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Autore: Lacus Clyne    11/07/2020    6 recensioni
Una notte d'inverno. La città che non dorme mai.
Un'ombra oscura al di là della strada, qualcosa di rosso. Rosso il sangue della piccola Daisy.
Kate Hastings si ritrova suo malgrado testimone di un efferato omicidio.
E la sua vita cambia per sempre, nel momento in cui la sua strada incrocia quella di Alexander Graham, detective capo del V Dipartimento, che ha giurato di catturare il Mago a qualunque costo.
Fino a che punto l'essere umano può spingersi per ottenere ciò che vuole? Dove ha inizio il male?
Per Kate, una sola consapevolezza: "Quella notte maledetta in cui la mia vita cambiò per sempre, compresi finalmente cosa fare di essa. Per la piccola Daisy. Per chi resta. Per sopravvivere al dolore."
Attenzione: Dark Circus è una storia originale pubblicata esclusivamente su EFP. Qualunque sottrazione e ripubblicazione su piattaforme differenti (compresi siti a pagamento) NON è mai stata autorizzata dall'autrice medesima e si considera illegale e passibile di denuncia presso autorità competenti.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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I ◊

 

 

 

 

 

 

Non riuscivo a ricordare lucidamente cosa fosse accaduto dopo né quanto tempo fosse trascorso. Fissavo la bambina. Poi la voce di Trevor che imprecava, chiamando a gran voce il mio nome. Dovevo avergli urlato di muoversi, probabilmente. Ancora il volto della bambina, mentre Trevor cercava di farmi scostare. Le sirene del 911. Luce e oscurità. Le labbra violacee della piccola. Il sangue ormai ghiacciato misto alla neve. Pensai solo che non era giusto. Qualcuno mi mise una coperta addosso. Qualcun altro coprì quel corpicino senza vita. Poi alcuni agenti, alle prese con i rilievi del caso. Trevor che parlava con uno di loro. Si avvicinò a me, con la preoccupazione dipinta nei suoi begli occhi. Avevo sempre pensato che erano belli. Vivi. Attenti e curiosi. Trevor era sempre stato un tipo attento e curioso. Gli occhi della bambina erano chiusi per sempre.

– Katherine Hastings? Sono il detective Maximilian Wheeler. Riesce a capirmi, signorina? – l’uomo con cui Trevor stava parlando poco prima. Annuii. La bambina non avrebbe più parlato. Dovevo farmi carico della sua voce. – C-Come si chiamava? – domandai.

Maximilian Wheeler aggrottò le sopracciglia scure, perplesso. – Prego? – mi fece eco.

Lo guardai. Doveva essere nella trentina, a occhio e croce. Soprabito classico nero pesante, sciarpa grigia al collo, capelli scuri con riga laterale perfettamente ordinati e barba curata, sguardo concentrato.

– La bambina. Come si chiamava? – completai la mia domanda. Trevor mi aiutò ad alzarmi, tenendomi stretta a sé. Ne avevo bisogno, considerando i crampi che mi attanagliarono le gambe. Eppure dovevano essere stati nulla rispetto a quello che aveva provato quella povera piccola. Quanto aveva sofferto?

Il detective Wheeler, che coordinava le operazioni, sospirò.

– Daisy. Daisy Ross. Era scomparsa due giorni fa. – mi informò, cautamente. Daisy Ross. Daisy. Un nome gentile. Pensai ai suoi genitori, che non avrebbero più potuto chiamarla per nome senza morire di dolore.

– Signorina Hastings? La prego, sembra che sia la sola persona in grado di aiutarci, al momento. Ho bisogno di farle alcune domande. – continuò. Doveva esserci abituato. Al contrario di Trevor, che sbottò. – Non vede che sta male? Diamine, ha appena visto morire una bambina! Al posto di fare domande, perché non inseguite quel pezzo di merda, eh?! –

Sussultai. Quel mostro doveva essere già lontano. A godersi la sua vittoria. Passata l’eccitazione del momento, sarebbe stato al sicuro, crogiolandosi della sua dannata impresa. Portai la mano su quella di Trevor. Non poteva averla vinta.

– Detective Wheeler. Sono pronta. – dissi, ottenendo in risposta un mugugno di disapprovazione da parte del mio preoccupato fidanzato.

Wheeler annuì. – La ringrazio. – rispose soltanto, per poi ordinare ai suoi uomini di affrettarsi coi rilievi.

Raggiungemmo la centrale a notte fonda ormai. C’erano cinque agenti in attività in quel momento. Alcuni chiacchieravano, altri erano davanti ai monitor. Quando entrammo, salutarono il capo mettendosi sull’attenti. Soltanto uno rimase davanti al pc, concentrato nella sua attività. Era un ragazzo, probabilmente della stessa età di Trevor, ma diversamente dal mio infreddolito e nervoso fidanzato, sembrava perfettamente a suo agio con addosso soltanto una felpa verde. A giudicare dalla massa scompigliata di capelli castano chiaro, non doveva avere bisogno di cappelli, una volta uscito dalla centrale.

– Norton. – esclamò Wheeler con voce secca, mentre toglieva il cappotto e lo riponeva ordinatamente sulla sedia. Il ragazzo si interruppe, sollevando le braccia a mezz’aria. Al polso destro portava un grosso bracciale di cuoio chiuso da cordicelle. Nonostante avesse una poltrona girevole, inarcò la schiena all’indietro. Quando reclinò la testa, i capelli mi sembrarono ancora più disordinati. Batté le palpebre un paio di volte, poi si decise a voltarsi e tirò su le gambe, sedendosi all’indiana. Aveva un viso più giovane dell’età anagrafica, un’espressione a metà tra quella di chi si era appena risvegliato e la curiosità, dipinta negli occhi marroni.

– Bentornato, capo. Che è successo? – domandò, ottenendo in risposta un mugugno da parte di Trevor e un’occhiata seccata da parte di Wheeler.

– Ci è scappato. Di nuovo. – rispose il detective.

Ci è scappato. Di nuovo. Da quanto tempo erano dietro al caso? Il ragazzo sospirò, tamburellando con le dita sul ginocchio. Stanca da morire, ma determinata ad andare fino in fondo, chiesi maggiori informazioni a riguardo, suscitando l’interesse di Norton.

– Siete fidanzati voi due? – chiese, invece. Trevor ridusse gli occhi a due fessure. Dal modo in cui mi strinse il braccio, mi ricordai di quanto potesse essere geloso.

– Da un anno e mezzo. Felicemente. – rispose, assicurandosi di porre per bene l’accento sull’avverbio. Quella sua reazione mi fece sorridere, per un attimo. Norton storse la bocca.

– Peccato, mi saresti piaciuto. Sono gay. – Confessò, tramutando l’espressione in un sogghigno che fece stupire alquanto Trevor e protestare Wheeler. Solo dopo essersi compiaciuto della riuscita dell’impresa ci sorrise e mi tese la mano. – Jackson Norton. Ma mi chiamano tutti Jace. Piacere di conoscervi. Ehm… –

– Katherine. Katherine Hastings. Ma mi chiamano tutti Kate. – risposi di rimando, stringendogli la mano e benedicendo mentalmente il calore della sua pelle a contatto con la mia. A dispetto di quanto aveva affermato poco prima, mi rivolse un baciamano, provocando un’ulteriore ondata di stupore e di mugugni da parte di Trevor.

– Kate. Mi piace. Molto nobile. A proposito, non è vero che sono gay. Ma sono single, questo sì. Se mai dovessi lasciare quel pinguino, sappi che sono disp--

Non finì di parlare che una nuova, profonda e polemica voce maschile si aggiunse al coro.

– Piantala di flirtare, Jace. – Ci voltammo verso l’uomo che aveva appena varcato la soglia della centrale. Nel vedere l’alta figura vestita di nero sobbalzai.

– Kate? – la voce di Trevor. Eppure, non riuscivo a smettere di fissarlo. Il maledetto assassino della piccola Daisy continuava a tornarmi in mente. Il modo in cui aveva sollevato il braccio. L’inchino, così perfetto. La sua voce roca all’orecchio che mi augurava buon Natale. Un impeto di rabbia e di vergogna per la mia impotenza prese forma nelle lacrime che avevo represso fino a quel momento.

– Signorina Hastings? – la voce del detective Wheeler.

L’uomo si fermò a poco più di un metro da noi. Portai la mano al cuore, che aveva ripreso a correre con forza e cercai di calmarmi, recuperando un po’ di lucidità, quanto bastava per rendermi conto di aver preso un grosso abbaglio. Fu in quell’occasione che feci la conoscenza di Alexander Graham. Doveva essere coetaneo di Wheeler, immaginai, nonostante l’aspetto più trascurato e particolarmente stanco. Aveva l’aria di chi non dormiva abbastanza. Passò la mano tra i folti capelli castani, scrollando di dosso i fiocchi di neve, poi aprì il soprabito nero. Quando i suoi occhi, del colore della notte, incrociarono i miei, mi sentii studiata. L’espressione di quell’uomo era impaziente. Grondava di voglia di sapere e di rabbia, in un certo senso. Come l’avevo capito? Dovevo avere lo stesso sguardo soltanto qualche ora prima.

– È tardi. – La voce di Wheeler aveva assunto una sfumatura di colpevolezza che non avevo notato prima. Quei due dovevano avere dei trascorsi. E considerando la smorfia sul volto del nuovo arrivato, la notizia dell’ennesimo fallimento doveva essere più sconfortante del solito. Puntò l’indice verso il collega, senza curarsi di noi. – Questo è perché hai voluto fare di testa tua. Potevamo prenderlo, Maximilian. Potevo prenderlo! Se soltanto tu--

– Se soltanto tu, maledetta spina nel fianco, non ti fossi lasciato prendere la mano allora avrei fatto volentieri affidamento su di te, invece che farti rimuovere. Ed è meglio per te che tenga a freno la lingua se non vuoi che ti faccia sbattere direttamente fuori, non soltanto da questa indagine, Alexander! –

Il silenzio calò di botto mentre l’alterco tra quei due passava dal verbale al mimico, quando ormai esausta, mi ritrovai a sbottare contro entrambi.

– Sentite. Non me ne frega un accidente di chi ha esautorato chi e di chi è la colpa se quello stronzo è scappato! So soltanto che dei genitori stanotte e per tutte le notti a seguire da oggi in poi piangeranno una bambina che non potranno più stringere e uno squilibrato è a piede libero! Quindi piantatela con questa solfa e fate qualcosa, dannazione! –

Qualcosa nel tono con cui avevo sbroccato dovette aver fatto centro, perché riuscii in un colpo solo ad azzittire tutti. Persino Trevor, abituato ai miei scatti d’ira, mi guardò come se fossi un’aliena. Jace fischiettò, rivolgendomi un pollice recto.

– E questa ragazza chi è? – domandò Graham, con un tono piuttosto seccato. Prima che il detective Wheeler o Jace potessero rispondere, feci le presentazioni da me.

– Mi chiamo Katherine Hastings e sembra che al momento sia la sola persona che possa aiutarvi a identificare quel bastardo dal momento che l’ho visto. –

Un sussulto tra le sopracciglia scure di Graham mi fece intendere di esser riuscita a catturarne l’attenzione. Si rivolse a Wheeler e a Jace con l’aria di chi aveva preso a elucubrare. – Ha cambiato il modus operandi. È la prima volta che si mostra. –

Wheeler annuì. – È per questo motivo che ho chiesto alla signorina Hastings di essere interrogata. Con un po’ di fortuna, questa volta lo prendiamo. –

Strinsi il pugno, al pensiero di quanto quell’essere dovesse essere considerato pericoloso. E per la prima volta in vita mia, mi ritrovai a pensare a quanto poco sicure potessero essere le nostre vite, in un mondo sempre meno abituato a tutelare la vita. Ma per fortuna, c’era qualcuno che aveva deciso di votare la sua stessa esistenza a questa missione e per quanto possibile, volevo poter fare anch’io la mia parte. Per Daisy. Mentre Wheeler e Graham passavano in rassegna gli ultimi sviluppi, Jace ricevette una chiamata e ci informò che l’autopsia sul corpo della piccola era cominciata. Sentii una morsa alla bocca dello stomaco, al pensiero che qualcuno dovesse metter mano su quel corpicino inerme, ma Trevor mi ricordò che era la prassi in quei casi.

– C’è da avvertire la famiglia. Dannazione, odio questo genere di incombenze. – aggiunse ancora Jace. – È la parte brutta del nostro lavoro. Dover dare brutte notizie alla gente. Poi sotto Natale… –

Mi accorsi di una timida occhiata verso Graham, che sospirò.

– Verrò io con te, Norton. Quanto a noi, signorina Hastings, signor Lynch, se volete seguirmi... – esordì Wheeler.

– Lascia stare, Maximilian. Me ne occupo io. Vai con Jace. La famiglia è più importante adesso. – disse Graham.

– Mi scusi, ma lei non era stato esautorato? – fece eco Trevor, beccandosi un’occhiataccia in risposta.

Wheeler sospirò, riprendendo il cappotto. – Niente cose strane. Limitati alle domande. Per come siamo messi in questo momento non posso fare altro. Con permesso. – concluse, congedandosi da noi.

Trevor e io salutammo, mentre Jace, dopo aver inforcato un paio di grossi occhiali da vista rossi, corse a prendere il giubbino. – È stato un piacere conoscervi. Kate, fidanzato senza nome, spero di rivedervi, magari non in circostanze buie come questa. Alla prossima e buon Natale! – esclamò con un sorriso, prima di correre, seguito da due agenti, al seguito di Wheeler. Era davvero un tipo strano, soprattutto nel modo in cui si era rivolto a Trevor, ma quantomeno, il suo augurio di buon Natale era stato sincero e ben accetto, diversamente da quello dell’assassino di Daisy. Quando rimanemmo soli, Graham ordinò a uno degli agenti di portare tre caffè, poi ci fece strada, fino al suo ufficio. Scarno ed essenziale, proprio come sembrava lui. Tolse la giacca, che aveva tenuto fino a quel momento e la gettò senza troppa cura sul divanetto di pelle a lato della stanzetta. Per il resto, c’erano soltanto una scrivania mezza vuota su cui spiccava la targhetta “Capt. Alexander Graham”, tre sedie in ferro e un armadietto. Quando prese posto, dopo averci invitati a sedere, finalmente cominciò.

– Dimentichi tutto fino a quel momento. Non voglio sapere né cosa stava facendo né perché si trovava nel luogo in cui Daisy è stata ritrovata. Lei è lì. Non c’è niente intorno. Soltanto lei e Daisy. –

Chiusi gli occhi, concentrandomi sulle sue parole. Niente e nessuno. Soltanto io e Daisy. Buio intorno. Freddo. Trevor e Lucy, ci eravamo divertiti prima. La voce di Graham che continuava a dirmi di restare concentrata. Dovevo escluderli. Daisy. I codini neri e lunghi. La sentì ridere. Doveva essere stata felice. Natale era un periodo felice per i bambini. – Lei e Daisy. Nessun altro. –

Era sbagliato. C’era qualcuno. Cominciai a sentire freddo, tanto che sfregai velocemente le mani, inutilmente. Non era dovuto alla temperatura. Era terrore. Cercai di rimanere concentrata, per visualizzare qualcosa di utile. L’assassino era totalmente coperto, per quello che credevo, a causa della scarsa illuminazione del vicolo. Eppure mi sembrava di aver visto in qualche modo il suo sorriso. Dovevo concentrarmi sui particolari. – Rimanga calma. Ascolti la mia voce. – ripeté Graham, senza scomporsi.

Inspirai. Daisy. Tra le mie braccia. Non respirava più. Mi morsi le labbra fino a farle sanguinare.

– Kate! – la voce di Trevor.

Daisy. I suoi genitori che chiamavano il suo nome. Il sorriso del killer. Lo scintillio della lama nella sua mano sinistra.

– La mia voce. – la sua voce all’orecchio.

– Non era del posto. Aveva un accento strano. Sebbene cercasse di mascherarlo, sono sicura che non fosse americano. – dissi.

– Torni là. Cos’ha fatto? –

Potevo solo immaginare, viste le ferite sul corpicino della bambina. Sentii di nuovo la morsa alla bocca dello stomaco e quella sensazione di voler vomitare tornò prepotente a ricordarmi quanto quel mostro fosse stato inumano. Lo vidi infliggere un colpo dopo l’altro, incurante dei lamenti della piccola. Doveva averle premuto la mano sulla bocca, per non farla urlare. – Portava dei guanti neri. – Un particolare, nel buio. Che strano, non ci avevo fatto caso a prima vista. – Uno sfregio. O forse un tatuaggio, non ne sono sicura. Qualcosa di prominente, sul polso sinistro. Era mancino. –

Il suo sorriso. Me l’ero già chiesta. Poteva il diavolo sorridere in quel modo? Non era un ghigno. Era più che altro ebbrezza. Come un bambino che ha appena ricevuto un bel regalo. – Era felice. – Ebbi un conato di vomito seguito da un disperato bisogno di respirare nell’arco di pochi istanti.

– Kate! – Trevor si alzò di botto, cercando di aiutarmi, ma quando le sue mani trovarono le mie braccia urlai, riaprendo gli occhi di colpo. Mi scostai immediatamente dalla sua presa, il tempo di riprendere il controllo della mia mente e del mio stesso corpo. Mi ero estraniata in un modo che mai avevo provato in vita mia, al punto che mi stupii persino di avere le lacrime agli occhi.

– S-Scusate… io… non so che mi sia preso… – balbettai, imbarazzata e frustrata. Stranamente, l’odore del caffè che nel frattempo l’agente aveva portato, servì a tranquillizzarmi. Ne avevo sempre bevuto tanto, persino quand’ero in ansia. Ero il tipo di persona a cui faceva l’effetto del calmante, cosa che stupiva alquanto mia madre. A quel pensiero, mi feci animo, riprendendo fiato.

– Trevor, mi dispiace, non volevo reagire in quel modo, credimi… – continuai poi, sentendomi orribilmente in colpa per quella reazione così spropositata. Trevor, sospirando, tornò a sedersi, poi annuì.

Ebbi l’impressione che non sarebbe finita là, ma quando finalmente mi rivolsi al detective Graham, capii che doveva aver collegato i pezzi, in qualche modo e sperai di non dover andare avanti. Rilassò per un attimo la postura, appoggiandosi allo schienale, poi mi guardò senza proferire parola per un lunghissimo istante. Quell’uomo mi metteva ufficialmente in soggezione.

– Sa perché le ho chiesto di ripensare a quel momento? – domandò, facendo segno di bere il caffè. Trevor e io obbedimmo, sebbene inizialmente ebbi qualche difficoltà a prendere in mano il bicchiere, causa tremore. Scossi la testa. Per esperienza, sapevo che con certa gente era meglio tacere per evitare una brutta figura. Graham prese il suo bicchiere e prima di sorseggiare il caffè bollente mi allungò la sua bustina di zucchero. O si era reso conto che ero sulla buona strada per lo svenimento o non ne voleva. Considerando che non mi conosceva, doveva essere più plausibile la prima ipotesi. Presi la bustina e la aggiunsi alla mia, felice di tanti zuccheri. Graham, per quanto potesse sembrare rigido e scorbutico, mi sembrò quasi un uomo schiacciato dal peso degli eventi. Mi chiesi da quanto tempo non dormisse decentemente. Stare dietro a casi così difficili doveva mettere a dura prova chiunque. Ad ogni modo, dopo che ebbe trangugiato il caffè, tornò a guardarmi. Stavolta, probabilmente complice il clima leggermente meno asfissiante, non mi sentii in soggezione col suo sguardo addosso.

– Lei è determinata. E osserva. Cosa che oggigiorno nessuno fa più. –

– Kate studia Psicologia, sa? Ed è sempre stata piuttosto arguta. Non le sfugge niente. – puntualizzò Trevor. Purtroppo, al posto di farmi sentire felice, nonostante capissi perfettamente le sue intenzioni, mi ritrovai ad arrossire come una ragazzina.

– Trevor! N-Non gli dia retta! Non sono così… –

Un brillio attraversò gli occhi di Graham, che si alzò. – Abbiamo finito. La ringrazio per la disponibilità, signorina Hastings. –

– D-Di già? Non mi ha praticamente chiesto nulla di più… – confessai, alzandomi insieme a Trevor. Graham ci raggiunse, facendo strada. – Ho già ciò che mi serve. –

Annuii, quando me lo ritrovai davanti. Era più alto di Trevor, decisamente più maturo e, pensai, di quei tipi che ridono molto poco. Doveva essere il tipo di uomo per cui il lavoro veniva prima di ogni cosa. Mi chiesi se avesse famiglia, nonostante la giovane età.

– Detective Graham, per favore… faccia in modo che nessun genitore debba più piangere la morte di un figlio. – dissi, ottenendo in risposta un fremito tra le sue labbra. Non rispose, ma si limitò ad assentire.

– Troveremo quel bastardo. A qualunque costo. –

Mi sentii rincuorata nell’udire quelle parole. Istintivamente, gli sorrisi. Daisy avrebbe avuto giustizia, lo sentivo.

– Buon Natale, detective Graham. –

Dissi. Alexander Graham esitò.

– Arrivederci, signor Lynch, signorina Hastings. –

Quando ci congedammo, una volta fuori dalla centrale, era ancora buio. La temperatura era calata ulteriormente, a causa della neve. Una ventata gelida mi fece rabbrividire e cercai l’abbraccio di Trevor che, del canto suo, rimase in silenzio. Non avevamo bisogno di parlare. Avremmo avuto tempo per quello. Mi strinse forte, mentre ci recavamo alla fermata del primo bus del mattino, per tornare a casa. Chissà come stava andando al detective Wheeler. Pensai ai genitori di Daisy e alla loro vita distrutta. Pensai a quanto dovesse essere difficile per lui dare la notizia che nessun genitore vorrebbe mai ricevere. Pensai a Jace, così solare eppure così preoccupato all’idea di dover avere a che fare con i parenti delle vittime. Già, la tragedia di chi resta. Non c’era cosa più difficile che doversi relazionare con il dolore altrui. E capii. Quella notte maledetta in cui la mia vita cambiò per sempre, compresi finalmente cosa fare di essa. Per la piccola Daisy. Per chi resta. Per sopravvivere al dolore.

 

 

 

 

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Primo capitolo up!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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