa, e far sparire ogni traccia di ciò che c'era stato tra Luca e me. Raccolsi le lenzuola lentamente, carezzandole mentre le piegavo e le riponevo nel borsone per portarle a casa e lavarle. Quella stoffa conservava ancora il nostro odore, l'aroma della nostra unione, a testimonianza del desiderio che ci aveva avvinti.
Una volta pronta e di nuovo all'aperto, mi soffermai a guardare l'aiuola delle fragoline, le piantine irrimediabilmente rovinate.
«A mio marito dirò che sono stati i cinghiali», dissi tra me con un sospiro, prima di caricare i bagagli in macchina.
Nel suo giardino, Luca stava facendo altrettanto. Mi voltai a guardarlo per dargli un ultimo saluto.
«Addio, Luca».
Lui mi strizzò l'occhio.
«Arrivederci, Nicoletta». E, con un bacio lanciato sulla punta delle dita lunghe e affusolate, salì sulla sua auto, mise in moto e se ne andò.
Mi lasciai sfuggire un sorriso. “Un arrivederci?” pensai. “E perché no?”.
Mugolando una canzone partii anch'io, lasciandomi alle spalle il nostro chalet di montagna che, da quel giorno in avanti, avrei visto con occhi diversi. Gli occhi dell'amore.

 

 

Spazio autrice:

Innanzi tutto voglio ringraziare Artnifa per aver indetto il contest, che mi ha dato modo di rispolverare ancora una volta il mio Luca e di tirarlo fuori dal cassetto dove lo avevo riposto.
Lascio alcune piccole annotazioni, sia su di lui che su alcune parti della storia.
Luca è un giovane uomo di 35 anni, studia la chitarra da quando ne aveva 10 e a 18 anni si è diplomato al Conservatorio. Lavora come insegnante di chitarra in una scuola di musica privata e, per arrotondare, suona come chitarrista in una Cover Band di Ligabue, insieme a suo fratello Mirko al basso e agli amici Andrea e Fausto, rispettivamente batterista e cantante. La sua voce è acuta e leggermente nasale, e con i suoi incisivi da scoiattolo viene spesso paragonato ad Alvin, il Chipmunk creato da Ross Bagdasarian, protagonista di molti cartoni animati e film, nonché cantante dell'omonimo gruppo “Alvin and the Chipmunks”.
È un inguaribile donnaiolo, infatti nella maggior parte delle storie che ho scritto su di lui lo troviamo alle prese con donne più o meno giovani, anche se di solito lui predilige le donne un pochino più grandi di lui. Ma è anche dolce, sensibile e ama molto i bambini.
Il titolo della storia, così come la citazione all'inizio, sono tratti dalla canzone “La stagione dell'amore” di Franco Battiato. L'ho presa come una sorta di prompt, e infatti si possono trovare riferimenti alla canzone sparsi per tutto il testo. Se volete, potete ascoltarla qui: https://www.youtube.com/watch?v=J1IT9WqI7zA
Inoltre, non sono riuscita a resistere alla tentazione e ho inserito anche i Chicago, il mio gruppo preferito, in una piccola citazione. “If you leave me now” è uno dei loro cavalli di battaglia, tratto dall'album Chicago X. Se volete, potete ascoltarla qui: https://www.youtube.com/watch?v=j1ykMNtzMT8
Spero che la lettura sia stata di vostro gradimento.

 

  
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