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Autore: paige95    14/07/2020    8 recensioni
Un Navy SEAL californiano, rimasto orfano troppo presto, e una bagnina newyorkese si conoscono sotto il cielo di San Diego. Condivideranno vissuti famigliari sofferti e la prospettiva di un amore nascente.
Genere: Introspettivo, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
- Questa storia fa parte della serie 'Destino'
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Apnea



 



 



Pacific Beach – San Diego, 27 giugno 2006
 
 
 
Katherine Scott si era trasferita in California solo da tre anni, eppure aveva la gradevole percezione di non conoscere altro luogo all’infuori di San Diego. Aveva dimenticato la sua città natale nello Stato di New York, nell’esatto istante in cui la sabbia calda della Pacific Beach si era infilata per la prima volta tra le dita dei suoi piedi scalzi; i grani ruvidi non avevano mai infastidito la sua pelle delicata e chiara – tipica delle zone metropolitane confinanti con l’Oceano Atlantico –, anzi le infondevano un’inedita sensazione di libertà, autonomia e realizzazione. Aveva scoperto un ambiente che la affascinava fin da bambina sui libri, viverlo in prima persona l’aveva resa protagonista di uno dei suoi sogni più grandi. Il clima temperato, la sabbia, l’acqua salata erano caratteristiche di un mondo distante rispetto a quello in cui era sempre cresciuta e diventata una donna; si sentiva talmente a suo agio da credere che nel cuore fosse sempre appartenuta agli scenari mozzafiato della California, lo scorcio più incantevole degli Stati Uniti d’America.
La giovanissima bagnina, poco più che ventenne, aveva lasciato la Grande Mela alla ricerca di se stessa; in un atto di ribellione, che la sua mente fermentava dal principio dell’adolescenza, aveva deciso che non avrebbe seguito le orme del padre, costringerla equivaleva ad una forma di violenza nei suoi confronti. Il suo destino doveva essere scritto nel firmamento, era sotto il cielo a cui appartenevano gli astri che bramava da sempre di lavorare, a New York i grattaceli oscuravano la volta celeste, opprimevano la natura e tingevano il suo futuro di grigio. Il business non era mai stato la passione di Katherine; l’ufficio del manager Scott era troppo stretto e spoglio per uno spirito libero amante dei colori, era rimasta stregata dalle tonalità limpide dell’Oceano Pacifico prima ancora di esperirle attraverso il senso della vista.
La ragazza aveva affittato un monolocale nel cuore di San Diego e fin dal suo arrivo in città aveva escluso la dipendenza dai genitori; aveva preferito svolgere i lavori più onesti e svariati per la sua sussistenza, mentre studiava con dedizione per diventare una bagnina appassionata del proprio lavoro. I genitori non condividevano la sua scelta, non si sforzavano di capirne le motivazioni, le telefonate con la figlia erano diventate un mordi e fuggi carico di accuse, spesso infondate; Katherine, nella maggior parte dei casi, era colei che sputava nel piatto in cui mangiava, peccato che lei non attingesse più da quel piatto da diverso tempo ormai; non avevano armi di ricatto contro di lei e ciò faceva fumare loro il cervello, come ogni volta che, per qualche motivo, il loro ruolo supremo decadeva. Era la sola legittima erede della famiglia Scott, ma ciò non presupponeva alcuna responsabilità, per Katherine potevano andare al diavolo insieme all’attività miliardaria a cui erano tanto devoti.
La ragazza aveva ancora molto da imparare per svolgere al meglio l’appassionante carriera che aveva intrapreso; tre anni di permanenza californiana, di cui era stata parte la formazione professionale, non le avevano consentito di conoscere tutti i trucchi del mestiere. Il compito più difficile che le veniva spesso assegnato – in quanto ultima arrivata nella squadra di salvataggio – riguardava fare e disfare i nodi da marinaio che i suoi colleghi erano soliti stringere, ignari del fatto che sarebbe toccato a lei scioglierli, ad una ragazza originaria di una città posta sulla terra ferma, ad eccezione del fiume Hudson, del porto affacciato sull’Oceano Atlantico e di qualche sporadica spiaggia che lei aveva frequentato solo da bambina. L’alba si era affacciata da un paio d’ore sul panorama californiano e la neo bagnina era già alle prese con la rogna quotidiana; la giornata era iniziata troppo male per sperare in una svolta migliore. La conferma per la giovane era giunta presto, più di quanto avrebbe immaginato, quando verso l’orizzonte intravide qualcosa muoversi sotto la superficie dell’acqua. La Pacific Beach, considerata l’ora, non era affollata – vi era solo qualche nostalgico della passeggiata mattutina –; il sole limpido riproponeva giochi di luci e colori sull’oceano, poteva essere una semplice allucinazione, in fondo il suo turno di vigilanza attiva non era ancora iniziato, ma lei non si sentì di sottovalutare un potenziale pericolo. Recuperò un salvagente da sfruttare come supporto, nel caso dovesse prestare soccorso a qualche sventurato in stato di annegamento, e si immerse in acqua; era il primo bagno della giornata per Katherine, l’acqua salata si intrufolò tra la pelle umida e la stoffa del costume intero e sobrio, infondendole qualche brivido di piacere e di ansia. Aumentò la frequenza delle bracciate, quando riconobbe la fisionomia massiccia di un uomo immobile che galleggiava sommerso dalle acque dell’oceano; vi erano tutti i presupposti di un malore e di un conseguente svenimento. L’uomo era immerso completamente in una porzione di distesa oceanica in cui il fondo non era percepibile ad occhio nudo. Katherine si immerse a sua volta, facendo scorta di ossigeno grazie ad un profondo respiro; sperava che la forza dell’acqua con una piccola spinta verso la superficie liberasse le vie aree dell’uomo riportandole sotto l’influsso dell’aria mattutina. Il battito di ciglia per i loro sguardi fu un metro di misura esagerato, si erano agganciati all’istante, persi l’uno dentro l’altro, ignorando il fatto che non si trovassero in un habitat adeguato ad indugiare qualche secondo in più, specialmente Katherine, i cui polmoni erano più fragili e meno allenati allo sforzo. La bagnina era stata presa alla sprovvista; la sua mente si scollegò dalla realtà, gli occhi celesti del ragazzo davanti a lei si confondevano con le correnti abissali che le stavano sfiorando la pelle; sentì il muscolo cardiaco accelerare nella gabbia toracica, necessitava di ossigeno, i suoi polmoni lo reclamavano, se avesse continuato a trattenere il respiro la testa le sarebbe scoppiata. La ragazza non ebbe scelta, l’istinto di sopravvivenza la invitò con insistenza a respirare; il fiato tornò ad inondare le vie respiratorie e con esso il sale di cui era imbevuto il suo amato oceano. Da brava imprudente quale era, era giunta al punto di non respirare più, stava soffocando; a tenerla sveglia, a non cadere del tutto nell’ipossia, fu una morsa all’altezza dei fianchi che la costrinse con un movimento naturale a seguire il percorso della salvezza verso la superficie.
«Ehi. Stai bene?»
A Katherine mancò il fiato, talmente il cuore martellava nel suo petto; i polmoni bramavano ossigeno e l’aria bruciava ogni volta che attraversava a fiotti la sua laringe, le venne spontaneo qualche colpo di tosse. L’udito fu l’ultimo senso a riacquistare sensibilità; la voce ansiosa dell’uomo era ancora leggermente ovattata, quando gli occhi della ragazza si posarono di nuovo sulle iridi che sott’acqua le avevano fatto il perdere il senno, insieme al contatto con il pianeta Terra.
«Hai consumato un’abbondante colazione stamattina? Potrebbe essere stata una congestione. Forse ti converrebbe tornare a riva»
Katherine avvertiva ancora su di sé il contatto dell’uomo, ma non era insolente, le sfiorava i fianchi con la punta delle falangi per il timore che lei potesse minacciare un ennesimo malore.
«S-to bene, grazie. Credevo … fossi svenuto»
«Stavo facendo esercizi di apnea»
La bagnina passò i palmi sul volto per liberarlo dai capelli e dalle gocce d’acqua che si erano incastrate tra le ciglia, irritando la vista con la salsedine. Esercizi di apnea. Idiota, pensò, ma non capì se avesse insultato lui per l’idea poco appropriata o se stessa per non aver capito prima le intenzioni dell’uomo. Aveva rischiato l’annegamento per alcuni stupidi esercizi di apnea, per colpa inoltre degli occhi di un perfetto sconosciuto. Le andava di tenere a freno gli ormoni per almeno cinque minuti? Si concesse il tempo di tornare sulla spiaggia, allontanarsi dall’estraneo e dimenticare l’assurdo incontro con un incosciente che non aveva nulla di meglio da fare che dilettarsi in pericolosi passatempi.
«E-esercitati quando i bagnini sono di turno. A quest’ora nessuno è ufficialmente di sorveglianza»
«Certo, scusa»
Era troppo accondiscendente e lei diffidava di un atteggiamento simile. Sgusciò dalla rispettosa presa che l’uomo aveva ancora su di lei; benché avesse trattenuto il respiro per diverso tempo, il soggetto in questione non aveva il fiato corto quanto lei, quanto una ragazza preda di un’attrazione inspiegabile per un bagnante verso cui aveva provato professionalmente istinto protettivo. Tornò comodo il salvagente a Katherine, fu la sua àncora di salvezza in un momento in cui la sua anima sembrava essere diventata fragile e preda degli eventi. Non necessitava di lei, forse era meglio tornare ad occuparsi dei suoi nodi lasciati mezzi sciolti sulla battigia.
«Aspetta. Come ti chiami? Nel caso avessi bisogno di una bagnina, per davvero»
Si era già allontanata di qualche metro da lui, aveva mantenuto l’opportuno distacco tra di loro; a lei serviva, come dimenticare la dolcezza con cui l’aveva sfiorata. La ragazza non negò l’informazione, era parte del suo lavoro rendersi disponibile a coloro che frequentavano la spiaggia.
«Katherine. E tu? Nel caso avessi bisogno … tu di me, s’intende»
«Christian»
 
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Per Christian fu difficile tornare al lavoro nella base militare del Coronado, il pensiero era fisso e rivolto alla giovane bagnina sulla quale aveva posato gli occhi fin dal suo arrivo nello Stato della California. La Pacific Beach era stata teatro dell’infatuazione che si era accesa nel cuore del Navy SEAL; non aveva mai avuto il coraggio di avvicinarsi a lei, parlarle o reggere il suo sguardo, le era sempre rimasto a debita distanza, contemplando con discrezione le movenze graziose e il fluttuoso ondulamento dei suoi boccoli castani. Era bellissima Katherine sotto lo sguardo del giovane soldato; quel corpo perfetto era sotto i suoi occhi già da tre anni, ma mai aveva avuto il piacere di bearsi del suo fascino a pochi centimetri da lui. Era stato un incontro inaspettato, aveva persino conosciuto il suo nome, l’aveva sfiorata. L’aveva toccata all’altezza dei fianchi; era stato come entrare in contatto con la sua pelle, vi era solo la sottile stoffa del costume a separarli. Christian era stato rispettoso, lui in fondo – anche se da lontano – la conosceva, lei lo notava per la prima volta nella sua vita. Era stato uno scontro sperato, ma mai ritenuto possibile; da anni il ragazzo si dilettava in esercizi di apnea, qualche secondo in più sotto la superficie dell’acqua aveva attirato l’attenzione della bagnina più graziosa che lui avesse mai visto, la donna che con il suo arrivo a San Diego aveva cancellato il resto dell’universo femminile dalla mente del seal. Avrebbe dovuto perdere lui il controllo sott’acqua, quando i loro occhi si erano accarezzati, invece la concentrazione che aveva mantenuto fino a quel momento non era venuta meno; aveva preso il sopravvento l’istinto di protezione verso di lei, nell’esatto istante in cui la vide annaspare davanti a lui. Alla resa, era stato Christian a soccorrere la ragazza, in un tentativo di salvataggio che si era scoperto essere inutile per il ragazzo. A pochi metri, era riuscito solo a chiederle il nome, aveva osato ed era stato molto più audace del solito; bramava da tempo di domandare a qualcuno come si chiamasse l’angelo che sfilava sulla sabbia, non consapevole probabilmente dell’effetto che sortiva nel cuore dei bagnanti e su uno di essi in particolare. Era graziosa nell’incoscienza più assoluta di quanto fosse bella.
La Pacific Beach era da sempre un rifugio per Christian; dall’età di diciassette anni era il luogo privilegiato in grado di allontanarlo dagli abissi dei ricordi felici, i quali, in assenza dei protagonisti, erano una lama che sprofondava nel petto. Non riusciva ancora ad avere una chiara visione del subbuglio che la vista di Katherine aveva causato nella sua anima; avrebbe desiderato ammirarla di continuo, ma non pretendeva certo che lei potesse scorgerlo tra la decina di uomini che frequentavano la zona e infatuarsi proprio di lui. Christian godeva della sua presenza da lontano, deviava spesso lo sguardo quando si sentiva osservata e tentava di capire da quale direzione provenisse la sensazione di assedio. Katherine era un balsamo per lo spirito di ragazzo; il suo semplice profilo inibiva il dolore ancora fresco nel suo cuore, ripuliva il suo petto dagli zampilli dell’emorragia conseguenza del trauma subìto in adolescenza e che nella solitudine in cui riversava ormai da più di dieci anni non avrebbero potuto cessare consentendo alla ferita di cicatrizzarsi. Katherine per Christian era identificabile in un sentimento di pace, offuscava il tragico incidente aereo in cui perse i genitori, lo rendeva un momento oscuro della sua vita estraneo a lui, come se il ragazzo che aveva subìto un colpo così duro dal destino non fosse lo stesso, ma solo un omonimo. Non aveva mai provato nulla di simile per una donna e in quella mattina così speciale, così diversa dalla drammatica routine che viveva da anni e a cui solo il lavoro riusciva a dare una scossa, il cielo aveva deciso di restituirgli in parte ciò che gli era stato tolto; non riusciva a perdere l’occasione di parlare di nuovo con lei, non ora che aveva sentito la sua voce e ciò l’aveva resa ancora più concreta e raggiungibile.
Christian non voleva lasciare scorrere il tempo, non poteva, in fondo se lei l’avesse rifiutato non avrebbe perso nulla di più, solo una parte del cuore, una delle poche rimaste al loro posto. Era tornato in spiaggia; aveva svestito gli abiti militari per indossare un portamento informale, non desiderava infonderle soggezione. Aveva domandato di lei al bagnino in appostamento sulla torretta, lo aveva informato sul fatto che Katherine avesse smontato dal suo turno da pochi minuti e che, se fosse stato fortunato, avrebbe ancora potuto trovarla nella sua cabina intenta a cambiarsi. Aveva raggiunto la porticina indicata dal collega della ragazza e proprio mentre lui si stava avvicinando, essa venne spalancata con enfasi; il giovane riuscì ad evitare di essere colpito grazie ai suoi riflessi affinati nell’esercito.
«Christian!»
La sensazione che in ammollo aveva catturato Katherine tornò a bussare al suo cuore; stavolta non era sott’acqua, ma sentì ugualmente una morsa all’altezza della carotide. Il viso della bagnina non era più inumidito e rinfrescato, perciò uno sbuffo di calore le imporporò le guance con prepotenza.
«Volevo scusarmi con te per prima. Non è stato prudente da parte mia avventurarmi al largo e senza la sorveglianza di un bagnino. Desideravo accertarmi che stessi bene e chiederti se fosse possibile offrirti una cena per farmi perdonare»
Christian ebbe l’impressione di aver proferito le parole troppo velocemente e che per un lungo frangente tutto il sangue freddo del Navy SEAL fosse andato a farsi benedire; erano stati sufficienti gli occhi smeraldo della ragazza per perdere la cognizione di sé, il coraggio che lo aveva spinto fin lì doveva essersi spento insieme al respiro. Si sentiva ancora in apnea, ma stavolta non riusciva a controllare la respirazione come era solito a fare sott’acqua, era lei a farlo al posto suo; più le era accanto e più si rendeva conto di dipendere dalla presenza di quella donna.
«Non hai nulla di cui farti perdonare. Non è necessaria alcuna cena, tranquillo»
Aveva appena mandato in fumo i suoi buoni propositi; lo aveva quasi liquidato con indifferenza, non gli restava che andarsene titubante sul fatto che avesse potuto risultare sfacciato. Le stava girando pensieroso le spalle, ma sull’onda dei pensieri tornò sui suoi passi. Katherine aveva ancora lo sguardo fisso su di lui e sembrava interessata alle sue movenze.
«Senti, solo per chiarire. Katherine, giusto? Non ho secondi fini. Per cena intendo ristorante e una serata tra quelle mura. Tu sulla tua sedia ed io sulla mia. Non ho intenzione di provarci con te»
«Ah no?»
La ragazza sorrise all’impaccio dell’uomo; si stava abituando a parlare con lui, era gradevole la sua voce, il suo respiro era tornato regolare nell’esatto momento in cui gli occhi di Christian non furono più il suo punto fisso, ma iniziò a riscoprire la piacevolezza del giovane in ogni parte del suo corpo, in ogni gesto, in ogni variazione di tono. Katherine si appoggiò allo stipite della porta della cabina che aveva lasciato aperta; era quasi dispiaciuta che avesse posto tra loro paletti così rigidi, ad essere sincera sperava in un pizzico in più di audacia da parte sua dal momento che l’aveva cercata, ma non era nemmeno sicura di volerlo realmente.
«No … se non vuoi no. Ma nel caso cambiassi idea, sappi che … ecco, mi starai prendendo per pazzo»
«No, ti sto ascoltando, continua»
«È solo per dirti che le donne non sono il mio cavallo di battaglia, quindi non oserei qualcosa di sconveniente senza essere certo di essere ricambiato»
Agli occhi di Katherine, Christian era garbato; purtroppo l’insicurezza della ragazza vinceva sulla gentilezza di lui. Nel corso della sua permanenza in California non aveva conosciuto molti uomini oltre ai colleghi e sicuramente nessuno le aveva chiesto un appuntamento subito dopo che i loro occhi si erano sfiorati. Era attratta da lui, ma ciò non dissolveva la prudenza.
«È molto interessante ciò che mi stai dicendo. Solo che io non so se sia vero o se effettivamente sia uno squallido modo per portarmi a letto»
«Sei diretta»
«Spero tu non lo sia quanto me»
Christian sorrise, lo stava prendendo per il seduttore che non era mai stato. Il suo migliore amico, William, aveva sempre provato a scioglierlo un po’, ma con scarsi risultati; sarebbe stato lieto di conoscere i dettagli di quella serata così sopra le righe.
«Posso avere l’onore di cenare in tua compagnia al Tidal? È poco distante da qui. A che ora posso passare a prenderti?»
Katherine conosceva il ristorante solo per fama e sapeva che era un ottimo posto per fare colpo su una ragazza; non era così inesperto come credeva lui e a lei non dispiaceva affatto.
«Alle otto ci troviamo lì»
 
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Alle otto lui era al ristorante già da un'ora. La aspettava impaziente al tavolo, convinto che lei non sarebbe mai arrivata. Era certo di essere stato poco convincente, a tratti avrebbe potuto scambiarlo per un maniaco e a ragion veduta; aveva azzardato troppo, era stato troppo diretto, troppo schietto, ma era ciò che i suoi genitori gli avevano insegnato. Si era giocato male la sua unica e imperdibile occasione con Katherine. Lei non lo avrebbe raggiunto, era impossibile dopo la prima impressione che le aveva suscitato. William gli avrebbe dato consigli ambigui, non avrebbe approvato il fatto che avesse esplicitato la sua incapacità di corteggiare, anzi l’amico avrebbe caldeggiato un approccio fisico e determinato.
Aveva spento e spostato la candela che fungeva da centro tavola, aveva già osato abbastanza; lei per lui era tutto tranne una sconosciuta, ma non poteva pretendere che la fiducia venisse ricambiata subito, non voleva perciò ci fossero fraintendimenti tra di loro, non desiderava creare imbarazzo ad entrambi; anche se a lui Katherine piaceva tanto, da anni ormai e l’opportunità che il cielo sembrava avergli offerto era quasi inverosimile. Per l’occasione non aveva indossato nulla di suggestivo, non aveva mai dovuto affrontare un primo appuntamento; la sua unica conquista era stata in accademia all’età di diciotto anni, erano passati dieci anni e la sua esperienza era ferma al livello di principiante; eppure Katherine era riuscita a smuovere il suo coraggio e le sue insicurezze per tutto ciò che concerneva l’universo femminile. Non desiderava correre con la ragazza, voleva evitare che il suo impaccio la spaventasse; lei era così inarrivabile, così distante dalla sua prima esperienza e da tutte quelle che William gli proponeva; i sentimenti che provava erano nuovi, ma non gli infondevano alcun timore, anzi gli suggerivano di compiere un passo diverso dal consueto, per lei forse sarebbe valso anche un rifiuto. Immaginava il futuro al suo fianco, ricco di gioia; sarebbe stata una svolta troppo importante nella sua vita e non era sicuro potesse essere predestinata proprio a lui, certo non dopo che il destino gli aveva voltato così duramente le spalle in passato.
La vide arrivare e il fiato si mozzò in gola per l’ennesima volta, gli parve di essere entrato ancora in apnea, era una sensazione perenne al suo cospetto, ma non sgradevole. Aveva indossato un grazioso vestito acqua marina; le inondava le gambe fino alle ginocchia, il pizzo sovrastava la scollatura; era più vestita rispetto alla sua tenuta da spiaggia, eppure ai suoi occhi era ancora più bella e attraente. La accolse alzandosi, ma lei non si aspettava alcun gesto galante da parte sua.
«Ciao, credevo non arrivassi più»
Katherine sbirciò le lancette del suo orologio da polso, si era sentita quasi sotto accusa. Appese la sua borsetta alla spalliera della sedia; fu un atto involontario, come se fosse lieta di essere giunta a destinazione; a Christian non sfuggì e accese in lui una piccola dose di speranza sul fatto che i suoi sentimenti potessero un giorno venire ricambiati.
«Non sono in ritardo»
«Non volevo dire questo. Scusami»
«No, scusami tu. Ero incerta, non sapevo se accettare il tuo invito. Non conosco molte persone qui a San Diego, sono sola e sono un po’ diffidente verso il genere umano. Mi sono trasferita solo da tre anni»
«Lo so»
«Come? Tu sai che vivo in California da tre anni? Mi controlli, per caso?»
Sapeva che non sarebbe mai dovuta andare; recuperò la borsa dalla sedia e si avviò verso l’uscita. L’avevano spaventata le sensazioni che aveva provato in acqua nel corso di quella stessa mattina, in aggiunta a quelle che le avevano causato le parole di lui nell’arco dei pochi minuti di quel loro primo appuntamento; le parve di essere Superman davanti alla Kryptonite. Christian non le consentì di andarsene senza reagire; nella fretta si era scontrato con un paio di sedie, ma non aveva smesso di chiamarla.
«Katherine. Lasciami spiegare, sono un Navy SEAL. Sono un soldato della Marina Militare»
Per necessità era stato costretto a parlarle di lui di sfuggita, sperava fosse una garanzia di sicurezza, ma ancor più auspicava che si sedessero al tavolo e conversassero come due persone adulte desiderose di conoscersi meglio; per lui almeno era così.
«Questo non ti rende meno strano»
«Kathe, non ti ho controllata, non so nulla di più, anzi mi piacerebbe parlare un po’ con te stasera. Passi spesso sotto i miei occhi da quando vivi qui, frequentiamo entrambi la Pacific Beach»
«Solo i miei genitori usano l'abbreviazione del mio nome. Ti hanno mandato loro?»
La ragazza gli sfiorò appena la stoffa della maglietta, invitandolo a non avvicinarsi ulteriormente a lei.
«No. Certo che no»
«Sai cosa si dice dei Navy SEALs del Coronado?»
Christian scosse la testa, si stava agitando per la triste piega che aveva preso la serata ed era confuso dalla domanda, non riusciva a capire cosa si fosse perso; Katherine non gli rispose nemmeno, prese solo la via della porta, nei suoi occhi però brillava una flebile scintilla di dispiacere. Il soldato la seguì, non poteva accettare di aver rovinato una rara opportunità che attendeva da anni, non con lei.  I tuoni irruppero nel cielo; lo stavano maledicendo per l’incapacità e l’insicurezza dimostrate; era in fondo lo stesso cielo che gli aveva strappato la famiglia, non era mai portatore di un buon presagio.
«Sta per iniziare un temporale. Lascia che ti riaccompagni a casa»
La ragazza aveva indossato tacchi di pochi centimetri, ma erano scarpe nuove - non le era mai stata offerta l'occasione opportuna in California per indossarle - e facevano male ai piedi; aveva raggiunto il ristorante a piedi ed ora ne subiva le conseguenze; le tolse e lasciò che la sabbia morbida confortasse la pianta dolorante dei suoi piedi, era l’unico sollievo a cui potesse ambire nel contrasto profondo tra prudenza e attrazione.
«Non salgo sull’auto di un Navy SEAL, chissà dove hai intenzione di portarti»
«A casa tua, Katherine, ovunque sia. Voglio solo evitare che torni a casa a piedi, scalza per giunta»
«Non è necessario, posso prendere un taxi»
«Sulla spiaggia?»
«Raggiungo la strada, lì ce ne sono in abbondanza»
«Sta scendendo l’imbrunire, permettimi di  …»
Si voltò verso di lui infastidita; era stanca della pressione che stava esercitando su di lei, per il semplice fatto che per prima avrebbe voluto cedere a lui, si sentiva attratta, ma non le sembrava appropriato. Lo fece arretrare di qualche passo e gli inveì contro con i calzari tra le mani.
«Oh, ma si può sapere cosa vuoi? Io non ti conosco, per me potresti anche essere un delinquente. Sei un delinquente? Il fatto che tu sia un soldato non mi rincuora, anzi»
Si avvicinò a lei mortificato; le concesse il tempo per calmarsi e intuire le sue buone intenzioni. Lasciarono che le gocce diventassero sempre più grandi e insistenti, la pioggia scendeva tra loro con maggiore potenza, portò via la foga con cui la ragazza aveva proferito le ultime parole, imponeva una tregua tra i due; si scrutarono negli occhi in silenzio, si persero nei loro sguardi, a Katherine sembrò di leggere la sua anima ed era trasparente, sincera, pulita; non era un effetto ottico dell’acqua piovana, era stata l'unica a gridare, lui aveva mantenuto pacatezza e si sbagliava, non aveva superato alcun limite, non l'aveva costretta in qualcosa. Il diluvio che scendeva dal cielo non aveva messo a nudo Christian, lui era sempre stato se stesso, fin da quando i loro occhi si erano incrociati sotto la superficie dell'oceano, creando un angolo di mondo condiviso e personale. La ragazza si sciolse insieme al temporale; era ancora una volta zuppa e indifesa davanti a lui, Christian era di nuovo pronto a soccorrerla, nel suo sguardo non vi era malizia, o almeno non solo.
«È inopportuno se bacio uno sconosciuto, vero? Non vorrei risultare … »
Christian avvicinò il viso a quello della giovane, sentì il suo respiro accelerato. Katherine aveva lasciato il suo ultimo bacio a New York e lo aveva regalato ad un ex fidanzato irrispettoso dei suoi sentimenti; non era più abituata alle effusioni sincere, lei sperò che quelle che si stavano scambiando lo fossero. Le loro labbra si congiunsero lentamente in un bacio casto, frenato; la ragazza capì che si stava trattenendo, stava fremendo di dimostrarle quanto la desiderava, ma il pudore fu più forte.
«Di solito non bacio uno sconosciuto»
«Nemmeno io»
Anche se per lui la bagnina non era mai stata un’estranea, si rese conto solo in quel momento che possedeva il piacevole profumo di familiarità e il sapore di salsedine. Christian aveva sfiorato appena il naso contro il suo per poter sussurrare. Katherine non si tirò indietro; lasciò che il ragazzo catturasse la guancia nel suo palmo e le porgesse un bacio con intenzioni più appassionate; gli accarezzò il petto fino a cingere il suo collo e infilare tra le sue dita i capelli bruni disordinati e bagnati alla base.
«È questo che si dice dei SEALs ... si dice facciano innamorare di loro facilmente»
«Amore ... è una parola grossa, ci siamo appena conosciuti»
Il soldato le rivolse un mezzo sorriso, eppure sapeva di essere già innamorato, su lei non avrebbe potuto garantire; le fondamenta sembravano solide, il cielo era stato loro testimone e per una volta nella vita di Christian compassionevole nei confronti del suo cuore.
«Vero, scusa, sto correndo»
«Credo sia meglio darsi appuntamento domani in spiaggia»
«Lo penso anche io. E niente scherzi, soldato»
La California doveva essere davvero il paradiso, Katherine ne era sempre più convinta.
 

Salve a tutti, cari lettori e care lettrici!
Questa è la storia del primo incontro tra due dei protagonisti della mia long originale. Se avete curiosità di conoscere l’evoluzione del loro rapporto e cosa li attenderà in futuro, vi lascio il link di Congiunzione astrale.
Ringrazio tutti coloro che sono giunti fin qui, sia i miei lettori per aver approfondito questo missing moment solo accennato nella long, sia i nuovi lettori di Christian e Katherine.
Un abbraccio grande
-Vale
   
 
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