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Autore: Moriko_    12/07/2020    4 recensioni
«[…] E sai che ti dico? Perché devo restare qui e rinunciare per sempre al mio sogno, quando posso giocare altrove… senza più limiti?»
Due amici, un unico sogno.
La vita metterà di fronte ad uno di loro un ostacolo quasi impossibile da superare e che rischia di affievolire la sua passione per il calcio, ma sarà proprio da questo ostacolo che lui troverà la forza per rialzarsi e riprendere la sua corsa, verso una nuova alba.
Genere: Introspettivo, Song-fic, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Sommario: «[…] E sai che ti dico? Perché devo restare qui e rinunciare per sempre al mio sogno, quando posso giocare altrove… senza più limiti?»
Due amici, un unico sogno.
La vita metterà di fronte ad uno di loro un ostacolo quasi impossibile da superare e che rischia di affievolire la sua passione per il calcio, ma sarà proprio da questo ostacolo che lui troverà la forza per rialzarsi e riprendere la sua corsa, verso una nuova alba.

[What if in cui Yuzo ha frequentato la Mizukoshi alle elementari… ma ha un suo perché. ;)]






Brand new dawns.



«Hikaru… tu sei sicuro che sia una buona idea?»
Se doveva essere onesto, Yuzo aveva molto timore di affrontare quella prova. Tremava come una foglia al vento, lo stesso che in quel momento stava sfiorando le sue guance, e paradossalmente gli mancava l'aria.
Il giovane portiere era seduto a bordo campo insieme ai suoi compagni, assistendo alle prodezze degli altri giocatori che si stavano affrontando con tutte le loro forze per ottenere un posto nella formazione della futura Nankatsu SC, la squadra che avrebbe riunito i migliori giocatori della città in vista del campionato nazionale di calcio giovanile.
Quella che tutti stavano affrontando non era la solita giornata di allenamento o di sfida tra squadre: sembrava essere una vera e propria guerra, dove avrebbe trionfato solo chi ce l'avrebbe messa tutta per superare quella prova. Intuizione, agilità e prontezza di riflessi, nonché tenacia e un grande spirito combattivo: doti fondamentali che ciascuno di loro doveva dimostrare in quelle partite di cinque minuti ciascuna che si stavano rapidamente succedendo, tra squadre composte da giocatori scelti in modo casuale.
«Guarda il lato positivo: non siamo finiti contro quelli della Shutetsu!» rispose Hikaru Yamamoto, l'amico d'infanzia di Yuzo nonché suo vicino di casa. Il ragazzino non si stava perdendo d'animo e, anzi, stava approfittando di quelle selezioni per vedere ancora una volta con i propri occhi la forza degli altri giocatori in campo: come Yuzo, anche lui era perfettamente consapevole di non essere all'altezza di affrontare quelle che sembravano essere delle piccole tigri, ma a differenza del suo compagno tendeva a nascondere la realtà dei fatti dietro il suo solito atteggiamento spavaldo.
Per come erano messe le cose la Mizukoshi, la squadra di Yuzo e Hikaru, era la squadra più debole dal punto di vista tecnico. Difficilmente gli esaminatori sarebbero riusciti a selezionare qualche giocatore proveniente da quella scuola, però…
«… mai dire mai!» esclamò Hikaru, stiracchiandosi per sgranchirsi le braccia. «Sarebbe fantastico giocare al fianco di fenomeni come Tsubasa e Wakabayashi! Un sogno che potrebbe diventare realtà… basta impegnarsi e crederci!»
«Hai detto la stessa cosa anche l’anno scorso al torneo della Prefettura,» puntualizzò Yuzo, incrociando le braccia. «E lo sai: non ci è andata bene.»
«Ma ci siamo divertiti un sacco!» disse Hikaru con allegria. «Peccato che non sei stato bene: con te in porta avremmo vinto di sicuro!»
«Questo non c'entra,» sussurrò Yuzo.
«Come "non c'entra"?»
Hikaru sgranò gli occhi. «Sei il primo portiere della nostra squadra, no?»
«Ma questo non vuol dire che con me la situazione sarebbe stata diversa…» replicò Yuzo, incrociando lo sguardo dell'amico. «Sei troppo buono, come sempre…»
«Ehi.»
Hikaru appoggiò le mani sulle spalle dell'amico in segno di confronto. «Io credo in te… e so che puoi farcela.»
Yuzo abbassò timidamente lo sguardo e non proferì parola; al contrario, l’entusiasmo sembrava dominare il volto di Hikaru.
«Non avere paura! Intanto noi ci impegneremo, e se ciò non dovesse funzionare… beh, non possiamo dire di essere fuggiti come dei codardi! Siamo pronti a tutto, noi!»
Il fischio di fine partita interruppe il dialogo tra i due bambini, e subito dopo toccò proprio a loro scendere in campo per la loro squadra. Tutta la Mizukoshi stava contando anche su di loro: i due ragazzini erano molto forti e, anche se entrambi sapevano di non aver molte speranze di superare le selezioni, il tifo sempre più scatenato dei loro amici divenne la fonte della loro forza e determinazione.
Prima che Yuzo prendesse posto tra i pali, Hikaru gli diede una pacca sul braccio. «Andrà tutto bene, vedrai! Giochiamo come sempre… e facciamo vedere ai nostri avversari cosa significa divertirsi!»
Yuzo sorrise nel vedere il suo amico andare verso il centro del campo con una piccola corsa, senza mai nascondere il buonumore.
«Già, divertirsi…» sussurrò il portiere. «Hai proprio ragione!»

La breve partita di cinque minuti fu abbastanza equilibrata.
Non erano molto forti gli avversari della squadra dove Yuzo e Hikaru erano capitati, per cui il piccolo portiere riuscì a tranquillizzarsi e a giocare dando il massimo; lo stesso fece anche Hikaru, che nel giro di pochi secondi non ebbe difficoltà ad impossessarsi del pallone, a dribblare i giocatori dell'altra squadra e a segnare subito nella porta avversaria.
Gli esaminatori osservarono l'andamento della partita e di volta in volta si scambiavano veloci sguardi d'intesa e qualche parola mozzata tra le labbra per non far trapelare nulla di ciò che si stavano dicendo; poi segnavano le loro impressioni sui documenti delle varie formazioni, che sarebbero dovuti servire alla fine per valutare chi scegliere e chi invece no.
Quella partita, che col passare del tempo stava per concludersi a favore della formazione di Yuzo e Hikaru, divenne fin da subito un trionfo per i giocatori della Mizukoshi che erano ancora in panchina: in loro si riaccesero le speranze che qualcuno della squadra venisse davvero selezionato, e la cosa li inorgoglí più del solito.
Ad un minuto dalla fine Hikaru era riuscito a prendere di nuovo possesso della palla e stava per iniziare un altro dribbling verso la porta avversaria; tuttavia all'improvviso il bambino iniziò a rallentare la sua corsa.
«A… accidenti!» borbottò, strofinandosi gli occhi che all’improvviso avevano iniziato a dargli fastidio, e attribuì l'alone che gli contornava la vista al fatto che vi fosse entrata della polvere.
Nel disperato tentativo di pareggiare all’ultimo, gli avversari approfittarono di quel momento di distrazione per cercare di rubargli il pallone in massa, ma Hikaru riuscì a bloccarlo con le caviglie ed a superarli con un balzo.
«Sei grande!» esclamarono i suoi compagni di fronte alla pronta reazione del loro compagno di squadra. Anche Yuzo, dalla parte opposta del campo, lo stava incoraggiando affinché arrivasse fino alla porta avversaria.
«Forza, Hikaru! Puoi ancora farcela!»
Ormai mancava poco alla fine della partita.
Hikaru si sforzò in tutti i modi di liberare gli occhi da quell'enorme fastidio. Cercò di focalizzare la porta senza smettere di correre: i suoi occhi sembravano essere ancora offuscati da un sottile velo che gli impediva di vedere tutto nitido. Iniziò a urtare involontariamente i giocatori avversari che stavano correndo al suo fianco per marcarlo, che rispetto a prima gli sembravano più nebulosi.
Non appena fu certo di essere in una buona posizione Hikaru tirò con tutte le sue forze, ma il pallone colpì il palo.
«Dannazione!» esclamò il bambino, dando un sonoro sbuffo. «Poteva essere un altro gol!»
In quel momento il direttore tecnico fischiò per tre volte, invitando i giocatori presenti sul campo di darsi il cambio con chi doveva ancora sostenere la selezione. Subito Yuzo si avvicinò a Hikaru, il quale stava sbattendo le palpebre ripetutamente, e gli offrì un braccio per tornare insieme dai loro compagni. Una volta là, il ragazzino si fece dare la sua bottiglietta d’acqua e si sciacquò gli occhi.
«Finalmente, ci voleva proprio!» esclamò Hikaru, rivolgendo un sorriso ai suoi compagni. «Mi dispiace non essere riuscito a segnare di nuovo… mi sa che è entrata della polvere negli occhi! Che fastidio che mi sta dando: povero me, quasi mi gira la testa!»
«Tutto bene?» gli domandò il coach della sua squadra, mentre gli passò un asciugamano.
Il ragazzo si accasciò sulle sedute degli spalti, con gli occhi chiusi. «Sì. State tranquilli, mi passerà! Ero un po' agitato per questa prova, forse è per questo che ora mi sento… mi sento la testa così stanca!»
Nel frattempo, dalla parte opposta del bordo campo uno degli esaminatori rivolse lo sguardo verso Hikaru, mentre quest’ultimo stava incoraggiando gli altri compagni a scendere in campo con la consapevolezza di dare il massimo e divertirsi. L’uomo aveva seguito tutta la partita con grande attenzione insieme ai suoi colleghi, e in particolare gli era rimasto impresso tutto ciò che era accaduto nell'ultimo minuto.
Prima di dare l'ok per la ripresa della selezione l’esaminatore indicò con il pollice Hikaru, e fece un cenno con la testa verso i suoi colleghi.
«Quel ragazzino…»
Gli altri intuirono subito a cosa si stesse riferendo e annuirono in segno di assenso, riportando una nota aggiuntiva sui documenti.



«Le selezioni sono terminate. A breve saranno comunicati i nomi dei primi trenta selezionati per la nuova squadra della città!»
La voce proveniente dall’altoparlante del campetto annunciò la conclusione di quella giornata estenuante per tutti, sia per gli esaminatori ma soprattutto per i giocatori. Insieme ai loro coach, i ragazzi che avevano partecipato alla selezione si riunirono intorno al palco allestito per l’occasione, dove il sindaco della cittadina avrebbe pronunciato il suo discorso.
Hikaru incrociò le braccia e sbuffò. «Ma quanto ci mettono? Ho fame!»
Sotto lo sguardo incredulo del loro coach, i suoi compagni di squadra annuirono. Con quel commento il loro amico aveva espresso il pensiero di tutti: la giornata era stata molto lunga e tutti erano ormai esausti, arrivando al tardo pomeriggio solo con la forte curiosità di sapere chi di loro fosse stato scelto e una grande voglia di tornare a casa.
Yuzo soffocò una risata e rivolse lo sguardo prima verso il palco, poi verso i componenti della squadra della Shutetsu che sembravano essere quelli più tranquilli tra tutti coloro che avevano partecipato.
Certo… di sicuro loro avranno superato le selezioni…
Sospirò, ripensando alle parole che l’amico d’infanzia gli aveva rivolto prima della loro partita.
«Sarebbe fantastico giocare al fianco di fenomeni come Tsubasa e Wakabayashi! Un sogno che potrebbe diventare realtà… basta impegnarsi e crederci!»
Già… impegnarsi e crederci. Due parole che in quel momento al piccolo portiere sembravano quasi surreali.
Il suo impegno, quello di Hikaru e dei suoi compagni… Sarebbe bastata tutta la loro dedizione per arrivare a superare quelle selezioni? Davvero gli esaminatori avrebbero scelto anche qualcuno di loro nel vederli così determinati e appassionati al gioco del calcio?
Forse, questa volta non sarebbe bastata solo la forza di volontà. Ci voleva anche il talento e un genio innato, ciò che probabilmente i giocatori della Mizukoshi non avevano al contrario di quelli della Shutetsu; d’altronde, se fosse stato il contrario, di certo non avrebbero perso contro quella fenomenale squadra per sette a zero.
Quella sconfitta bruciava ancora nel cuore di Yuzo, soprattutto perché anche quel giorno non era riuscito ad essere presente a quella miserabile partita. Quando Hikaru gli aveva raccontato come si era svolta quella sfida minuto per minuto, di fronte alla sua risposta alla frase «Se ci fossi stato tu, non avremmo mai perso sette a zero!» il suo amico aveva aggiunto...
«Cos’è quell’espressione triste? Su, non è detta l’ultima parola!»
Yuzo sussultò. Con una pacca sulla spalla Hikaru l’aveva risvegliato da quel groviglio di pensieri, e gli stava sorridendo di gusto.
«Co… cosa c’è?» chiese il portiere all’amico.
«Come “cosa c’è”?» rispose Hikaru, guardandolo dritto negli occhi. «Sei triste! E questo non va bene, no no!»
Yuzo tornò a guardare i giocatori della Shutetsu. «Hai ragione… ma è difficile sorridere con loro in giro. Sono molto forti, sicuramente li prenderanno tutti nella nuova squadra.»
Anche Hikaru si voltò verso quei piccoli prodigi e rimase in silenzio, ma subito dopo incrociò le braccia al petto.
«Questo non vuol dire niente: oggi anche noi siamo stati bravi… io ho segnato un gol, per esempio! E anche tu ti sei fatto valere con quella grande parata!»
Poi si voltò nuovamente verso Yuzo e avvicinò il suo viso a quello dell’amico, iniziando a ridacchiare con un tono colmo di furbizia. «Vuoi sapere una cosa? Prima, quando sono andato in bagno, per caso ho sentito due esaminatori che stavano parlando di un giocatore molto bravo! Dicevano “Quel bambino è stato proprio forte, nonostante il suo problema agli occhi!” E indovina un po’ di chi stavano parlando? Di me!»
Yuzo inarcò un sopracciglio, incredulo per quella notizia. Certo: lui era il primo a sperare che Hikaru superasse quelle selezioni, ma quella storia non lo stava convincendo del tutto.
«Non è una bugia, vero?»
«Ma no! Lo sai che non sono un bugiardo… anzi: sono molto felice di aver sentito quei complimenti! Ora sono certo che mi prenderanno… e se prenderanno me, vedrai che anche tu mi seguirai subito dopo!»
Hikaru si staccò da Yuzo e gli mise una mano sulla spalla. «Te l’ho già detto: noi ce l’abbiamo messa tutta, e non siamo stati da meno rispetto a quelli della Shutetsu! Sono certo che abbiamo ancora una possibilità… amico mio. Entreremo insieme nella Nankatsu e la porteremo alla vittoria!»
Il piccolo portiere cambiò espressione: da triste che era, fece un bel sorriso rincuorato. Hikaru lo stava incoraggiando, dimostrando ancora una volta di essere un buon amico, e anche in quel momento le sue parole gli erano state di grande conforto.
«E se… e se dovesse passare solo uno di noi?»
«Impossibile! Ce la farai anche tu, vedrai! Comunque non cambierà nulla… anzi: continueremo a giocare a calcio insieme! Me lo prometti?»
L’amico gli tese la mano chiusa a pugno, accompagnando quel gesto con un sorriso affettuoso. Yuzo fece lo stesso, battendo con le nocche sulla mano di Hikaru, e annuì sollevato.
«Sì! Te lo prometto!»
I due si voltarono verso il palco, mentre il sindaco stava per prendere parola. Il primo cittadino di Nankatsu era basso e stempiato, e con un raggiante sorriso sistemò il microfono. Tutti restarono in silenzio, in attesa di quel fatidico verdetto che avrebbe deciso il futuro di alcuni di loro.
«Complimenti, ragazzi… oggi avete giocato tutti molto bene. La commissione ha ammirato le vostre qualità…»
Hikaru tornò a sbuffare, e borbottò rassegnato.
«Ecco, ci mancava solo lui… e basta, non ce la faccio più!»
A seguire un mormorio sempre più crescente si innalzò dalla folla dei ragazzini, e anche altri di loro iniziarono a lamentarsi.
«Sì, sì… abbiamo capito! Dicci subito chi è stato scelto!»
«Dai, sbrigati!»
Incalzato sempre più da quelle richieste così insistenti, il povero uomo portò le mani in avanti e quasi arrivò al punto di scusarsi con i ragazzi.
«Calmi, calmi…»
Il direttore tecnico salì sul palco e consegnò la lista che aveva preparato insieme agli esaminatori al sindaco che, dopo aver preso un fazzoletto di stoffa per asciugarsi il sudore dalla fronte, iniziò a chiamare a gran voce i nomi di coloro che avevano superato le selezioni.
«Oh, finalmente!» commentò Hikaru sotto lo sguardo divertito di Yuzo. Poi si rivolse all'amico e gli sussurrò con affetto: «Qualunque cosa succederà… sarai sempre mio amico.»
«Anche tu,» rispose Yuzo, senza più alcuna esitazione nella sua voce. «Sarai sempre mio amico, anche se sarai l'unico della nostra squadra a partecipare al campionato.»
«Ancora con questa storia?»
Il portiere rise di fronte alla prevedibile reazione del suo compagno di squadra, e gli disse: «Guarda che non sono stato io a dirlo… o forse mi hai raccontato una bugia per tirarmi su di morale?»
«Giuro che è tutto vero, Yuzo!»
«Mah, sarà… se non sento il tuo nome da quel microfono, non ci credo!»
Yuzo si divertì a scherzare su ciò che il suo amico gli aveva confidato, mostrandosi all’apparenza sempre più burlone ma bonario nei suoi confronti. Tuttavia, nel profondo del suo cuore sperava davvero che Hikaru avesse ragione, che le orecchie del suo amico non l'avessero tradito nell'udire quei complimenti che tanto gli aveva decantato: per Yuzo, Hikaru meritava davvero di entrare a far parte di quella nuova squadra, e non solo in virtù della loro amicizia. Il suo amico era molto bravo a giocare a calcio, forse il più bravo della loro squadra: eccelleva in tutti i ruoli, anche se il suo preferito restava quello dell’attaccante perché amava scatenarsi sul campo per poi dare il colpo di grazia agli avversari spedendo il pallone in rete.
Mentre i due amici stavano ancora parlando, la voce del sindaco attirò la loro attenzione. Se tutto ciò che il primo cittadino aveva detto non era stato oggetto del loro interesse, Hikaru e Yuzo interruppero la loro conversazione di colpo non appena udirono un nome pronunciato con fermezza e autorità.
Entrambi rimasero piuttosto sorpresi e non sapevano bene come reagire, soprattutto uno di loro: colui che era stato appena chiamato. Il ragazzino era rimasto di stucco di fronte a quella voce che, con quel secco richiamo del suo nome, gli aveva comandato di distaccarsi dalla sua squadra e unirsi al resto dei selezionati.
Mai e poi mai se lo sarebbe immaginato.
Di fronte ai compagni di squadra, che in quel momento gli diedero una leggera spinta in avanti per incoraggiarlo a raggiungere gli altri giocatori, il fortunato giocatore a lenti passi si allontanò dal gruppo. Poi si voltò verso di loro, guardò negli occhi il suo amico d'infanzia e gli sorrise timidamente: constatò che, in fondo, aveva sempre avuto ragione lui.
Basta impegnarsi e crederci.
Quelle parole gli stavano nuovamente rimbombando nella testa.
Lui, Yuzo Morisaki, ce l'aveva fatta. Non gli sembrava vero: era lì, al fianco di grandi campioni… proprio lui, che non si era mai sentito all'altezza di entrare a far parte di quella squadra. Proprio lui, che dopo le parole di Hikaru era quasi pronto a fargli i complimenti per aver superato la selezione, ora era invece al suo posto… e per questo motivo da una parte era anche triste per il fatto di non poter giocare un campionato insieme a lui.
Ma il sorriso che Hikaru e i suoi compagni gli stavano rivolgendo avevano fatto capire al portiere che loro non sembravano provare gelosia nei suoi confronti, tutt'altro: quel sorriso sincero era la certezza che i suoi amici avrebbero continuato a restargli al suo fianco, come sempre, a sostenerlo e tifare per lui.
Yuzo annuì silenziosamente e rivolse lo sguardo verso il palco, dove il sindaco e il direttore tecnico stavano ancora aspettando la sua risposta.
«Presente!» esclamò il portiere con fierezza, cercando di trattenere il più possibile i sentimenti di gioia e di nervosismo che si stavano mescolando dentro di sé.
Era l'unico della Mizukoshi ad essere stato scelto, e in quel momento percepì all’altezza del cuore l’improvviso peso di una grande responsabilità nei confronti di se stesso e degli altri giocatori: doveva difendere la porta della Nankatsu SC con tutte le sue forze, fino ad arrivare alla finale del torneo nazionale.
Giurò che mai e poi mai avrebbe deluso le aspettative di tutti i suoi compagni, sia della Mizukoshi che di quelli della nuova squadra.



Quando uscirono dallo stadio, Yuzo e gli altri membri della Nankatsu SC furono travolti dall'abbraccio di tanti tifosi che erano giunti dalla loro città per sostenerli.
Avevano trionfato nel campionato nazionale di calcio giovanile, ma non si aspettavano che si fosse spostata mezza Nankatsu fino a Yomiuri Land, il luogo in cui era avvenuto il loro sogno. Yomiuri Land, il più grande parco divertimenti di Tokyo, era il più importante punto di arrivo per tutti i bambini delle elementari che sognavano di diventare dei grandi calciatori: ogni anno era proprio lì che si disputavano le partite del campionato nazionale dove si affrontavano le migliori squadre del Giappone, e l’agognata bandiera cremisi posta come trofeo diventava per un anno intero il simbolo della vittoria su tutta la nazione. Per alcuni della Nankatsu SC non era stata una novità conquistare il tanto ambito trofeo: i membri della Shutetsu erano riusciti a vincerlo l’anno precedente; invece per altri, come Yuzo, era la prima volta trovarsi sotto i riflettori, quasi al centro del mondo.
Per quelli come Yuzo, Yomiuri Land era sempre stato un sogno quasi irraggiungibile: tante volte con i loro genitori avevano visto da casa le partite che si svolgevano ogni anno, e mai si sarebbero aspettati di arrivare fin laggiù per vincere il campionato, e così scrivere una pagina importante della loro vita.
Anche per questo motivo Yuzo fu sorpreso dall’essere accolto da vincitore, insieme ai suoi compagni di squadra, all’uscita dallo stadio dove si era appena conclusa l’ultima partita. In quella fiumana di persone Yuzo ritrovò anche i suoi compagni di scuola che per la finale avevano deciso di raggiungere quel luogo, per sostenere l'unico di loro che faceva parte di quella squadra vittoriosa: tra loro vi era anche Hikaru, che subito corse ad abbracciare l'amico.
«Sei stato bravissimo!»
«Ma oggi non ho giocato...»
«Non importa! Sei stato bravissimo nelle altre partite… ed è questo ciò che conta! Non ho ragione, ragazzi?»
Hikaru si voltò verso i suoi compagni e alzò le braccia al cielo in segno di vittoria. «Possiamo tornare nella nostra città, orgogliosi di avere un portiere fenomenale! E ce l'abbiamo solo noi!»
Fu subito un tripudio di gioia tra i giocatori della Mizukoshi, che si strinsero intorno a Yuzo e lo sollevarono da terra. Il loro compagno si sorprese nel vedersi al centro dell'attenzione in un modo così insolito, ma subito lo stupore lasciò spazio alla felicità.
Se era arrivato a raggiungere quel grande traguardo, Yuzo lo doveva soprattutto ai suoi compagni di squadra che anche da lontano l'avevano sempre sostenuto. Anche grazie a loro aveva iniziato a capire che forse non era così incapace come, invece, si era sentito prima di varcare la soglia del campionato nazionale.



Qualche giorno dopo la fine del torneo, Yuzo e Hikaru avevano ripreso la loro quotidiana corsa per le vie della cittadina. Di tanto in tanto si passavano il pallone, evitando ogni genere di ostacolo nel quale si imbattevano, che fossero muretti o mezzi parcheggiati lungo la strada. Davanti ai loro occhi si stagliava il campetto da calcio: sebbene fossero ancora lontani, al suo interno era in corso una partita, dal forte e indistinto vociare che si udiva.
«Andiamo, Yuzo!»
Hikaru prese per mano il suo amico e lo trascinò fino ad arrivare a destinazione. Una volta là appoggiò il pallone tra le sue gambe, si aggrappò alla rete che circondava il campetto e, attraverso le fessure, osservò con estrema attenzione la partita, facendo il tifo per i vari giocatori.
«Su, forza!» urlò con tutto il fiato che aveva in corpo.
Yuzo lo osservò, e sorrise. Gli occhi del suo amico sembravano brillare più del solito, con un'energia e una vitalità ancora più raggiante.

Terminata la partita i due amici decisero di fare ritorno a casa, ripercorrendo la strada che attraversava il parco. Posti l'uno di fronte all'altro lungo il vialetto rossiccio, si passarono il pallone con un calcio o un colpo di testa, e così cercarono di non farlo cadere a terra il più possibile.
Una volta usciti dal parco Hikaru strinse in mano il pallone e rivolse lo sguardo verso la collina fitta di alberi che fronteggiava la cittadina.
Si voltò verso Yuzo e gli chiese:
«Ti va di andare al belvedere?»
Era una domanda un po' improvvisa, dato che poco prima entrambi avevano già deciso di tornare a casa, ma a Yuzo l'idea non dispiacque: la giornata non era ancora giunta al termine, perciò per lui si poteva fare una piccola deviazione e trattenersi ancora un po’ in giro.
«Va bene!»
I due si incamminarono verso la periferia della cittadina, per poi imboccare il sentiero che li avrebbe portati in cima al belvedere. Scalino dopo scalino, un po' alla volta, Hikaru e Yuzo tornarono a passarsi il pallone.
Giunsero sul belvedere e posarono il pallone presso una piccola costruzione votiva in legno con il tetto a capanna. La vista era spettacolare: da lì si vedeva l'intera vallata nella quale era contenuta la cittadina e illuminata dai raggi del sole del tramonto, che contrastava con il sentiero che aveva portato i due ragazzini fin lassù, così chiuso tra gli alberi della foresta che non lasciavano intravedere nulla.
Hikaru e Yuzo si sedettero sull'erba verde e fissarono il panorama che era di fronte a loro; poi, fu proprio il primo a spezzare il silenzio che nel frattempo era calato.
«È sempre bello venire qui e vedere tutta la nostra città…»
«Già.»
Hikaru alzò gli occhi verso il cielo, dando un leggero sospiro che l'altro subito udì.
«Qualcosa non va?» gli chiese Yuzo.
L'amico non rispose subito, lasciando che il canto dei grilli facesse loro compagnia. Qualche lacrima iniziò ad inumidire le sue guance, scendendo dagli occhi lucidi.
«Hikaru...»
Yuzo diminuì la distanza che li stava separando e posò una mano su quella dell'amico, stringendola forte.
«Sei preoccupato?»
Il ragazzino si voltò verso di lui e sorrise, com'era solito fare. «Sei proprio fortunato, sai?»
«Io?»
«Sì!» esclamò Hikaru. Nonostante le lacrime che non riusciva a fermare, il suo tono di voce era pieno di gioia. «Ti hanno preso nella squadra della città, hai vinto il campionato nazionale… Insomma: hai un motivo per essere fiero!»
«E stai piangendo per questo?»
Yuzo era sempre più sorpreso dallo strano atteggiamento del suo amico. Forse - pensò - Hikaru era triste perché questa volta non era riuscito a giocare con lui come promesso.
Il portiere lasciò la sua mano e, con gli occhi colmi di felicità, strinse i pugni.
«Guarda che è stato solo un caso: la prossima volta entreremo in squadra insieme… e ci impegneremo per vincere!»
«Non ci sarà una prossima volta, Yuzo.»
Hikaru distolse lo sguardo dal suo compagno, che lo stava guardando sbigottito.
«Perché dici che–»
Ma l'altro lo interruppe con una sincera risata. «Sono felice che parli di vincere… proprio tu! Ricordi le selezioni? Tremavi come una foglia e pensavi di non farcela… e ora, guardati: sei uno dei campioni della città!»
«Questo non cambia niente…» replicò Yuzo, incrociando le braccia e sorridendogli. «Se pensi che tra noi le cose sono cambiate solo perché io ho partecipato ad un campionato e tu no, ti sbagli. Io e te continueremo a giocare insieme: è la nostra promessa!»
«Yuzo…»
Di fronte alle parole dell'amico Hikaru restò pietrificato e perse completamente quella maschera di felicità che stava cercando di mantenere. Piegò le ginocchia e, dopo essersi asciugato gli occhi colmi di lacrime, appoggiò la fronte su di esse: si lasciò sfuggire un amaro sorriso, e abbassò la voce ad un mormorio colmo d’angoscia.
«Mi dispiace… ma io non posso più mantenere quella promessa…»
«Perché?»
Yuzo balzò in piedi. Nella sua mente si susseguirono una serie di pensieri sul perché Hikaru stesse dicendo quelle cose: dal giorno in cui lo aveva conosciuto, il suo amico non si era mai perso d'animo e, se c'era una cosa che amava fare tutti i giorni e che forse avrebbe continuato a fare per il resto della sua vita, era proprio il giocare a calcio.
I due si erano promessi di militare insieme nella stessa squadra, affidando al pallone che tanto amavano il sogno di diventare dei bravi calciatori, però in quel momento Hikaru sembrava essere pronto ad infrangere quella loro promessa… anche se, in realtà, il suo tono di voce stava tradendo la sua intenzione, mostrandolo quasi in colpa per ciò che aveva detto.
Ma… ma perché?
Yuzo si inginocchiò vicino a lui. «Invece sono sicuro che potrai ancora mantenere la promessa… perché io non sono più forte di te, se è questo ciò che pensi…»
«Non… non posso…»
«Invece puoi, credimi…»
Hikaru alzò leggermente lo sguardo, e lo rivolse verso il suo compagno. «Lo… lo pensi davvero?»
«Sì… perché sei il mio amico! La prossima volta supereremo le selezioni insieme!»
Le labbra del ragazzino si dilatarono in un sorriso sincero, ma subito dopo iniziarono a tremare. Divorato ancora una volta dalla tristezza, Hikaru nascose completamente la testa tra le ginocchia e iniziò a singhiozzare.
«Promettimi una cosa…»
«Che cosa?»
«Promettimi… che giocherai a calcio con me… fino a quando riuscirò a vedere…»
Yuzo inarcò le sopracciglia, sorpreso. «Co… come?»
Hikaru esitò un attimo prima di rispondere. Cercò di trattenere i singhiozzi il più possibile, per dare al suo amico la spiegazione che gli stava chiedendo e che tardava ad arrivare.
«Dopo le selezioni… gli esaminatori hanno convocato prima me e poi anche i miei genitori, perché si sono accorti che qualcosa non andava… e avevano ragione: dal giorno della partita ho iniziato a vedere tutto sfocato… e ogni giorno sembrava sempre peggio...»
«Ogni… ogni giorno...»
«Sì. Tu sei partito, e non volevo dirtelo subito per non rovinarti le partite che hai giocato… ma io non sono stato bene: ho avuto anche un forte male agli occhi e nausea, così in queste settimane siamo andati in ospedale per fare alcune visite di controllo… e lì hanno detto che… che… che non c'è niente da fare! È troppo tardi: presto non ci vedrò più!»
A quelle ultime parole Hikaru cedette alle sue emozioni: scoppiò a piangere e subito si gettò sul petto dell'amico, stringendolo a sé. Yuzo non tardò a rispondere a quel gesto spontaneo: lo abbracciò, e lasciò cadere la testa nell'incavo del collo del suo compagno.
«Non… non è possibile!» esclamò esterrefatto tra le lacrime che ora anche a lui stavano scorrendo lungo le gote. «Non ci credo! Ci deve essere una soluzione… non arrenderti, così torneremo a giocare insieme! Davvero non puoi fare proprio niente? Nemmeno una cura?»
Ma l'altro rimase in silenzio.
Riuscì solo ad alzare lo sguardo e fissare Yuzo negli occhi. Il suo forte pianto non tradì la risposta più drammatica all'affermazione del suo compagno.



Con la sua cartellina stretta nella mano, Yuzo uscì da casa e si recò all'ingresso della casa dei vicini. Suonò il campanello e attese con pazienza che una voce femminile lo rispondesse con la gentilezza alla quale il ragazzo era abituato da anni.
«Solo un momento, Hikaru sta arrivando!»
Yuzo si stiracchiò, chiudendo gli occhi e godendosi la dolce brezza portata dall'inizio della primavera. Era ancora all'inizio dell'ultimo anno delle medie inferiori, ma la sua mente era già proiettata al campionato che avrebbe dovuto affrontare insieme alla sua squadra.
Non fece in tempo ad assaporare appieno quel pensiero: sentì il rumore di una porta chiudersi poco lontano e dei passi avvicinarsi sempre più al cancello. Il portiere aprì gli occhi, e incrociò lo sguardo del suo vicino di casa, che lo salutò con l'allegria che lo contraddistingueva.
«Ehilà!»
Hikaru chiuse il cancello, e i due iniziarono ad incamminarsi verso la scuola.
Di tanto in tanto Yuzo gettò un’occhiata verso il suo amico, anche quel giorno. Lo colpiva sempre il modo in cui si recava a scuola: con gli occhi chiusi, fischiettava gioiosamente portando la cartellina in una mano, mentre con l'altra agitava il suo bastone.
Sembrava che Hikaru camminasse con più disinvoltura di lui per le strade di Nankatsu, nonostante il suo campo visivo fosse del tutto compromesso. Il suo amico aveva perso il novanta per cento della sua vista, ma a volte sembrava che vedesse meglio di lui e di chiunque altro: Yuzo lo capiva nel momento in cui qualche bambino, inseguito dai suoi compagni, stava finendo inavvertitamente addosso a loro senza guardare davanti a sé, e lo capiva anche quando entrambi incrociavano sul marciapiede dei passanti molto distratti dalle loro conversazioni telefoniche. In tutti quei casi Hikaru riusciva sempre a spostarsi sul lato in tempo, come se avesse avuto i riflessi pronti come quelli di chiunque altro.
O, forse, anche di più di una persona che normalmente ci vedeva.
Mentre lo osservò ancora una volta, sulla strada che li avrebbero portati alle loro rispettive scuole, Yuzo si ricordò della risposta che il suo amico gli aveva dato quando gli aveva rivolto quella domanda, qualche settimana prima.

«Mi spieghi come fai?»
«Come faccio cosa?»
«Ad evitare gli ostacoli: hai dei riflessi incredibili!»
«Ahahah, magari! Non sono mica Daredevil!»
«Non sei Daredevil… ma riesci ad evitare i bambini che ti si buttano addosso! Come fai? A volte sono talmente imprevedibili che è difficile spostarsi!»
«Ah, quello! Beh… è vero che non ci vedo quasi più, però mi sto esercitando per avere gli occhi anche dietro la testa… la faticaccia che non immagini!»
«Gli occhi anche dietro la testa?»
«Sì! Non è facile, ma devo utilizzare tutti gli altri sensi per riuscire a muovermi… l’udito, per esempio! Basta un piccolo rumore, anche alle mie spalle, e capisco subito che dietro di me sta succedendo qualcosa… Certo: all’aperto sono ancora una frana, ma in casa è tutto più facile! Com’è che ha detto il medico… ah! “Devi imparare a distinguere a orecchio il mondo che ti circonda!”»
«Distinguere… a orecchio...»


«Attento: palo a ore dodici.»
«A ore dodici cos–»
L'impatto fu inevitabile: colto di sorpresa dall'affermazione di Hikaru, non appena guardò in avanti per capire a cosa stesse andando incontro, Yuzo sbatté contro un lampione. Il giovane si portò le dita sul naso dolorante, lamentandosi per il forte dolore.
Hikaru cercò di trattenere le risate, capendo subito cosa fosse appena successo.
«Ma come? Il grande portiere della Nankatsu, campione di incredibili parate… non riesce a vedere un palo della luce?»
«Smettila!» esclamò Yuzo in risposta alla domanda canzonatoria del suo amico. «Mi hai distratto…»
«Ah, sì? È colpa mia?»
Hikaru diede un leggero colpetto alla gamba del suo amico con il bastone, con un allegro sorriso. «Lo so che sono un ragazzo affascinante, ma se continui a distrarti dubito che arriverai vivo al nostro primo appuntamento… dovresti anche guardare la strada, se non vogliamo rischiare di farti il funerale!»
«Hikaru!»
Yuzo diede un leggero schiaffo sulla schiena di Hikaru, e continuò a massaggiarsi il naso. «Questa non ci voleva! Proprio oggi che abbiamo gli allenamenti…»
«Ma dai, Yuzo! Per tante pallonate in faccia che hai preso… ero convinto che quelle facessero più male di un lampione!»
Hikaru avanzò di qualche passo, per poi voltarsi e lasciare che la sua candida risata raggiungesse le orecchie di Yuzo. Gli appoggiò una mano sulla spalla e aggiunse:
«Lo sai che scherzo! Sei più resistente di una roccia, beato te: avessi io la tua faccia!»
«Pensi che mi faccia piacere?» replicò Yuzo. «Purtroppo non tanto: sarà che la palla è la nostra migliore amica… ma ogni volta rischio di farmi un male della miseria!»
Hikaru sorrise e proseguì il suo cammino in silenzio, senza aggiungere altro. Quel momento mattutino condiviso con il suo amico d'infanzia gli stava infondendo la pace e la serenità di cui aveva bisogno per affrontare le difficoltà della giornata.
Gli venne da pensare che, dopotutto, lui e Yuzo non fossero cambiati affatto. Stavano crescendo e cambiando dal punto di vista fisico, ma i loro caratteri erano rimasti sempre gli stessi.
Sempre, in qualunque situazione si trovassero.

Davanti a loro i due ragazzi videro l'edificio della Special Election School della cittadina: li separava solo un semaforo rosso e una strada, ma erano arrivati. L'istituto non era grande come la Nankatsu, ma era una delle strutture all’avanguardia della città: aveva un grande ingresso d'accesso senza scalinate, un impianto ascensori posto nella zona parcheggio, ampie vetrate, mappe tattili, segnaletica in braille e scrittura a rilievo. Una scuola per diversamente abili, l'unica in tutta la città di Nankatsu.
Il semaforo divenne verde e i due ripresero a camminare; non appena furono dall'altra parte della strada, l'altoparlante della scuola annunciò l'inizio delle lezioni nel giro di un quarto d'ora.
«Ora devo andare, ci vediamo a casa!»
Dopo aver salutato il suo amico con un sorriso, Hikaru si diresse verso l'ingresso tornando a fischiettare. Yuzo restò fisso a guardarlo mentre si allontanava in quell'ampio spazio semivuoto, così diverso da quello chiassoso e quasi dispersivo della sua scuola: non era frequentata da molti alunni, e di solito ciascuno di loro aveva un accompagnatore. Hikaru era uno dei pochi a raggiungere l'edificio e tornare da scuola da solo: per Yuzo il suo amico era un prodigio proprio per ciò che faceva ogni giorno in modo del tutto naturale e, se non fosse stato per i suoi occhi, sembrava essere un ragazzo come tutti gli altri; nonostante ciò Hikaru non poteva frequentare la sua stessa scuola né allenarsi nel campetto da calcio.
La legge era chiara: a causa della sua disabilità, Hikaru doveva recarsi presso la Special Election School, di fatto separandolo dai suoi compagni e amici che aveva conosciuto alle elementari. E anche se non lo dava a vedere, spesso quel sorriso per Hikaru era un modo per nascondere la sua più cupa tristezza e rammarico di fronte al fatto che non avrebbe più condiviso la maggior parte del tempo insieme a molte persone alle quali voleva bene.
Nel giro di due anni Hikaru era riuscito a creare delle solide amicizie anche in quella scuola, con altri che avevano le sue stesse difficoltà… ma, ogni volta che il suo sguardo cadeva sul volto dell'amico, Yuzo percepiva subito che a Hikaru mancavano ancora i tempi nei quali frequentava le elementari, gli stessi nei quali correva liberamente per il campetto di calcio della sua scuola, allenandosi con i suoi compagni e sostenendoli nelle partite. Quei tempi, ormai lontani, dove i suoi occhi avevano visto con sguardo diverso il mondo che lo circondava.
Un altro avviso dell'altoparlante divenne un improvviso campanello d'allarme per Yuzo, che doveva ancora raggiungere la sua scuola.
«Oh no, sono in ritardo!»
Il portiere corse all'impazzata verso la Nankatsu, e nel contempo tornò a massaggiarsi il naso: l'impatto di prima con il lampione era stato talmente forte che il dolore non sarebbe passato in fretta.
«Povero me! Speriamo di non ricevere una pallonata in pieno… oggi no, abbiate pietà!»





Nel pomeriggio Yuzo riprese gli allenamenti con la sua squadra nel campetto da calcio della scuola. Al termine uscì con gli altri e, dopo essersi congedato da loro, tornò a casa.
Quando giunse all'ingresso sentì il rumore di un pallone rimbalzare, accompagnato da un strano tintinnio: rimise nella tasca le chiavi che aveva preso per aprire la porta e si avvicinò alla fonte di quel rumore, che sembrava provenire dalla casa dei vicini. Fu sorpreso nel vedere proprio Hikaru palleggiare, facendo qualche passo nel suo cortile: ad un tratto l’amico lanciò il pallone verso l'ingresso che, con un ampio arco, finì proprio tra le sue mani.
«Bentornato, Yuzo! Come è andata la giornata?»
Come ha fatto a capire che…
Ma Yuzo decise di smorzare quel pensiero, conscio del fatto che non avrebbe mai trovato una risposta a lui sensata: con il suo fare tranquillo, Hikaru riusciva sempre coglierlo di sorpresa.
Il portiere osservò l'oggetto che aveva appena ricevuto da lui. Sembrava essere un pallone del tutto normale, come il suo… ma, non appena lo scosse, udì di nuovo quello strano tintinnio che aveva attirato la sua attenzione.
«Ecco cos'era…» mormorò.
Hikaru si avvicinò al cancello e lo aprì, facendo entrare Yuzo che era ancora sorpreso per l'accaduto e che non esitò a rivolgere quella domanda al suo amico.
«Da quando hai ripreso ad allenarti?»

Era la prima volta che il portiere stava vedendo il suo amico con un pallone dopo tanto tempo.
L’ultima era avvenuta tre anni prima, alla fine delle elementari. Yuzo e Hikaru si erano ritrovati nel cortile della casa di quest'ultimo e, come facevano sempre, si stavano allenando con passaggi, tiri o parate. Hikaru aveva provato più volte a lanciare il pallone verso Yuzo, cercando di colpire il rettangolo disegnato con il gessetto sul muretto accanto al quale si trovava l'amico, ma non ci riusciva mai: al posto di andare nella direzione di Yuzo il pallone veniva sempre deviato sui lati, finendo sulla parete della sua abitazione o dall’altra parte del cortile.
Stremato, Hikaru era caduto a terra e si era sdraiato con la schiena contro il suolo, poi aveva iniziato ad ansimare con gli occhi inondati di lacrime.
Nel vederlo così Yuzo subito gli si era avvicinato, chinandosi su di lui: il cuore del portiere si era stretto in una morsa, perché conosceva bene la ragione per la quale il suo amico stava piangendo.
«Hikaru...» gli aveva sussurrato. Non voleva vederlo in quello stato, ma allo stesso tempo non sapeva bene cosa fare per sollevarlo.
Non era colpa di Hikaru se non riusciva più a tirargli un pallone come si deve. Non era questione di mancata pratica, di poco impegno… la colpa era solo della malattia che lo aveva colpito, quella malattia tremenda che aveva scoperto troppo tardi per riuscire a sconfiggerla con una cura.
Yuzo aveva allungato il braccio verso Hikaru, in cerca di un contatto fisico per fargli capire in silenzio che gli era vicino, ma lo aveva subito ritratto.
Cosa poteva dirgli, che sarebbe andato tutto bene? Che avrebbe continuato a giocare con lui nonostante la sua situazione stesse peggiorando di giorno in giorno?
Il fatto di non riuscire a trovare una soluzione al suo dilemma lo stava facendo quasi pietrificare per l'angoscia: qualunque cosa avrebbe detto, non sarebbe stata d'aiuto a Hikaru. E questo, da amico, gli stava facendo sempre più male.
Yuzo si era alzato ed era corso a prendere il pallone, poi era tornato dal suo compagno e si era rivolto a lui con un amaro sorriso.
«Senti, Hikaru… per oggi basta, ok?»
L'altro si era asciugato le lacrime con il dorso della mano, prima che ne cadessero ancora lungo le guance. Si era messo a sedere e stava tenendo la mano sul volto, continuando a singhiozzare.
«Scusami, Yuzo… scusami se ti sono solo di peso…»
«Tu non sei affatto di peso!» aveva protestato il piccolo portiere. «Mi hai aiutato molto a diventare ogni giorno più forte e coraggioso… è anche grazie a te se sono riuscito ad entrare nella squadra della Nankatsu come secondo portiere! Tu non sei mai stato di peso, e non lo sarai mai… soprattutto adesso! Sei il mio migliore amico, e sarò sempre al tuo fianco…»
Hikaru era scoppiato a piangere di nuovo, commosso per le parole di Yuzo. Quest’ultimo lo aveva tirato verso il proprio petto e così aveva lasciato che l’altro sfogasse il suo pianto su di lui, per tutto il tempo necessario; non appena Hikaru aveva iniziato a calmarsi, Yuzo lo aveva aiutato a rialzarsi e gli aveva sorriso.
«Sai, Yuzo…»
Hikaru aveva rivolto lo sguardo verso il pallone che giaceva a pochi centimetri da loro. Stava ancora singhiozzando, stringendo sempre più i suoi pugni e, nonostante si fosse asciugato nuovamente le lacrime, continuava a vedere tutto ciò che c’era intorno a quel pallone immerso in un velo grigio, e anche lo stesso pallone iniziava ad essere sfocato.
A quella vista i suoi occhi si erano riempiti di lacrime ancora di più. Con tutte le sue forze aveva dato un calcio al pallone, che era finito contro il muretto: un sordo rumore si era udito contro la parete e aveva riempito quel cortile, mentre Hikaru aveva iniziato ad allontanarsi dal suo amico, sussurrando una frase per entrambi molto amara da digerire.
«… non voglio più giocare a calcio.»

Per questo motivo, proprio tre anni dopo, Yuzo fu davvero sorpreso di vedere il suo amico di nuovo con un pallone. Gli sembrava che Hikaru fosse di nuovo felice con quell’oggetto che, anni prima, aveva deciso di rinnegare… e anche il modo in cui aveva tirato il pallone verso di lui gli aveva ricordato i tempi in cui giocavano ancora insieme a calcio: quando erano piccoli, quello per Hikaru era un modo amichevole con il quale dava il benvenuto a Yuzo, accogliendolo così nel cortile della sua casa.
Yuzo restò di stucco anche per il modo in cui il suo amico gli aveva passato il pallone. Dato che giocava a calcio ormai da molto tempo, il portiere aveva acquisito un certo intuito sulle abilità di tiro di chi aveva di fronte; il modo che aveva utilizzato Hikaru, una persona con una vista ormai irrimediabilmente compromessa, non sembrava affatto essere lo stesso di qualcuno che era solo alle prime armi in questo sport. Era come se per tutto questo tempo il suo amico d’infanzia avesse continuato ad allenarsi mentre lui era a scuola a farlo con la sua squadra.
Possibile?
«Eheheh!» Hikaru si sfregò il naso, sorridendo con grande soddisfazione. «A giudicare dalla tua domanda - assolutamente legittima - ti ho colto di sorpresa!»
Ancora piuttosto incredulo, Yuzo scosse il pallone che aveva in mano. «Cos'è?»
«Un normalissimo pallone da calcio, come vedi!»
«Beh… ma è la prima volta che ne vedo uno del genere… tintinna quando lo muovi!»
«E non è bello?»
Hikaru si avvicinò a Yuzo, e con un secco gesto gli rubò il pallone. «Un pallone che suona quando si muove… non trovi che sia meraviglioso?»
Yuzo osservò Hikaru. Nel guardare quel pallone gli occhi del suo amico, ora leggermente dischiusi, sembravano brillare di una luce che il portiere non vedeva da molto tempo.
Una luce colma di gioia, e di speranza.
Tornando a palleggiare, le labbra di Hikaru si unirono in un tenero sorriso.
«Scusami se non te ne ho mai parlato, volevo farti una sorpresa…» iniziò lui, e lanciò di nuovo il pallone a Yuzo.
«È da un anno che ho ripreso ad allenarmi… è vero: sono ancora un po' arrugginito e con questo pallone ho ancora molto da imparare… ma ora ti andrebbe di giocare un po' con me? Così ti dimostro cosa so fare!»
Yuzo annuì contento. «D'accordo!»
Il pensiero di poter di nuovo allenarsi con il suo amico lo riempì di felicità ed emozione allo stesso tempo. Dopo un paio d’anni stava per tornare a giocare al fianco di Hikaru, ed a lui era davvero mancato tutto questo: non sarebbe mai stata la stessa cosa in confronto alle partite d'allenamento nella squadra della Nankatsu.
Con il pallone ben stretto sul petto Yuzo iniziò a correre verso il muretto, ma Hikaru lo raggiunse e lo bloccò.
«Ma devo ancora confessarti una cosa...»
I due si sedettero su una piccola panca di legno e per un momento cadde il silenzio, interrotto solo dal rumore dei passi di qualche persona che passeggiava con il proprio cane e dal colorato vociare dei bambini nel vicolo alle spalle dell’abitazione.
Con lo sguardo fisso sul muretto, dove ormai non vi era più traccia del disegno che Hikaru aveva tracciato col gessetto anni prima, a voce bassa il ragazzo riprese a parlare. «C'è una cosa che non ti ho ancora detto, e che un po' c'entra con la storia di questo pallone. Tra un anno ci trasferiamo a Tokyo.»
«A… A Tokyo?!»
«Sì. Non te l'ho detto prima perché anche per me non è stata una decisione facile… ma non posso restare qui se voglio inseguire il mio sogno. Nankatsu è una bellissima città, con tanti amici che mi vogliono bene, ma non ha proprio quello che ora sto cercando.»
Yuzo guardò l’amico con grande sorpresa. Quella notizia fu per lui come un fulmine a ciel sereno, e non seppe bene cosa dirgli; inoltre, più si stavano addentrando in quel discorso e più il portiere non ci stava capendo molto di tutta quella storia che ne stava emergendo.
Anche a Yuzo piaceva molto la cittadina dove stavano trascorrendo la loro vita, e in quel momento non riusciva a capire cosa Nankatsu avesse in meno rispetto a Tokyo.
Non sarebbe stato più doloroso e difficile per Hikaru ricominciare daccapo in un’altra città?
Allo stesso tempo, però, Yuzo intuì che in quel discorso ci fosse dell’altro, che lui ancora non conosceva: iniziò a sperare che di sicuro, se l’altro aveva deciso di punto in bianco di trasferirsi a Tokyo, lo stava facendo solo per qualcosa di positivo che gli stava capitando nella sua vita… e, da suo amico, il portiere voleva saperne di più per essere pronto a sostenerlo.
«In che senso?» gli chiese, con un dolce sorriso.
«Che non è vero che non voglio più giocare a calcio. Scusami se quel giorno ho detto quelle parole, non ero in me.»
«Non importa… anzi! Sono felice che tu abbia ancora voglia di farlo! Se vuoi, qualche volta possiamo allenarci insieme!»
«Per me va bene, Yuzo!»
«Ma continuo a non capire una cosa. Perché vi trasferite a Tokyo, così all’improvviso? Spero non per brutte notizie...»
Hikaru spostò lo sguardo verso il suo amico: in quel momento, serenità ed entusiasmo erano dipinti sul suo volto.
«No, per fortuna… lo facciamo per me. Voglio davvero continuare a giocare a calcio… così, dopo qualche ricerca, i miei genitori hanno scoperto che a Tokyo esiste una scuola per ciechi e ipovedenti che ha anche un proprio club di calcio. E sai che ti dico? Perché devo restare qui e rinunciare per sempre al mio sogno, quando posso giocare altrove… senza più limiti?»
Yuzo non rispose nulla. Quella di Hikaru era una domanda retorica: era ovvio che il suo amico non poteva pensare di rinunciare al sogno che aveva fin da bambino, se altrove ci sarebbe stata la possibilità di poter continuare a giocare a calcio anche nelle sue condizioni. Nankatsu, per quanto potesse essere una cittadina votata al calcio, con diversi club sparsi in tutte le scuole di diverso ordine e grado, non aveva ancora le risorse necessarie per fare in modo che le persone come Hikaru potessero costruire un futuro da campioni in questo sport: di fatto, non esisteva ancora un’organizzazione o un club per ciechi e ipovedenti, non c’erano allenatori che potessero aiutarli a giocare a calcio con delle regole costruite appositamente per loro. Aveva ragione il suo amico: se voleva continuare a inseguire il suo sogno e sperare di diventare un professionista… non poteva più restare a Nankatsu, questo era certo.
Proprio in quel momento al portiere tornò in mente di quando aveva sentito parlare di sfuggita della Nazionale giapponese di calcio a cinque per ciechi e ipovedenti, ma non era mai riuscito ad approfondire l’argomento a causa degli allenamenti e dello studio; inoltre, credendo che Hikaru ormai avesse abbandonato definitivamente l’idea di dedicare la sua vita al calcio, non aveva più pensato che questo argomento sarebbe tornato a galla, e proprio con il suo amico.
Se da una parte Yuzo era molto felice che Hikaru sarebbe tornato presto a giocare a calcio, allo stesso tempo quella notizia lo aveva rattristato: se il suo amico si fosse trasferito a Tokyo, questo avrebbe voluto automaticamente dire che loro due non si sarebbero più rivisti tutti i giorni, e il portiere era certo che ben presto avrebbe sentito la mancanza del suo amico.
In una sorta di telepatia Hikaru riuscì ad avvertire la tristezza che Yuzo stava provando in quel momento. Gli si avvicinò ulteriormente, allungò il braccio e lo tirò verso di sé, proprio come faceva da bambino quando l’altro era insicuro.
«Lo so, Yuzo. So che questo significa che noi due non ci vedremo per un po' e che non giocheremo insieme a calcio… ma con tanto impegno e un pizzico di fortuna possiamo sperare di giocare insieme sotto la stessa bandiera… alle Olimpiadi!»
«Alle Olimpiadi?!»
«Esatto! Tu giocherai con la tua squadra di calcio… ed io farò altrettanto con la mia! Vedrai, punteremo in alto e conquisteremo la medaglia d'oro!»
C'erano mille cose che Yuzo avrebbe voluto chiedere a Hikaru, che con il suo discorso gli aveva messo in testa più dubbi che chiarimenti. La scuola a Tokyo, la Nazionale di calcio a cinque… ma in quel momento il portiere lasciò da parte tutto ciò.
Hikaru non era affatto cambiato: negli ultimi anni e nonostante le difficoltà che stava ancora attraversando, aveva ancora la forza per incoraggiarlo con le sue impossibili speranze.
Proprio lui, Yuzo Morisaki, nella Nazionale olimpica di calcio giapponese?
È sempre il solito esagerato!
Ma quel commento pronunciato ad alta voce nella mente del portiere venne subito messo a tacere di fronte alla grande notizia che il suo caro amico era tornato a giocare a calcio, e che di certo avrebbe continuato a farlo nella sua nuova città.
Tokyo era abbastanza distante da Nankatsu ma forse, un giorno, i due si sarebbero rivisti laggiù: forse proprio su un campo da calcio, o forse sarebbe stato più semplice incrociarsi per caso per le strade trafficate della megalopoli… ma, quel che era certo, è che entrambi non avrebbero mai smesso di dedicarsi a quella grande passione che portavano nel loro cuore fin da bambini.
Yuzo non ci pensò due volte: cinse le braccia attorno a Hikaru, stringendolo a sé più forte che poteva.
«Non sai quanto sono felice per te! Impegnati molto, perché voglio vederti presto in campo… e verrò a trovarti in occasione di qualche partita, promesso!»
Hikaru ricambiò l'abbraccio con altrettanta forza, sorridendo con grande gioia.
«Anch'io, Yuzo… sarò sempre al tuo fianco, a fare il tifo per te! Metticela tutta, amico mio!»



Lo stadio era gremito di gente, tifosi o semplici curiosi giunti da ogni parte del mondo per assistere ai Giochi paralimpici.
Quel giorno aveva avuto inizio il torneo di calcio a cinque: gli spalti erano mossi da grande euforia e entusiasmo verso le squadre che erano scese in campo, una delle quali era proprio la nazionale giapponese.
«Senti quante persone ci sono qui! Oggi sarà difficile trovare ancora qualche posto libero!»
A pronunciare quella frase era stato uno dei calciatori della nazionale giapponese. Alto e dalla corporatura atletica, con i muscoli che risaltavano sulla maglietta a maniche corte che indossava, al fianco di Hikaru sembrava un gigante.
L’uomo diede al suo compagno di squadra una pacca sulla spalla, e gli si rivolse con tono grintoso.
«Emozionato, Yamamoto?»
«Senti chi parla, è la prima volta anche per te!»
Entrambi i giocatori erano molto emozionati per il fatto di trovarsi su quel campo a giocare a calcio, e allo stesso tempo poter rappresentare la loro nazione.
Hikaru si lasciò sfuggire una risata. Se qualche anno prima gli avessero detto che sarebbe tornato a fare il calciatore e arrivare così in alto, lui non ci avrebbe mai creduto. Invece ce l’aveva fatta, con tanto impegno e un pizzico di fortuna.
«Scusami, torno subito.»
Il giovane appoggiò una mano sulla spalla del suo compagno di squadra e con qualche passo ridusse la distanza che aveva con gli spalti. Alzò leggermente lo sguardo e si sfregò i capelli, un po’ imbarazzato.
«Accidenti… ora sì che devo fare del mio meglio, altrimenti rischio di fare una figuraccia al tuo fianco!»
Nonostante il tifo si stesse facendo sempre più intenso, proprio nella direzione degli spalti Hikaru riuscì ad udire una voce familiare.
«Scherzi? So che puoi farcela!»
Hikaru non credeva alle sue orecchie: quella voce era stranamente abbastanza vicina, fin troppo per provenire solo dagli spalti. Il giovane corse verso la sponda del campo, e appoggiò le mani sui bordi di quelle barriere che dividevano l’area da gioco dal resto della zona. Fu allora che qualcuno prese le mani tra le sue e gli fece toccare un oggetto che, al tatto, sembrava essere una medaglia.
«È anche grazie al tuo supporto se sono riuscito a conquistare questa medaglia… perciò, dai: ora tocca a te!»
Il giovane gli sorrise.
Non si era sbagliato: il suo amico d’infanzia era proprio lì a fare il tifo per lui, dietro quelle sponde dove ora si trovavano. Entrambi stavano mantenendo la promessa che si erano fatti da ragazzi, prima della sua partenza per Tokyo: Yuzo era stato il primo a conquistare quella medaglia d’oro con la sua Nazionale e ora, dopo circa un mese, anche per lui era giunto il momento di lottare con tutte le sue forze per conquistare la medaglia tanto ambita.
«Si può sapere cosa ci fai qui, Yuzo? Questa è una zona riservata solo alla nostra squadra...»
«Ho il pass! E poi i nostri coach hanno fatto uno strappo alla regola: se non ci supportiamo tra noi, chi altri potrà farlo?»
Hikaru aprì leggermente la bocca, come se avesse voluto ribattere a ciò che aveva appena detto il suo amico; invece, le sue labbra si piegarono in una smorfia divertita.
«Lo hai capito, finalmente!»
Yuzo spalancò gli occhi stupito da quell’affermazione. «Cosa?»
«Nulla di che: mi sono ricordato del passato, di quando eravamo piccoli… e tu eri proprio il primo a voler tirarti indietro di fronte alle sfide. Ne abbiamo fatta di strada, da allora...»
Il giovane alzò una mano per salutare l’amico e tornò alla sua postazione sul campo, allontanandosi di qualche passo e seguendo la guida che lo stava richiamando. «Ci vediamo più tardi, Yuzo! Ti prometto che noi ci impegneremo per portare a casa anche questa vittoria!»
Tornato al fianco del suo compagno di squadra e dopo aver ascoltato tutte le indicazioni dell’arbitro, Hikaru portò una mano sul petto, stringendola in un pugno.
Posso farcela. Devo farcela.
Man mano il silenzio calò sul campo, mentre erano in corso gli ultimi controlli sui tamponi oculari e le mascherine dei vari giocatori. Hikaru era abituato a quel silenzio quasi surreale: fermo con la palla accanto ai suoi piedi e a quelli del compagno di squadra, si faceva avvolgere da quel silenzio così profondo, nel quale riusciva a percepire ogni singolo dettaglio dello spazio che lo circondava. In quel momento nulla si muoveva, tranne i passi veloci dei guardalinee che si muovevano da un punto all’altro del campo, verificando che fosse tutto a posto.
E, anche se quell’intera area fosse caduta nel totale silenzio, il giovane calciatore riusciva a percepire tutto il calore e il tifo che proveniva dalla sua squadra e dai tifosi che erano sugli spalti.
Devo vincere, anche se alla fine ciò che conta è divertirsi… vero, Yuzo?
L’arbitro fischiò l’inizio della partita, e subito Hikaru si lanciò all’attacco verso i suoi avversari.
Ce la metterò tutta!


“All of our thunders will be gone
As long as I'm chasing brand new dawns

I will know when it's time to soar
And I will stand after every fall
So let me be wrong, let me be strong
Let me be everything even alone
I will go after brand new dawns

I'm going after brand new dawns”




[Angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]
Malloppone di note finali! :3
Da dove inizio? Dai ringraziamenti, che sono più semplici: la fidata stellaskia per la pazienza nel leggere le storie in anteprima, e tutti i lettori della mia precedente Everyday life che non avevano preso benissimo il fatto di aver sacrificato un personaggio “all'altare delle fanfiction” (cit. Melanto dalla sua recensione, ringraziate lei XD)
A loro avevo “promesso” una storia con un destino diverso per quel personaggio - e anche un nome, povero sfortunato… ed eccola qui. L’idea per questa storia è nata qualche mese fa in piena pandemia, quando mi sono imbattuta in qualche episodio promozionale per i giochi Paralimpici di Tokyo 2020. Nel canale YouTube ufficiale hanno pubblicato una playlist di brevi video animati di cinque minuti, dal titolo “Animation x Paralympic: Who is Your Hero?” con protagonisti atleti di diverse discipline paralimpiche: a questi video hanno collaborato diversi autori famosi di serie di successo, e nemmeno a farlo apposta indovinate un po’ chi è l’autore del primo video? :3
Se siete curiosi e non avete ancora visto questi video, questa è la playlist ufficiale con i sottotitoli in inglese. In particolare, due sono i video che mi hanno ispirato per la stesura di questa storia: il primo riguarda il mondo del calcio, mentre il secondo quello del judo, ed è stato proprio quest’ultimo video la “molla” che ha maggiormente contribuito alla nascita del testo che avete letto.
Nella storia che oggi vi ho presentato ci sono finiti due personaggi come protagonisti. Il primo è Yuzo: lui non ha bisogno di presentazioni, ormai lo conoscete fin troppo bene e so che ad alcuni di voi piace l’opzione della Mizukoshi come sua scuola di provenienza, per cui… scherzo, no: in realtà non è solo per questo motivo. In Everyday life - che a suo tempo mi aveva dato una bella gatta da pelare sulla questione delle scuole prima dell’uscita del Memories - Yuzo era della Mizukoshi, ma c’è dell’altro: per come ho impostato questa storia, un po’ avrebbe perso il suo significato se avessi deciso che Yuzo provenisse dalla Shutetsu… inoltre, povera Mizukoshi abbandonata dallo stesso autore; almeno nelle fanfiction rendiamola ancora protagonista di qualche storia. ^^"
Il secondo personaggio è, come vi ho già anticipato, una “vecchia conoscenza” di mia creazione per qualcuno di voi. Si tratta di quel micro vicino di casa che era senza nome fino a qualche settimana fa: Hikaru Yamamoto. Qui si salva dal triste destino che gli ho dato in Everyday life… ma questo personaggio poteva salvarsi anche dal “mai una gioia” sempre presente? Ovviamente no, perciò povero ragazzo: anche qui è un po’ sfortunato…
Tornando seria, in realtà era da tempo che volevo scrivere una storia con Hikaru che continua a vivere e realizza il suo sogno. Il problema era che l’ho reso così vicino a Yuzo… che le possibilità credibili erano due: o farlo trasferire altrove (con il conseguente: perché non approda alla Nazionale, se continua a giocare a calcio?) oppure far interrompere in qualche modo la sua nascente carriera calcistica (ma in quel caso mi dispiaceva che si fermasse completamente e/o si dedicasse a tutt’altro, per come avevo iniziato il suo percorso).
Alla fine ho scelto una “terza” opzione, raccontata qui, e ad essere sincera mi sono divertita molto ad elaborare questo lungo, lunghissimo racconto, sul quale però mi sono dovuta documentare parecchio prima di buttare giù lo scheletro dello stesso: ci tenevo a far nascere una storia forse inedita, su un calciatore non cieco dalla nascita ma che lo diventa, raccontando delle sue difficoltà ma anche della sua rinascita… ma, dato che a parte il protagonista del suddetto episodio promozionale in Captain Tsubasa non esistono ancora personaggi con disabilità fisiche, ho deciso di utilizzare un personaggio originale che avevo creato in precedenza - e, così, in questo calderone ci è finito anche Yuzo, LOL!
Ad ogni modo questa storia è diventata una di quelle a me care, non per come è scritta (sorvoliamo) ma perché mi ha dato la possibilità di esplorare il mondo del calcio paralimpico, che è vastissimo e molto interessante; per esempio, se siete interessati, sul già citato canale YouTube ufficiale ci sono anche le partite dei precedenti giochi Paralimpici, e per scrivere il finale ho visto qualcuno di quei video… che fino a quel momento non avevo mai visto e ora sono felice di averli scoperti. Molto bello!
E, al di là del calcio paralimpico, questa storia è stata speciale anche e soprattutto per il modo in cui vivono i diversamente abili in territori diversi dal nostro. In realtà, come in tutte le storie, anche qui c’è un “tallone d’Achille” che riguarda il come funziona il sistema scolastico giapponese per i bambini/ragazzi diversamente abili: la prima cosa che è subito emersa è che in Giappone esistono delle scuole create appositamente per questi ragazzi dove seguono lo stesso identico programma delle scuole statali e private, e che hanno il nome di Special Election School. Il grande problema che ho dovuto affrontare riguarda proprio il come sono strutturate tali scuole: finora non sono riuscita a trovare altre informazioni in proposito, sia immagini di una scuola qualsiasi come esempio, sia informazioni più dettagliate in merito; per cui… questa volta sono stata costretta ad andare molto di fantasia, immaginandomi scuole dove non esistono le famose “barriere architettoniche”, e dove invece ci sono ampi spazi, rampe e ascensori, nonché segnaletiche per ipovedenti e non vedenti.
Questa è una delle pochissime informazioni che ho trovato delle Special Election School, e lancio un appello: se qualcuno tra voi ne sa di più, fatemi sapere. Per me è sempre un piacere scoprire nuove realtà :)
L’ultima nota riguarda la malattia che ha colpito Hikaru: si tratta del glaucoma, i cui sintomi in generale saltano fuori sempre quando la malattia è in uno stadio avanzato, ma normalmente curabile se presa nei tempi giusti. Di solito questa malattia si sviluppa di più in età adolescenziale e adulta (come accade nel caso della protagonista del breve video sul judo paralimpico) ma esistono casi anche in bambini o in neonati, e solo in forme rare può portare alla compromissione totale della vista.
Per capire meglio ciò che è successo a Hikaru - e, soprattutto, come è stata alterata la sua percezione della vista - mentre cercavo notizie approfondite sul glaucoma ho trovato anche questo simulatore con il quale noi normovedenti possiamo vedere il modo in cui le persone con patologie visive vedono il mondo che le circonda, con dei parametri che si possono impostare anche manualmente. (Provatelo: è davvero un sito interessante!)
Per concludere, un piccolo accenno alla canzone che ho scelto e che ha dato il titolo a questa fanfiction: New Dawns di Gaia Gozzi. L’avevo ascoltata più di un anno fa, per caso alla radio… e mi è capitata nuovamente mentre stavo scrivendo il testo di questa storia. È stato semplice associarla al personaggio di Hikaru: “brand new dawns” significa “nuove albe”, e se leggete tutto il testo scoprirete che ricalca a grandi linee il percorso che qui ho narrato. Cadere, per poi trovare la forza di rialzarsi e riprendere a correre, verso nuove albe: è questo il significato che volevo dare a questa storia, e spero di esserci riuscita.
È stata una storia complessa, e per questo ringrazio tutti coloro che sono giunti fino a qui nonostante tutti i difetti che ho messo in evidenza nelle note finali. <3
Alla prossima!
--- Moriko
   
 
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