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Autore: MelaniaTs    12/07/2020    0 recensioni
Sono One Shot sequel della Fan Fiction Agāpi gia ton Olimpou. Ogni capitolo o serie di shot sono un sequel dalla fine della storia a dove mi porta l’ispirazione
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Gold Saints, Helena (Soul of Gold), Nuovo Personaggio
Note: Lime, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Agapi Gia ton Olympou - Zeus Saga'
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Il gold saint più debole




PREMESSA: Sequel composto da one shot seguito di AGAPI GIA TON OLIMPOU. Tutti i personaggi hanno fatto un salto temporale di +3 per tutti quindi la guerra galattica inizierà il 1989 anziché il 1986. Gli eventi sono in ordine cronologico, l'arco narrtivo termina l'estate del 1990 (in contemporanea con Next dimension) PS ci sono pochi riferimenti a Saintia Sho che non abbiano intaccato la trama con il manga/Anime Originale; Quindi Saga non è MAI divetato Ares
ATTENZIONE: © delle Fanart prese in giro per il Web se le riconoscete come vostre basta che me lo facciate sapere e provvedo a inserire i credits
COPYRIGHT: Storia basata sulla saga del maestro © Masami Kuramada ©Saint Seiya; Tutti i diritti della serie sono del sensei, della Toei e della casa editrice Shueisha; Per le immagini © Michi Himeno © Shingo Araki;

 

Andreas: debole, tra tutti i gold saint che conosco sei sicuramente il più debole. 

DM: Bastardo! Probabilmente è vero, questa Cloth mi ha anche abbandonato una volta. E continuo a chiamarmi santo.

Andreas: sei il peggiore 

(Soul of golf)

 

Le regnanti di Asgard sarebbero rientrate presto nel palazzo del Valhalla. La guerra si era conclusa e Hilda era ormai in salute, Aphrodite a quanto pareva non aveva bisogno della sua nuova ancella. Lui Giovanni, meglio conosciuto come  Death Mask, ex santo del cancro di Athena, si era subito fatto avanti per essere la scorta di Freya in quel viaggio. Aveva urgenza di tornare nelle gelide terre del nord, lì dove aveva recuperato un po' della sua umanità. Il ricordo era ancora vivido in lui, gli aveva permesso di redimersi agli occhi della sua armatura. Gli aveva consentito di scoprire un nuovo sentimento, appena accennato e sbocciato che non aveva avuto il tempo di maturare. Non era attrazione, quella Lui la provava con Tulip, dal primo giorno in cui aveva incrociato il suo sguardo sette anni prima. Desiderio che aveva sempre appagato tra le braccia dell'ancella castana, desiderio che a distanza di tanti anni ancora lo faceva sentire vivo, nonostante si disse saziato, nonostante di vivo non avrebbe dovuto avere più nulla. Era morto, nato e morto per mano degli dei più volte. Per mano di Abel, per mano di Hades, per mano di Odino, infine in via del tutto definitiva per mano di Zeus.

Ma se la meritava mai quella rinascita lui? Era il più inutile dei santi di Athena, lo riconosceva.  Nella sua vita di santo non era stato un martire, di sicuro era quello più propenso a peccare a cominciare dalla scia di omicidi che si era lasciato dietro. Tutti omicidi che non gli avevano riservato nessuno scrupolo, non gli era importato di uccidere donne, bambini e anziani se la causa ne valeva il sacrificio. Aveva ucciso per giustizia tante volte, bambini che a sei anni già avevano in mano una pistola, che avevano fatto  da corrieri della droga e che erano ormai smarriti. Non gli importava che fossero innocenti, lo aveva imparato sulla sua pelle, quando si vive in un determinato ambiente e ad una certa età si era consapevoli di ciò che si faceva. Lui era stato consapevole a sei anni di avere un cosmo ed essere destinato a diventare qualcosa di più, lui aveva deciso da solo di partire con Death Mask e raggiungerlo sull'Etna dove aveva iniziato ad addestrarsi. Lui, Giovanni, a sei anni già sapeva che sua madre era andata persa nelle mani di un porco che voleva abusare di lei.

Non aveva avuto scrupoli ad ucciderlo quando a nove anni era entrato nel pieno della sua investitura, aveva ucciso Don Mimí. Non se li era fatti uccidendo trafficanti, ricettatori e malavitosi, la sua stessa madre lo aveva ripudiato timorosa di lui. Ma lui Giovanni era andato avanti, per un bene più grande non importava quanti ci avrebbero rimesso la vita. 

Era stato così che si era perso Giovanni, godendo alla morte delle persone e lasciandole a vivere senza un vero trapasso nella quarta casa. Più grande era il peccato, più grande era la pena, diceva. Come quel bambino che in preda alla lussuria a soli dieci anni si prostituiva, o come chi senza scrupoli aveva dato della droga ai suoi coetanei. Questo perché non contava l'età, che ne sapeva Shiryu il dragone? Lui non ci era cresciuto, lui non aveva visto e vissuto, lui era stato beato. Viveva tra le rapide di Goro Ho, addestrandosi e lo sapeva anche Giovanni vivendo nella bambagia. Era sicuro Giovanni che Shiryu non sapesse e non immaginasse il degrado che si trovava in giro per il mondo, e la pulizia che si dovesse fare intorno ad esso. Non tutti avevano la fortuna di avere un sensei come Dohko, lui per esempio si era trovato come maestro uno spettro, quale Death Thol era stato, egoista ed egocentrico avrebbe detto. Sicuramente non lo aveva viziato e non gli aveva regalato nulla. No, assolutamente! Si era dovuto sudare il ruolo che aveva ottenuto. 

E nel momento stesso in cui era diventato santo del cancro, padrone delle animo eccolo che aveva iniziato la via della perdizione. Non era mai stato spaventato dal sangue che versava, non si era mai pentito di essersi concesso a delle donne. Era stato un ragazzino precoce, come precoce la sua crescita e la sua maturazione anche con le ragazza non aveva perso tempo Giovanni. A tredici anni era stato con la prima donna, lei aveva diciotto anni, non si era mai permesso Giovanni di intaccare la verginità di una giovane adolescente, questo no. Ma le donne le aveva conosciuto e fanculo i santi di Athena, se le era godute. Come si era goduto i fiaschi di vino che vizioso aveva sempre buttato giù ad ogni pranzo o quando festeggiava la conclusione di una missione. Qualcuno gli avrebbe dato dell'alcolizzato, lui la chiamava amore per il buon gusto. 

E si era perso Giovanni, non ricordava nemmeno più il suo nome se non fosse stato per i natali che doveva tornare a Catania, dalla nonna Lucia che aveva bisogno di lui, per raccogliere e arare  i campi, se non fosse stato per la buon anima del nonno Salvatore che aveva fin da subito preteso di non perdere il nipote in nome di un dio pagano che non riconosceva. O ancora per sua sorella, la bella Lucia, che sempre gli aveva chiesto di non dimenticarsi di lei. Lo aveva fatto in un gesto quando aveva seguito la dea Aphrodite, regalandogli una viola del pensiero legato ad un non ti scordar di me. La sua famiglia, nulla di più sacro che potesse esistere al mondo per Giovanni, era a loro che doveva la salvezza, a loro e a lei, Helena.

Helena che si era mostrare altruista e generosa, mettendo avanti a se stessa il bene per i fratelli, uscendo in strada a vender fiori per occuparsi di loro. Tutto nonostante ella fosse ammalata si era sacrificata per portare un piatto a tavola per i suoi fratelli. Era dolce Helena, di una bellezza limpida e pulita, semplice nei suoi gesti e nell'amore che concedeva ai suoi bambini. Si era innamorato di lei? Forse sì o forse no, il desiderio quel grande bastardo era emerso anche con lei. Ma più che desiderare di possederla lui aveva desiderato bearsi anche solo della sua parola e de suo sorriso. Con lei poteva essere paziente e dolce, non come quando c'era  Tulip, lei quella donna bastarda riusciva a rimescolarlo dentro a fargli perdere la ragione e far scorrere il sangue rapido nelle vene. Il desiderio prendeva il sopravvento con Tulip fino a quando non veniva soddisfatto e poi ancora dopo l'atto ne voleva ancora di piu. Lui con Tulip non ci parlava, ci scopava e lo sapeva. Ci scopava e ne restava intrappolato fino al loro nuovo incontro. Con Tulip non aveva mai realmente capito se gli avesse fatto un incanto afrodisiaco o meno, solo Helena era riuscito a scalfirlo dopo di lei. Aveva avuto altre donne ovvio, ma con ripugnanza, giusto per soddisfare un bisogno fisico che altro. Quella maledetta ancella di Aphrodite lo aveva legato a se impedendogli di desiderare altra donna, di poterla possedere come sapeva fare. Era sicuro di questo Giovanni perché quando arrivava allo stremo del desiderio lei si era sempre presentata alla quarta casa lì al santuario a dargli  ciò che lui cercava. Appagamento fisico! Come l'aveva conosciuta Tulip? Senza aspettarselo, ecco come! 

Era l'autnno del 1982, come sempre Giovanni si cercava degli spazi tra la sua vita di santo e quella di nipote devoto. Nonno Nino o Ninì come lo chiamava lui non stava proprio bene, Giovanni lo sapeva e lo sentiva, la sua anima stava per abbandonare il corpo e presto la morte sarebbe giunta. Era però autunno , ottobre era caldo, non si respirava e i manovali avevano abbandonato i loro terreni con la minaccia di Don Calogero sulla loro famiglia. Lucia stava diventando sempre più bella, aveva quasi sedici  anni e maledetti gli uomini la guardavano sempre lussuriosi. Le diceva Giovanni  di stare chiusa in casa, la nonna stessa si raccomandava che obbedisse, il suo urlo quando qualcuno la avvicinava o provava a toccarla gli arrivava fino in Grecia e ovunque egli si trovasse. Cazzo se era bella la sua Lucia. E cazzo! Aveva anche ucciso per lei, tutte le volte che uomini infidi, che si credevano grandi nell'essere quell'appellativo di maschi, provavano a prenderla e abusare di lei. In quanti ci avevano provato? Molti, in fondo come dicevano tutti a Catania era figlia di Rita, la donna contesa da tutti! L'aveva sposata don Mimí a Rita, e poi Don Totonno anche l'aveva voluta. Lei era stata di tutti perché era bella e ai signori di Catania una donna così bella faceva gola.

Lui aveva ucciso sia Mimí che Totonno dopo, fino a quando sua madre non lo aveva cacciato e rifiutato. Lui gli facevo schifo, aveva ucciso i suoi mariti, lui ero l'assassino mica i suoi marito che ricettavano denaro, prostituite e droga dando il comando di uccidere a destra e manca chi era loro d'intralcio? No! Era lui l'assassino, Giovanni il diavolo, così lo aveva chiamato quando don Calogero l'aveva chiesta in sposa.

Aveva subito voluto impedire quel matrimonio Giovanni, invocato disperato da Lucia, allora tredicenne, che non voleva andare con loro.

"A rovina di la nostra famiglia e ti tu soru si! Si  u diavolo pi persona. Te ni devi iri." (La rovina della nostra famiglia e di tua sorella sei! Sei il diavolo in persona. Te ne devi andare! NdA) Gli aveva detto accusandolo. 

Giovanni si era sentito trafiggere dalla sua stessa madre, lui che aveva sempre agito per conto della giustizia e della pietà adesso veniva accusato dalla sua stessa madre. Lui che non voleva ella fosse preda di un malfattore era così ripagato.

"Lucia non vuole venire con voi matri*. Lei mi ha chiamato." Affermò quindi il santo del cancro. 

"Io vado con Calogero, giuro diavolo di un uomo che ho portato in grembo che se mi fai morire anche questo vengo a cavarti gli occhi." Affermò allora la donna guardando spavalda sia lui che i suoceri. 

Giovanni avrebbe voluto urlare: Figlio, era suo figlio. Ma invece che pensare a lei l'aveva ignorata dandole le spalle e dedicandosi ai suoi avi e alla sorella. 

Poi a distanza di quattro anni, il luglio del 1982, era tornata a casa Rita. Ma Giovanni era già lì quando ella si era presentata alla casa paterna. Lui era lì a mietere il grano al posto del nonno, con i manovali che si defilavano. Ma  non faceva nulla, ci pensava lui per dieci e per venti di loro. Ignorò la presenza di Rita, faceva finta di non averla vista Giovanni e faticava di buona lena a raccogliere il grano a torso nudo e a detergersi dal sudore che più che abbatterlo lo galvanizzava. Quello era lavoro e lo sarebbe stato se non fosse diventato un santo di Athena. Sembrava assente ma ascoltava ciò che stavano dicendo in casa i nonni con sua madre, nonostante la distanza lui sentiva. 

"Porto Lucia con me, don Vincenzo Vitale la vuole come sposa." Disse ai suoceri. 

Appena sentì quell'affermazione Giovanni lasciò la falce e in pochi salti fu nella stanza che ospitava i nonni e la madre. Il volto sudato e abbronzato carico di ira. 

"Lei non viene via, lei non vuole fare la tua vita." Affermò entrando in stanza.

Rita era sbiancata e lo aveva affrontato. 

"Lei potrebbe fare la signora, il figlio di don Calogero, Vincenzo si è invaghito di lei. La signora le farà fare altro che contadina." 

"E lei non vuole fare la signora! Libera vuole essere." Intervenne il nonno con la sua autorità. Ninì non si era mai intromesso nelle scelte della nuora, dopo la morte di Salvatore che diritto aveva lui di decidere per lei. Ma adesso era diverso si trattava di Lucia, non più della vedova di suo figlio e doveva avere voce in capitolo.

"Ragione a questo diavolo date?" Chiese la donna inorridita. 

"Disse quella che mancò di rispetto ai nonni. Umili contadini che si guadagnano il pane sono, meglio del marito tuo di sicuro." Ci tenne a precisare Giovanni 

Il nonno poggiò una mano sulla spalla del nipote, non ce la faceva a discutere era stanco. "La tua bellezza fu la tua condanna, perché deve esserlo anche di Lucia? Che male fece lei?" Disse a quel punto Nino.

"Questo posto non le porterà nulla e non ci sarà sempre il diavolo a salvarle la pelle. Una brutta fine farà se resta qui, tutti lo sanno che stai morendo." Asserì malevola la donna. 

"Io non farò una brutta matri." Intervenne Lucia entrando nella stanza, dietro di lei vi erano tre donne. Una più diversa dell'altra, una più bella dell'altra.

Splendida in un semplice vestito bianco a fiori, una bellissima ragazza bionda, forse della stessa età di Lucia, la affiancava. 

"Non temete donna Rita, vostra figlia non sarà mai un frutto sacrificale per nessun uomo." Disse proprio la bionda con una voce calda e morbida. Giovanni ne era rimasto incantato ancora prima che parlasse, le curve armoniose del corpo, quei capelli biondi e lucenti nonostante fossero biondi, gli occhi azzurri e splendenti che ricordavano il mare di Sicilia e il viso senza alcuna imperfezione. Era l'incanto fatto persona.

"Chi è adesso quest'altra gente?" Chiese Rita.

Una giovane dai ricci capelli neri con riflessi viola si fece avanti indicando con una mano la bionda. "Lucia ha pregato che giungessimo in suo soccorso, timorosa di dover consegnare il suo fiore più bello ad un uomo che non amava. Aphrodite, dell'amore la dea, ha sentito la sua preghiera per questo siamo qui." 

"Quale sciocchezza pagana fu questa." Braitò Rita volgendo lo sguardo al figlio. "Fosti tu con le tue miscredenze a portare qui queste donnacce." 

Giovanni sollevò un sopracciglio per poi regalare alla madre un sorriso cinico. 

"Avete offeso la nostra signora Aphrodite dandole della donnaccia, donna Rita." Asserì la seconda ragazza, quella con i lunghi capelli castani che le arrivavano fino alla schiena. 

Giovanni prestò attenzione anche a lei definendola la meno bella del gruppo. Troppo comune, pensò fino a quando i suoi occhi non incrociarono quelli verdi di lei. Lo sguardo fiero lo fissava, si era accorta del suo che l'aveva osservata minuziosamente dalla cima dei capelli alla punta dei piedi. 

Quello sguardo verde ginepro gli inflisse un pugno allo stomaco e da lì giunse fino al cavallo dei suoi pantaloni. 

Si sentì soffocare e per nascondere l'imbarazzante rigonfiamento nei pantaloni si inginocchiò di fronte la donna bionda. 

"Così belle non ci stanno ad Atene, queste donne, ragazze direi, sono pezzi da cento e non le ho mai viste prima d'ora." Disse in siciliano alla madre e ai nonni, poi sollevando lo sguardo concluse in greco per le tre donne. 

"Benvenuta nella nostra umile casa Aphrodite."  

La bionda si chinò leggermente su di lui prendendogli il viso tra le mani e osservandolo sospettosa. "Sei un santo di Athena! Non siete obbligati a restare al santuario voi guerrieri di mia sorella?" Chiese ella.

"Siamo a riposo dopo aver vinto la guerra contro i titani divina Aphrodite." Rispose allora lui, anche il tocco di quella donna aveva qualcosa di ammaliante. 

Lei annuì e gli sorrise. "A differenza di ciò che dice vostra madre venerabile santo di Athena, non siamo donnacce. Ti pregherei quindi di tenere a bada le reazioni del tuo corpo dinnanzi le mie ancelle." Mi minacciò sempre col sorriso in volto. 

La fissai ed il mio sorriso spavaldo non mi abbandonò. Fanculo, ero il peggiore dei santi di Athena e non avrei mai nascosto le mie reazioni 

"Avete capito? Da domani Lucia verrà via con noi. Questo posto non fa per lei e per la purezza del suo animo, dite pure a don Vincenzo che vostra figlia è scomparsa donna Rita, d'ora in poi credetela pure morta, ella con voi ha chiuso." Annunciò intanto la ragazza con i capelli viola.

Giovanni seguì la scena di sottecchi: ancelle di Aphrodite, anche sua sorella lo sarebbe diventata? Era la prima volta che le sentiva.

"Voi non potete..." Stava dicendo Rita.

Ma quella dai capelli castani sembrava contraria alle sue parole e invece che parlare a differenza della mora andò verso Rita e la accompagnò alla porta. 

"È stato un piacere." La salutò chiudendosi la donna alle spalle. 

"Andremo subito via così da non arrecarvi disturbo." Annunciò, una volta che furono soli, la dea Aphrodite ai due anziani. 

"Portate Lucia via con voi?" Chiese la nonna Lucia.

"Credete che qui possa essere al sicuro? Se mi dite che sarà così potrà restare con voi." Chiese allora la bionda.

Fu il nonno a scuotere la testa intanto che si scambiava un occhiata col nipote. Lui era un soldato nelle file di Athena, aveva una missione ben più importante, non era certamente correre in Sicilia ogni volta che Lucia chiamava. 

Fu la nonna però a parlare per tutti, ella sapeva, ella comprendeva che la vita di Nino era ormai agli sgoccioli, lei sapeva che anziana e sola con Lucia non avrebbe potuto proteggerla. 

"Se così sarà libera da ogni male non la tratteniamo qui con noi. Ma voi giovane Aphrodite restate qui, siate ospiti nella nostra umile dimora oggi e domani quando partirete sarete riposate." Offrì loro la donna. 

Aphrodite annuì e prendendo le mani tra sulle della donna sorrise. "Chiamatemi Rosa Matri Lucia." Disse allora. "Io e le mie ancelle, Kissos e Tulip accogliamo con piacere la vostra ospitalità."

Al che Giovanni si alzò, non aveva altro da dire e non c'era nulla che potesse fare, se non quello per cui era lì. 

Diede le spalle a tutte le donne e scambiandosi uno sguardo di intesa con il nonno uscì di nuovo nei campi a mietere il grano. 

Non tornò in casa per il pranzo, aveva un lavoro da svolgere. Dopo il grano era passato e raccogliere i frutti succosi dagli alberi di aranci e dai limoni. Era sporco e non stanco, i pensieri scorrevano veloci durante quella sua giornata. 

Faceva bene ad affidare sua sorella ad Aphrodite? Forse sì, le ancelle che fossero di Aphrodite o di Athena erano atte a dare piacere o fare da serve. Ma Aphrodite era stata chiara, non erano donnacce, quindi sua sorella Lucia sarebbe stata al sicuro. Era giunto alla conclusione mentre aggiungeva un'altra cassa di limoni sul furgone  che il giorno dopo sarebbe stato venduto. 

"Con questo raccolto dovrebbero stare bene tutto l'inverno." Si annunciò Viola con quella frase. 

"Se vendessero quello che non riescono più a coltivare starebbero bene per sempre. Basterebbe loro un piccolo angolo di terra per campare e per mangiare." Le rispose lui, non sarebbe potuto andare sempre a trovarli.

Lucia posò una mano tra le scapole umide del fratello. "Parlagli, ti ascoltano Giovanni e io da domani non ci sarò più." 

Lui cercò lo sguardo della sorella. "Se parti con lei non ci vedremo più, sono due dee così diverse." 

"Se ci ameremo sempre non accadrà Giovanni." Asserì lei porgendogli un mazzolino  di fiori viola e qualche ramoscello azzurro. "Sono viole  del pensiero, questo per ricordarti che sarai sempre nei miei pensieri." Disse la giovane al fratello. 

"Quello azzurro non mi sembra una viola." Le rispose, non voleva essere preda della malinconia e della tristezza. Aphrodite sarebbe stata per lei ciò che il santuario era stato per lui, la salvezza e la libertà.

"Quello è un non ti scordar di me." Ammise Lucia.

"Vuol dire che tu..."

"No Giovanni, vuol dire che qualsiasi cosa tu..." disse la sedicenne puntandogli il dito indice contro i pettorali sodi. "Non dovrai mai, mai scordarti di me Giovanni, che io sia Lucia oppure Viola l'ancella di Aphrodite." 

Le aveva sorriso il santo del cancro poi se l'era abbracciata con amore. "E chi si dimentica di te Lucia, io non potrei mai." 

"Torni ad Atene adesso?" Chiese lei in preda all'emozione.

Lui afferrò la maglia nera e se la tese sulle spalle incamminandosi. "Questa notte resto qui, così a qualsiasi ora tu andrai via Lucia io ci sarò per salutarti." Le aveva detto.

Una volta a casa era andato a lavarsi e poi aveva cenato con tutti, o nonni offrivano alla dea i frutti del loro raccolto orgogliosi, i due fratelli a quella visione avevano provato lo stesso sentimento. Quella era famiglia e Lucia stava per spiegare le sue ali verso un destino ormai già tracciato. 

La notte una volta a letto Giovanni aveva chiuso gli occhi senza però addormentarsi, un avambraccio copriva gli occhi. Non restò sorpreso nel sentire la porta aprirsi, non scostò il braccio per vedere chi era, sapeva che non si trattava di nessun familiare.

"Ti ho scelto santo del cancro, da oggi sei mio." Disse la voce della castana.

Un sorriso apparve sul viso coperto per metà di Giovanni. "Vuoi sedurmi?" Ancelle, erano tutte uguali. 

"Impossibile, sono vergine e non saprei da dove cominciare." Rispose ella lasciandolo sbalordito. "Ma tu saprai iniziarmi vero?" Gli disse sedendosi al suo fianco e portando una mano ben curata al suo sterno. 

La giovane ancella poteva sentirne il battito del cuore, non parlava e non rispondeva. Il sorriso era scomparso dal volto del ragazzo, lo aveva sorpreso con quell'affermazione. 

Ella tenne lo sguardo su di lui, aveva un fascino così particolare, il fisico era muscoloso ed asciutto e da quando aveva incrociato il suo sguardo quella mattina si era sentita legata a lui. Sarebbe stato il suo tributo d'amore per diventare definitivamente un'ancella di Aphrodite se egli avesse accettato.

Si scostò il braccio dal viso, Giovanni la fissò per poi sollevarsi contro la tastiera del letto. Allungò una mano e le scostò la camicia da notte così da scoprirle il seno non molto grande  ma decisamente eccitante. "Come ti chiami?" Le chiese.

 L'ancella deglutì aprendo la bocca carnosa ed invitante coperta da un velo di lucida labbra. "Tulip!" Sussurrò

Il nome di un fiore, come sua sorella che aveva scelto di chiamarsi Viola, come il suo fiore. Quello che lo avrebbe sempre tenuto legato a lei. Non gli aveva detto il suo vero nome Tulip, bensì un falso. 

Con uno scatto felino si portò verso di lei e le afferrò la nuca con la mano per poi avvicinare il viso al suo. "Death Mask, questo è il mio nome. Sappi che ci andrò piano solo la prima volta, poi si fa come so io." 

Così l'aveva posseduta la prima volta e quelle a venire, così era diventato suo. Appagato solo dal suo corpo e dalle sue curve non smisurate ma che a Giovanni piacevano. Così era stato chiuso in una trappola da cui non ne usciva facilmente. 

Partire ed anticipare il viaggio con Freya fu per lui una liberazione dalla sua presenza. Tulip era perfida e non si esponeva mai con lui, lo cercava e si prendeva il sesso che a entrambi piaceva, poi ogni volta lo lasciava uscire da lei. Dopo quattro anni dall'inizio della loro relazione infatti lei aveva preso le distanze, non gli aveva dato più tutta de stessa, al contrario da egoista si prendeva il piacere e gli ordinava poi di venire fuori da lei. 

Lo aveva incantato, non perché ne era innamorato, non perché avesse usato una qualche magia con lui. Quella ormai la riconosceva, lei Tulip la usava solo durante il sesso, quando non voleva che il suo seme la macchiasse e allora senza obbiettare si allontanava da lei. Sapeva però di certo Giovanni di essere schiavo del suo corpo e dei loro desideri, sapeva che appena gli avrebbe accennato sarebbe di nuovo caduto preda della sua femminilità e così non andava bene quello era un rapporto distruttivo e non era ciò che voleva Giovanni, non quando da santo di Athena diventava un guerriero di Zeus e c'era il rischio di trovarsela sempre davanti. Scappare cercando le missioni in quei mesi era stata l'unica via di uscita. Odiava quando lo guardava con ammonimento, quando il solo parlare con altre donne lei lo uccideva con quegli occhi color ginepro.  Gli rivoltava tutto dentro soprattutto perché lei era stata distaccata con lui. Quasi avesse la lebbra! Non era malato e sì era morto, che colpa ne aveva se gli dei non gli davano pace e ogni tre e due lo risvegliavano dal sonno eterno. 

Libertà, era ciò di cui aveva bisogno e lì ad Asgard senza dubbio l'avrebbe trovata, come avrebbe anche portato a termine la sua missione. 

"Vieni John ti porto alle tue stanze, credo Lifya ti stia già aspettando." Disse Freya riportando alla realtà il santo del cancro.

"Perfetto, tu sicura di non aver bisogno di me?" Chiese Giovanni. 

"Sicurissima John." Disse ella aprendo una porta che dava su una stanza molto confortevole, sulla panca avanti al letto Lifya lo aspettava imbarazzata.

"Ciao Death è... bello rivederti?" Lo salutò titubante. 

Grattandosi la fronte Giovanni annuì. "Ciao, scusa se ti ho disturbato in questo periodo." La salutò 

La celebrante intanto sbirciava alle sue spalle, divertito il santo si fece più avanti e si chinò su   di lei. "È in Grecia con la sua compagna e loro figlio."  

Le disse perfido, meglio disilluderla subito anche se in quei mesi le aveva chiesto un favore.

"L-la compagna?" Chiese Lifya 

Freya allora intervenne annuendo. "Sì, ricordi Marin? L'hai conosciuta quando è venuta a trovarmi mesi fa." Raccontò a Lifya.

Lei chinò il capo e sorrise amaramente. "S-sì la ricordo. Non mi sembrava pronta già al parto però." Cercò di intavolare un discorso, giusto per tacere che non si aspettava Aiolia avesse una relazione, figurarsi un bambino. Ma in fondo chi era lei per lui? Solo un'amica e niente altro. Quante volte durante la sua permanenza ad Asgard aveva negato che loro fossero una coppia intima. 

"Non aveva ancora terminato la gravidanza giusto? Ma sono stati attaccati da alcuni giganti e il piccolo Lyon è nato prematuro." Spiegò la principessa.

"M-mi dispiace... io..." Terminò la giovane intanto che delle voci vivaci giungevano fuori dalla porta. Un bambino di circa quattro anni stava entrando sgattaiolando verso Lifya, dietro di lui una bambina con un caschetto castano cercò di rincorrerlo. "Eccoli." Affermò la celebrante  rivolta a Death Mask. "Li ho trovati dove ci siamo conosciuti e li ho portati qui." 

"Tu sei il tipo che veniva alla bottega." Disse la voce di un bambino entrando in stanza e andando spedito da Giovanni.

Il cancer diede un occhiata ai bambini, erano tutti e quattro lì, anche la piccola con i codini, che dava la mano al fratello. 

"Sembra che stiate tutti bene." Disse al ragazzino.

"Abbiamo fatto come ci hai detto, ci siamo aiutati e siamo rimasti uniti." Affermò il grande entrando nella stanza. 

Giovanni si inginocchiò al ragazzino ed annuì. Doveva avere appena sette anni, come lui quando era diventato un santo. Lo guardò attentamente ricordando il suo incontro con Andreas Rise e la morte di Helena, come amareggiato l'aveva portata dai bambini. 

"Non te l'ho chiesto io, era un desiderio di tua sorella Helena e tu devi mantenerlo in sua memoria." Disse al ragazzino intanto che la bambina che aveva per mano lo guardava curiosa.

Lui guardò il cancer. "Lei non era mia sorella Helena, lei era mia madre!" Disse il bambino sfidandolo con i suoi intensi occhi blue. 

Giovanni rimase basito. Annuì e guardò il bambino, Helena aveva dei figli e non dei fratelli. "Nellik giusto?" Gli chiese a quel punto, il ragazzo annuì. "Se sapete dove stare domani potrei portarvi avete una zia o una nonna?" Disse al maggiore dei fratelli. "Anche loro come te sono... cioè Helena è..." Chiese a Nellik.

"Soprattutto loro, ho capito tutto quando era lei a farli nascere." Mi raccontò lasciando andare la sorella. 

Era basito e forse deluso dall'immagine che si era creato di Helena, ma non poteva farlo vedere. Non ai bambini. 

"Avete dove stare?" Chiese allora. 

"No signore che puzza di alcol." Intervenne la bambina col caschetto, lei doveva essere Lilje. 

"Ancora non ho bevuto oggi." Ammise l'uomo con un sorriso beffardo. 

"Veniamo con te? Ci porti a casa?" Chiese la piccola Syren.

"Stjern vuole Helena, quando torna?" Chiese il più piccolo. 

"Quando sarà tempo Stjern, abbi fiducia in lei." Lo rincuorò Lilje. "Nel frattempo andiamo con lui, Helena ci ha affidato all'uomo che puzza di alcol." 

Giovanni li osservò, lui cosa? Quei quattro ragazzini dovevano aver capito male.

"Ti lasciamo in buone mani allora Giovanni. Io vado dal primo consigliere e dai miei cugini. Questa sera rientra Hilda con Tulip e vorrei fosse tutto pronto." Si congedò Freya.

Lui sembrò un attimo vacillare. "Pensi che domani potrei tornare in Grecia?" Chiese il cancer ed ella annuì.

"Perfetto, buona giornata Freya." La salutò Giovanni.

Non voleva stare più tempo del necessario sotto lo stesso tetto con Tulip. E così fece, il giorno dopo con i quattro bambini di Helena lasciò Asgard, dopo ovviamente essere ricaduto di nuovo tra le brame di Tulip. Quella donna era una tentazione e lui...

Lui era troppo debole e insignificante per poterla rifiutare. Aveva avuto ragione Andreas, era inutile. A cosa poteva mai servire?

 

———

Il periodo in cui Lucia avrebbe dovuto aggiungersi alle ancelle doveva essere l’estate. Ma la mietitura del gran inizia da metà ottobre a fine novembre. È quindi un caso che mi sia trovata a far nascere Nellik a metà luglio (cancro) avevo pensato più al piccolo, Stjern come erede di Death. Ma mi atterrò a questo punto al primo figlio. Poi nel corso della storia ne capirete il motivo

   
 
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