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Autore: FrenzIsInfected    13/07/2020    3 recensioni
Ucraina, 2009.
Un'apocalisse zombie costringe sei persone a trovare rifugio nella Zona di Esclusione di Chernobyl. Quello che sembrava una normale missione di salvataggio, però, si rivelerà per alcuni di loro un ritorno al passato.
- Seconda classificata e vincitrice del premio "Survival" al contest "Gli ultimi di noi" indetto da zenzero91 sul forum di EFP.
Genere: Drammatico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Primo capitolo

2


Zona di Esclusione di Chernobyl, Ucraina.

7 Novembre 2009.

Strada senza nome.

13:21.

Anatoli Zelenko, Boris Volkov, Vassili Karavaev, Serg. Olga Petrova, Sergei Kabakov, Irina Kabakova.

Il gruppo prosegue il suo cammino verso Chernobyl.

 

 

Il silenzio regnava attorno al gruppo. Per tre ore, gli unici rumori che sentirono fu il fruscio delle foglie mosse dal vento e il cigolare di alcuni alberi che si piegavano. Ogni tanto qualcuno apriva bocca, ma, in quel clima di tensione generale, nessuno aveva voglia di lasciarsi andare.

L’unico che, nonostante tutto, aveva voglia di parlare, era Sergei.

«Ehi, vecchio!» esclamò verso Anatoli. «Quanto manca?»

Il contadino si voltò, continuando a camminare e reggere il suo AK-74.

«Ancora un’oretta. Chernobyl è a cinque chilometri.»

«Possiamo almeno fare una pausa?» sbuffò Boris. «Stiamo camminando da tre ore.»

«Non qui in mezzo. La strada sarà relativamente sicura, a livello di radiazioni, ma non lo è se vogliamo difenderci dai non morti.»

«Cosa proponi, allora?» chiese Vassili.

«Siamo nelle vicinanze di ciò che rimane del villaggio abbandonato di Zalissia. Possiamo fermarci lì, e poi proseguire verso il paese.»

«Può andare» proferì Olga.

Anatoli tornò a guardare avanti. Dopo qualche momento di silenzio, Vassili riaprì la bocca.

«Allora, Anatoli… perché facevi lo stalker?» chiese.

«Portavo cibo e provviste ai samosely. Ho saputo da qualche vicino di casa che lavorava nella Zona dell’esistenza di queste persone, per la maggior parte anziani, che sono tornate a vivere nelle proprie case all’interno della Zona, nonostante sia proibito. Per il governo ucraino non esistono, è come se fossero fantasmi. Ma ci sono. Così, quando tornavo da Kiev, facevo un giro nell’area della Zona a nord di Dytyatky, per aiutare quei poveretti.»

«Come fai a conoscere questa strada, allora, se per fare i tuoi giri passavi per i campi?» domandò Irina.

«Da piccolo accompagnavo mio padre a Chernobyl, per vendere frutta e verdura. Il disastro alla centrale ci ha quasi fatto finire sul lastrico, tutto il nostro raccolto era diventato radioattivo. Siamo riusciti a vendere nuovamente solo dopo la caduta dell’URSS.»

«Se non altro non siete rientrati nella zona da evacuare» intervenne Vassili.

«Credimi, giovanotto, avrei preferito ricominciare da zero con un trasferimento forzato a Kiev» rise amaramente Anatoli. «Ma avevo un’attività di famiglia, con una moglie e un figlio da mantenere. Quando ho divorziato, ero ormai troppo in là con gli anni. Così ho continuato a fare il contadino. E lo stalker

Il gruppo virò a destra, lasciando la strada. Dopo aver percorso qualche centinaio di metri, il gruppo si ritrovò davanti quello che restava di Zalissia. Tra il fogliame e gli alberi, si ergevano diverse abitazioni abbandonate. Alcune erano poco più che ruderi, mentre altre erano rimaste, seppur rovinate dal tempo e con i vetri distrutti nel tentativo di allontanare le radiazioni, tali e quali a come erano state abbandonate nel 1986. Ciò che rimaneva di un parco giochi era coperto da rampicanti e fogliame, divorato dalla ruggine.

«0.18 microsievert… è poco, per essere all’interno della Zona» annunciò Boris, impugnando il suo dosimetro.

Anatoli si guardò intorno, per poi rivolgere lo sguardo al gruppo.

«Okay, sembra tutto tranquillo. Mangiamo un boccone e risposiamoci un’oretta» disse.

Un rumore, seguito da un ordine, fece gelare tutti.

«FERMI! NON MUOVETEVI O SPARO!»

 

 

«Gettate le armi e fate un passo indietro» ordinò la voce.

Il gruppo obbedì.

«Che succede, Vassili?» chiese Boris, tremante.

«Tranquillo, Boris. Ci pensiamo io e Olga» sussurrò l’agente.

«Chiunque tu sia, non devi avere paura. Sono il sergente Olga Petrova, dell’esercito ucraino, e con me c’è l’agente Vassili Karavaev della Militsiya» fece la soldatessa, guardandosi attorno.

«Non siete dei civili di Chernobyl… e nei reparti di stanza qui non c’è nessuna Olga Petrova e nessun Vassili Karavaev! Che cosa ci fate qui?» continuò la voce.

«Abbiamo l’ordine di scortare questi civili in un luogo sicuro. È una situazione di emergenza!» disse pacatamente Vassili.

Ci fu qualche secondo di silenzio, poi, i membri del gruppo poterono tirare un sospiro di sollievo.

«Va bene… esco fuori. Ma restate immobili» continuò il tizio nascosto.

Un rumore di passi sulla loro sinistra li fece voltare. Da una casa, un soldato dell’esercito ucraino avanzava con un fucile da cecchino Dragunov puntato verso di loro.

«Qualcuno di voi è stato morso?» chiese.

Tutti scossero la testa. L’uomo abbassò l’arma.

«Venite. Non è sicuro restare fuori» fece.

I presenti recuperarono le proprie armi, seguendo il soldato nella casa dove era nascosto.

«Io resto di guardia» mugugnò Sergei, appoggiandosi fuori dall’ingresso.

«Come ti chiami?» chiese Olga, rivolta al soldato.

«Feodor Kovalenko. 61ma divisione di fanteria. Siamo stati mandati a Chernobyl assieme ad alcune unità della Militsiya un mese fa, per difendere la città e la centrale nucleare dagli zombie»

I sei si sedettero a terra, tirando fuori le proprie provviste. Olga lanciò via il bastoncino del lecca-lecca, e passò un barattolo di cetrioli sottaceto al commilitone, che ringraziò con un cenno.

«Cos’è successo qui?» domandò Irina, appoggiando l’orsacchiotto Masha sulle gambe. Il soldato sospirò lievemente, iniziando il suo racconto.

«Una settimana fa, abbiamo perso i contatti con il checkpoint a Dytyatky, e, poche ore dopo, Chernobyl è stata invasa. I miei commilitoni sono stati sopraffatti, e i civili uccisi o fuggiti. Due giorni fa, io e altri quattro soldati siamo stati mandati a recuperare cibo e altro materiale di prima necessità abbandonato durante la fuga. All’inizio sembrava che la situazione fosse tranquilla, vedendo pochi zombie in giro. I bastardi, però, si erano solo spostati all’interno degli edifici. Gli spari hanno attirato gli altri...»

Feodor lasciò cadere qualche lacrima.

«Come sei riuscito a fuggire?» domandò Vassili.

«Mi sono gettato da una finestra. Fortunatamente, su quel tratto di strada non c’erano molti zombie, e sono riuscito ad allontanarmi senza essere seguito. Ho corso tra gli alberi finché non sono finito qui. Non avevamo delle radio con noi, e io non mi sono mai mosso dalla base. Sono rimasto qui, in attesa di una pattuglia di ricognizione. Ma siete arrivati voi.»

«Avete degli avamposti?» chiese Olga.

«Ne avevamo uno a Chernobyl, prima che cadesse. Gli altri due sono alla centrale nucleare e a Pripyat. Quello principale è a Chernobyl-2, l’ex città militare sovietica vicina alla stazione radar Duga. C’è una strada che collega quella principale con la base militare, ma non è sicura, con tutti quegli zombie in giro. Fuori dalle vie asfaltate la radioattività varia, ma, detto francamente, tra i due mali preferisco quello che non sento e non vedo.»

«Come ci arriviamo, però? Nessuno di noi sa dove sia» fece sconsolata Irina.

«A Dytyatky ho preso una mappa della Zona dall’ufficio del checkpoint» annunciò Anatoli, iniziando a frugare nello zaino.

Dopo qualche secondo, la estrasse e la posizionò a terra. Olga tirò fuori una bussola dalla tasca.

«Dobbiamo proseguire dritti in direzione nord-ovest da qui per una decina di chilometri. Saremo lì prima che cali il sole» disse.

Sergei corse dentro, interrompendoli.

«Arrivano.»

Ognuno di loro preparò lo zaino in fretta e furia. Irina impugnò la sua Makarov, tenendo Masha con l’altra mano. Olga scartò a tempo record uno dei suoi lecca-lecca e se lo mise in bocca, uscendo insieme agli altri.

Un gruppo di zombie, in lontananza, stava avanzando verso di loro. I loro versi spezzarono il silenzio della Zona.

«Prima o poi devi dirmi cos’ha di speciale quell’orsacchiotto» fece Boris, avvicinandosi a Irina.

I due si scambiarono un rapido sguardo. Il ragazzo cercò di goderselo il più possibile, perdendosi nei suoi occhi azzurri.

«Promesso» sussurrò lei.

  
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