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Autore: Akainatsuki    11/07/2020    0 recensioni
Aki Ross è una giovane kitsune e vive come fattorina e tuttofare del Tampopo, il ristorantino di udon che richiama i tanti mutaforma che gironzolano nella città di Hillside. Una vita tranquilla e quotidiana per gli standard di una kitsune adolescente, fino a quando qualcuno dal suo passato non decide di ritornare al piccolo locale.
***
Di mezzi asiatici con i capelli colorati ce ne erano a bizzeffe in giro, ma quello che ora sedeva accanto a lei, osservandola sottecchi, era tra i più ricorrenti nomi delle chiacchiere in aula.
“Kozaki” borbottò, toccandosi il cerotto che aveva sulla fronte. “Buon pomeriggio anche a te.”
Si erano incrociati spesso dal suo ingresso alla Hillside High School, ora davanti allo studio del preside per l’ennesima ramanzina, ora a farsi sistemare il naso in infermeria. Non si erano mai davvero parlati, qualche occhiata derisoria o sbuffo di stizza esclusi, dato che non avevano mai nemmeno avuto nulla da dirsi. Inoltre, parlare con un ragazzo significava che c’era qualcosa sotto, e Aki voleva evitare di avere altri problemi oltre ai suoi casini quotidiani.
Genere: Azione, Dark, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Ada Kisaragi aveva appena ricevuto il compito di tenere la piccola Aki Ross sott’occhio, senza dare troppo nell’occhio ed essere pronta a dare un occhio per lei.

Si lasciò andare ad un sospiro pesante: proprio delle volpi le venivano a raccontare di occhi, che tenevano sempre strizzati nei loro discorsi, come se fossero al contempo impegnate a osservare qualcosa di cui gli altri non avevano la minima idea e di cui non avrebbero proferito parola.

Chinò il capo di lato, giocherellando nervosa con le ciocche riottose dei corti capelli scuri, per poi rivolgere di nuovo l’attenzione all’altra presenza che si rifletteva con lei, impettita nel suo camice bianco.

“La bambina ha perso entrambi i genitori, ma è così come vanno le cose” commentò laconico l'ometto che le stava accanto, lisciandosi i dritti baffetti argentei tra le dita, mentre guardava dall’altra parte del vetro dove l’oggetto della loro conversazione dormiva, circondata da altri appena nati.

“Ho già un bimbo piccolo.” 

Cercò di replicare, distogliendo lo sguardo, stringendosi nel soprabito primaverile che aveva indossato in fretta e furia nella corsa verso l’ospedale. “Non voglio mancare di rispetto, ma mio marito non sta bene. Abbiamo un’attività da mandare avanti e una bocca in più da sfamare potrebbe rendere la situazione complicata.”

Le rivolse un’occhiata silenziosa, dietro gli occhialini sottili.

“Non gliela stiamo affidando, Kisaragi-san. Vogliamo solo che la tenga sotto osservazione, specialmente tra qualche annetto quando si avvicinerà il momento.” Tamburellò sulla cerniera di metallo del finestrone. “Ha dei parenti qui a Hillside, ma nessuno di loro sarà in grado di gestirla tra qualche tempo: per questo ho pensato a lei.”

Aggrottò la fronte, trincerandosi: “Nella mia famiglia facciamo udon.”

“Siete un punto d’incontro, esattamente a pochi isolati dalle persone a cui l’affideremo. Inoltre fate degli ottimi kitsune” ribatté, abbozzando un sorrisetto. “A tempo debito le daremo tutte le informazioni che le serviranno e l’aiuteremo a non perderla di vista: suo figlio é di poco più grande, corretto?”

Stirò le labbra in una linea sottile, annuendo appena mentre la voce si induriva: “Preferirei non-”

Si interruppe, stringendosi nelle spalle e cercando far arrivare le parole sulla lingua, improvvisamente così difficili da pronunciare. Ada conosceva la verità che si celava oltre quel vetro che rifletteva la sua immagine in quella piovosa notte di primavera: la piccola Aki non era una bambina qualsiasi - o almeno, sarebbe presto diventata diversa da chiunque attorno a lei.

“Non vogliamo coinvolgerlo, per adesso; ma sarebbe saggio fare in modo che la nuova kitsune sia già parte della sua famiglia prima che arrivi il momento” sospirò, sistemandosi le lenti che gli erano scivolate sul naso appuntito. “Non ci importa come, troverà di sicuro un’idea.”

Chinò il capo cercando di contenere il tremito nella voce: “Io e sua madre eravamo amiche. I suoi familiari verranno a cercare me, come hanno fatto altri prima di loro, quando non sapranno più cosa fare.” 

“Che piacevole coincidenza” sorrise di rimando, stiracchiando una linea appena visibile. “O destino.”

Scosse la testa, stringendo le dita sottili che spuntavano appena dalle maniche del soprabito. Quelli come lui amavano quei discorsi su fili, ruote e coincidenze del tutto poco casuali: erano sempre pronti a mettere uno davanti all’altro i pezzetti del loro domino personale, a cui sarebbe bastato un tocco di dita per dare inizio a una rovinosa caduta o a un disegno di una bellezza incomparabile.

“Siamo Kin, esistiamo per questo. Nulla accade per caso” mormorò senza guardarlo negli occhi e tornando a rivolgere lo sguardo al suo riflesso. “Farò quello che volete, come sempre, ma vi chiedo di tenere la mia famiglia fuori da questa faccenda, almeno per qualche tempo.”

Strinse le palpebre, saggiando i baffetti e restando in silenzio per qualche lungo secondo. 

Il corridoio dell’ospedale era misteriosamente vuoto e privo di rumori in quelle ore della notte, nonostante le nuove nascite e la frenesia che quegli eventi portavano con sé nel mondo, umano o spirituale che fosse. Ada non doveva fare uno sforzo di immaginazione per capire come quella situazione non fosse che una delle loro ennesime macchinazioni, in uno scenario perfettamente preparato per l’occasione. 

“La bambina non la disturberà fino a quando non si avvicinerà il suo tempo, Kisaragi-san, non si preoccupi. Le chiedo solo di interessarsene, ogni tanto: come ha detto, verrà il momento in cui i suoi familiari avranno bisogno di lei e dovrà essere la prima persona a cui riusciranno pensare” sentenziò lentamente, come se qualcosa nelle sue parole avesse inaspettatamente appena cambiato un piano già ben congegnato. “In fondo, è una bambina sola, senza nessun altro.”

Si morse le labbra, cercando di farsi rimbalzare addosso quell’affermazione: aveva perso un’amica quella notte, un’amica alla quale non aveva mai avuto il coraggio di raccontare che cosa c’era davvero nel suo sangue sempre agitato. L’aveva vista crescere e innamorarsi, inconsapevole della volpe che le correva sotto la pelle, pronta a rinascere: una possibilità su poche che ora si trovava viva e reale davanti a lei.

Da generazioni la famiglia Kisaragi raccoglieva a sé le volpi in guisa umana che nascevano nel mondo degli uomini: da quando ormai cinquant’anni prima alcuni di loro avevano lasciato il loro paese natio per il nuovo continente, avevano iniziato anche ad occuparsi dei lupi che vagavano tra le strade delle città. Era un dono che veniva tramandato da genitore a figlio quella capacità di vedere oltre la forma della realtà quotidiana, di trovare e aiutare quei mutaforma spaventati e rabbiosi del loro stesso essere.

In quella notte, anche Ada provava i medesimi sentimenti di rabbia e paura: essere un Kin era un onore che la rendeva diversa dalle persone che incrociava nelle sue giornate, ma al tempo stesso era la sua maledizione di una vita diversamente normale che avrebbe tramandato al suo bambino, come sua madre aveva fatto prima di lei.

Poteva barricarsi dietro al suo bancone tirato a lucido fingendosi impegnata nel tagliare o mescolare, ma ci sarebbe stato qualcosa che l'avrebbe smossa e costretta ad agire, come un istinto che l'accomunava a quegli esseri sospesi tra mondi in cui lei stessa si trovava suo malgrado.

"Quando verrà il momento ci sarò per la nuova kitsune." Accennó un inchino, voltandosi verso l'ometto che continuava a fissarla sotto le palpebre socchiuse. "Lo devo a sua madre. Lo devo a Yoko."

Questi annuì con fare soddisfatto aggiustandosi il camice, per poi imitarla a sua volta e congedarsi, scomparendo nella penombra del corridoio.

Ada rimase da sola nel silenzio, fissando lo spazio vuoto davanti a sè, alle spalle il vetro che la separava da quella minuscola esistenza nata dalla morte. Si lasciò sfuggire un nuovo sospiro, asciugandosi col dorso della mano gli occhi che avevano iniziato a pizzicarle: forse era la stanchezza, forse quel miscuglio di emozioni che le cozzavano dentro, insieme al vuoto che la perdita della sua amica aveva lasciato.

Fece un respiro profondo, lanciando un’ultima occhiata alla neonata addormentata: sarebbero stati anni veloci quelli che l’avrebbero separata dal momento in cui si sarebbero incontrate di nuovo.


*** Small Talk ***
Benvenuti/e/* a questa storia e grazie per aver letto fino a qui!

"In Between" è un progetto nato qualche tempo fa inizialmente come semplice backstory personaggio per un GdR e poi ha iniziato a frullarmi in testa come qualcosa di più complesso di dadi e statistiche. Quindi, tolta la parte nerd, ho provato a renderlo in grado di camminare sulle sue "zampe". 

Spero vi possa piacere! - Aka

   
 
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